OLOCAUSTO Con il termine Olocausto si intende la persecuzione e lo stermino sistematici di circa sei milioni di Ebrei, attuati con burocratica organizzazione dal regime Nazista e dai suoi collaboratori. “Olocausto” è un termine di origine greca che significa “sacrificio tramite il fuoco”. I Nazisti, che raggiunsero il potere in Germania nel gennaio del 1933, erano convinti che il popolo tedesco fosse una “razza superiore” e che gli Ebrei, ritenuti invece “inferiori”, rappresentassero un entità estranea e un pericolo per l’omogeneità razziale della popolazione germanica. Durante il periodo dell’Olocausto, le autorità tedesche presero di mira anche altri gruppi ritenuti di “razza inferiore”: ad esempio, i Rom (gli Zingari), i disabili e le popolazioni slave (Polacchi, Russi e altri). Alcuni gruppi vennero invece perseguitati per le loro idee politiche, per il loro credo ideologico o a causa di determinate caratteristiche comportamentali: in particolare, coloro che credevano negli ideali del Comunismo e del Socialismo, i Testimoni di Geova e gli omosessuali. Nel 1933, la popolazione ebraica in Europa era costituita da circa nove milioni di persone. La maggior parte viveva in quelle nazioni che, durante la Seconda Guerra Mondiale, sarebbero state occupate dalla Germania Nazista, o ne avrebbero, in diverse forme, subito l’influenza. Prima che la guerra giungesse al termine, nell’aprile del 1945, due Ebrei su tre sarebbero morti per mano dei Tedeschi e dei loro fiancheggiatori, nell’ambito della cosiddetta “Soluzione Finale”, termine usato dai Nazisti per indicare l’assassinio degli Ebrei d'Europa. Anche se gli Ebrei – considerati dai Tedeschi la maggiore minaccia per la Germania – furono le vittime principali del razzismo nazista, l’elenco dei morti incluse anche 200.000 Rom, mentre almeno 200.000 pazienti fisicamente o mentalmente inabili – la maggior parte dei quali di nazionalità tedesca – trovarono la morte all’interno di ospedali e strutture pubbliche, a seguito del cosiddetto “Programma Eutanasia”. Nel periodo in cui la tirannia nazista dominò gran parte dell’Europa, oltre agli Ebrei, i Tedeschi e i loro collaboratori perseguitarono e sterminarono milioni di persone appartenenti ad altri gruppi. In particolare, tra i due e i tre milioni di prigionieri di guerra sovietici furono immediatamente assassinati, o trovarono la morte per inedia, malattia, mancanza di cure o maltrattamenti. Oltre a ciò, i Tedeschi perseguitarono e uccisero gran parte degli intellettuali polacchi non-ebrei, e deportarono milioni di civili sia polacchi che sovietici in Germania e nella Polonia occupata, destinandoli ai lavori forzati. Molti di loro morirono a causa delle condizioni disumane in cui furono costretti a vivere e lavorare. Sin dall’inizio del Regime Nazista, le autorità tedesche perseguitarono gli omosessuali e altri gruppi le cui abitudini erano considerate contrarie alle norme sociali del tempo. La polizia tedesca prese di mira migliaia di oppositori politici (tra i quali comunisti, socialisti e sindacalisti), nonché dissidenti religiosi (come i Testimoni di Geova). Molti di loro morirono in carcere, o per i maltrattamenti subiti. Già nei primi anni del Regime Nazista, il governo nazionalsocialista aveva creato campi di concentramento con il fine di imprigionare veri o presunti oppositori politici. Negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale, il numero di Ebrei, di Rom e di altre vittime dell’odio razziale, imprigionate nei campi di concentramento dalle SS e dalla polizia, crebbe costantemente. Al fine di concentrare la popolazione ebraica - e poterla così controllare e deportare con maggiore facilità - durante gli anni di guerra i Tedeschi e i loro collaboratori crearono appositi ghetti, nonché campi cosiddetti di transito e altri destinati al lavoro forzato. Volendo sfruttare anche le popolazioni non ebraiche, i tedeschi crearono ulteriori campi di lavoro forzato, sia nella cosiddetta Grande Germania che nei territori occupati. Dopo l’invasione dell’Unione