ABSTRACT ANTONELLO MOLTENI Le modificazioni fisiologiche

ABSTRACT ANTONELLO MOLTENI
Le modificazioni fisiologiche indotte dall’allenamento di potenza aerobica
La fisiologia sportiva si propone, attraverso lo studio del funzionamento e degli adattamenti indotti
sull’organismo dall’esercizio, di misurare, interpretare e quindi migliorare le componenti del
rendimento sia in chiave di performance sia per prevenire potenziali danni conseguenti al
sovraccarico.
Per gli sport di durata ( o di resistenza), quelli cioè per i quali il modello fisiologico di riferimento è
soprattutto connesso ai sistemi cardiopolmonari e circolatorio, l’esame funzionale elettivo è il test
ergospirometrico, con la sua capacità di esplorare molti parametri siano essi diagnostici ( per
detectare potenziali patologie cardiache, respiratorie o metaboliche) siano essi funzionali
( indicatori del livello di performance dell’atleta e quindi in grado di modulare di conseguenza
l’applicazione dei carichi allenanti).
Il VO2 massimo da sempre rappresenta un’unità di riferimento qualitativa per esprimere
sinteticamente il livello di rendimento della macchina polmoni – cuore – muscoli; tecnicamente
questo parametro dipende infatti da VO2 max = GS x FC x ( a-v ), ma poter attribuire
a ciascuno di questi elementi, in maniera oggettiva, le variazioni conseguenti ad un periodo di
specifico allenamento, puo’ contribuire a comprendere ancora meglio quali siano le componenti piu’
influenzabili ( e con minor rischio ) dal metodo di allenamento prescelto.
La letteratura riconosce la capacità della GS di assecondare l’incremento dello sforzo fino a circa il
50%-55% del suo massimo esprimibile, proprio perché le caratteristiche di aumento del volume di
sangue eiettato dal ventricolo sinistro sono influenzate dalla forza contrattile di questa parte del
cuore; oltre questo valore, l’aumento della performance cardiaca è soprattutto a carico
dell’incremento cronotropo.
L’esperienza effettuata su un gruppo di giovani ciclisti ( cat. Juniores) ha permesso di valutare
separatamente i parametri di Gittata Sistolica e Cardiac Output (misurato con la tecnica del rebrithing
con la strumentazione Innocor) e di VO2 massimo ( ergospirometro Schiller), insieme agli ulteriori
parametri ventilatori fondamentali ( VO2/watt, polso di ossigeno, VO2/FC).
In conclusione possiamo ulteriormente affermare con questa esperienza che dal punto di vista
applicativo l’indagine cardiopolmonare sull’atleta di resistenza rimane, tra i molti proponibili, un
esame elettivo, che le componenti singole che possono essere misurate attraverso strumentazioni di
laboratorio specifiche consentono un adeguato monitoraggio dell’evoluzione di queste componenti,
che nello specifico l’allenamento di potenza aerobica ( sviluppato cioè con sollecitazioni molto vicine
all’intensità della soglia anaerobica) sviluppa miglioramenti sulla capacità del consumo di ossigeno
massimo piu’ per il miglioramento delle componenti periferiche (scambio arterovenoso) che non
centrali (Gittata sistolica), almeno nel tempo dei tre mesi durante i quali abbiamo sviluppato il
monitoraggio.
ABSTRACT DR. ANTONIO PELLICCIA
Il cuore d’atleta: implicazioni cliniche e storia naturale
La conoscenza del “Cuore d’Atleta” ha avuto un particolare impulso negli anni ‘80 grazie
all’introduzione nella diagnostica cardiovascolare dell’ecocardiogramma. Con tale metodica è
possibile esaminare la morfologia cardiaca in modo affidabile, ripetibile e non cruento. Negli anni ’80
e ’90 sono stati condotti numerosi studi ecocardiografici su ampie popolazioni di atleti praticanti
sport diversi e sono stati identificati i fattori determinanti, i limiti fisiologici e le caratteristiche che
permettono di differenziare il “cuore d’atleta” dalle patologie strutturali cardiache.
Fattori determinanti
I meccanismi che provocano modificazioni della morfologia cardiaca negli atleti sono molteplici, ma il
tipo di sport ha una particolare importanza: gli sport di endurance, quali il ciclismo, lo sci di fondo, il
canottaggio e la canoa hanno il maggiore impatto nell’ingrandire la cavità ed aumentare lo spessore
delle pareti del ventricolo sinistro. Gli atleti praticanti queste discipline presentano dimensioni delle
pareti e/o delle cavità ventricolari al di sopra dei limiti normali, tanto da simulare una condizione
patologica, quale la cardiomiopatia ipertrofica (quando lo spessore delle pareti è ≥ 13 mm) o la
cardiomiopatia dilatativa (quando la cavità ventricolare sinistra è ≥ 60 mm). Il meccanismo causale di
un così importante rimodellamento cardiaco è rappresentato dall’aumento della portata cardiaca (che
durante sforzo supera i 30 l/min) e della pressione arteriosa sistolica (che durante sforzo supera i 200
mmHg). Gli atleti praticanti sport di potenza, quali il sollevamento pesi o i lanci, presentano un
ispessimento delle pareti ventricolari, che è conseguenza del carico di pressione cui vanno incontro
durante l’allenamento (la pressione sistolica supera abitualmente i 200 mmHg, talora anche i 300
mmHg), mentre la cavità ventricolare sinistra non si modifica sensibilmente. A causa della breve
durata del sovraccarico pressorio è però inusuale che il ventricolo sinistro diventi particolarmente
ipertrofico e quasi mai nascono problemi di diagnosi differenziale con la cardiomiopatia ipertrofica.
