19-09-2007 18:39 Pagina 425 Allevamento animale e consumo della carne a Pompei Tratto da: Lezioni tenute per il Corso di Storia Romana del Prof. Giacomo De Cristofaro dell’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli nell’A.A. 2004/05 Michele Di Gerio Introduzione La Zooarcheologia è l’analisi dei resti animali (ossa, denti, corna, ecc.) provenienti da siti archeologici. Grazie a quest’analisi, si possono ricostruire le relazioni che intercorrevano tra le genti e gli animali che abitavano tali siti e l’ambiente. I resti animali, residui alimentari e residui della macellazione, provenienti da Pompei, vengono solitamente ritrovati e rimossi o dai cosiddetti “pozzi settici” o dalle “discariche”. I primi sono vere e proprie buche che i pompeiani scavavano nei vicoli per inumare soltanto i residui alimentari animali. Le discariche, invece, poste al di fuori delle mura della città, erano utilizzate per depositarvi, oltre a materiale di svariata natura, anche residui alimentari animali e della macellazione animale. Solitamente i residui alimentari animali ed i residui della macellazione animale sono resti di suino, di pecora e di capra. A Pompei, il rinvenimento di resti animali di altre specie ha un significato zooarcheologico non riconducibile, generalmente, all’alimentazione umana. Il materiale rinvenuto è costituito da ossa, da denti e raramente da corna. La quantità del materiale e le sue caratteristiche dovranno esser tali da costituire un attendibile “campione”. I reperti sono sottoposti a misurazioni, ad indagini per definire sesso, specie ed età ed a ricerche per evidenziare segni tafonomici e segni paleopatologici. Lo studio dei reperti ha permesso di poter conoscere diversi aspetti della zootecnia e dell’alimentazione umana, dell’area vesuviana, utiliz- zando anche Fonti letterarie, Fonti epigrafiche, Fonti numismatiche, Fonti iconografiche, Fonti topografiche e Fonti cartografiche. Allevamento Nell’area vesuviana gli animali maggiormente allevati per l’alimentazione umana erano i suini domestici; seguivano pecore e capre. Se il numero dei suini domestici era esiguo, erano tenuti nei cortili delle ville rurali e delle domus cittadine; se invece, il loro numero era consistente venivano tenuti allo stato brado nelle campagne al di fuori delle mura della città. I suini domestici durante il periodo estivo erano condotti sui monti Lattari per l’utilizzo alimentare di vegetali più freschi e consoni alla crescita ed allo sviluppo. Tale area, collinare e montagnosa, era abitata dai cinghiali, per cui erano frequenti gli accoppiamenti fra specie domestica e specie selvatica. Il prodotto dell’accoppiamento fra specie domestica e specie selvatica dava origine al cosiddetto cinghialoide, che veniva regolarmente macellato e consumato per l’alimentazione umana. I pompeiani erano consapevoli che il cinghialoide era frutto di un incrocio fra due specie diverse. Infatti, praticavano regolarmente, con rigore scientifico, gli accoppiamenti fra cavalli ed asini per fini zootecnici. In epoca romana la specie suina domestica si era già ben differenziata da quella selvatica ed, alcuni suoi caratteri anatomici, quali struttura ossea e muscolare, colore del mantello e carattere, erano sovrapponibili a quelli odierni. Infatti, si presentavano di media grandezza, tozzi e robusti; 9 / 425 con il mantello avente setole di colore roseo per alcune razze e nero per altre; e con un carattere gestibile dagli allevatori. L’allevamento e la vendita dei suini domestici costituiva un mercato con ramificazioni per tutto l’Impero. Tale mercato implicava la presenza di figure con ruoli lavorativi ben specifici. Il porcarus si occupava dell’allevamento dei suini domestici, coadiuvato da molti schiavi con mansioni ben differenziate. Il mercator suaris era il mercante di suini. Il negotiator suaris