La spesa in ricerca e sviluppo e l’economia sommersa nella stima del Pil (Sec 2010): un nuovo indicatore di attività economica Bologna, Aprile 2015 Il presente rapporto è stato redatto a cura della Professoressa Cristina Brasili, con la collaborazione della Dott.ssa Valentina Aiello e della Dott.ssa Federica Benni. Contributo presentato nell’ambito della VII edizione del Workshop UniCredit-RegiosS “Le regioni italiane: ciclo economico e dati strutturali. Le leve dello sviluppo territoriale in Italia: analisi e prospettive”, tenutasi a Bologna il 22 aprile 2015. 2 Sommario 1. Introduzione di Cristina Brasili..........................................................................................................................5 2. Il nuovo Sistema europeo dei conti di Federica Benni ..........................................................................................................................7 3. La revisione del Pil nazionale in base al Sec 2010 di Federica Benni ..........................................................................................................................9 3.1. Cambiamenti metodologici introdotti dal nuovo Sec di Federica Benni .............................................................................................................11 3.1.1. La capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo di Federica Benni ..........................................................................................................13 3.2. Adeguamento agli standard europei di Valentina Aiello ...........................................................................................................17 3.3. Novità relative ai metodi di misurazione nazionali di Valentina Aiello ...........................................................................................................19 3.3.1. L’economia sommersa di Valentina Aiello ........................................................................................................23 4. Gli indicatori di attività economica di Federica Benni ........................................................................................................................31 4.1. 5. 6. Un nuovo indicatore di attività economica nazionale di Federica Benni .............................................................................................................33 Le stime regionali in base al nuovo Sec di Federica Benni ........................................................................................................................37 5.1. La spesa in ricerca e sviluppo di Cristina Brasili.............................................................................................................39 5.2. L’economia sommersa delle regioni di Cristina Brasili ............................................................................................................43 Conclusioni di Cristina Brasili........................................................................................................................49 Riferimenti bibliografici ..................................................................................................................51 3 4 1. Introduzione I Paesi dell’Unione europea hanno adottato, da settembre 2014, un nuovo sistema dei conti nazionali e regionali nel quale, tra le tante novità, assume particolare rilevanza la stima dell’economia illegale. Fino ad oggi quest’ultimo fenomeno era stato escluso dalla contabilità nazionale perché la disomogeneità (alcune attività sono ritenute illegali in alcuni Paesi e legali in altri) e l’incertezza della stima rendevano difficilmente comparabili i dati tra i diversi Paesi. Il superamento di queste incertezze è dovuto al rispetto del principio di esaustività (già peraltro introdotto dal Sec 95) secondo il quale le stime devono comprendere tutte le attività che producono reddito, indipendentemente dal loro status giuridico (secondo le linee guida stabilite da Eurostat). Il nuovo Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec 2010) che sostituisce il precedente Sec 95, è definito dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 549/2013, del 26 giugno 2013. Il regolamento prevede modifiche dettate dalla necessità di adeguare le statistiche macro economiche ai grandi cambiamenti che hanno investito le economie a livello internazionale negli ultimi venti anni. Anche il nostro Paese, con l’Istituto nazionale di statistica, ha dovuto apportare delle rilevanti modifiche alle metodologie adottate nella misurazione degli aggregati economici. Lo scopo di questo lavoro è quello di analizzare le quattro principali novità del nuovo Sec: la capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo, la riclassificazione da consumi intermedi ad investimenti della spesa per armamenti sostenuta dalle Amministrazioni pubbliche, una nuova metodologia di stima degli scambi con l’estero di merci da sottoporre a lavorazione (per i quali si registra il valore del solo servizio di trasformazione e non più quello dei beni scambiati), la verifica del perimetro delle amministrazioni pubbliche sulla base degli aggiustamenti metodologici introdotti dal Sec 2010. A queste novità va aggiunta la rilevante decisione, come sottolineato in precedenza, di inserire nei conti una stima delle attività illegali quali il traffico di sostanze stupefacenti, i servizi della prostituzione, il contrabbando di sigarette e la nuova misura dell’economia non osservata. L’obiettivo di questo lavoro, nonostante la disponibilità limitata di dati, sarà quello di valutare quali modifiche introdotte dal Sec 2010 hanno avuto un maggiore impatto sul Pil, implicando una sua rivalutazione. Le innovazioni introdotte non dovrebbero produrre nei paesi dell’UE variazioni rilevanti riguardo i tassi di crescita del Pil, mentre è in termini di stock che prevediamo si registreranno le variazioni più consistenti e quindi, in particolare, relativamente agli indicatori di stabilità finanziaria. L’impatto sarà maggiore per quei Paesi che investono maggiori risorse in ricerca e sviluppo (Svezia e Finlandia). Per l’Italia la revisione al rialzo del Pil consentirà di variare in modo rilevante, nella direzione di un miglioramento, i rapporti debito su Pil e deficit su Pil (Centorrino, David, Cangemi, 2014). Questo lavoro tenta di fare chiarezza su due questioni fondamentali: la prima riguarda gli elementi che in Italia contribuiscono maggiormente all’aumento del Pil. Sarebbe auspicabile, infatti, che l’incremento fosse principalmente dovuto all’innovazione contabile concernente l’attività di ricerca e sviluppo; la seconda questione riguarda, invece, la 5 distribuzione regionale di tale incremento. Per quanto riguarda il primo punto, vedremo nei paragrafi successivi come l’incremento del Pil non sia, se non in piccolissima parte, imputabile alla capitalizzazione delle spese in R&S, relativamente alla seconda questione, vista la scarsa disponibilità di dati a livello regionale, possono essere fornite solo poche risposte. Il lavoro è così strutturato: nel secondo paragrafo vengono illustrati i cambiamenti metodologici e definitori dovuti al superamento del Sec 95 e all’adozione del Sec 2010 e le principali novità relative ai nuovi metodi di misurazione nazionali. Il terzo paragrafo è dedicato alla descrizione dettagliata dei cambiamenti più rilevanti a livello nazionale e con maggiore impatto sul Pil che riguardano la capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo, l’inclusione di alcune attività illegali tra l’economia non osservata, il nuovo metodo di stima dell’input di lavoro e della misura dell’economia non osservata, in particolare la componente connessa alla sotto-dichiarazione delle imprese. La stima dell’economia sommersa, con l’introduzione del nuovo Sec, ha subito una profonda revisione metodologica nella stima degli aggregati mentre, con l’introduzione dell’economia illegale nella stima del Pil (tale componente non era mai stata conteggiata prima), vengono utilizzati nuovi metodi di stima. Nel quarto paragrafo viene stimato un indicatore di attività economica nazionale in base alle nuove serie storiche dei conti economici espresse in Sec 2010. Esso rappresenta un utile strumento per i policy-maker per conoscere ed individuare i potenziali effetti delle politiche di crescita e di sviluppo, approssima i tassi di variazione tendenziale del Pil a frequenza mensile tentando di colmare le carenze informative nei dati e il ritardo con cui vengono forniti. Inoltre è costruito in modo da garantire, non appena saranno disponibili i dati a livello territoriale, il confronto tra il ciclo nazionale e il ciclo delle diverse regioni italiane. Nel quinto paragrafo, infine, si analizzeranno i dati disponibili a livello