Infine, gli atleti praticanti sport di squadra, quali il calcio, presentano variazioni della morfologia
cardiaca usualmente più modeste, a ragione del carico emodinamico più modesto.
Il sesso ha importanza nel determinare il grado di rimodellamento cardiaco. Le atlete, quando
paragonate ai maschi della stessa età e praticanti le stesse discipline sportive, presentano dimensioni
minori sia della cavità (circa - 10%) che dello spessore delle pareti ventricolari (circa - 20%). Queste
differenze sono legate ad una serie di fattori, tra cui i principali sono la taglia corporea (e la
percentuale di massa magra) mediamente più piccole nelle donne, l’aumento più modesto della
portata cardiaca e della pressione arteriosa sistolica durante lo sforzo e, non ultimo, il più basso
livello di ormoni androgeni naturali. Le differenze nella morfologia cardiaca tra atleti ed atlete hanno
notevole importanza clinica: infatti gli uomini possono sviluppare una ipertrofia delle pareti
ventricolari sino a 15 o 16 mm, mentre al contrario le donne raramente superano gli 11 mm. Pertanto,
il problema della diagnosi differenziale tra “Cuore d’Atleta” e cardiomiopatia ipertrofica non si pone
usualmente nelle atlete.
Recentemente è stato suggerito che il rimodellamento cardiaco possa essere regolato anche da fattori
genetici e costituzionali. Sebbene tale ipotesi sia assai attraente, al momento esiste una conferma
solo per quanto riguarda l’enzima ACE (che controlla il livello della pressione arteriosa e può
presentarsi nelle isoforme DD, II e ID) ed altri enzimi del sistema renina-angiotensina-aldosterone. E’
stato dimostrato che i soggetti che hanno il pattern ACE di tipo DD sviluppano una massa ventricolare
sinistra maggiore in confronto a quelli con pattern II.
Limiti fisiologici del “Cuore d’Atleta”.
Gli atleti d’élite, in particolare coloro che praticano sport di endurance, presentano modificazioni
cardiache molto marcate e le dimensioni ventricolari sono ben al di sopra dei valori normali
(corrispondenti a 55 mm per la cavità e 12 mm per le pareti del ventricolo sinistro) e possono essere
simili a quelle rilevate in pazienti con cardiomiopatie. Una cavità ventricolare particolarmente
ingrandita ( ≥ 60 mm), che suggerisce la presenza di una cardiopatia dilatativa, si riscontra in circa il
15% degli atleti di élite, mentre un’ipertrofia delle pareti ( ≥ 13 mm), che suggerisce la diagnosi di
cardiomiopatia ipertrofica, si riscontra nel 2%. In tali circostanze si pone il problema della diagnosi
differenziale tra “Cuore d’Atleta” , situazione clinica assolutamente benigna ed una patologia
cardiaca potenziale causa di morte improvvisa. Tale differenziazione ha importanti risvolti medici,
etici e professionali, poiché la diagnosi precoce di una cardiopatia permette di adottare le strategie
idonee a prevenire la morte improvvisa (compreso la cessazione dell’attività sportiva).
ABSTRACT DR.SSA ALESSANDRA ROSELLI
Autonomic adaptation in Olympic rowers
Aim of the study: power spectral analysis of heart rate variabilità has been used to assess the time
course of neurovegetative adaptations to training. The study was undertaken:
to evaluate whether and wich indicators of autonomic cardiac regulation and phychophysical stress
can identify successful athletes during a training season culminating with olimpic games and
to evaluate the feasibility of a quasi-on-line assessment of autonomic cardiac regulation from
training field by telamatic approach
Methods: This study was conducted on the group of male atheletes composing the national team of
rowing (n=34), in the season preceding the Olympic Games 2004. Complete results are from 18
subjects (age= 25.3±0.5 years), who werw selected to participate to the Olympic Games. Atheletes
were studied while partially detrained, at mid-training season and close to the games. The RR interval
was obtained through a miniature trans telephoninc-EGC recorder in the supine and standing posture,
thus allowing the evaluation of cardiovascular responses to a sympathetic challenge. Data were down
loaded through a telephone line, to the referral center where RR-interval variability data were
analyzed with the autoregressive method. Also, in each study sessions, atheletes filled a selfadministered questionnaire of stress perception and somayic symptoms (4S-Q).
Results: All ECG recordings were transmitted succefully by phone to the referral center. No significant
differences was detected in any marker of autonomic cardiac regulation between athletes who won a
medal at the Olympic Games and those who did not. However, respiratory rate was faster in medal
winners (P=0,02), while the questionnaire addressing stress (4S-Q) provided greater scores in the
group that did not win a medal (F=5.55, P<0.022) at mid-training season and close to the Olympic
Games.
Conclusions: The results of this study would suggest the possibility of an early detection of
psychosomatic symptoms resulting from long duration and elevated stress of preparing for top level
competition, whose better handling might identify the most successful atheletes. In addition, it
indicates the feasibility of a quasi-on line assessment of autonomic cardiac adaptation to strenuosus
training directly from field to be possibly used for improving individual training programs, allowing
athletes evaluation in their natural environment.
ABSTRACT DR. BRUNO CARÙ
Lo sport come farmaco: la prescrizione dell’esercizio fisico, il punto di vista del cardiologo e del
medico sportivo
Alcuni anni fa l’attività fisica ha ottenuto un importante riconoscimento da parte dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (O.M.S.)
