Una strada accidentata: le profezie della fotografia di Paul Wombell Nel novembre 2008, il Consiglio Nazionale di Intelligence degli Stati Uniti presentò la sua quarta relazione sugli andamenti futuri che potrebbero plasmare gli eventi e possibili sviluppi fino al 2025 ed oltre. Questo rapporto era intitolato Global Trends 2025: A Transformed World ("Trend globali 2025: un mondo trasformato"). Le tematiche affrontate erano il cambiamento climatico, la demografia, l'economia, le nuove tecnologie, il terrorismo e l'emergere della Cina. La previsione principale presentata nella relazione era che il mondo sta entrando in un periodo di grande instabilità e che ci stiamo avviando su una strada accidentata ("Bumpy Ride"). Predire il futuro ha una lunga tradizione nella storia. In molte società il profeta è un individuo che ha la capacità di parlare a nome della divinità e consegnare messaggi relativi ad avvenimenti futuri ed alla condotta da tenere. Nell'antichità classica, l'oracolo era una persona o un luogo presso cui cercare consiglio circa eventi futuri. Nella seconda metà del Cinquecento, Nostradamus fu forse il primo a pubblicare una serie di profezie a lungo termine. Le sue previsioni si basavano in parte su una pubblicazione precedente, il Mirabilis Liber, di autore anonimo, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1522 e due anni dopo a Roma. Si trattava di una compilazione di profezie che annunciavano incendi, peste, carestie, terremoti, siccità, comete, brutali occupazioni e sanguinose oppressioni. La Chiesa sarebbe andata in rovina, ed il papa sarebbe stato costretto a fuggire da Roma. Il ruolo di profeta è stato ricoperto anche da alcuni artisti. Agli inizi del Novecento, gli artisti del Futurismo italiano prevedevano un futuro in cui la tecnologia avrebbe soggiogato la natura. Celebravano ogni forma di tecnologia. Velocità, potenza e violenza erano considerate tutte cose positive, ancor più se distruggevano le istituzioni culturali esistenti, come i musei e le biblioteche. I futuristi volevano creare un'arte in movimento, un'arte che celebrava la città dell'industria e delle macchine, un'arte che apparteneva al presente e che avrebbe dato forma al futuro. Fare previsioni sul futuro è irto di difficoltà, soprattutto se ogni cambiamento viene considerato virtuoso. Ma un cambiamento tecnologico che è stato ritenuto vantaggioso o addirittura benefico può facilmente rivoltarsi contro i suoi promotori. Esiste un altro modo per gli artisti di affrontare il futuro? Nell'introduzione al rapporto Global Trends 2025, il presidente del Consiglio Nazionale di Intelligence dichiarò che "questo studio mira ad aiutare i lettori a riconoscere i segnali stradali che indicano la direzione degli eventi". Un ruolo simile, nelle arti, viene svolto dalla fantascienza. Questo genere è ben consolidato nel cinema ed in letteratura, ma non nelle arti visive. Potrebbe la fantascienza includere la fotografia? Potrebbe la fotografia fare profezie visive ed essere un segnale stradale che indichi gli eventi futuri? Normalmente si parla di fotografia al passato. Una volta scattata, la foto guarda indietro nel passato, quale traccia di ciò che si trovava davanti alla macchina fotografica in un dato momento. Secondo la definizione di Roland Barthes, in Camera Lucida (1980), è il "questo è stato". Lo prendiamo per scontato, non potrebbe essere altrimenti. Questa potrebbe essere l'essenza della fotografia: memoria e ricordo di come una persona o un luogo appariva un tempo. Ciò conferisce alla fotografia un'aura di nostalgia, del guardarsi sempre indietro, di melanconia, di un sentimento di perdita. Barthes suggerì addirittura che in ogni copia stampata di una foto è implicita la morte. Ma è possibile che la fotografia sia stata incompresa, che possa invece vedere nel futuro? Forse il film La Jetée di Chris Marker (1962), costituito quasi interamente di fotografie fisse in bianco e nero, suggerisce che l'immagine fotografica possa effettivamente trascendere il passato e raffigurare il futuro. Realizzato all'epoca in cui la guerra d'indipendenza in Algeria, dove torture ed imprigionamenti erano all'ordine del giorno, giungeva al termine, in cui la guerra fredda raggiungeva il culmine con la crisi dei missili a Cuba nell'ottobre del 1962 e la minaccia dell'annientamento nucleare, questa favola