regionale per gli investimenti in ricerca e sviluppo e per i lavoratori irregolari. Nonostante, quindi, la carenza nella diffusione di dati aggiornati, si tenterà un confronto tra le stime in Sec 2010 rispetto a quelle in Sec 95 per i rilevanti aggregati macroeconomici quali la spesa in R&S e il numero di lavoratori non regolari, che vanno a contribuire alla nuova stima del Pil. 6 2. Il nuovo Sistema europeo dei conti Il nuovo Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec 2010) viene definito dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 549/2013 del 26 giugno 2013, che stabilisce le metodologie da utilizzare ed adottare in fase di costruzione dei conti economici, ma anche il dettaglio e la tempistica con cui i dati devono essere diffusi dai singoli Paesi. Il nuovo sistema è entrato in vigore a livello europeo nel settembre del 2014, come stabilito dal Regolamento n. 549/2013. Il processo che ha portato alla definizione del Sec 2010 è, però, iniziato nel 2008 in seguito al passaggio dalla versione del 1993 a quella del 2008 dello Standard of National Accounts (Sna), delle Nazioni Unite (che trova applicazione negli Stati Uniti, Canada e Australia), che stabilisce le linee guida in tema di contabilità nazionale valide per tutti i Paesi. Queste modifiche sono state dettate dalla necessità di adeguare le statistiche macro economiche ai grandi cambiamenti che hanno investito le economie a livello internazionale negli ultimi venti anni. Il nuovo Sna è stato quindi adattato alla realtà dell’Unione europea portando alla definizione del nuovo Sistema europeo dei conti 2010 che sostituisce il precedente Sec 95. In occasione della revisione dei conti nazionali, diffusi a settembre 2014, l’Istat ha adottato anche innovazioni nei metodi di misurazione di alcune grandezze e nuove fonti informative che si sono rese disponibili negli anni più recenti (ad es. censimenti della popolazione, delle imprese e delle istituzioni). L’ampio insieme delle innovazioni introdotte nei nuovi conti economici nazionali può essere suddiviso in tre macro categorie: - Cambiamenti metodologici e di definizione introdotti dal passaggio al Sec 2010; - Adeguamento ai precedenti standard europei e modifiche connesse al superamento delle riserve europee; - Novità relative ai metodi di misurazione nazionali e al contributo delle nuove fonti informative adottate nel nostro Paese. I principali cambiamenti introdotti dal nuovo Sec riguardano: la capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo, la riclassificazione della spesa per armamenti da consumi intermedi a investimenti delle Amministrazioni pubbliche, una nuova metodologia di stima degli scambi con l’estero per i beni da sottoporre a lavorazione e la definizione dei criteri di inclusione delle unità istituzionali nel perimetro delle Amministrazioni pubbliche. Tra le modifiche connesse al superamento delle riserve europee quella con l’impatto maggiore sul Pil riguarda l’inclusione di alcune attività illegali tra l’economia non osservata (traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando di sigarette), in base al principio che devono essere conteggiate tutte le attività che producono reddito indipendentemente dal loro status giuridico. Negli ultimi due anni i vari aspetti della compilazione dei conti economici nazionali sono stati sottoposti ad importanti modifiche che hanno determinato, in alcuni casi, anche significative revisioni. Molte di queste innovazioni sono determinate dall’utilizzo di nuove fonti informative, provenienti dall’integrazione di dati amministrativi e di indagine. La 7 disponibilità di queste nuove fonti ha permesso di ridisegnare il metodo di stima dell’input di lavoro e di misura dell’economia non osservata ed, in particolare, la componente connessa alla sotto-dichiarazione dell’attività economica da parte delle imprese. Le modifiche introdotte nei nuovi conti economici nazionali verranno descritte più dettagliatamente nei paragrafi successivi. 8 3. La revisione del Pil nazionale in base al Sec 2010 I conti economici nazionali in base al nuovo Sistema europeo dei conti e le relative serie storiche, ricostruite per il periodo 1995-2013, sono stati pubblicati dall’Istat nell’ottobre 2014. Le revisioni introdotte hanno determinato delle significative modifiche nella misura dei principali aggregati della contabilità nazionale. I valori di tutte le grandezze contenute nei conti sono stati ridefiniti per il 2011, che ha avuto il ruolo di benchmark, tale anno è stato scelto in quanto rappresentava il periodo più recente con il massimo dell’informazione aggiornata disponibile. In base alle nuove stime il Prodotto interno lordo per l’Italia, per il 2011, ammonta a 1.638,9 miliardi di euro (prezzi correnti), con una rivalutazione di 58,9 miliardi (+3,7%) rispetto alle stime in Sec 95. In Germania la rivalutazione del Pil è stata del 3,4%, in Francia del 3,2% e nel Regno Unito del 4,6%. In questi Paesi hanno contribuito maggiormente alla revisione del Pil i cambiamenti metodologici introdotti dal Sec 2010 (2,7% Germania, 2,4% Francia e 2,3% nel Regno Unito)1. Le modifiche introdotte dal nuovo Sec in Italia (per il 2011) hanno contribuito per 24,3 miliardi di euro all’aumento del Pil (+1,5%), la quota preponderante (+1,3%) è attribuibile alla capitalizzazione della spese in ricerca e sviluppo, la riclassificazione della spesa per armamenti ha inciso per 0,2 punti percentuali e il nuovo criterio di valutazione della produzione per proprio uso finale dei produttori market per lo 0,1%, mentre le altre modifiche hanno contribuito negativamente (-0,1%). Le modifiche connesse al superamento delle riserve europee comportano una rivalutazione di 12,6 miliardi di euro (0,8%), la riserva con il maggiore impatto è quella relativa all’inclusione delle attività illegali (0,9%). I restanti 22 miliardi di euro (+1,4% del Pil) derivano dalle novità introdotte relative ai metodi di misurazione nazionali e al contributo delle nuove fonti informative. Il Prodotto interno lordo a prezzi correnti espresso in Sec 2010 (marzo 2015) rispetto a quello pubblicato a marzo 2014 (Sec 95), non presenta differenze di rilievo negli andamenti ma si discosta nei livelli (Figura 3.1). Analizzando anche i tassi di variazione annui del Pil, sempre a prezzi correnti, non si osservano scostamenti significativi (con un massimo di 0,3 punti percentuali) fra le due serie tra il 1995 e il 2013, ad eccezione del 2012 in cui si registra uno scostamento dello 0,6% (Figura 3.2)2. 1 Istat “Il ricalcolo del Pil per l’anno 2011. Effetti delle nuove regole europee (Sec 2010) e delle innovazioni introdotte dall’Istat”, settembre 2014. 2 In fase di analisi si farà riferimento a livello nazionale ai dati dei conti economici diffusi a marzo 2015. 9 Figura 3.1. Il Prodotto interno lordo a prezzi correnti. Anni 1995-2013 (milioni di euro) 1.700.000 1.500.000 1.300.000 1.100.000 900.000 Sec_10 Sec_95 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Figura 3.2. Il Prodotto interno lordo a prezzi correnti. Anni 1996-2013 (variazioni annue) 8,0% 6,0% 4,0% 2,0% 0,0% -2,0% -4,0% -6,0% Sec_10 Sec_95 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat 10 3.1 Cambiamenti metodologici introdotti dal nuovo Sec Le principali innovazioni metodologiche introdotte dal nuovo Sistema europeo dei conti riguardano la capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo, la riclassificazione della spesa per armamenti sostenuta dalle Amministrazioni pubbliche (AP), una nuova definizione degli scambi con l’estero in base al principio del trasferimento di proprietà ed alcuni aggiustamenti nei criteri di definizione del perimetro delle AP. La spesa in ricerca e sviluppo, che precedentemente veniva registrata come consumo intermedio, con l’introduzione del Sec 2010 viene considerata come spesa di investimento in quanto contribuisce all’accumulazione, tramite capitale intangibile, di capacità produttiva (si veda paragrafo 3.1.1). La capitalizzazione delle spese in R&S ha contribuito per 1,3 punti percentuali alla revisione del Pil. Le nuove linee metodologiche stabiliscono che anche le spese per armamenti sostenute dalle Amministrazioni pubbliche devono essere riclassificate da consumi intermedi a beni di investimento, tali beni infatti sono considerati come capitale fisso nel processo di produzione del servizio della difesa nazionale. Il cambiamento di registrazione produce però un effetto limitato in quanto la spesa per armamenti era già inclusa nei consumi finali delle AP e quindi nel Pil. Si genera invece un impatto positivo sul valore aggiunto, il nuovo stock di capitale fisico genera un flusso di ammortamenti che concorrono alla determinazione della produzione del settore. Nel 2011, anno di riferimento, la