Sovietica, nel giugno del 1941, Unità Speciali Operative (Einsatzgruppen) e, più tardi, battaglioni di polizia militarizzati, vennero trasferiti al di là delle linee tedesche, per portare a termine assassinii di massa contro Ebrei, Rom e rappresentanti del Partito Comunista o dello stato Sovietico. Membri delle SS e unità di polizia, coadiuvate da unità dell’esercito e dalle SS Combattenti (Waffen SS), uccisero più di un milione di Ebrei, uomini, donne e bambini, e centinaia di migliaia di non-ebrei. Tra il 1941 e il 1944, le autorità naziste deportarono milioni di Ebrei dalla Germania, dai territori occupati e dai paesi alleati con l’Asse, verso i ghetti e verso i centri espressamente destinati all’uccisione dei prigionieri e meglio conosciuti come campi di sterminio. Qui, i detenuti venivano uccisi in camere a gas appositamente costruite. Negli ultimi mesi della guerra, nel tentativo di impedire agli Alleati la liberazione di un elevato numero di prigionieri, guardie appartenenti alle SS cominciarono a trasferire i detenuti dai campi, con l’ausilio o di convogli ferroviari o di marce forzate; queste ultime divennero poi note con il termine “marce della morte”. Avanzando in Europa, a seguito di una serie di offensive contro i Tedeschi, gli Alleati cominciarono a incontrare e a liberare i prigionieri dei campi di concentramento, così come quelli in marcia forzata da un campo all’altro. Tali marce continuarono fino al 7 maggio 1945, cioè il giorno in cui le forze armate tedesche si arresero incondizionatamente agli Alleati. Per coloro che si trovavano nella zona occidentale, la Seconda Guerra Mondiale terminò ufficialmente il giorno seguente, 8 Maggio 1945 (“V-E Day” o giorno della Vittoria in Europa), mentre l’Unione Sovietica annunciò il proprio “Giorno della Vittoria” il 9 Maggio 1945. Nel periodo immediatamente successivo all’Olocausto, molti dei sopravvissuti trovarono rifugio nei campi profughi allestiti dalle potenze alleate. Tra il 1948 e il 1951, quasi 700.000 Ebrei emigrarono in Israele, inclusi 136.000 profughi provenienti dall’Europa. Altri emigrarono negli Stati Uniti e in altre nazioni. L’ultimo campo profughi venne chiuso nel 1957. I crimini commessi durante l’Olocausto devastarono la maggior parte delle comunità ebraiche d'Europa e ne eliminarono completamente altre centinaia che risiedevano nella parte orientale occupata dai tedeschi. Tra il 1933 e il 1945, la Germania Nazista e i loro alleati crearono più di 40.000 campi di concentramento e altre strutture carcerarie. Questi campi furono usati per diversi scopi, tra i quali i lavori forzati, la detenzione di chi era considerato nemico dello Stato, e l'eliminazione in massa dei prigionieri. Il numero complessivo di queste strutture continua a crescere grazie all'analisi dei dati lasciati dai Nazisti stessi. I PRIMI CAMPI Fin dal suo avvento al potere, avvenuto nel 1933, il regime Nazista aveva cominciato a realizzare una serie di strutture destinate a imprigionare e poi eliminare i cosiddetti “nemici dello Stato”. La maggior parte dei prigionieri, in quel primo periodo, era costituita da cittadini tedeschi: comunisti, socialisti, social-democratici, Rom (Zingari), Testimoni di Geova, omosessuali, e individui accusati di comportamenti ritenuti asociali o devianti. Queste strutture venivano chiamate “campi di concentramento” in quanto servivano a “concentrare” fisicamente i prigionieri in un unico luogo. Dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, nel marzo 1938, i Nazisti cominciarono ad arrestare gli Ebrei tedeschi ed austriaci e a imprigionarli nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen, in Germania. Dopo i violenti pogrom della Notte dei Cristalli (Kristallnacht) nel novembre del 1938, i Nazisti cominciarono ad arrestare in massa gli Ebrei adulti di sesso maschile, incarcerandoli poi nei campi per brevi periodi. CAMPI DESTINATI AI PRIGIONIERI DI GUERRA E AI LAVORI FORZATI Dopo l’invasione della Polonia, nel settembre 1939, i Nazisti costruirono diversi campi dove i prigionieri erano costretti ai lavori forzati e dove migliaia di loro morirono a causa della fatica, della malnutrizione o dell'esposizione alle intemperie. La direzione e la conduzione dei campi di concentramento erano affidate a unità delle SS. