Allevamento animale e consumo della carne a Pompei Lezioni

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Allevamento animale
e consumo della carne a Pompei
Tratto da:
Lezioni tenute per il Corso di Storia Romana del
Prof. Giacomo De Cristofaro dell’Università
“Suor Orsola Benincasa” di Napoli nell’A.A. 2004/05
Michele Di Gerio
Introduzione
La Zooarcheologia è l’analisi dei resti animali (ossa, denti, corna, ecc.) provenienti
da siti archeologici.
Grazie a quest’analisi, si possono ricostruire le relazioni che intercorrevano tra le genti e gli animali che abitavano tali siti e l’ambiente. I resti animali, residui alimentari e
residui della macellazione, provenienti da
Pompei, vengono solitamente ritrovati e rimossi o dai cosiddetti “pozzi settici” o dalle “discariche”.
I primi sono vere e proprie buche che i
pompeiani scavavano nei vicoli per inumare soltanto i residui alimentari animali.
Le discariche, invece, poste al di fuori delle mura della città, erano utilizzate per depositarvi, oltre a materiale di svariata natura, anche residui alimentari animali e della
macellazione animale. Solitamente i residui
alimentari animali ed i residui della macellazione animale sono resti di suino, di pecora e di capra.
A Pompei, il rinvenimento di resti animali
di altre specie ha un significato zooarcheologico non riconducibile, generalmente,
all’alimentazione umana. Il materiale rinvenuto è costituito da ossa, da denti e raramente da corna. La quantità del materiale e
le sue caratteristiche dovranno esser tali da
costituire un attendibile “campione”.
I reperti sono sottoposti a misurazioni, ad
indagini per definire sesso, specie ed età
ed a ricerche per evidenziare segni tafonomici e segni paleopatologici. Lo studio dei
reperti ha permesso di poter conoscere diversi aspetti della zootecnia e dell’alimentazione umana, dell’area vesuviana, utiliz-
zando anche Fonti letterarie, Fonti epigrafiche, Fonti numismatiche, Fonti iconografiche, Fonti topografiche e Fonti cartografiche.
Allevamento
Nell’area vesuviana gli animali maggiormente allevati per l’alimentazione umana erano
i suini domestici; seguivano pecore e capre. Se il numero dei suini domestici era
esiguo, erano tenuti nei cortili delle ville
rurali e delle domus cittadine; se invece, il
loro numero era consistente venivano tenuti allo stato brado nelle campagne al di
fuori delle mura della città.
I suini domestici durante il periodo estivo
erano condotti sui monti Lattari per l’utilizzo alimentare di vegetali più freschi e consoni alla crescita ed allo sviluppo. Tale area,
collinare e montagnosa, era abitata dai cinghiali, per cui erano frequenti gli accoppiamenti fra specie domestica e specie selvatica. Il prodotto dell’accoppiamento fra
specie domestica e specie selvatica dava
origine al cosiddetto cinghialoide, che veniva regolarmente macellato e consumato
per l’alimentazione umana.
I pompeiani erano consapevoli che il cinghialoide era frutto di un incrocio fra due
specie diverse. Infatti, praticavano regolarmente, con rigore scientifico, gli accoppiamenti fra cavalli ed asini per fini zootecnici. In epoca romana la specie suina domestica si era già ben differenziata da quella
selvatica ed, alcuni suoi caratteri anatomici, quali struttura ossea e muscolare, colore del mantello e carattere, erano sovrapponibili a quelli odierni. Infatti, si presentavano di media grandezza, tozzi e robusti;
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con il mantello avente setole di colore roseo per alcune razze e nero per altre; e
con un carattere gestibile dagli allevatori.
L’allevamento e la vendita dei suini domestici costituiva un mercato con ramificazioni per tutto l’Impero. Tale mercato implicava la presenza di figure con ruoli lavorativi
ben specifici. Il porcarus si occupava dell’allevamento dei suini domestici, coadiuvato da molti schiavi con mansioni ben differenziate. Il mercator suaris era il mercante di suini. Il negotiator suaris era un allevatore di suini che conduceva la sua attività
da grossista e da imprenditore.