spesa per investimenti in armamenti è stata di 4,7 miliardi di euro, ma l’effetto sul valore aggiunto ammonta a 3,5 miliardi di euro, che hanno contribuito per lo 0,2% alla rivalutazione del Pil. Il Sec 2010 prevede che la produzione per proprio uso finale dei produttori market debba includere anche un’integrazione per il risultato netto di gestione o reddito misto. In Italia si applica alle produzioni per uso proprio di software, di database, alle immobilizzazioni materiali e alla manutenzione di fabbricati eseguita in proprio dalle famiglie. Per il 2011 tale voce ha comportato un aumento del Pil di 1,7 miliardi di euro (0,1%). Per quanto riguarda le modalità di registrazione degli scambi con l’estero, nel Sec 2010 si privilegia il criterio di trasferimento di proprietà del bene rispetto al movimento fisico tra le frontiere. Questa modifica coinvolge sia le registrazioni relative alle lavorazioni su beni effettuate all’estero, che il commercio internazionale di beni che non transitano per la frontiera del Paese del commerciante. I nuovi criteri di definizione determinano per il 2011 un effetto negativo sul saldo complessivo dell’interscambio3. Nel nuovo sistema dei conti vengono definiti anche i criteri di inclusione delle unità istituzionali nel perimetro delle Amministrazioni pubbliche (settore S13), specificando le modalità di calcolo per verificare la natura (market o non market) dell’unità istituzionale. L’impatto di tale misura sul Pil è stata molto limitata (-0,2 miliardi di euro nel 2011). 3 Istat “I nuovi conti nazionali in Sec 2010. Innovazione e ricostruzione delle serie storiche (1995-2013)”, ottobre 2014. 11 Le altre modifiche previste dal Sec 2010 riguardano i flussi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati tra intermediari residenti e non residenti che vengono riclassificati da interscambio di servizi a redditi da capitale; il criterio di registrazione dei piccoli utensili che da investimenti fissi vengono contabilizzati come consumi intermedi. Queste novità hanno prodotto in Italia un impatto sul Pil molto limitato o nullo. 12 3.1.1 La capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo Il Sistema europeo dei conti (Sec 2010) definisce la spesa in ricerca e sviluppo come il “Valore delle spese per attività creative esercitate in via sistematica al fine di aumentare l’insieme di conoscenze, compresa la conoscenza dell’uomo, della cultura e della società, e di utilizzare tali conoscenze allo scopo di concepire nuove applicazioni”(Sec 2010, All.7.1). La registrazione della spesa in ricerca e sviluppo come spesa di investimento ha determinato un nuovo trattamento metodologico ed effetti sugli aggregati economici. Nel settore dei produttori di mercato (imprese) il cambiamento di contabilizzazione ha provocato un aumento del Pil, in quanto le spese per l’acquisizione di R&S non vengono più sottratte dal valore della produzione per ottenere il valore aggiunto, contemporaneamente si genera uno stock di capitale fisso che a sua volta crea un flusso di ammortamenti. Il cambiamento riguarda anche l’acquisizione di R&S tramite produzione per uso proprio4 che, per come veniva registrata nel Sec 95, non aveva nessun impatto sul valore aggiunto. Nel settore non market (Amministrazioni pubbliche e Istituzioni senza scopo di lucro al servizio della famiglie) i servizi di ricerca e sviluppo vengono riallocati da consumi finali a investimenti fissi; la creazione di capitale fisso intangibile genera ammortamenti che, nel metodo di calcolo specifico per questo settore, determina un aumento del valore aggiunto. Il valore degli investimenti in ricerca e sviluppo si ottiene aggiungendo alla stima della produzione di R&S il saldo tra importazioni ed esportazioni. La produzione viene stimata come somma dei costi, compresi quelli relativi alla R&S che non hanno prodotto risultati. Per i produttori di mercato la produzione viene calcolata utilizzando i dati provenienti dalla rilevazione sulla R&S nelle imprese (costi per personale e per consumi intermedi) e quelli sul costo del capitale, ricavati dalla nuova base di dati sui conti economici delle imprese. Il calcolo viene effettuato per 98 branche di attività economica. Per le Amministrazioni pubbliche, invece, la produzione viene stimata in base alle informazioni contenute nei bilanci delle unità classificate nel settore, tra cui i dati delle Università (banca dati del Cineca e i bilanci degli Enti di Ricerca). Per stimare la produzione per uso proprio si utilizza la rilevazione sulla R&S nelle Istituzioni pubbliche. Le rilevazioni sulla ricerca e sviluppo includono tutte le imprese, le Istituzioni pubbliche e le Istituzioni private no profit che svolgono sistematicamente attività di ricerca. La capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo per il 2011, anno di benchmark, ha determinato una rivalutazione del Pil di 1,3 punti percentuali. Gli investimenti in R&S ammontano nel 2011 a 20,5 miliardi di euro (prezzi correnti), di cui 12,4 miliardi sono spese sostenute dalle imprese di mercato (0,8% del Pil), mentre la componente relativa alla spesa delle Amministrazioni pubbliche e Istituzioni senza scopo di lucro ammonta a 8,1 miliardi di euro, che corrisponde allo 0,5% del Pil (Tabella 3.1). 4 Il valore della produzione di R&S viene distinto tra produzione di mercato e produzione per uso proprio sulla base della fonte di finanziamento dei costi sostenuti. Viene considerata per uso proprio la produzione finanziata tramite contributi a fondo perduto oppure con risorse proprie del produttore (Atti del seminario “Il Passaggio al Sec 2010 e la revisione generale dei conti nazionali”, Istat 2014). 13 Tabella 3.1. Investimenti in ricerca e sviluppo per origine e settore istituzionale. Anno 2011 (miliardi di euro a prezzi correnti e valori percentuali) Produttori market AP e ISP Totale Incidenza % sul Pil Produzione per uso proprio 10,7 7,6 18,3 1,2 Servizi acquistati da terzi 1,7 0,5 2,2 0,1 Totale 12,4 8,1 20,5 1,3 Nota: Amministrazioni pubbliche (AP), Istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie (ISP). Fonte: Istat, I nuovi conti nazionali in Sec 2010 25.000 15,0% 20.000 12,0% 15.000 9,0% 6,9% 7,3% 6,4% 5,7% 10.000 6,0% 5.000 3,0% 0 0,0% Quota R&S/Investimenti totali Quota R&S/Investimenti totali Investimenti R&S Figura 3.3. Investimenti in R&S (milioni di euro, valori concatenati) e quota di investimenti in R&S sul totale. Anni 1995-2014 Investimenti R&S Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, conti e aggregati economici nazionali La quota degli investimenti in R&S sul totale degli investimenti fissi lordi rimane pressoché stabile nel periodo 1995-2007, registrando oscillazioni comprese tra il 4,9% e il 5,2% (Figura 3.3). Tale quota inizia progressivamente ad aumentare dal 2008 (5,7%), risultando pari al 7,3% degli investimenti totali nel 2014. Questo andamento però non è determinato da un aumento della spesa in R&S, che rimane pressoché stazionaria dal 2009 al 2012 ed anzi si contrae negli ultimi due anni, ma da una riduzione degli investimenti totali (Figura 3.4). A partire dal 2007 gli investimenti fissi lordi per il totale delle attività economiche si riducono progressivamente passando da 368,6 miliardi di euro nel 2007 a poco più di 259 miliardi nel 2014 (valori concatenati anno di riferimento 2010). Nelle revisioni diffuse a marzo 2015, relative al biennio 2012-2013, rispetto ai dati diffusi a ottobre 2014, sono state riviste a ribasso sia le stime degli investimenti totali che quelli in ricerca e sviluppo. 14 Figura 3.4. Investimenti totali ed investimenti in R&S. Anni 1995-2014 (milioni di euro, valori concatenati) 400.000 25.000 20.000 300.000 250.000 15.000 200.000 Investimenti R&S Investimenti totali 350.000 10.000 150.000 100.000 5.000 Investimenti fissi lordi totali Investimenti R&S Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, conti e aggregati economici nazionali Figura 3.5. Investimenti in R&S per branca. Anno 2012 (composizione percentuale) Agricoltura e pesca Industria e costruzioni 2% 38% 1% 3% 47% 5% 3% Commercio, trasporto, alloggio e ristorazione Informazione e comunicazione Attività finanziarie e immobiliari Attività professionali, scientifiche e tecniche AP, istruzione, sanità e servizi sociali Attività artistiche e altri servizi Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, conti e aggregati economici nazionali La composizione percentuale degli investimenti in R&S per branca di attività economica, anno 2012, evidenzia come la quota preponderante sia quella relativa ai settori dell’industria e delle costruzioni (47%), seguita dalla pubblica amministrazione, dall’istruzione, dalla sanità e dai servizi sociali (38%), e, infine, dai servizi di informazione e di comunicazione (5%). La spesa per R&S delle attività professionali, scientifiche e tecniche e del commercio, trasporto, alloggio e ristorazione ammonta per entrambe le branche al 3% del totale, mentre la quota di investimenti in agricoltura risulta pressoché nulla (0,03%). 