fantascientifica raffigura dei sopravvissuti ad una Terza Guerra Mondiale che vivono sottoterra in una Parigi postapocalittica. Il film di Marker estrae la fotografia dalla cornice del passato per farle narrare una storia che si svolge in un mondo futuro. E allora, può la fotografia raffigurare il futuro senza gli effetti cinematografici? Recentemente, alcuni fotografi hanno cominciato ad usare l'immagine fotografica per raffigurare possibili eventi futuri e dare l'impressione di aver scattato le foto nel futuro. Queste opere mettono in discussione il riferimento fotografico al passato ed al "reale" per sfidare le nostre aspettative su ciò che dovremmo vedere nell'immagine fotografica. Con l'avvento delle tecnologie digitali, alcuni fotografi stanno realizzando le loro opere sfruttando le funzioni di editing. Sotto alcuni aspetti, queste opere vengono create in un momento d'incertezza analogo a quello degli anni Sessanta, quando Chris Marker realizzò La Jetée. Questa volta non si tratta della possibilità di una guerra atomica, bensì di una mancanza di fiducia nella capacità del processo politico di operare cambiamenti per il meglio, della guerra in Iraq e dell'incertezza circa il futuro della terra, a causa del cambiamento climatico. Vi è anche il pessimismo provocato dalla crisi finanziaria unita al declino del potere economico, potere che si sta spostando dall'Europa alla Cina. Ciò contribuisce a creare un clima di insicurezza e vulnerabilità. Per alcuni, c'è il desiderio di guardare oltre il presente ed usare la fotografia per immaginare cosa avverrà nel futuro. Cosa vedono questi fotografi? Vedono una strada accidentata davanti a noi. I cambiamenti climatici catastrofici obbligano ad edificare musei per conservare la natura, le città stanno diventando inabitabili e quelle avanzate dell'Occidente somigliano sempre più a baraccopoli, l'immigrazione aumenta via via che la gente lascia i paesi svantaggiati, gli attacchi terroristici si fanno più frequenti, la Cina diventa il paese più potente del mondo e la terra è abitata da personaggi usciti da qualche film di fantascienza. Ikka Halso ritiene che la natura non sopravvivrà alla minaccia dell'inquinamento e del cambiamento climatico. Nelle serie Il museo della natura e Restauro, egli presenta i suoi progetti per conservare il mondo naturale. Le sue foto raffigurano uno scenario futuro, con grandi serre e rifugi inseriti nel paesaggio a racchiudere laghi e foreste. I singoli alberi devono essere sottoposti a restauro e studi archeologici. Queste bellissime fotografie a colori raffigurano un futuro in cui la natura potrà essere salvata soltanto rinchiudendola in un museo. Tuttavia, per Halso queste foto non sono immagini piacevoli ed estetiche, ma dichiarazioni politiche circa la follia dell'umanità. Per dirla con la canzone Greatest Love of All ("L'amore più grande di tutti"), che Whitney Houston immortalò nel 1986, "Credo che i bambini siano il nostro futuro. Insegnate loro bene e lasciate che siano loro a farci strada". Ai bambini vengono attribuiti poteri visionari, vedono le cose senza pregiudizi e sono i leader del futuro. Perciò, usare i bambini per guardare nel futuro e fare previsioni non è una cosa inusuale. E' esattamente ciò che ha fatto Jill Greenberg in End Times, la sua serie di grandi foto a colori di bambini che piangono. La prima volta che queste opere furono esposte, scatenarono un uragano di controversie con accuse di crudeltà ed abusi su minori, e di comportamento immorale, perché per far piangere i bambini la Greenberg toglieva loro i lecca-lecca. Greenberg si difese, dichiarando al Los Angeles Times che "Non ho mai fatto niente di orribile nella mia vita. Le immagini di bambini che piangono turbano, sono potenti. C'è un qualcosa di istintivo che ce li fa voler proteggere... Ma le persone le stanno prendendo alla lettera, come se le foto fossero la prova che a questi bambini stanno accadendo cose orribili". Tuttavia, l'artista sta suggerendo che a questi bambini accadranno cose orribili, ma in futuro. Scorgono un mondo futuro definito dal fondamentalismo, in cui cresce la convinzione che stia arrivando l'apocalisse, un mondo in cui cercare di proteggere la terra è del tutto inutile. Questi bambini vedono la fine del mondo: per forza piangono. O Zhang affronta il futuro in maniera diversa. Nel 2004 tornò al suo