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la rete dei campi nazisti si ampliò rapidamente. In alcuni di essi, i medici nazisti usarono i prigionieri come cavie per i loro esperimenti. Dopo l'invasione dell’Unione Sovietica, iniziata nel giugno del 1941, i Nazisti aumentarono il numero di campi destinati ai prigionieri di guerra, costruendonli accanto ai complessi già esistenti nella Polonia occupata, come ad esempio quello di Auschwitz. Il campo costruito vicino a Lublino - aperto nell’autunno del 1941 e conosciuto poi come il campo di Majdanek - fu destinato inizialmente a ospitare prigionieri di guerra e diventò un vero e proprio campo di concentramento nel 1943. Migliaia di prigionieri di guerra sovietici furono uccisi a Majdanek, o tramite fucilazione o asfissiati con il gas. I CENTRI DI STERMINIO Per realizzare la “Soluzione Finale” (il genocidio o eliminazione di massa degli Ebrei) i Nazisti costruirono diversi campi di sterminio in Polonia, il paese con la popolazione ebraica più numerosa. I campi di sterminio furono progettati con l’obiettivo di creare un’efficiente macchina per l’eliminazione in massa dei prigionieri. Tra questi, Chelmno fu il primo a essere realizzato e divenne operativo nel dicembre 1941. Qui Ebrei e Rom venivano uccisi con i gas di scarico di furgoni che erano stati appositamente modificati. Nel 1942, i Nazisti misero in funzione i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka per eliminare gli Ebrei del Governatorato Generale (il territorio all’interno della Polonia occupata dai Tedeschi). I Nazisti costruirono le camere a gas (cioè ampi vani in cui i prigionieri venivano uccisi con il gas velenoso) per attuare lo sterminio in modo efficiente, ma anche perchè questo metodo rendeva il processo più impersonale per coloro che dovevano portarlo a termine. Il sottocampo di sterminio di Birkenau, che faceva parte del complesso di Auschwitz, era dotato di quattro camere a gas, nelle quali, durante il periodo in cui le deportazioni raggiunsero la maggiore intensità, furono uccisi fino a 6.000 Ebrei al giorno. Gli Ebrei che vivevano nelle zone occupate dai Nazisti venivano spesso prima deportati in campi di transito, come Westerbork, in Olanda, o Drancy in Francia, per poi proseguire verso i campi di sterminio nella Polonia occupata. I campi di transito rappresentavano, di solito, l’ultima fermata prima della deportazione nei campi di sterminio. Milioni di persone furono imprigionate e subirono maltrattamenti e abusi nei campi di concentramento nazisti. Sotto la direzione delle SS, i Tedeschi e i loro collaboratori assassinarono, nei campi di sterminio, più di tre milioni di Ebrei. Solo un piccolo numero di coloro che furono imprigionati in quei campi riuscì a sopravvivere. Il termine “ghetto” ha origine dal nome del quartiere ebraico di Venezia creato nel 1516, nel quale le autorità veneziane obbligavano a risiedere gli Ebrei. Nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo, diversi governanti, da quelli locali fino all'Imperatore austriaco Carlo V, ordinarono l'istituzione di altri ghetti per gli Ebrei a Francoforte, Roma, Praga e in altre città . Durante la Seconda Guerra Mondiale, i ghetti erano costituiti da quartieri (spesso recintati) nei quali i Tedeschi concentravano la popolazione ebraica (sia quella risiedente nella città, sia - a volte - quella dell'intera regione) obbligandola a vivere in condizioni di estrema miseria. Il principale scopo dei ghetti era quello di isolare gli Ebrei, separandoli dalla popolazione locale e dalle altre comunità ebraiche. I Tedeschi istituirono almeno 1000 ghetti solo in Unione Sovietica e in Polonia, nella parte occupata e in quella annessa, il primo dei qualli venne creato a Piotrków Trybunalski (Polonia) nell'ottobre 1939. I