15 Al fine di fornire uno stimolo per la competitività dell’Unione europea, la capacità innovativa (calcolata come spesa totale in R&S in percentuale del Pil) rientra all'interno dei cinque obiettivi della strategia di Europa 2020. Gli investimenti in R&S (pubblici e privati) per il 2020 dovranno essere pari, mediamente, al 3% del Pil dell’UE. Investimenti superiori in ricerca e sviluppo significherebbero non solo un maggior coinvolgimento degli attori presenti nel territorio ma delineerebbero anche un percorso di crescita basato su ricerca, innovazione e conoscenza. Ciascun Paese ha indicato il proprio target da raggiungere nell’ambito di Europa 2020 e l’Italia ha fissato per la capacità innovativa il valore di 1,53% del Pil per il 2020, sicuramente un livello non ambizioso. Analizzando la dinamica nazionale dell’incidenza della spesa in ricerca e sviluppo sul Pil si può osservare come aumenti leggermente dal 2000 (1%) al 2009 (1,3%), per poi stabilizzarsi e tornare a diminuire negli anni più recenti. Per il nostro Paese si evidenzia una difficoltà importante anche a raggiungere un target al 2020 particolarmente basso e pari quasi alla metà del target medio dell’Unione europea (3%). Figura 3.6. La capacità innovativa (spesa totale in R&S in % del Pil a prezzi correnti). Anni 1995-2014 1,4% 1,3% 1,2% 1,1% 1,0% 0,9% 0,8% 0,7% 0,6% Capacità innovativa Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, conti e aggregati economici nazionali 16 3.2 Adeguamento agli standard europei Il bilancio dell’Unione europea, basato su un sistema di finanziamento di risorse proprie, tra le fonti di finanziamento annovera un contributo statale in percentuale del Reddito Nazionale Lordo (RNL). La Commissione europea, tramite Eurostat, ha il compito di controllare che i dati sul RNL, comunicati dagli Stati Membri, siano esatti in modo tale da calcolare correttamente il contributo che essi dovranno versare al bilancio dell’Unione. La verifica viene condotta sulla base delle fonti e dei metodi utilizzati dai vari Paesi per il calcolo del RNL; la Commissione, a seguito della verifica, può porre delle “riserve” sul trattamento di alcuni punti specifici, sospendendo così la sua posizione sull’accuratezza della stima. Ogni anno la Commissione individua sia delle riserve specifiche per ogni Stato Membro che trasversali a più Stati. Le modifiche metodologiche necessarie alla soluzione dei punti posti sotto riserva nel 2012 dovevano essere inserite al momento della revisione delle serie dei conti nazionali per l’introduzione del Sec 2010. La riserva principale, superata con l’introduzione del Sec 2010, riguarda l’inserimento all’interno del Pil di una stima dell’economia illegale. Essa, infatti, per il 2011 incideva in Italia per lo 0,9% del Pil, pari a circa 15,5 miliardi di euro. L’inclusione di tutte le altre riserve, invece, ha inciso in negativo per meno dello 0,2%. Per garantire l’esaustività della stima del Pil è stato, quindi, necessario includere nei conti nazionali quella componente che, fino a qualche anno fa, l’Istat riteneva quasi impossibile da stimare: l’economia illegale. Essa comprende al suo interno quell’insieme di attività vietate dalla legge che si basano sullo scambio volontario tra soggetti economici. Date le differenze legislative tra i vari Paesi, l’Eurostat ha dovuto individuare una lista di attività da prendere in considerazione per l’inserimento nelle stime del Pil: il traffico di sostanze stupefacenti, i servizi della prostituzione e il contrabbando di alcol e sigarette, così come ha stilato delle linee guida sulla metodologia di misurazione. L’Istat ha individuato gli aggregati economici da stimare in base all’effettiva significatività attribuibile a ciascuna attività illegale in termini di produzione interna, commercializzazione e interscambio con l’estero. Le stime considerano soprattutto informazioni relative agli utilizzatori finali del bene o servizio illegale e ai loro comportamenti di consumo, in altri casi si utilizzano indicatori di offerta che permettono di stimare il valore della produzione a partire dalle informazioni sulle merci sequestrate. Non esistendo indagini statistiche dirette relative a questi fenomeni, vengono prese in considerazione una serie di informazioni provenienti da enti pubblici, associazioni, organizzazioni internazionali. Per stimare gli aggregati relativi al traffico di stupefacenti è stato implementato un approccio di domanda che utilizza le informazioni sui consumatori e sulle quantità consumate. Partendo dagli indicatori chiave forniti dallo “European monitoring center on drugs and drugs addiction”, l’Istat stima il numero di consumatori e la dimensione del mercato interno. In base alle informazioni raccolte in studi di ricercatori ed esperti nazionali, gli utilizzatori vengono suddivisi in tre categorie (problematici, regolari, occasionali). Tramite assunzioni rispetto al grado di purezza delle sostanze, alla quota di riesportazione e ai dati disponibili sui prezzi medi, viene stimato il valore delle importazioni. Considerando le fasi tipiche del traffico di 17 stupefacenti è quindi possibile stimare sia il valore della produzione, l’incidenza dei costi intermedi che l’ammontare del valore aggiunto. Per stimare gli aggregati relativi ai servizi di prostituzione vengono, invece, utilizzati indicatori di offerta sul numero delle prostitute alle quali vengono attribuite un numero di prestazioni giornaliere, un numero di giornate lavorate e un prezzo medio pagato dagli utilizzatori finali del servizio. Le informazioni utilizzate per le stime provengono da associazioni di volontariato, da ricerche della Commissione europea e dai dati sulle statistiche giudiziarie. Le stime sui prezzi medi sono state realizzate basandosi sui dati provenienti da un’indagine campionaria che il Codacons ha effettuato a Roma, Milano e Napoli. Anche per la stima degli aggregati relativi al contrabbando di sigarette sono stati utilizzati indicatori di offerta. La quantità di merce disponibile per la domanda interna è stata calcolata partendo dai dati sui sequestri, utilizzando assunzioni sia sulla capacità di contrasto del fenomeno da parte delle forze dell’ordine, sia sulla quota di merce in transito. Tra le attività illegali (Tabella 3.2), la commercializzazione di droga ha l’impatto più rilevante sul valore aggiunto (10,5 miliardi di euro). Il valore aggiunto derivante da attività illegali è il risultato di una produzione valutabile in circa 16 miliardi, con costi intermedi pari a circa 1,7 miliardi di euro che generano un valore aggiunto di 1,2 miliardi di euro legati all’indotto. La stima delle attività illegali, comprensive dell’indotto, è quindi pari a 15,5 miliardi di euro. Tabella 3.2. Principali aggregati economici per tipologia di attività illegale (miliardi di euro, prezzi correnti) Attività Consumo Importazioni Produzione Valore aggiunto Droga 12,7 1,1 11,8 10,5 Prostituzione 3,9 - 3,9 3,6 Contrabbando di sigarette 0,4 0,1 0,3 0,2 Totale illegale 17,0 1,2 16,0 14,3 - - - 1,2 1,7 0,3 0,5 0,9 Indotto Incidenza sul totale economia (%) Fonte: Istat, I nuovi conti nazionali in Sec 2010 Le altre modifiche metodologiche apportate ai conti nazionali per il superamento delle riserve hanno avuto un impatto molto limitato sul Pil. Per il 2011 l’impatto è stato negativo e pari allo 0,18% del Pil, spiegato quasi interamente dalla contabilizzazione dei guadagni e perdite in conto capitale derivante da variazioni di prezzo dei beni detenuti dalle imprese come scorte. 