Ha definito l’attività fisica come una possibile terapia e di conseguenza ha evidenziato la necessità,
come per qualsiasi terapia, di una sua corretta prescrizione, in termini di quantità e di tempo di
“assunzione”.
Ovviamente la prescrizione di una terapia prevede l’obiettivo di correggere una situazione anomala o
comunque patologica.
Risulta pertanto importante individuare quali sono le situazioni per le quali la prescrizione della
terapia “attività fisica” possa essere utile.
La presente esposizione è orientata esclusivamente a prendere in considerazione situazioni di
interesse cardiologico.
E’ importante ribadire subito che l’esercizio fisico non può sostituire completamente la terapia
farmacologia o altri tipi di terapia che le condizioni del soggetto suggeriscono.
Tra le situazioni nelle quali l’esercizio fisico può assumere un ruolo determinante si trovano senza
dubbio i vari fattori di “rischio cardiovascolare”
A questo proposito pare importante sottolineare come l’esercizio fisico abbia tra le sue caratteristiche
quella di poter agire contemporaneamente su tutti i fattori di rischio cardiovascolare modificabili, e,
particolare non indifferente, ha costo praticamente zero.
Tra i fattori di rischio cardiovascolare modificabili si possono ricordare:
L’alcoolismo
Il tabagismo
L’ipertensione arteriosa
Le dislipidemie
Il diabete mellito (di tipo I e di tipo II)
L’obesità
La sindrome metabolica
La (Dis)Funzione endoteliale.
Nell’ambito della prescrizione dell’esercizio fisico risulta fondamentale tenere in considerazione l’età
del soggetto, l’entità del disturbo, e la necessità di un trattamento individualizzato.
E’ soprattutto in questo ambito che l’intervento del Medico sportivo risulta determinante per ottenere
gli scopi previsti.
Infatti prima della prescrizione dell’esercizio fisico è indispensabile una valutazione sullo stato di
efficienza fisica del soggetto.
CONCLUSIONI
L’esercizio fisico è utile per la correzione dei Fattori di rischio cardiovascolare.
L’esercizio fisico è utile a qualunque età.
L’esercizio fisico deve essere prescritto individualmente.
E’ indispensabile una valutazione funzionale preliminare.
L’esercizio fisico è in grado di migliorare la “Qualità della vita”.
ABSTRACT DR. ROBERTO CIARDO
Il significato clinico delle anomalie ECG del giovane atleta
Gli atleti presentano frequentemente anomalie del ritmo e/o della morfologia
dell’elettrocardiogramma (ECG) di superficie, che sono considerate una fisiologica conseguenza
dell’attività sportiva sull’attività di eccito-conduzione cardiaca e comprendono una serie di
alterazioni. Nell’ECG degli atleti è possibile osservare un aumento di voltaggio delle onde R o S (sino
all’ 80% dei casi), un sopraslivellamento del tratto ST, variazioni dell’onda T (nel 30%), onde Q
profonde (nel 10%). In questi casi però l’ECG può apparire simile a quello dei pazienti con
cardiomiopatia ipertrofica (CMPI) o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (CAVD). In tali
circostanze sorge il problema della diagnosi differenziale: non è chiaro infatti se tali anomalie siano
la prima espressione di una patologia cardiaca che si svelerà clinicamente in un tempo successivo,
oppure se rappresentino una marcata espressione elettrocardiografica del rimodellamento cardiaco
indotto all’allenamento, e siano prive di ogni sfavorevole conseguenza.
Per risolvere tale quesito, abbiamo esaminato una vasta popolazione di oltre 1000 atleti, praticanti
diversi tipi di sport, in cui l’ECG è stata valutato alla luce dei dati clinici e della morfologia cardiaca
(studiata con ecocardiografia bidimensionale). I risultati del nostro studio indicano che il 40% degli
atleti presentano anomalie elettrocardiografiche suggestive per la presenza di una alterazione
cardiovascolare, ed in particolare il 15% presentano anomalie ECG così marcate da suggerire
istintivamente la presenza di una cardiomiopatia. In realtà, la valutazione della morfologia cardiaca
ha rivelato che solo il 5% di tutti gli atleti presentavano una vera patologia cardiaca, mentre nella
stragrande maggioranza degli atleti gli elettrocardiogrammi anormali sono risultati essere in realtà
“falsi positivi”.
In assenza di una alterazione patologica cardiaca abbiamo ricercato quali potessero essere le cause
delle anomalie ECG, ed abbiamo trovato che uno dei fattori responsabili è il rimodellamento cardiaco
indotto dall’allenamento. In particolare, notevole importanza svolge il tipo di sport praticato: gli
atleti con le anomalie elettrocardiografiche più marcate erano quelli impegnati nelle discipline di
canottaggio, canoa, ciclismo, sci di fondo. Invece gli atleti impegnati in discipline prevalentemente
tecniche, quali la vela, l’equitazione, il tiro raramente presentavano anomalie elettrocardiografiche
ed, al tempo stesso, non mostrano variazioni significative delle dimensioni cardiache. Inoltre, anche
il sesso maschile e la giovane età (< 20 anni) sono risultati essere fattori determinanti che si
presentano associati alla presenza di anomalie elettrocardiografiche, verosimilmente a ragione del
più marcato rimodellamento cardiaco sviluppato nei giovani, specie i maschi, in risposta
all’allenamento.