Tedeschi consideravano l’istituzione dei ghetti una misura provvisoria per segregare e controllare la popolazione ebraica; nel frattempo, i leader nazisti a Berlino vagliavano diverse opzioni per l'eliminazione completa della popolazione ebraica. In molti luoghi, la ghettizzazione durò un tempo relativamente breve: alcuni ghetti, infatti, esistettero solo per alcuni giorni o mesi; altri, invece, per anni. Nell’ambito della Soluzione Finale - il piano che prevedeva l’uccisione di tutti gli Ebrei d’Europa e che ebbe inizio negli ultimi mesi del 1941 -i Tedeschi distrussero sistematicamente la maggior parte dei ghetti. I residenti venivano generalmente fucilati dai Tedeschi e dai loro collaboratori, e quindi seppelliti in fosse comuni nei pressi dei ghetti stessi; altrimenti, venivano deportati - di solito tramite convogli ferroviari - ai centri di sterminio, dove venivano uccisi. Infine, un certo numero di Ebrei venne trasferito, dalle SS e dalle autorità di polizia, dai ghetti ai campi di lavoro e ai campi di concentramento. Esistevano tre tipi di ghetto: i ghetti chiusi, quelli aperti e quelli destinati alla distruzione. Il ghetto più grande in Polonia fu quello di Varsavia, dove oltre 400.000 Ebrei vivevano ammassati in un'area di meno di due chilometri quadrati. Altri grandi ghetti furono creati nelle città di Lodz, Cracovia, Bialostock, Lvov, Lublino, Vilnius, Kovno, Cestokowa e Minsk. Decine di migliaia di Ebrei risiedenti in Europa Occidentale furono deportati nei ghetti della parte orientale. I Tedeschi ordinarono agli Ebrei residenti nei ghetti di indossare targhette di identificazione o bracciali, e ne obbligarono molti al lavoro forzato per il Terzo Reich. La vita quotidiana nei ghetti veniva amministrata dai Consigli Ebraici (Judenraete), che erano nominati dai Nazisti. La polizia del ghetto si occupava di far rispettare gli ordini delle autorità tedesche e i decreti dei Consigli Ebraici, inclusa l'agevolazione delle deportazioni verso i campi di sterminio. Ufficiali della polizia ebraica, così come membri dei Consigli, si piegarono ai capricci delle autorità germaniche, anche perché i Tedeschi non esitavano a uccidere quei poliziotti ebrei che si pensava non avessero eseguito gli ordini. Gli Ebrei risposero alle restrizioni del ghetto attuando varie forme di resistenza: gli abitanti spesso organizzarono attività cosiddette illegali, come l'introduzione segreta di cibo, medicine, armi o informazioni. Sovente essi superarono i muri del ghetto all'insaputa dei Consigli Ebraici e senza la loro approvazione. Alcuni Consigli al completo, e in altri casi solo alcuni dei loro membri, tollerarono o incoraggiarono tali attività illecite, in quanto erano necessarie a mantenere in vita gli abitanti del ghetto. Nonostante i Tedeschi in teoria dimostrassero di solito scarsa preoccupazione per i riti religiosi, o per la partecipazione ad eventi culturali o a movimenti giovanili all'interno delle mura del ghetto, essi spesso videro una minaccia alla sicurezza in qualunque riunione sociale e agirono senza scrupolo per incarcerare o eliminare sia i capi di tali circoli che coloro che semplicemente li frequentavano. Inoltre, le autorità germaniche proibirono generalmente anche qualunque forma di istruzione, a tutti i livelli. In alcuni ghetti, membri dei movimenti di resistenza ebraici organizzarano diverse insurrezioni armate; la più grande fu quella del ghetto di Varsavia, nella primavera del 1943. Altre violente rivolte ebbero luogo a Vilnius, Bialistock, Cestokowa e in molti altri ghetti più piccoli. Nell’agosto 1944, le SS e la polizia completarono la distruzione dell’ultimo grande ghetto, quello di Lodz. In Ungheria, la ghettizzazione non cominciò che nella primavera del 1944, dopo l’invasione e l’occupazione del paese da parte dei Tedeschi. In meno di tre mesi, la polizia ungherese, agendo in coordinazione con i funzionari tedeschi esperti in deportazione dell'Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauptamt-RSHA), concentrò quasi 440.000 persone