18 3.3 Novità relative ai metodi di misurazione nazionali Tra le novità del Sec 2010 quelle certamente più rilevanti riguardano la misurazione dell’economia non osservata (Noe); quella che, per diversi motivi, sfugge all’osservazione diretta ponendo alcuni problemi nella misurazione statistica, che deve essere comunque effettuata per permetterne l’inserimento nella stima del Pil. L’economia non direttamente osservata pone due principali problemi di stima: - Mancanza totale d’informazione (attività produttive non registrate, occultamento di occupazione da parte delle imprese, occultamento di grandezze economiche, …); - Distorsione dell’informazione (sotto-dichiarazione da parte delle imprese della produzione e del valore aggiunto). Nonostante le difficoltà, la conoscenza del fenomeno dell’economia non osservata è necessaria sia per assicurare l’esaustività delle stime del Pil e misurarne l’impatto sulla crescita del sistema economico, che per garantire la comparabilità internazionale delle stime e l’esaustività dei conti. L’economia non osservata è composta dall’economia illegale, dall’economia sommersa e dall’economia informale. Per economia sommersa si intendono tutte quelle attività di produzione di beni e servizi che, pur non essendo illegali, vengono occultate all’autorità fiscale o sono provenienti dall’utilizzo di input di lavoro irregolare. Per economia informale si intendono, invece, quelle attività produttive legali svolte su piccolissima scala, con organizzazione minima e con rapporti di lavoro basati su relazioni personali o familiari non regolate da contratti formali. Non è necessariamente nascosta alle autorità ma, viste le caratteristiche strutturali, non è rilevabile in modo diretto. Se la stima dell’economia illegale è la grande novità del Sec 2010, l’economia sommersa veniva stimata anche con il “vecchio” Sec 95 ma, approfittando delle innovazioni introdotte, il metodo di stima del sommerso è stato modificato. Nel Sec 95 veniva utilizzato un metodo che, combinando approcci micro e macro, consentiva di identificare separatamente le tre diverse integrazioni apportate al valore aggiunto dall’economia sommersa, direttamente individuabili attraverso le indagini statistiche sulle imprese e riconducibili al fenomeno della frode fiscale e contributiva: a) l’integrazione dovuta ai controlli di coerenza tra l’occupazione dichiarata dalle imprese e le voci del conto economico effettuata sui dati forniti dalle imprese (approccio micro) implicante rivalutazione del fatturato. Con questa integrazione si correggeva il comportamento fraudolento della sotto-dichiarazione del fatturato ottenuto con occupazione non dichiarata; b) l’integrazione derivante dalla stima del valore aggiunto prodotto dall’insieme delle unità di lavoro appartenenti alla categoria di occupazione non regolare, ottenuta incrociando le dichiarazioni individuali rilasciate nell’Indagine sulle forze di lavoro con quelle del Censimento della popolazione. Con questa integrazione si correggeva il comportamento fraudolento della dissimulazione del valore aggiunto prodotto dai lavoratori non registrati nei libri paga; 19 c) l’integrazione derivante dalla riconciliazione fra le stime della domanda e dell’offerta (di carattere macro), utilizzando le tavole input-output ad un livello di 101 branche. Con questa integrazione si correggeva il comportamento fraudolento della sovradichiarazione dei costi di produzione. Utilizzando queste tre integrazioni, era possibile individuare una “forchetta” di stime: le integrazioni relative all’input di lavoro irregolare (b) e quelle riconducibili alla sottodichiarazione del fatturato (a) rappresentavano la valutazione minima di quella parte del Pil attribuibile al sommerso economico. Quella parte, quindi, certamente imputabile al sommerso economico. Sommando all’ipotesi minima l’integrazione dovuta alla riconciliazione (c) delle stime degli aggregati di domanda ed offerta, si otteneva l’estremo superiore dell’intervallo di stima del sommerso; quella parte, quindi, presumibilmente imputabile al sommerso. Nonostante la stima dell’economia sommersa fosse integrata da tempo nella stima del Pil, la fase di revisione dei conti ha permesso di rivedere e migliorare le metodologie di stima. Per quel che riguarda la stima della sotto-dichiarazione del valore aggiunto da parte delle imprese, il ridisegno ha ampliato la platea di imprese cui viene applicata la procedura, tenendo anche conto dell’eterogeneità comportamentale degli imprenditori, ha separato sia concettualmente che in modo applicativo la fase di individuazione delle imprese sottodichiaranti e quella della correzione della sotto-dichiarazione, ha aumentato il grado di attendibilità delle stime a livello settoriale. Si è così passati da una strategia di stima per le PMI basata su un’indagine diretta, a una procedura basata sull’uso primario di informazioni di fonte amministrativa/fiscale, all’utilizzo di un sistema informativo (Frame SBS) per le imprese attive con meno di 100 addetti contenente dati individuali e stime per i principali aggregati di conto economico e costo del lavoro, sfruttando prioritariamente fonti di natura amministrativa e fiscale, integrate con informazioni di tipo campionario. L’approccio utilizzato nel Sec 2010 prende in considerazione le imprese fino a 99 addetti. In una prima fase vengono eliminati dal campione tutte quelle unità produttive che, per motivi diversi, non possono essere sottoposte a un metodo di intercettazione e correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto. L’insieme delle imprese restanti viene successivamente suddiviso in 4 gruppi omogenei dal punto di vista delle caratteristiche economiche e del comportamento in fase di dichiarazione statistica e fiscale. Il primo gruppo, rappresentante il 22,4% dell’universo di riferimento, è composto da quelle imprese molto piccole nelle quali il lavoro dell’imprenditore è potenzialmente “sostituibile” con quello di un dipendente a parità di specializzazione. Sono considerati quegli imprenditori che non utilizzano fattori produttivi aggiuntivi al loro lavoro, che non hanno soci estranei all’impresa, e con un fatturato inferiore a 30.000 euro. Confrontando il reddito dichiarato dagli imprenditori con un “reddito ombra” (la soglia di indifferenza nella decisione fra lavoro imprenditoriale e lavoro dipendente, determinato sulla base del costo-opportunità dell'attività imprenditoriale) è possibile valutare l’entità della possibile sotto-dichiarazione. Il secondo gruppo, rappresentante il 58,2% dell’universo di riferimento, include le “Unità Micro”, cioè quelle piccolissime imprese contraddistinte da un’organizzazione aziendale e una struttura produttiva ridotta ma che, a differenza del gruppo 1, impiegano 20 fattori produttivi diversi dal lavoro dell’imprenditore. Vengono quindi considerate quelle imprese con meno di 10 addetti per l’industria e meno di 6 addetti nei servizi. Le imprese potenzialmente sotto-dichiaranti vengono individuate utilizzando un modello fattoriale e degli indicatori desunti dai dati di bilancio. Ipotizzando che l’imprenditore tenti di assicurarsi un margine sui costi variabili, viene stimato un modello econometrico in grado di stimare un livello di profitto teorico che viene confrontato con il reddito dichiarato dall’imprenditore. La distanza tra i due livelli è pari alla rivalutazione. Il terzo gruppo, pari al 5% dell’universo, include le “Unità Organizzate”, cioè le piccole e medie imprese con organizzazione e struttura produttiva più articolata. Esse hanno dai 10 ai 99 addetti nel settore dell’industria e dai 6 ai 99 addetti nel settore dei servizi. In questo caso, sia per selezionare le imprese che per correggere la sotto-dichiarazione, viene utilizzato un modello fattoriale. Grazie a quest’ultimo è possibile stimare il valore aggiunto per addetto che viene riportato a un livello medio. La rivalutazione è pari alla differenza tra il valore aggiunto corretto e quello dichiarato dall’imprenditore. Il quarto gruppo, pari al 2% dell’universo di riferimento, include le unità che fanno parte di gruppi di imprese residenti nel territorio nazionale che non hanno legami con le imprese estere. La correzione della sotto-dichiarazione viene effettuata seguendo lo stesso metodo utilizzato per le “Unità Organizzate”. Analizzando i 4 gruppi per tutti i settori dell’economia la rivalutazione del valore aggiunto è pari al 19,6% (Tabella 3.3). L’incidenza della correzione è più elevata nei servizi (+26,3%) più contenuta nelle costruzioni (+17%) e nell’industria (+8%). Tabella 3.3. Tasso di rivalutazione del valore aggiunto per macrosettore Settore Industria Costruzioni Commercio, trasporti e pubblici servizi Altri servizi Totale Vecchio metodo 9,1% 24,5% 23,3% 19,8% 18,6% Nuovo metodo 8,0% 17,1% 26,3% 24,2% 19,6% Fonte: La stima dell’economia non osservata e la sotto-dichiarazione del valore aggiunto, Atti del seminario “Il Passaggio al Sec 2010 e la revisione generale dei conti nazionali”, Istat 2014. Utilizzando la metodologia del Sec 95 il valore aggiunto veniva rivalutato del 18,6%, mentre, con la nuova metodologia, la rivalutazione aumenta di un punto percentuale. Aumento imputabile sostanzialmente al settore dei servizi. Per quel che riguarda il lavoro irregolare, nonostante l’utilizzo della nuova base informativa, non è ancora possibile ricostruire a livello micro le imprese che utilizzano il lavoro irregolare. Nel definire la nuova procedura si è cercato di assicurare l’additività della stima tra la componente generata dal lavoro irregolare e la componente di rivalutazione dell’utile dell’imprenditore. Per il calcolo del valore aggiunto prodotto da unità di lavoro non regolari sono stati utilizzati due metodi: per i gruppi 