L’allevamento degli ovini e dei caprini era
anch’esso molto diffuso. Non sappiamo con
certezza se le due specie erano allevate insieme o separatamente. Le pecore erano utilizzate per la produzione di lana, di latte e
di formaggi; le capre per la produzione di
latte e formaggi. Inoltre, entrambe le specie
venivano macellate per fini alimentari.
Le pecore, le capre, la lana, il latte ed i formaggi costituivano un vasto mercato gestito, come per i suini, da figure con attività
ben definite. Il boukolos era l’addetto alla
sorveglianza del bestiame. Il callitanus era
il pastore transumante, deputato ai grandi
spostamenti degli animali. Il caprarius poteva essere o un guardiano di capre o un pastore proprietario del bestiame. Il gregarius
era lo schiavo addetto alla sorveglianza del
gregge. Il pastor ed il servus erano contemporaneamente pastori e guardiani. Il pecuarius pascolava, sorvegliava ed allevava le
pecore. L’oviarius era un allevatore di pecore e di capre. Il magister ovium era un pastore, ma che molto probabilmente, si occupava della vendita di capi di bestiame.
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Macellazione
L’animale acquistato poteva essere macellato o sacrificato.
Gli animali comprati ad cultrum venivano
macellati; quelli comprati ad altaria venivano sacrificati.
I suini domestici venivano macellati all’età
di circa tre anni; le pecore e le capre fra i
due ed i tre anni. La macellazione avveniva
nelle officinae lanienae, poste al di fuori della città, ed era condotta dal lanius e dai
suoi collaboratori, generalmente schiavi.
Le tecniche e le fasi della macellazione erano le stesse di quelle attuali.
Inizialmente l’animale veniva abbattuto con
un colpo violento e deciso sulla base cranica, che poteva stordirlo o ucciderlo.
Successivamente, sulla parte terminale di
ciascun arto posteriore veniva legato il capo di una fune. In tal modo l’animale veniva issato verso l’alto tirando contemporaneamente le parti libere delle funi e legando i loro capi a strutture rigide e fisse.
Secondo questa procedura, la testa era posta verso il basso, sfiorando il terreno e la
parte posteriore era posta più in alto.
Si procedeva al taglio delle arterie giugulari, poste al lato del collo. La fuoriuscita del
sangue era immediata ed abbondante e
l’animale se stordito, moriva per dissanguamento. La fuoriuscita totale del sangue era
necessaria per non farlo ristagnare nei muscoli e negli organi, utilizzati per l’alimentazione umana. Un eventuale ristagno di sangue, nei muscoli e negli organi, avrebbe indotto alterazioni al loro colore ed al loro sapore. Dopo il dissanguamento, l’animale veniva scuoiato con un lungo taglio in superficie cutanea, che procedeva dalla base
terminale del pube sino alla base terminale del collo.
Seguiva l’apertura della cavità toracica e
della cavità addominale con l’asportazione
degli organi in esse contenuti.
Si distaccava, quindi il cranio dalla colonna vertebrale.
Si procedeva, successivamente, a dividere
l’animale in due parti, eseguendo un taglio
lungo tutta la colonna vertebrale. Altri tagli
venivano effettuati lungo le articolazioni ossee per avere pezzi maggiormente manovrabili. E, con i tagli seguenti e finali, si avevano pezzi di carne abbastanza leggeri da
poter essere immessi nella vendita al dettaglio. I residui della macellazione, pezzi di
ossa, denti e corna, certamente non commestibili, venivano venduti agli artigiani come materiale di base per oggetti di uso comune.
Gli strumenti utilizzati per le pratiche di macellazione erano in genere coltelli. Alcuni
di essi avevano una lama pesante e tagliente per poter, contemporaneamente, colpire e tagliare; altri, invece, presentavano una
lama più leggera, ma sottile e ben affilata
che gli permetteva soltanto il taglio. In area
vesuviana sono stati rinvenuti diversi esemplari di coltelli. Alcuni interamente in metallo o in altro materiale, altri con lama in metallo e manico in osso o in avorio.