Un particolare interesse ha suscitato un piccolo gruppo di atleti (circa il 5%) che mostravano un
elettrocardiogramma marcatamente anormale e del tutto sovrapponibile a quello di pazienti con
cardiomiopatia ipertrofica o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, ma in assenza di ogni
alterazione patologica o anche di un significativo rimodellamento fisiologico cardiaco.
E’ noto che le anomalie ECG possono precedere nel tempo lo sviluppo dell’ipertrofia nei giovani con
cardiomiopatia ipertrofica familiare. Per escludere perciò la possibilità che queste alterazioni siano il
prodromo elettrofisiologico di una alterazione morfologica che si svilupperà tardivamente abbiamo
voluto studiare con periodici controlli clinici, ECG, ed ECO quegli atleti che presentavano le più
marcate anomalie elettrocardiografiche, in assenza di anomalie strutturali.
A tale scopo, 81 atleti con marcate anomalie ECG, sono stati seguiti per un periodo di circa 10 anni
(range 1-27), anche dopo l’interruzione della attività agonistica, e valutati in modo prospettico con
ECG, ecocardiogramma e, se la diagnosi differenziale a lo richiedeva, con altri esami (RMN, esami
invasivi).
Durante il periodo di follow-up degli 81 atleti, uno di questi già sospeso dall’attività sportiva ed in
attesa di ulteriori accertamenti, è morto improvvisamente; l’esame autoptico ha mostrato la presenza
di una cardiopatia aritmogena del ventricolo destro prevalentemente fibrosa, non riconosciuta
dall’ECO. Altri tre atleti, dopo un periodo di 7 anni dal primo rilievo delle anomalie ECG, hanno
sviluppato una ipertrofia del ventricolo sinistro tipica della cardiomiopatia ipertrofica, ed uno di
questi ha avuto un arresto cardiaco, da cui è stato tempestivamente risuscitato. In questo soggetto si
è provveduto ad installare un defibrillatore impiantabile. Degli altri atleti, 5 hanno mostrato la
presenza di patologie frequenti nell’età adulta-senile quali ipertensione arteriosa, cardiopatia
aterosclerotica, assenti al momento della prima registrazione ECG e non necessariamente da correlare
alle iniziali anomalie elettrocardiografiche. Infine, da segnalare che la maggioranza assoluta degli
atleti (70 degli 81) rimaneva libera da sintomi ed anomalie cardiovascolari nel corso del follow-up.
Il nostro studio suggerisce pertanto che la presenza di anomalie ECG in soggetti giovani asintomatici,
in apparente assenza di cardiopatia impone comunque una particolare attenzione clinica e la
necessità di un accurato controllo periodico, in quanto le anomalie ECG possono rappresentare
l’iniziale espressione di una cardiomiopatia a rischio di morte improvvisa (quale la CMPI o la CAVD).
CONCLUSIONI
In una vasta proporzione di atleti (il 40%) si riscontrano anomalie elettrocardiografiche, quali un
marcato aumento di voltaggio della onda R o S, anomalie della fase di ripolarizzazione ventricolare
con onda T piatta o francamente negativa, onde Q profonde che suggeriscono la presenza di anomalie
strutturali cardiache. In realtà, solo in una minoranza di casi le anomalie elettrocardiografiche sono
indicative di una patologia cardiovascolare (il 5%), mentre più frequentemente esse rappresentano la
conseguenza del rimodellamento morfologico cardiaco indotto dall’allenamento intenso e
prolungato.
In una minoranza di casi, anomalie elettrocardiografiche fortemente suggestive per la presenza
cardiomiopatia ipertrofica o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro possono essere
riscontrate negli atleti in assenza di alterazioni strutturali patologiche e di un rimodellamento
fisiologico, la cui genesi è al momento non chiara. La presenza di tali anomalie suggerisce
l’esecuzioni di controlli seriali da praticare regolarmente (anche dopo la sospensione dell’attività
agonistica), per permettere l’individuazione di una cardiomiopatia precedentemente inespressa dal
punto di vista morfologico e clinico.
ABSTRACT DR. ROMUALDO BELARDINELLI
Risposta cardiovascolare al test cardiopolmonare
Ogni volta che si effettua esercizio fisico, l’organismo mette in atto una serie di modificazioni a livello
dell’apparato cardiocircolatorio, respiratorio e muscolo-scheletrico tali che l’apporto di ossigeno ai
tessuti aumenti al fine di soddisfare la maggiore domanda metabolica, e, nello stesso tempo, sia in
grado di eliminare l’anidride carbonica prodotta. E’ possibile, valutando la risposta degli apparati,
tradurre le variazioni indotte dall’esercizio in modificazioni di parametri misurabili direttamente con
il test cardiopolmonare, in modo da analizzare la risposta dei singoli sistemi, ed ottenere il corretto
orientamento diagnostico.
Risposta cardiocircolatoria normale - Nei soggetti giovani normali, il VO2 aumenta fino al picco di
esercizio di un valore pari a 7 volte il valore basale, in relazione all’ aumento di 3 volte dell’indice
cardiaco e di 2.5 volte della differenza arterovenosa di ossigeno. La gittata cardiaca aumenta per
l’aumento di 2.5 volte della frequenza cardiaca e di 1.4 volte della gittata sistolica. La gittata sistolica
aumenta a basso carico attraverso il meccanismo di Frank-Starling, che determina aumento del
volume telediastolico del ventricolo sinistro con scarso incremento della pressione di incuneamento
polmonare. Ad alto carico, invece, la gittata sistolica aumenta per l’aumento della contrattilità
favorito dall’aumento del drive simpatico, con conseguente riduzione del volume telesistolico del
ventricolo sinistro. Tale pattern di risposta si modifica con l’età, mentre non è influenzato dal sesso.