1 e 2 è stato utilizzato un metodo basato 21 sulla remunerazione dei fattori produttivi, per i gruppi 3 e 4 un metodo moltiplicativo basato sulla redditività media. Nel primo caso, quindi, in ciascun dominio di riferimento è stato attribuito agli indipendenti irregolari il profitto medio rivalutato dalla procedura di individuazione della sotto-dichiarazione, ai dipendenti irregolari, invece, viene assegnato il salario medio del lavoro regolare. Il metodo moltiplicativo utilizzato per i gruppi 3 e 4 si basa sull’individuazione di un valore aggiunto medio unitario. La correzione della sotto-dichiarazione, per settori macro-economici, è più presente nel settore delle costruzioni mentre il lavoro irregolare nel settore dell’agricoltura (Tabella 3.4). Nel settore dei servizi, invece, incidono tutte le componenti del Noe. Il totale del sommerso, nel 2011, risultava di circa 187 miliardi di euro, pari all’11,5% del Pil. Tabella 3.4. Incidenza delle componenti del Noe sul valore aggiunto dei settori economici e sul Pil (2011, valori percentuali) Correzione della sottodichiarazione Lavoro irregolare Altro (fitti in nero, mance) Totale sommerso Illegale Totale Noe - 14,7 - 14,7 - 14,7 3,3 1,8 - 5,2 - 5,2 Costruzioni 12,2 8,5 - 20,7 - 20,7 Servizi 6,9 5,0 2,1 14,0 1,4 15,4 Totale 6,4 4,8 1,5 12,7 1,1 13,8 Incidenza sul Pil 5,7 4,3 1,4 11,5 0,9 12,4 Macrosettore Agricoltura, silvicoltura e pesca Attività estrattiva, manifatturiera ed altre attività industriali Fonte: Istat, I nuovi conti nazionali in Sec 2010 22 3.3.1 L’economia sommersa In questo paragrafo si abbozzerà un confronto sui due metodi di stima utilizzati analizzando i dati relativi all’economia sommersa anche se, a causa dei diversi metodi adottati, non è possibile confrontare la stima dell’economia sommersa attuale con quella pubblicata in passato dall’Istat. È però possibile confrontare i due Sec sulla base della loro capacità di cogliere l’ampiezza del fenomeno. Nel Sec 95, come illustrato nel paragrafo precedente, per stimare l’economia sommersa veniva creata una “forchetta” di stime nella quale il valore minimo corrispondeva alla somma della stima della correzione del fatturato e dei costi intermedi (a) e della stima del lavoro non regolare (b) e il valore massimo derivava dalla somma, all’ipotesi minima, della stima della riconciliazione delle stime di offerta e domanda (c). Nella tabella 3.5 è possibile osservare sia l’evoluzione della stima della quota del Pil imputabile al sommerso economico dal 2000 al 2008 (ipotesi minima e massima), che l’incidenza percentuale e il peso delle tre componenti sul Pil e sulla composizione dell’ipotesi massima. Tabella 3.5. Valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico per tipologia di integrazione Correzione del fatturato e costi intermedi (a) Riconciliazione stime offerta e domanda (c) Lavoro non regolare (b) % % sul Pil Milioni di sull'ipotesi € massima % % sul Pil Milioni sull'ipotesi di € massima Ipotesi minima (a+b) Ipotesi massima (a+b+c) Anni Milioni di € % % sul Pil Milioni di % sul Pil Milioni di % sul Pil sull'ipotesi € € massima 2000 126.784 55,6 10,6 89.730 39,4 7,5 11.480 5,0 1,0 216.514 18,2 227994 19,1 2001 136.415 55,5 10,9 95.034 38,7 7,6 14.471 5,9 1,2 231.479 18,5 245950 19,7 2002 131.983 54,8 10,2 91.738 38,1 7,1 17.309 7,2 1,3 223.721 17,3 241030 18,6 2003 136.241 55,0 10,2 87.656 35,4 6,6 23.669 9,6 1,8 223.897 16,8 247566 18,6 2004 134.641 53,4 9,7 89.562 35,5 6,4 27.861 11,1 2,0 224.203 16,1 252064 18,1 2005 137.030 53,9 9,6 92.676 36,5 6,5 24.390 9,6 1,7 229.706 16,1 254096 17,8 2006 137.825 53,1 9,1 99.326 38,3 6,7 22.433 8,6 1,5 237.151 16,0 259584 17,3 2007 143.865 54,0 9,3 102.194 38,4 6,6 20.234 7,6 1,3 246.060 15,9 266293 17,2 2008 153.015 55,6 9,8 102.349 37,2 6,5 19.681 7,2 1,3 255.365 16,3 275045 17,6 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Se nel 2000 il valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso era pari ad una cifra compresa tra i 216 milioni di euro, nell’ipotesi minima, e i 228 milioni di euro, nell’ipotesi massima, nel 2008, nonostante il loro peso in percentuale del Pil sia diminuito (si passa dal 18,2% al 16,3% nell’ipotesi minima e dal 19,1% al 17,6% nell’ipotesi massima) i valori assoluti sono aumentati attestandosi, rispettivamente, sui 255 e i 275 milioni di euro. In termini sia assoluti che percentuali è la componente (a) ad avere un peso maggiore, nonostante negli anni presi in esame il valore sia progressivamente diminuito. È possibile osservare come il peso del valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico differisca notevolmente per settore di attività economica (Tabella 3.6). Nel 2008, nell’ipotesi massima, il valore aggiunto del sommerso economico era pari al 32,8% nel settore agricolo, 20,9% nel terziario e 12,4% nell’industria. 23 Tabella 3.6 Valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico per settore di attività economica Agricoltura Anni Industria % sul valore Milioni di aggiunto ai prezzi € al produttore della branca Servizi % sul valore % sul valore aggiunto ai prezzi aggiunto ai prezzi Milioni di € al produttore al produttore della della branca branca Milioni di € 2000 8.047 29,7 47.995 14,0 171.952 23,2 2001 8.188 29,9 53.071 14,9 184.691 23,5 2002 7.739 28,4 53.216 14,6 180.075 21,9 2003 7.606 27,5 50.630 13,7 189.330 22,1 2004 8.463 29,5 48.520 12,7 195.081 21,8 2005 8.321 31,1 45.784 11,7 199.991 21,7 2006 8.633 31,5 47.493 11,6 203.470 21,3 2007 9.102 32,4 49.698 11,6 207.494 20,9 2008 9.188 32,8 52.881 12,4 212.978 20,9 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Le stime del Sec 2010 non sono ancora così dettagliate da poter individuare quali sono i settori economici nei quali è più elevato il valore aggiunto prodotto dal sommerso. È però possibile stimare, per il 2011 e il 2012, quanto pesano sul totale del Noe le sue varie componenti (Tabella 3.7). Tabella 3.7. Economia non osservata per componente (miliardi di euro correnti e incidenza sul Pil) 2011 Componente Noe 2012 valori Incidenza sul Pil % valori Incidenza sul Pil % Lavoro irregolare 93,5 71,1 5,7 4,3 99,3 71,7 6,1 4,4 Altro (fitti in nero, mance) 22,4 1,4 18,6 1,2 187,0 15,5 11,4 0,9 189,6 16,4 11,7 1,1 202,5 1638,9 12,4 206,1 1615,1 12,8 Correzione della sotto-dichiarazione Totale sommerso Illegale Totale Noe Pil Fonte: Istat, Pil e indebitamento AP, marzo 2015 Sia nel 2011 che nel 2012 la voce principale sia in termini assoluti che in percentuale del Pil è la correzione della sotto-dichiarazione, così come avveniva nel Sec 95, anche se con cifre più contenute. Segue il lavoro irregolare che incide per poco meno del 4,5% del Pil. L’economia sommersa, quindi, nel 2011 viene stimata in 187 miliardi di euro e aumenta di poco meno di 3 miliardi di euro nell’anno successivo. Nonostante la principale voce ad incidere sul totale del sommerso derivi dalla correzione del fatturato e dei costi intermedi, è sulla voce lavoro non regolare che è possibile ottenere dati più dettagliati sia per le stime del Sec 95 che per quelle del Sec 2010. Si definiscono non regolari le prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva. In questa categoria rientrano le prestazioni 24 lavorative: continuative, svolte non rispettando la normativa, occasionali svolte da persone non attive, svolte da stranieri non residenti e non regolari, plurime (attività ulteriori rispetto a quella principale). La stima dell’input del lavoro non regolare permette di esaminare con dettaglio le componenti di tale aggregato. Nel 2009, ultimo anno per il quale è disponibile questa analisi, è la componente degli irregolari residenti (persone occupate iscritte in anagrafe che si dichiarano nelle indagini presso le famiglie ma non risultano presso le imprese) a pesare per più del 50% sul totale del lavoro non regolare, chi svolge attività plurime non regolari (chi svolge seconde attività non dichiarandole al fisco) pesa per poco più del 30% e infine per il 12,7% pesa la componente stranieri non regolari e non residenti (in quanto non residenti sono invisibili al fisco). Figura 3.7. Composizione dei lavoratori non regolari, 2009 31,6 Irregolari residenti Stranieri non residenti 55,7 Posizioni plurime 12,7 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Dai dati forniti dall’Istat è possibile confrontare, per il periodo 1999-2012, le stime dei due differenti metodi di rilevazione. Per entrambe si assiste ad una lieve riduzione delle unità di lavoro non regolari (Figure 3.8 e 3.9) dovuta, almeno in parte ad alcuni interventi normativi. Evidente è la riduzione del lavoro irregolare tra il 2000 e il 2003, probabilmente dovuta ai decreti flussi che in quegli anni hanno permesso a molti lavoratori stranieri non residenti di poter regolarizzare la loro