I pezzi di carne pronti per l’alimentazione
umana venivano acquistati e venduti al dettaglio dal macellarius. Esistevano, inoltre,
sia i macellarii che macellavano e vendevano ogni tipo di carne e sia porcinaria che
macellavano e vendevano solo carne suina.
I pezzi di carne da vendere al dettaglio erano appese al carnarium per meglio essere apprezzati dalla clientela.
La carne meno costosa era quella delle pecore e delle capre perché era la più dura.
Quella dei capretti, invece, era la più costosa per morbidezza e fragranza.
Inoltre, esistevano commercianti che vendevano i derivati alimentari di origine suina.
Il butularius per le salsicce, lavorate e confezionate dal confectuarius. Il lardarius per
il lardo. Il pernarius per il prosciutti. Il seminarius per la pancetta e la ventresca.
Consumo della carne
Il consumo della carne, a differenza di cereali ed ortaggi, non era molto diffuso.
Le tecniche dell’affumicamento e della salagione erano conosciute ed utilizzate nel
mondo romano per la conservazione della
carne. Il fumo della legna umida che avvolgeva la carne o il sale con il quale veniva coperta, la preservavano da processi putrefattivi e la mantenevano nel tempo.
La carne salata era conservata in vasi di terra
cotta. I pasticci di carne venivano conservati ricoprendoli di grasso suino o di miele.
La carne poteva essere bollita o arrostita.
Le procedure non derivavano da una “cultura culinaria” vera e propria, ma dalle di9 / 426
mensioni del pezzo di carne da cuocere.
Alla bollitura erano sottoposti pezzi di carne di notevoli dimensioni. Essa avveniva in
pentole di diversa grandezza. Molto probabilmente le dimensioni delle pentole
erano in funzione del numero dei commensali. Prima di essere bollita la carne veniva
tagliata a pezzi. La bollitura, però, faceva
perdere alla carne il suo caratteristico odore ed il suo tipico sapore. Ma, si rimediava
con l’uso di salse. Inoltre, spesso, dopo esser stata bollita, la carne veniva tritata.
I pezzi di carne più piccoli venivano arrostiti, molto probabilmente, direttamente
sulla fiamma. Ma, alcune volte, i pezzi di
carne di piccole dimensioni si presentavano duri e la sola fiamma non li avrebbe
arrostiti. Quindi, per ovviare a tale inconveniente, si utilizzava la bollitura per renderli
più morbidi.
Utilizzo delle parti
non commestibili
Come già scritto, dell’animale macellato, si
utilizzavano, nel settore dell’artigianato, anche le parti non commestibili.
Le ossa, i denti e le corna venivano lavorate per ottenere oggetti di diversa natura.
Con le ossa piatte del bacino venivano fabbricate delle “tessere”, simili alle nostre
“card”, utilizzate dai cittadini che partecipavano agli spettacoli proposti nei teatri.
Su di esse si scriveva il settore, la fila ed il
posto da occupare.
I denti venivano lavorati per creare piccoli
strumenti, amuleti ed oggetti ornamentali.
Tali lavorazioni artigianali venivano effettuate dagli eborarii, che lavoravano anche
l’avorio. L’avorio era un materiale molto usato per la creazione di decorazioni di vari
oggetti e soprattutto era utilizzato in combinazione con l’oro nelle statue crisoelefantine. Con l’avorio, si fabbricavano anche pettini e spilloni. Questi ultimi erano utilizzati
dalle donne per fissare le loro pettinature.
L’avorio più pregiato era quello africano, ma
quando questo iniziò a scarseggiare si utilizzò anche quello proveniente dall’Asia o
fu sostituito da altro materiale, come ad esempio i denti dell’ippopotamo.
Inoltre, molto spesso, osso, corna e carapace di tartaruga sostituirono il costosissimo avorio.