paese d'origine, la Cina, per fare una serie di ritratti di ragazzine di campagna. "Sento il bisogno di tornare alle mie radici, di fare arte e di riflettere sugli aspetti politici. Facendo riferimento ai miei primi ricordi d'infanzia, sono tornata ad un remoto villaggio cinese per fotografare bambine innocenti". L'opera che ne è risultata, intitolata Orizzonti, è una serie di 21 ritratti di ragazze accovacciate che fissano l'obiettivo con sguardo diretto e con espressioni decise di determinazione e di fiducia in se stesse, ma anche con un po' di apprensione. Dal punto di vista formale, queste fotografie dai colori vivaci assomigliano ai ritratti fatti durante la rivoluzione culturale, in cui contadini venivano messi in posa in un campo a guardare verso l'orizzonte e ad un futuro migliore sotto la guida del presidente Mao. Ma le ragazze in queste foto sono il futuro di una Cina diversa, che ben presto sarà la nazione più potente del mondo. Il loro mondo sta cambiando ed il loro futuro potrebbe benissimo trovarsi lontano dal loro villaggio rurale, ma il modo in cui la O Zhang ha ritratto queste ragazze crea la possibilità che possano in qualche misura controllare il proprio futuro. Cédric Delsaux immagina un mondo simile ai film di fantascienza. Per la serie intitolata La lente oscura, si è ispirato ai film di Guerre Stellari. Usando location diverse in siti semi-industriali ai margini delle città del nord Europa e nello sviluppo urbanistico di Dubai, con i suoi grattacieli in costruzione, Delsaux pone i personaggi di Guerre Stellari in queste ambientazioni contrastanti del vecchio e del nuovo. Questo giocare con il tempo ed il contrasto fra film di finzione e fotografia documentaria crea un paesaggio urbano al contempo riconoscibile ed alieno. Come nell'ultima scena de Il pianeta delle scimmie (1968), quando l'inquadratura si allarga per rivelare i resti bruciacchiati della Statua della Libertà, mezza sepolta nella sabbia, svelandoci così che questo pianeta è in realtà la Terra e che la Zona Proibita era una volta New York. La lente oscura ha le qualità di ogni buon film di fantascienza: ciò potrebbe accadere, e potrebbe accadere proprio qui. Ebru Erülkü fa una cosa analoga nel suo In giro per Londra. La città è vista dall'alto, si possono individuarne gli edifici più importanti: la cattedrale di St. Paul, il Big Ben e il palazzo di Westminster. Ma Londra è avvolta nel fumo, è appena avvenuta una catastrofe. Sembra una versione moderna del "Grande Incendio di Londra", con volute di fumo rosso che si levano sulla città. Dal punto di vista visivo, le immagini fanno riferimento all'11 settembre ed all'attacco terroristico che paralizzò New York. Forse le foto di Erülkü sono una profezia visiva di ciò che potrebbe accadere a Londra? In LA Crash, Mirko Martin combina fotografie di set cinematografici con foto più documentarie di scene di strada a Los Angeles per dare la sensazione che la città si stia sfasciando sia fisicamente che psicologicamente. Le sue foto ritraggono un luogo alla J.G. Ballard: riconoscibile, ma in un futuro prossimo, in cui la tecnologia è fuori controllo, le strade sono pericolose e le automobili vanno a sbattere senza preavviso. Se queste fotografie ci sembrano familiari, è perché Los Angeles è la sede dell'industria cinematografica americana e le sue strade hanno fatto da sfondo in innumerevoli film. Queste strade diventano una forma di teatro pubblico in cui attori e cittadini si mescolano fra loro, creando così un luogo dove finzione e realtà hanno uguale valenza. Martin ha così definito Los Angeles: "Questo è un posto dove puoi mirare a realizzare i tuoi sogni più folli, un'utopia esemplificata da Hollywood, ma dove sono costantemente presenti anche le tensioni generate dalle gang, dai disordini razziali, dai terremoti incombenti". L'artista fa coagulare questo mix usando primi piani, inserendo cortometraggi, ritratti e stampe di dimensioni diverse per formare un montaggio visivo della città che vive sull'orlo dell'apocalisse. O, come ha detto il commentatore sociale e storico urbano Mike Davis, "è una città che vive le proprie immagini". Case Study Homes, progetto realizzato da Peter Bialobrzeski, allude al futuro della città e ad un precedente momento in cui la fotografia svolgeva un ruolo nella promozione di una visione utopistica della vita urbana. Si