posizione. Nonostante ciò, negli ultimi anni presi in esame, il tasso di lavoro non regolare sta gradualmente aumentando, tra le possibili cause la contrazione del numero di persone fisiche occupate, l’aumento del ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni da parte delle imprese e l’aumento dell’incidenza dei contratti part-time. La stima realizzata con il nuovo metodo di valutazione mostra valori più elevati sia per gli irregolari dipendenti che per gli indipendenti, questi ultimi appaiono più che raddoppiati rispetto al metodo precedente. Il nuovo metodo, evidentemente, riesce a cogliere alcune categorie lavorative ampiamente sottostimate negli anni passati. Il numero e il tasso di lavoratori non regolari seguono, quindi, andamenti simili nonostante i differenti sistemi di rilevazione. Con il Sec 25 2010, però, il tasso di lavoratori non regolari è, per tutti gli anni considerati, superiore di due punti percentuali ai valori del Sec 95. Figura 3.8. Lavoratori non regolari e tasso di lavoratori non regolari, 1999-2012, Sec 95 2.852 3.000 2.665 14% 2.660 2.522 2.452 2.500 2.409 2.227 2.235 2.215 12,2% 2.000 11,8% 2.611 2.591 2.567 2.551 2.527 2.563 2.583 13% 2.162 2.145 2.131 2.131 2.112 2.166 2.190 2.078 2.007 2.055 12% 11,7% 11,2% 1.500 11% 10,2% 10,3% 10,3% 10,5% 10,4% 10,5% 10,3% 10,2% 10,3% 10,2% 1.000 500 10% 437 450 445 445 445 1999 2000 2001 2002 tasso non regolari 2003 2004 443 449 446 437 415 397 393 2005 2006 dipendenti 2007 2008 2009 2010 indipendenti 2011 2012 totale 444 420 0 Tasso irregolari Lavoratori irregolari, migliaia 2.500 2.685 9% 8% Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Figura 3.9. Lavoratori non regolari e tasso di lavoratori non regolari, 1999-2012, Sec 2010 4.000 3.000 2.500 13,9% 3.139 3.341 3.165 13,9% 2.969 3.025 3.041 3.189 2.417 2.234 2.243 2.224 2.017 2.065 2.090 12,4% 12,4% 2.173 2.157 2.144 2.146 2.127 2.182 2.233 905 946 924 941 952 960 952 12,4% 952 13,0% 12,6% 12,5% 12,3% 1.500 14,0% 13,5% 13,3% 2.000 1.000 3.125 3.124 3.102 3.063 3.034 3.075 3.110 968 12,2% 12,3% 12,3% 958 917 907 12,4% 893 12,5% 878 12,0% 11,5% 500 0 11,0% 1999 2000 2001 2002 tasso non regolari 2003 2004 2005 2006 dipendenti 2007 2008 2009 2010 indipendenti 2011 2012 totale Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Le maggiori differenze tra le stime effettuate con il Sec 95 e con il Sec 2010 si individuano osservando i macro-settori economici. Nei grafici (3.10-3.13) verranno 26 Tasso irregolari Lavoratori irregolari, migliaia 3.500 14,5% 14,2% confrontati i dati relativi ai lavoratori regolari e non regolari (numero stimato dal Sec 95 e dal Sec 2010) per i 4 principali macro-settori economici. Figura 3.10. Lavoratori regolari e non regolari – Settore Agricoltura, Silvicoltura e Pesca Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Le colonne rappresentano, in termini assoluti, il numero di lavoratori non regolari stimati tra il 1999 e il 2012 dai due Sec. Il Sec 95 sovrastima in modo evidente il fenomeno, in agricoltura, rispetto al Sec 2010. Nonostante l’andamento nel periodo sia simile, il Sec 95 stimava in media 150 migliaia di lavoratori non regolari in più di quanto non faccia il Sec 2010. Il lavoro regolare segue più o meno lo stesso andamento ma, in maniera speculare al lavoro non regolare, presenta valori più bassi con il Sec 95 (Figura 3.10). Per quel che riguarda l’industria in senso stretto, i valori dei lavoratori non regolari stimati dal Sec 2010 sono più elevati di quelli del Sec 95. Così come il lavoro regolare segue un simile andamento attestandosi, però su livelli diversi. Dal 2008, sebbene il numero di lavoratori non regolari non subisca quasi nessun cambiamento, si assiste ad una riduzione del lavoro regolare nel settore (Figura 3.11). 27 Figura 3.11. Lavoratori regolari e non regolari – Settore Industria in senso stretto Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Figura 3.12. Lavoratori regolari e non regolari - Settore Costruzioni 350 2.000 261 264 250 262 260 232 224 203 202 234 244 239 225 237 242 1.400 224 1.200 191 200 1.600 244 161 160 169 174 156 157 170 176 181 181 1.000 150 800 600 100 Lavoratori regoalri, migliaia Lavoratori irregoalri, migliaia 1.800 287 300 400 50 200 0 0 1999 2000 2001 2002 2003 non regolari Sec 95 2004 2005 non regolari Sec 2010 2006 2007 2008 2009 regolari Sec 95 2010 2011 2012 regolari Sec 2010 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat 28 Per quel che riguarda il settore delle costruzioni, nonostante per i lavoratori regolari nelle due rilevazioni l’andamento sia simile, è il Sec 2010 a presentare i valori più elevati di lavoro non regolare e, specularmente, i valori più bassi di lavoratori regolari (Figura 3.12). È nel settore dei servizi che si evidenziano le differenze più grandi, in termini assoluti, tra il Sec 95 e il Sec 2010. Quest’ultimo, in media, stima circa 500 mila lavoratori non regolari in più. Molto più contenute, invece, le differenze tra le stime dei lavoratori regolari (Figura 3.13). Figura 3.13. Lavoratori regolari e non regolari - Settore Servizi 3.000 15.000 2.528 2.500 2.355 2.412 2.407 2.408 2.409 2.387 2.295 2.333 2.330 2.336 2.304 2.343 2.359 14.000 2.020 1.786 1.815 1.809 1.874 1.864 1.840 1.819 1.790 1.824 1.862 Lavoratori irregoalri, migliaia 1.889 13.000 1.500 12.000 1.000 Lavoratori regoalri, migliaia 2.000 1.849 1.885 11.000 500 0 10.000 1999 2000 2001 2002 2003 non regolari Sec 95 2004 2005 2006 non regolari Sec 2010 2007 2008 2009 regolari Sec 95 2010 2011 2012 regolari Sec 2010 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Figura 3.14. Lavoro non regolare per settori, 2012 6,4% 9,5% agricoltura, silvicoltura e pesca 7,9% Industria in senso stretto costruzioni servizi 76,2% Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat 29 In termini percentuali, in base alle stime del Sec 2010, nel 2012 è il settore dei servizi a comprendere la maggior parte del lavoro non regolare (76%), seguito dagli altri 3 settori che si dividono il restante 24% in modo più o meno equivalente (Figura 3.14). 30 4. Gli indicatori di attività economica Gli indicatori coincidenti di attività economica, stimati trimestralmente dal 2007 dall’Associazione di studi economici RegiosS - Cycles & Trends, approssimano i tassi di variazione tendenziale del Pil a frequenza mensile e sono stati proposti e sviluppati nel tentativo di colmare le carenze informative nei dati sub-nazionali e il ritardo con cui vengono forniti. Gli indicatori di attività economica, infatti, rappresentano un utile strumento per i policy-maker per conoscere ed analizzare le singole realtà territoriali e per individuare i potenziali effetti delle politiche di crescita e di sviluppo. In Italia manca una variabile guida, simile a quella individuata dal National Bureau of Economic Research (NBER) per gli Stati Uniti, sulla base della quale costruire una cronologia dei cicli regionali. Il prodotto interno lordo è la variabile che comunemente viene utilizzata come indicatore della performance economica di un Paese e/o regione, ma i dati regionali del Pil vengono prodotti con notevole ritardo rispetto alla data corrente e sono soggetti a pesanti revisioni, inoltre sono a bassa frequenza (annuale). Gli indicatori RegiosS calcolati periodicamente per le 20 regioni italiane, per le quattro macroaree e a livello nazionale, sono costruiti utilizzando un ampio insieme di variabili, disponibili a livello territoriale e a frequenza elevata (mensile o trimestrale), che permettono di cogliere diversi aspetti del ciclo economico. Il dataset utilizzato in fase di stima è costituito da 38 variabili, caratteristiche dell’economia di un territorio, e comprende gli indicatori della fiducia delle imprese e dei consumatori, i dati sul mercato del lavoro, sulla nati-mortalità delle imprese, sui consumi e sul commercio estero (Tabella 4.1). Tali variabili, prima di procedere all’analisi, vengono destagionalizzate, rese stazionarie e standardizzate. Tabella 4.1. Variabili incluse nella stima degli indicatori di attività economica Giacenza prodotti finiti Stato della liquidità Ordini dall’interno Ordini dall’estero Ordini in generale Produzione Tendenza liquidità Tendenza economia Tendenza ordini Tendenza prezzi Tendenza produzione Esportazioni regione Importazioni regione Esportazioni macroarea Tasso di occupazione Tasso di disoccupazione Tasso di attività Occupati totali Occupati industria Fiducia delle imprese Import export Mercato del lavoro Occupati nei servizi Giudizi situazione economica Previsioni situazione economica Previsioni disoccupazione Giudizi situazione econ. famiglia Previsioni situazione econ. fam. Bilancio finanziario familiare Possibilità di risparmio Convenienza risparmio Intenzioni acquisto beni durevoli