L’invecchiamento riduce la gittata cardiaca perché riduce sia la frequenza cardiaca che la gittata
sistolica. Inoltre, esso riduce la frazione d’eiezione e il volume telediastolico del ventricolo sinistro,
mentre la pressione di incuneamento polmonare non aumenta, almeno nei soggetti con coronarie
sane.
Risposta cardiocircolatoria patologica – Una risposta è patologica quando sono presenti anomalie
nella risposta cronotropa, inotropa e pressoria, che si riflettono in alterazioni di alcuni parametri del
test cardiopolmonare. Le due tipologie più frequenti di risposta cardiocircolatoria patologica si
verificano nello scompenso cardiaco cronico e nell’ischemia miocardica.
Scompenso cardiaco cronico - Nella disfunzione sistolica, il VO2picco è ridotto anche del 50%, con
riduzione corrispondente della gittata cardiaca, mentre la (a-v) O2 è nella norma, in quanto la
riduzione del flusso periferico di O2 è in parte compensato dall’aumentata capacità estrattiva di
ossigeno a livello della membrana capillare-muscolare. La riduzione della gittata cardiaca dipende
dalla riduzione della risposta della gittata cardiaca e della gittata sistolica. In base al motivo di stop
del test (fatica o dispnea) non è possibile identificare la principale alterazione alla base della risposta
patologica. Infatti, più della metà dei pazienti che lamentano dispnea al picco di esercizio hanno una
pressione di incuneamento capillare polmonare (PCW) normale. La gittata sistolica è ridotta sia a
riposo che al picco di esercizio, mentre l’aumento relativo della gittata sistolica non è differente nei
pazienti e nei normali (in uno studio, pazienti 48%, normali 42%). Tale aumento dipende non tanto
da variazioni della contrattilità, che appare depressa, ma per il meccanismo di Frank-Starling che
compensa il deficit inotropo e cronotropo. Infatti, l’aumento del volume telediastolico del ventricolo
sinistro è maggiore nei pazienti che nei normali (in uno studio, +38 mL/m2 vs +9 mL/m2), e
l’aumento rapportato alla PCW è tre volte maggiore nei pazienti (3.8 vs 1.4 mL/min/m2).
Scompenso cardiaco diastolico - Nei pazienti con normale funzione sistolica la capacità funzionale è
depressa in egual misura, ma per motivi patofisiologici diversi. Entrambi i pazienti hanno riduzione
della gittata cardiaca per riduzione della frequenza cardiaca e della gittata sistolica, e normale (av)O2 al picco. La PCW è aumentata al picco di esercizio in entrame le situazioni, ma mentre i pazienti
con disfunzione sistolica utilizzano il meccanismo di Frank-Starling aumentando il volume
telediastolico del ventricolo sinistro, i pazienti con disfunzione diastolica non sono in grado di
aumentare il volume telediastolico, conservando la capacità contrattile che, evidentemente, non è in
grado di mantenere elevata la risposta della gittata sistolica.
Ischemia miocardica – Recentemente sono stati definiti i criteri per la diagnosi di ischemia miocardica
con il test cardiopolmonare. L’analisi ROC ha evidenziato che il modello diagnostico con migliore
accuratezza predittiva (AUC 0.83) era rappresentato da due parametri : la durata dell’appiattimento
del polso d’ossigeno e la pendenza del rapporto VO2/ WR. Tali anomalie sono il risultato della
riduzione della gittata sistolica causato dal deficit contrattile indotto dall’ischemia miocardica. Come
noto, nella cascata temporale di eventi indotti dall’ischemia miocardica, le alterazioni della
contrattilità precedono le alterazioni elettrocardiografiche e il dolore toracico. Il deficit contrattile
indotto dalla comparsa di ischemia si riflette nell’appiattimento di VO2 che precede il
sottoslivellamento del tratto ST.
Conclusioni
Il test cardiopolmonare è un test da sforzo integrato con numerosi parametri che derivano dall’analisi
della ventilazione e dei gas espirati. Sono necessari : uno “stressor” dell’organismo (protocollo di
esercizio); un sistema di analisi della ventilazione e dei gas espirati; un sistema di monitoraggio
elettrocardiografico; il monitoraggio della pressione arteriosa sistemica; il monitoraggio non invasivo
della saturazione arteriosa di ossigeno.
L’organismo sottoposto allo “stressor” esercizio mette in atto una serie di risposte dei principali
apparati coinvolti nella produzione di lavoro esterno, che possono in parte essere quantificate dal
sistema ergospirometrico ed espresse sotto forma di parametri facilmente misurabili e riproducibili. E’
possibile ottenere profili di variazioni specifiche per diversi quadri patologici, come illustrato nella
Tabella 3.1.
ABSTRACT DR. STEFANO DE LUCA
Funzione Ventilatoria e Curve Flusso Volume
La produzione di lavoro esterno da parte di un organismo sottoposto a test da sforzo richiede la
risposta combinata di vari apparati, e, tra questi, quello polmonare appare di fondamentale
importanza. Infatti, non sarebbe possibile raggiungere carichi di lavoro elevati se fosse impedito alla
ventilazione di aumentare o se la frequenza respiratoria fosse molto elevata (>50 atti/min) per tutta
la durata di un test. Prenderemo in esame la risposta respiratoria normale, e la risposta respiratoria
patologica.