nei "ghetti provvisori" destinati alla distruzione. Da lì, gli Ebrei - che provenivano da tutta l'Ungheria, ad eccezione della capitale Budapest - sarebbero poi stati portati alla frontiera e consegnati ai tedeschi. I Nazisti deportarono la maggior parte degli Ebrei ungheresi nel centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau. A Budapest, autorità ungheresi ordinarono agli Ebrei di vivere in abitazioni contrassegnate da una stella gialla, le cosiddette "case della Stella di David". Alcune settimane dopo che i leader del movimento fascista delle Croci Frecciate si erano impossessati del potere, in un colpo di stato sostenuto dai Tedeschi (il 15 ottobre 1944), il nuovo governo stabilì formalmente il ghetto di Budapest, nel quale 63.000 Ebrei furono costretti a vivere in un'area di circa 160 metri quadrati. Circa 25.000 Ebrei in possesso di certificati che attestavano il loro essere sotto la protezione di uno stato neutrale furono confinati in un "ghetto internazionale", situato in una diversa parte della città. Nel gennaio 1945, le armate sovietiche liberarono la parte di Budapest nella quale si trovavano i due ghetti, liberando i quasi 90.000 Ebrei che ancora vi risiedevano. Durante l’Olocausto, i ghetti rappresentarono una fase fondamentale nel processo di controllo, disumanizzazione e uccisione di massa attuato dai Nazisti ai danni degli Ebrei. LE DONNE DURANTE L’OLOCAUSTO Vittime della persecuzione e dello sterminio nazisti furono sia gli uomini che le donne di etnia ebraica. Tuttavia, le donne - sia ebree che non-ebree - furono spesso soggette ad una persecuzione eccezionalmente brutale da parte del regime. L'ideologia nazista prese di mira anche le donne Rom (Zingare), quelle di nazionalità polacca e quelle che avevano difetti fisici o mentali e che vivevano negli istituti. Interi campi, così come speciali aree all’interno di altri campi di concentramento, furono destinati specificatamente alle donne. Nel maggio del 1939, i Nazisti aprirono il più grande campo di concentramento esclusivamente femminile, quello di Ravensbrück, dove più di 100.000 donne vi furono incarcerate tra la sua apertura e il momento in cui le truppe sovietiche lo liberarono, nel 1945. Un campo femminile fu costituito anche ad Auschwitz-Birkenau nel 1942 (conosciuto anche come Auschwitz II), per incarcerare principalmente le donne; tra le prime ad esservi rinchiuse furono proprio prigioniere provenienti da Ravensbrück. Analogamente, una zona femminile venne creata a BergenBelsen nel 1944, dove le SS trasferirono migliaia di prigioniere ebree provenienti da Ravensbrück e Auschwitz. Né le donne né i bambini, ebrei come non-ebrei, vennero risparmiati dalle uccisioni di massa condotte dai Nazisti e dai loro collaboratori. L'ideologia nazista sosteneva la necessità di eliminare tutti gli Ebrei, senza differenza di età o di genere. Le SS tedesche, insieme alle autorità di polizia, si occuparono di mettere in pratica quella politica, chiamata in codice "Soluzione Finale", fucilando in massa uomini e donne in centinaia di località dell'Unione Sovietica occupata. Durante le deportazioni, le donne in stato di gravidanza e le madri di bambini piccoli venivano generalmente catalogate come "inabili al lavoro" e venivano perciò trasferite nei campi di sterminio, dove gli addetti alla selezione le inserivano quasi sempre nei gruppi di prigionieri destinati a morire subito alle camere a gas. Le donne ebree ortodosse accompagnate dai bambini erano particolarmente vulnerabili, siccome vestivano abiti tradizionali che le rendevano facilmente individuabili, anche durante le crudeli violenze dei pogrom. Inoltre, il gran numero di bambini che generalmente caratterizzava quelle famiglie ortodosse, rese le loro donne uno degli obiettivi principali dell'ideologia nazista. Donne non appartenenti alla popolazione ebraica erano però altrettanto vulnerabili: i Nazisti condussero infatti operazioni di assassinio di massa di donne Rom anche nel campo di concentramento di Auschwitz; uccisero donne disabili