era un allevatore di suini che conduceva la sua attività da grossista e da imprenditore. L’allevamento degli ovini e dei caprini era anch’esso molto diffuso. Non sappiamo con certezza se le due specie erano allevate insieme o separatamente. Le pecore erano utilizzate per la produzione di lana, di latte e di formaggi; le capre per la produzione di latte e formaggi. Inoltre, entrambe le specie venivano macellate per fini alimentari. Le pecore, le capre, la lana, il latte ed i formaggi costituivano un vasto mercato gestito, come per i suini, da figure con attività ben definite. Il boukolos era l’addetto alla sorveglianza del bestiame. Il callitanus era il pastore transumante, deputato ai grandi spostamenti degli animali. Il caprarius poteva essere o un guardiano di capre o un pastore proprietario del bestiame. Il gregarius era lo schiavo addetto alla sorveglianza del gregge. Il pastor ed il servus erano contemporaneamente pastori e guardiani. Il pecuarius pascolava, sorvegliava ed allevava le pecore. L’oviarius era un allevatore di pecore e di capre. Il magister ovium era un pastore, ma che molto probabilmente, si occupava della vendita di capi di bestiame. Veterinarian graffiti 09_settembre_2007_DEF.qxp 09_settembre_2007_DEF.qxp 19-09-2007 18:39 Pagina 426 Veterinarian graffiti Macellazione L’animale acquistato poteva essere macellato o sacrificato. Gli animali comprati ad cultrum venivano macellati; quelli comprati ad altaria venivano sacrificati. I suini domestici venivano macellati all’età di circa tre anni; le pecore e le capre fra i due ed i tre anni. La macellazione avveniva nelle officinae lanienae, poste al di fuori della città, ed era condotta dal lanius e dai suoi collaboratori, generalmente schiavi. Le tecniche e le fasi della macellazione erano le stesse di quelle attuali. Inizialmente l’animale veniva abbattuto con un colpo violento e deciso sulla base cranica, che poteva stordirlo o ucciderlo. Successivamente, sulla parte terminale di ciascun arto posteriore veniva legato il capo di una fune. In tal modo l’animale veniva issato verso l’alto tirando contemporaneamente le parti libere delle funi e legando i loro capi a strutture rigide e fisse. Secondo questa procedura, la testa era posta verso il basso, sfiorando il terreno e la parte posteriore era posta più in alto. Si procedeva al taglio delle arterie giugulari, poste al lato del collo. La fuoriuscita del sangue era immediata ed abbondante e l’animale se stordito, moriva per dissanguamento. La fuoriuscita totale del sangue era necessaria per non farlo ristagnare nei muscoli e negli organi, utilizzati per l’alimentazione umana. Un eventuale ristagno di sangue, nei muscoli e negli organi, avrebbe indotto alterazioni al loro colore ed al loro sapore. Dopo il dissanguamento, l’animale veniva scuoiato con un lungo taglio in superficie cutanea, che procedeva dalla base terminale del pube sino alla base terminale del collo. Seguiva l’apertura della cavità toracica e della cavità addominale con l’asportazione degli organi in esse contenuti. Si distaccava, quindi il cranio dalla colonna vertebrale. Si procedeva, successivamente, a dividere l’animale in due parti, eseguendo un taglio lungo tutta la colonna vertebrale. Altri tagli venivano effettuati lungo le articolazioni ossee per avere pezzi maggiormente manovrabili. E, con i tagli seguenti e finali, si avevano pezzi di carne abbastanza leggeri da poter essere immessi nella vendita al dettaglio. I residui della macellazione, pezzi di ossa, denti e corna, certamente non commestibili, venivano venduti agli artigiani come materiale di base per oggetti di uso comune. Gli strumenti utilizzati per le pratiche di macellazione erano in genere coltelli. Alcuni di essi avevano una lama pesante e tagliente per poter, contemporaneamente, colpire e tagliare; altri, invece, presentavano