Risposta normale – La ventilazione aumenta con l’aumentare del carico, allo scopo di soddisfare
l’aumento delle richieste metaboliche. Ad ogni istante, la ventilazione rappresenta la somma della
ventilazione alveolare (VA) e dello spazio morto fisiologico (VD), per cui
VE =VA + VD. All’inizio dello sforzo, la ventilazione aumenta per l’aumento proporzionale di entrambi i
fattori. Tuttavia, dopo che TV ha raggiunto circa il 60% della capacità vitale, raggiunge un valore di
steady state, che generalmente corrisponde al 40% del VO2picco. La FR, all’inizio, può essere più
elevata, in relazione ad ansietà o alla scarsa attitudine a respirare attraverso la maschera di Rudolph
o il boccaglio; in seguito, al di sopra del 50% del VO2 picco, tende a crescere in modo abbastanza
lineare con il VO2 fino al picco di esercizio. Quando vengono raggiunti gli ultimi 30 secondi di
esercizio prima del picco, lo sforzo respiratorio raggiunge il massimo grado.
Risposta patologica – In condizioni patologiche, la ventilazione aumenta in maniera eccessiva
rispetto al VO2, per cui l’equivalente ventilatorio per O2 (VE/VO2) è maggiore di 30 e la riserva
ventilatoria può diventare molto ridotta. Se lo slope VE/VO2 è maggiore di 30, è necessario valutare
gli altri due fattori in precedenza descritti, vale a dire la ventilazione alveolare e lo spazio morto
fisiologico. Se la pressione arteriosa di CO2 (PaCO2) è normale o la PETCO2 è normale, la ventilazione
alvolare è anch’essa normale, mentre se entrambe sono ridotte, allora la ventilazione alveolare è
aumentata in maniera patologica. Se VD/VT è normale, l’aumento della ventilazione totale suggerisce
una condizione di ansietà, mentre se VD/VT è aumentato è presente aumento dello spazio morto su
base patologica, quale si verifica in caso di pneumopatia ostruttiva o restrittiva, ipertensione
polmonare o patologia embolica polmonare. Se la P(a-ET)CO2 rimane positiva durante esercizio, tale
comportamento suggerisce la presenza di mismatch ventilazione-perfusione per riduzione della
perfusione di alveoli normoventilati. Tale situazione si può verificare per penumopatie ostruttive o
restrittive, ed anche in caso di cardiopatia congenita con shunt destro-sinistro. In pazienti con
pneumopatie ostruttive o restrittive, si verifica ipossiemia che determina riduzione della saturazione
di O2 <94% al picco di esercizio. Tale alterazione è generalmente accompagnata ad altre anomalie. La
differenza alveolo-arteriosa di O2 [P(A-a)O2] tende ad aumentare per la ridotta ventilazione di aree
polmonari che conservano una perfusione relativamente normale. Nello scompenso cardiaco severo,
la PETCO2 è più bassa del normale, a causa della riduzione della velocità di flusso ematico rispetto alla
ventilazione nelle singole unità respiratorie. In tale patologia, non è infrequente osservare
oscillazioni a bassi carichi, corrispondenti al respiro oscillatorio. Tali oscillazioni tendono ad
attenuarsi fino a scomparire quando il carico aumenta al di sopra della soglia anaerobica. Anche in
caso di vasculopatia polmonare la PETCO2 si riduce, a causa della riduzione o dell’assenza di
perfusione in alveoli ventilati. La ridotta perfusione alveolare aumenta lo spazio morto fisiologico.
Negli alveoli ipoperfusi, la CO2 è ridotta rispetto agli alveoli normoperfusi, e ciò si traduce in una
riduzione della PETCO2 rispetto alla PaCO2, con conseguente positività di P(aET)CO2. Anche la
situazione opposta, vale a dire la presenza di alveoli normoperfusi e ipoventilati, quali si verifica nella
broncopatia cronica ostruttiva, determina riduzione di PETCO2 rispetto a PaCO2.
ABSTRACT PROF. HUGO SANER
Cardiovascular Prevention and Rehabilitation. Current Satus and Future Challenges
The true challenges in regard to cardiovascular disease in Europe are the following: increase of
number of hospital discharges due to cardiovascular disease (CVD) in the aging population and
increase in cardiovascular risk factors in childhood and young adults including physical inactivity,
unhealthy eating habits, smoking and psychosocial stress with the consequence of a market increase
in obesity and diabetes. Therefore, we have to expect an increasing number of elderly patients with
particular problems in rehabilitation but also of younger patients with a need for lifestyle
interventions. Furthermore, there is growing evidence that prevention should start early in the
disease stage before the first event occurs. Screening in intermediate risk patients for subclinical
disease will become another challenge for cardiovascular prevention and rehabilitation institutions.
During the last 10 years, three surveys in the framework of EUROASPIRE have been performed to
evaluate the quality of secondary prevention interventions in European patients. EUROASPIRE III
including 76 centres from 22 countries in Europe with a total of 13’935 medical records has shown
that large proportions of coronary patients do not achieve the lifestyle, risk factor and therapeutic
targets for cardiovascular disease prevention. Cardiac rehabilitation programmes are not universally
available and the number of patients included in such programmes after acute cardiac events varies
from 3% to 90% between different regions and countries in Europe. To improve the situation, the
following steps are planned by the European Association for Cardiovascular Prevention and
Rehabilitation:
1. Integrate training in CVD prevention and rehabilitation into medical schools; 2. Integrate training
in CVD prevention and rehabilitation into the CORE Curriculum of the European cardiologist; 3.