nel corso delle operazioni denominate T-4 ed "Eutanasia"; infine, tra il 1943 e il 1944, in molti villaggi dell'Unione Sovietica, massacrarono donne e uomini considerati appartenenti a unità partigiane. Nei ghetti, così come nei campi di concentramento, i Nazisti selezionavano le donne per inviarle a lavori forzati che spesso ne causavano la morte. Inoltre, i medici e ricercatori nazisti spesso usarono donne ebree e Rom per esperimenti sulla sterilizzazione e per altre pratiche disumane di ricerca, contrarie a qualunque etica. Sia nei campi che nei ghetti, le donne erano particolarmente vulnerabili e soggette spesso sia a pestaggi che a stupri. Le donne ebree in gravidanza cercavano di nascondere il loro stato per non essere costrette ad abortire. Anche le donne deportate dalla Polonia e dall'Unione Sovietica per essere impiegate nei lavori forzati per il Reich, venivano spesso picchiate e violentate, o forzate a prestazioni sessuali in cambio di cibo o altri generi di conforto. La gravidanza fu l'ovvia conseguenza per molte donne polacche, sovietiche e yugoslave inviate ai lavori forzati e costrette a relazioni sessuali con i Tedeschi. Se i cosiddetti "esperti della razza" determinavano che il bambino non potesse essere "germanizzato", le donne venivano generalmente obbligate ad abortire, o mandate a partorire in ospedali improvvisati, dove le condizioni avrebbero garantito la morte dei nascituri. Altre volte, invece, venivano semplicemente rispedite nelle regioni d'origine, senza cibo né assistenza medica. Molte donne incarcerate nei campi di concentramento crearono gruppi di mutua assistenza che permettevano loro di sopravvivere grazie allo scambio di informazioni, di cibo e di vestiario. Spesso le donne appartenenti a questi gruppi provenivano dalla stessa città o dalla stessa provincia, avevano lo stesso livello di istruzione o condividevano legami familiari. Infine, altre donne furono in grado di salvarsi perché le SS le trasferirono nei reparti destinati al rammendo degli abiti, nelle cucine, nelle lavanderie o nei servizi di pulizia. Le donne ebbero anche un ruolo importante in numerose operazioni della Resistenza, specialmente quelle appartenenti ai movimenti giovanili socialisti, comunisti e sionisti. In Polonia, le donne vennero impiegate come corrieri per portare informazioni nei ghetti; molte altre scapparono nei boschi della Polonia orientale e dell'Unione Sovietica, dove si unirono alle unità partigiane. Un ruolo importante assunsero anche molte appartenenti alla Resistenza francese (e ebraico-francese): Sophie Scholl, studentessa all'Università di Monaco di Baviera e membro dell'unità della Resistenza chiamata "Rosa Bianca", venne arrestata e fucilata nel 1943 per aver distribuito volantini contro il Nazismo. Alcune donne, come Haika Grosman, di Bialistok, furono leader o membri di organizzazioni della Resistenza nei campi di concentramento. Ad Auschwitz, cinque donne assegnate al reparto di Vistola per la lavorazione del metallo - Ella Gartner, Regina Safir, Estera Wajsblum, Roza Robota e, forse, Fejga Segal - fornirono la polvere da sparo con la quale membri di un'Unità Speciale Ebraica fecero saltare in aria una camera a gas, uccidendo molte guardie delle SS, nel corso della rivolta dell’ottobre 1944. Numerose donne furono anche attive nelle operazioni che vennero organizzate nell’Europa occupata per mettere in salvo gli Ebrei. Tra di loro ci furono la paracadutista ebrea Hannah Szenes e l'attivista sionista Gisi Fleischmann. Hannah Szenes fu paracadutata in Ungheria nel 1944, mentre Gisi Fleischmann, leader del Gruppo d’Azione (Pracovna Skupina) facente capo al Consiglio Ebraico di Bratislava, tentò di fermare le deportazioni degli Ebrei dalla Slovacchia. Milioni di donne furono perseguitate e uccise durante l’Olocausto. Tuttavia, alla fine non fu tanto la loro appartenenza al genere femminile a farne dei bersagli, quanto il loro credo politico o religioso, oppure il posto da loro occupato nella gerarchia razzista teorizzata dal Nazismo.