una lama più leggera, ma sottile e ben affilata che gli permetteva soltanto il taglio. In area vesuviana sono stati rinvenuti diversi esemplari di coltelli. Alcuni interamente in metallo o in altro materiale, altri con lama in metallo e manico in osso o in avorio. I pezzi di carne pronti per l’alimentazione umana venivano acquistati e venduti al dettaglio dal macellarius. Esistevano, inoltre, sia i macellarii che macellavano e vendevano ogni tipo di carne e sia porcinaria che macellavano e vendevano solo carne suina. I pezzi di carne da vendere al dettaglio erano appese al carnarium per meglio essere apprezzati dalla clientela. La carne meno costosa era quella delle pecore e delle capre perché era la più dura. Quella dei capretti, invece, era la più costosa per morbidezza e fragranza. Inoltre, esistevano commercianti che vendevano i derivati alimentari di origine suina. Il butularius per le salsicce, lavorate e confezionate dal confectuarius. Il lardarius per il lardo. Il pernarius per il prosciutti. Il seminarius per la pancetta e la ventresca. Consumo della carne Il consumo della carne, a differenza di cereali ed ortaggi, non era molto diffuso. Le tecniche dell’affumicamento e della salagione erano conosciute ed utilizzate nel mondo romano per la conservazione della carne. Il fumo della legna umida che avvolgeva la carne o il sale con il quale veniva coperta, la preservavano da processi putrefattivi e la mantenevano nel tempo. La carne salata era conservata in vasi di terra cotta. I pasticci di carne venivano conservati ricoprendoli di grasso suino o di miele. La carne poteva essere bollita o arrostita. Le procedure non derivavano da una “cultura culinaria” vera e propria, ma dalle di9 / 426 mensioni del pezzo di carne da cuocere. Alla bollitura erano sottoposti pezzi di carne di notevoli dimensioni. Essa avveniva in pentole di diversa grandezza. Molto probabilmente le dimensioni delle pentole erano in funzione del numero dei commensali. Prima di essere bollita la carne veniva tagliata a pezzi. La bollitura, però, faceva perdere alla carne il suo caratteristico odore ed il suo tipico sapore. Ma, si rimediava con l’uso di salse. Inoltre, spesso, dopo esser stata bollita, la carne veniva tritata. I pezzi di carne più piccoli venivano arrostiti, molto probabilmente, direttamente sulla fiamma. Ma, alcune volte, i pezzi di carne di piccole dimensioni si presentavano duri e la sola fiamma non li avrebbe arrostiti. Quindi, per ovviare a tale inconveniente, si utilizzava la bollitura per renderli più morbidi. Utilizzo delle parti non commestibili Come già scritto, dell’animale macellato, si utilizzavano, nel settore dell’artigianato, anche le parti non commestibili. Le ossa, i denti e le corna venivano lavorate per ottenere oggetti di diversa natura. Con le ossa piatte del bacino venivano fabbricate delle “tessere”, simili alle nostre “card”, utilizzate dai cittadini che partecipavano agli spettacoli proposti nei teatri. Su di esse si scriveva il settore, la fila ed il posto da occupare. I denti venivano lavorati per creare piccoli strumenti, amuleti ed oggetti ornamentali. Tali lavorazioni artigianali venivano effettuate dagli eborarii, che lavoravano anche l’avorio. L’avorio era un materiale molto usato per la creazione di decorazioni di vari oggetti e soprattutto era utilizzato in combinazione con l’oro nelle statue crisoelefantine. Con l’avorio, si fabbricavano anche pettini e spilloni. Questi ultimi erano utilizzati dalle donne per fissare le loro pettinature. L’avorio più pregiato era quello africano, ma quando questo iniziò a scarseggiare si utilizzò anche quello proveniente dall’Asia o fu sostituito da altro materiale, come ad esempio i denti dell’ippopotamo. Inoltre, molto spesso, osso, corna e carapace di tartaruga sostituirono il costosissimo avorio.