tratta di una serie di studi fotografici che ritraggono baracche fatte di cartone, compensato, lamiera e ogni genere di stoffa. Queste baracche si trovano nel comprensorio Baseco del cantiere navale Bataan; si tratta di una bidonville situata alla foce del fiume Pasig vicino al porto di Manila, nelle Filippine. Costruita sulla sabbia, si calcola che ci vivano circa 70.000 persone. Il titolo del progetto di Bialobrzeski fa riferimento ad un celebre esperimento architettonico del secondo dopoguerra in California, il Case Study House Program. Ad architetti quali Richard Neutra, Charles e Ray Earnes e Pierre Koenig fu chiesto di progettare e costruire case modello economiche in risposta al boom della domanda di abitazioni per i soldati che tornavano dalla guerra. Queste case, in vetro e acciaio, suggerivano il futuro di una vita domestica informale, con abitazioni a pianta aperta, tettoia per l'auto e piscina all'aperto. La fotografia svolse un ruolo importante nel promuovere il design di queste case e lo stile di vita a loro associato. Grazie al lavoro del fotografo di architettura Julius Shulman, il modo di vivere californiano divenne il sogno di molte persone. Nel suo libro Planet of Slums ("Pianeta dei bassifondi", 2006), Mike Davis dichiara: "Piuttosto che in vetro e metallo, come immaginavano precedenti generazioni di urbanisti, le città del futuro sono per lo più costruite di mattoni grezzi, paglia, plastica riciclata, blocchi di cemento e legname di scarto". Oltre a celebrare l'abilità dei "progettisti" e gli abitanti di queste abitazioni costruite con gli scarti della città, Bialobrzeski spera che "in futuro, queste foto diventeranno il passato". Ciò potrebbe essere ottimistico. Davis afferma che tutta la futura crescita dell'umanità avverrà nelle città: in maniera soverchiante in quelle povere, e per la maggior parte nei bassifondi. Questi edifici – alcuni dei quali costruiti su palafitte per proteggersi dall'innalzamento del livello del mare – fatti di materiale riciclato riguardano il futuro più di quanto si possa pensare. Per molte delle persone che vivono a Baseco, l'altra opzione è cercare una vita migliore altrove. Il desiderio di trovare una vita migliore è al centro della serie fotografica Rochers Carrés ("Rocce quadrate"), realizzata da Kader Attia. Queste foto mostrano dei giovani che guardano pensosamente il mare. Questo mare è il Mediterraneo, e loro stanno in piedi su blocchi di cemento che fungono da frangiflutti a Bab el Oued, un quartiere di Algeri, la capitale dell'Algeria. Voltando le spalle alla macchina fotografica, guardano verso l'Europa, osservando le imbarcazioni che viaggiano fra i due continenti. Un giorno potrebbero riuscire ad attraversare il mare e unirsi agli altri africani che hanno fatto il viaggio verso la Terra Promessa. Si ritroverebbero ad abitare in un appartamento in uno di quegli enormi caseggiati di cemento che si trovano alla periferia di molte delle più importanti città d'Europa. Varcherebbero un confine per ritrovarsi racchiusi entro un altro confine che affligge molti immigrati: l'esclusione sociale ai margini della società europea. Ma non sono solo i migranti a guardare al futuro, ad immaginare un modo migliore di vivere. Gli artisti ed i fotografi presentati in Bumpy Ride stanno facendo profezie, direttamente ed indirettamente, sul futuro. Se riusciamo ad immaginare l'avvenire, però, anche se la nostra visione è pessimista e il futuro ci appare incerto e pericoloso, possiamo cominciare a pensarne uno diverso. Stanno usando la fotografia (recentemente considerata un medium senza avvenire) per raffigurare il futuro. Quindi, le discussioni che negli ultimi vent'anni hanno riguardato la morte della fotografia ed il suo status apparentemente problematico – analogico contro digitale, fatti contro finzione – non hanno colto il punto della questione, cioè il passato contro il futuro. La fotografia viene oggi usata come un oracolo, e se un medium può rappresentare il futuro, allora potrebbe esserci un futuro per quel medium. Le opere esposte in Bumpy Ride schiudono pertanto un nuovo orizzonte temporale per la fotografia. Invece di guardare indietro, guarda avanti, creando uno spazio per l'immaginazione. Può non piacerci quel che vediamo, ma fornisce all'osservatore un diverso riferimento di tempo ed un nuovo campo di indagine visiva.