Promote CVD prevention and rehabilitation programmes in all hospitals with acute cardiac care; 4.
Promote the development from cardiovascular rehabilitation programmes into integrative modern
prevention centres with the goal to have such prevention centres in 80% of European hospitals in 10
years. The modern prevention centre includes all subspecialties and programmes dealing with various
forms of cardiovascular disease including patients with diabetes, with peripheral artery disease and
with minor cerebrovascular disease, all of them being offered specific ambulatory cardiovascular
rehabilitation programmes. Such a hospital-based prevention centre is highly effective because it just
needs a coordinator for the various activities in the field of cardiovascular disease prevention already
present in most hospitals. The development of such models of prevention centres is a primary goal of
today’s activities in this field in Europe.
ABSTRACT DR. LUCA EMMANUELE
Prospettive d’intervento sulla prevenzione cardiovascolare: il punto di vista della Assicurazione
Malattia
L’impegno per la prevenzione e la promozione della salute non è un vantaggio solo per la salute e non
solo migliora la qualità della vita, bensì previene decessi prematuri e necessità anticipate di percepire
una rendita a seguito di malattia. Un’eventuale necessità di cure può essere posticipata e perciò
anche in tarda età si può così mantenere la propria autonomia. Da questo rafforzamento della
competenza in materia di salute si ha una domanda e un utilizzo di prestazioni relative alla
prevenzione differenziati, e in una prospettiva a lungo tempo ciò costituisce un contributo
all’attenuazione dell’aumento dei costi nel sistema sanitario.
La Legge federale sulla prevenzione e la promozione della salute regola l’introduzione di strumenti di
gestione e coordinazione, la ripartizione dei compiti, nonché il finanziamento a livello federale.
Doveri e compiti sono fissati giuridicamente e i relativi soggetti in causa sono chiamati ad agire. In
questo modo, in linea di principio la prevenzione non rappresenta propriamente un compito degli
assicuratori malattie. È possibile o è permesso però che questi sfuggano a questa responsabilità,
oppure da essi si attende e si richiede un ruolo attivo?
La CSS Assicurazione s’impegna nella prevenzione secondaria. Nell’ambito cardiovascolare ciò
avviene grazie a un programma per i pazienti e le pazienti affetti da insufficienza cardiaca, sviluppato
con Medgate e gratuitamente a disposizione di tutti gli assicurati e le assicurate svizzere. Il
programma viene effettuato in collaborazione con il medico curante. Questo programma, offerto nel
quadro del Disease Management, rappresenta un’assistenza supplementare e consta di formazione,
coaching, controllo giornaliero di importanti parametri vitali, consigli sui medicamenti e rilevamento
del benessere soggettivo. La combinazione di formazione e controllo autonomo regolare, connessa
alla certezza di una sorveglianza dei parametri da parte dei medici coinvolti, permette alla persona
affetta da questi disturbi di comprendere meglio la sua malattia e di avere maggiore sicurezza. Questi
aspetti positivi dal punto di vista del paziente fanno sì che tale programma appaia sensato e ricco di
contenuti. Tralasciando la richiesta di completa assunzione dei costi da parte degli assicuratori, per i
pazienti, risp. per le loro organizzazioni non c’è stato sinora un sufficiente input a strutturare ed
effettuare tali programmi. In quest’ottica, il paziente finisce per avere un ruolo passivo e tende a un
totale disinteresse. Ciò si rispecchia nel fatto che il “reclutamento” avanza in maniera stentata, e in
questo senso riveste un ruolo centrale il medico generico curante e il suo generale scetticismo verso
gli assicuratori. Visti gli ostacoli anche di natura economica, è difficile prevedere se, e in quale
misura, questo tipo di programmi rimarranno tali anche in futuro, tanto più che non è ancora stata
data risposta a una questione importante: da un miglioramento della qualità della vita ci si può
attendere uno sviluppo positivo per ciò che concerne i costi delle prestazioni? Questi cosiddetti
programmi di Disease Management non posticipano semplicemente il momento in cui si dovrà passare
a una richiesta medica maggiore e più costosa? Gli anni futuri porteranno chiarimenti in tal senso.
ABSTRACT DR. MAURO CAPOFERRI
La riabilitazione nei soggetti particolari: coronaropatia non rivascolarizzabile e pazienti
postchirurgici
La riabilitazione cardiovascolare comprende un’ampia gamma di attività e servizi offerti al paziente
cardiopatico. Gli effetti di un programma riabilitativo si estendono quindi su più livelli, uno più
tangibile e meglio percepito dal paziente rappresentato dall’incremento della tolleranza allo sforzo,
l’altro, meno appariscente ma altrettanto importante soprattutto prognosticamente, rappresentato
dal miglioramento della funzione endoteliale, dal ristabilimento dell’equilibrio del sistema nervoso
autonomo nonché dal miglioramento delle caratteristiche reologiche del sangue. Sono proprio questi
ultimi aspetti che assumono particolare importanza nella coronaropatia non più gestibile a livello
“macroscopico” (quindi invasivo). I benefici “biochimici” si ripercuotono comunque a loro volta sul
benessere del paziente permettendogli una migliore tolleranza allo sforzo grazie all’innalzamento
della soglia ischemica soggettiva ed oggettiva..
Nel paziente postchirurgico la terapia riabilitativa non ha dimostrato di poter influenzare la mortalità
a corto e medio termine, tuttavia empiricamente si nota che una regolare valutazione dei pazienti
durante le sedute di riabilitazione permette di anticipare i problemi con evidente beneficio nel tasso
di complicazioni gravi rispettivamente di re-ospedalizzazione. Nonostante che la patologia organica
(ischemica o valvolare) sia completamente risolta, i pazienti postchirurgici sono caratterizzati da una
serie di problemi che incidono negativamente sia nella guarigione fisica (in particolare dolori e
difficoltà respiratorie secondarie alla sternotomia) sia nel recupero della qualità di vita (depressione,
paure, deficit cognitivi). Si tratta dunque di pazienti la cui presa a carico deve essere multidisciplinare
e a più livelli evitando di concentrare le attenzioni diagnostiche e terapeutiche solo sull’aspetto fisico
e “prestativo” in quanto spesso la capacità funzionale é l’elemento più facilmente recuperabile.
ABSTRACT PROF. PIRERGIUSEPPE AGOSTONI
Cardiovascular limitation of exercise
Le modificazioni indotte dall’ esercizio posso essere studiate mediante il test da sforzo
cardiopolmonare che ci permette di identificare e quantificare una eventuale limitazione funzionale.
Inoltre il test da sforzo cardiopolmonare guida la scelta della terapia in base al parametro limitante
identificato, valuta la efficacia della terapia, e permette la prognosi e la previsione della capacità di
lavoro in ambienti particolari
Le modificazioni indotte dall’ esercizio possono essere descritte, a seconda della funzione considerata
come principale, con formule differenti ognuna delle quali è corretta ma, nel concetto limitata.
Queste sono:
VO2 = Q x (Δa-v)O2
VO2 = VE x (FeO2-FiO2) dove VE = Vt x RR
VO2 = D (PcapO2- PmitO2)
Q = portata cardiaca, (Δa-v)O2 = differenza artero-venosa per l’ ossigeno, VE = ventilazione, FeO2 =
frazione espiratoria ossigeno, FiO2 = frazione inspiratoria ossigeno, Vt = volume corrente, RR =
frequenza ventilatoria, D = capacità di diffusione dell’ ossigeno dal letto capillare al mitoncondrio che
dipende sia dalla distanza capillare-mitocondrio e sia dalla capacità diffusiva dell’ ossigeno nei
tessuti, PcapO2 = pressione capillare per l’ ossigeno, PmitO2 pressione nel mitocondrio dell’
ossigeno.
Il VO2 al picco dell’ esercizio è solo uno dei parametri che il test da sforzo cardiopolmonare ci può
dare e rappresenta solo una piccola parte delle informazioni ottenibili dal test. Altri parametri utili
per la valutazione dei pazienti cardiopatici sono: la pendenza della relazione tra VE e VCO2, la
relazione VO2/ carico di lavoro, il polso dell’ ossigeno, la relazione VO2 /frequenza cardiaca.
ABSTRACT DR. UGO CORRÀ
Ruolo del test cardiopolmonare nella prognosi dei pazienti con insufficienza cardiaca
L’approccio valutativo ed il trattamento dello SCC hanno avuto un’impressionante evoluzione
nell’arco di pochi anni. Credenze ed orientamenti tradizionali hanno lasciato spazio a modelli
assistenziali multidisciplinari, che mediante la costituzione di unità specializzate per il trattamento
dello scompenso, hanno favorito la razionalizzazione dell’impiego delle metodiche strumentali,
l’ottimizzazione della terapia farmacologica, il miglioramento dell’aderenza al trattamento,
l’incoraggiamento all’attività fisica aerobica, la prescrizione di misure dietetiche e igieniche
adeguate. L’inquadramento e il monitoraggio del paziente con SCC dovrebbero avvenire in una
visione globale “olistica” che valuti la compromissione cardiaca, le conseguenze su altri organi e la
presenza di concomitanti patologie. La severità clinica del paziente dovrebbe guidare la cadenza del
follow up e la necessità di un maggiore o minore numero di visite specialistiche e/o indagini
valutative strumentali.
L’indicazione all’esecuzione del test ergometrico cardiopolmonare (TECP) è stata certificata da
numerose evidenze: la misurazione del VO2 picco permette di fornire informazioni descrittive
(stratificazione funzionale), decisionali (efficacia del trattamento) e predittive. Negli ultimi anni, la
ricerca ha concentrato l’attenzione sul valore predittivo del rapporto tra ventilazione minuto e
anidride carbonica espirata, espresso come VE/VCO2 slope, che se patologicamente elevato è
associato ad un decorso clinico infausto. In aggiunta ad esso, un pattern oscillatorio della
ventilazione durante esercizio, definito come presenza di fluttuazioni cicliche di VE a riposo e
durante sforzo che perdurano ≥60% della durata dell’esercizio, con un’ampiezza ≥15% del valore
medio a riposo, ha un potere prognostico indipendente e aggiuntivo. L’applicabilità clinica del VO2
picco, della VE/VCO2 slope e del pattern oscillatorio della ventilazione durante esercizio è stata
enfatizzata dell’inserimento di questi parametri funzionali nell’ambito dei principali indicatori del
rischio elencate delle linee guida europee dello scompenso del 2008. Nel contempo nuovi paramteri
derivati dal TECP, sia isolatamente sia in combinazione, sono stati proposti come indicatori del rischio
di eventi nell’ambito dello scompenso cardiaco. La crescita degli indicatori di rischio del TECP è per
certi versi una traccia intellettuale e di ricerca affascinante e stimolante, per altri è un limite della
metodica, soprattutto se affidata a “mani” non esperte.