Immatricolazioni auto Imprese attive Imprese iscritte Imprese cessate Prod. industriale tedesca Prod. industriale francese Tasso di cambio reale effettivo Prod. industriale italiana Prezzi al consumo Mercato del lavoro Fiducia dei consumatori Demografia imprese Variabili nazionali e internazionali 31 Utilizzando la metodologia dei Dynamic Factor Models (Stock e Watson, 1998) vengono estratti i fattori che contengono le caratteristiche comuni delle variabili originarie. L’ipotesi alla base del procedimento adottato è che la dinamica di più variabili macroeconomiche possa essere rappresentata come la somma di due componenti non osservate: una comune ed una idiosincratica, calcolata in maniera residuale. Seguendo la notazione originale di Stock e Watson (1998), possiamo definire Xt, una serie storica Ndimensionale, come: X t t Ft et dove Λt è la matrice dei pesi fattoriali, Ft è un vettore di fattori comuni ed et è un vettore contenete gli errori idiosincratici. Il criterio informativo utilizzato per individuare il numero corretto di fattori da estrarre è quello proposto da Bai e Ng (2002), che prevede che la scelta dei fattori sia un compromesso tra la bontà di adattamento del modello e il principio di parsimonia. La costruzione dell’indicatore di attività economica si articola sostanzialmente in due fasi. Nella prima si calcola il modello fattoriale inserendo i valori del tasso di crescita annuale del Pil (si utilizza l’ultimo dato disponibile e definitivo) e delle 38 variabili di partenza, applicando l’algoritmo EM (Expectation Maximization), nella versione proposta da Stock e Watson (2002), per interpolare la serie del prodotto interno lordo. In questo modo si mensilizza la dinamica del Pil sulla base dei fattori ottenuti precedentemente e del dato annuale. Nella seconda parte si stima nuovamente il modello utilizzando l’algoritmo EM per stimare i dati mancanti del Pil, ottenendo quindi la serie del tasso di crescita tendenziale del Pil a frequenza mensile con le stesse dimensioni del campione di partenza. Per rendere meno volatile la serie, il tasso di crescita tendenziale viene calcolato come media mobile centrata a tre termini. La serie così ottenuta è più stazionaria e rappresenta l’indicatore di attività economica. Per maggiori dettagli sulla costruzione dell’indicatore di attività economica si rimanda a “Un indicatore sintetico di attività economica per le regioni italiane” (Benni e Brasili, 2006). Il periodico aggiornamento, il tempismo dell’informazione, ma soprattutto il fatto che le serie storiche degli aggregati di contabilità economica territoriale non siano aggiornate e a frequenza annuale, rendono gli indicatori regionali di attività economica uno strumento fondamentale per individuare i cambiamenti in atto nelle diverse economie locali. 32 4.1 Un nuovo indicatore di attività economica nazionale Questo contributo si soffermerà sulla stima, in base alle nuove serie storiche espresse in Sec 2010, di un indicatore di attività economica nazionale. Non è possibile, infatti, calcolare gli indicatori di attività economica a livello regionale e di macroarea, in quanto i conti economici territoriali espressi in Sec 2010, diffusi a febbraio 2015, contengono i dati solo per gli anni 2011-2013 (sono inoltre a prezzi correnti, si veda il paragrafo 5 per i dettagli su questo aspetto). Per tale motivo, poiché le informazioni pubblicate non sono sufficienti, si è provveduto alla stima di un indicatore di attività economica nazionale, utilizzando lo stesso insieme di variabili usate per stimare gli indicatori regionali di attività economica. Non sono state inserite altre variabili congiunturali, disponibili a livello nazionale ma non regionale, in modo da garantire, appena disponibili i dati territoriali in serie storica, il confronto tra il ciclo nazionale e quelli regionali. L’indicatore di attività economica nazionale è stato elaborato utilizzando la metodologia dei Dynamic Factor Models, descritta nel paragrafo precedente, per estrarre gli elementi comuni alle 37 variabili di partenza5 (Tabella 4.1). Figura 4.1. Indicatore nazionale di attività economica e tasso di crescita del Pil, dati Sec 95 6,0 4,0 2,0 0,0 -2,0 -4,0 Indicatore dati Sec 95 dic-14 dic-13 dic-12 dic-11 dic-10 dic-09 dic-08 dic-07 dic-06 dic-05 dic-04 dic-03 dic-02 dic-01 dic-00 dic-99 dic-98 dic-97 -8,0 dic-96 -6,0 Tassi di crescita Pil Sec 95 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Unioncamere e Unrae L’indice è stato calcolato in due modi, nel primo caso sono stati inseriti nel modello i tassi di crescita del Pil espresso in base al Sec 95, nel secondo si sono utilizzati i tassi di 5 In questo caso per il commercio estero si analizzano solo le esportazioni ed importazioni nazionali, a differenza di quanto accade nella stima degli indicatori regionali (esportazioni regionali e di macroarea, importazioni regionali). 33 crescita del Pil calcolato in Sec 20106, al fine di valutare i cambiamenti dovuti all’introduzione del “nuovo” Pil nella stima dell’indicatore di attività economica7. Figura 4.2. Indicatore nazionale di attività economica e tasso di crescita del Pil, dati Sec 2010 6,0 4,0 2,0 0,0 -2,0 -4,0 Indicatore dati Sec 2010 dic-14 dic-13 dic-12 dic-11 dic-10 dic-09 dic-08 dic-07 dic-06 dic-05 dic-04 dic-03 dic-02 dic-01 dic-00 dic-99 dic-98 dic-97 -8,0 dic-96 -6,0 Tassi di crescita Pil Sec 2010 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Unioncamere e Unrae L’indicatore di attività economica nazionale presenta, in entrambi i casi (Sec 95 e Sec 2010) un buon adattamento alla serie del tasso di crescita annuale del Pil (Figure 4.1 e 4.2). Figura 4.3. Indicatore nazionale di attività economica in Sec 95 e Sec 2010 6,0 4,0 2,0 0,0 -2,0 -4,0 Indicatore dati Sec 95 dic-14 dic-13 dic-12 dic-11 dic-10 dic-09 dic-08 dic-07 dic-06 dic-05 dic-04 dic-03 dic-02 dic-01 dic-00 dic-99 dic-98 dic-97 -8,0 dic-96 -6,0 Indicatore dati Sec 2010 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Unioncamere e Unrae 6 Il dato del Pil per il 2014 essendo una stima provvisoria soggetta a future e rilevanti modifiche, non è stato inserito nella costruzione dell’indicatore. 7 In entrambi i casi sono stati inseriti i dati del Pil espressi in valori concatenati. 34 Gli indicatori nazionali di attività economica, calcolati utilizzando il Pil espresso in base al Sec 95 e il Pil in Sec 2010, seguono il medesimo andamento e gli scostamenti tra le due serie sono molto limitati, presentando le differenze maggiori nell’anno 2012 (Figura 4.3). Tale risultato viene confermato dalla dinamica dei dati del Pil espresso a valori concatenati in Sec 2010 e in Sec 95. Infatti si osserva come le due serie si discostino nei livelli, ma se si analizzano le variazioni percentuali, le distanze sono significative solo per il 2012 e pari allo 0,4% (Figure 4.4 e 4.5). Figura 4.4. Il Prodotto interno lordo valori concatenati. Anni 1995-2013 (milioni di euro) 1.700.000 1.500.000 1.300.000 1.100.000 900.000 Sec_10 Sec_95 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Figura 4.5. Il Prodotto interno lordo valori concatenati. Anni 1996-2013 (variazioni annue) 6,0% 4,0% 2,0% 0,0% -2,0% -4,0% -6,0% Sec_10 Sec_95 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat 35 Per gli indicatori regionali di attività economica, possiamo ipotizzare delle differenze rilevanti anche negli andamenti, al contrario di quanto accade a livello nazionale, dovute all’introduzione del nuovo Sec 2010. Infatti il Pil regionale rivisto secondo il Sec 2010, anche se il confronto è limitato ai soli due anni 2011 e 2012, presenta andamenti differenti rispetto a quello calcolato in base al Sec 95 per alcune regioni. 36 5. Le stime regionali in base al nuovo Sec I conti economici territoriali pubblicati dall’Istat a febbraio 2015 sono coerenti con le stime dei conti nazionali diffusi a partire da settembre 2014. I conti territoriali includono tutte le innovazioni metodologiche dei conti nazionali, oltre ai cambiamenti dovuti al passaggio dal Sec 95 al Sec 2010, recepiscono anche le novità relative ai metodi di misurazione nazionali e l’adeguamento agli standard europei. Tra i cambiamenti metodologici introdotti dal nuovo Sec la novità più rilevante, per le stime regionali, riguarda le regole che permettono il passaggio dal valore aggiunto ai prezzi base al prodotto interno lordo regionale. Per calcolare il Pil regionale ai prezzi di mercato occorre attribuire le imposte sui prodotti e i contributi ai prodotti. Si è stabilito che le imposte e i contributi vengono assegnati sulla base del valore aggiunto totale regionale valutato ai prezzi base, con il metodo precedente invece si attribuivano le imposte sui prodotti a partire dai consumi finali regionali8. Per stimare il valore aggiunto delle attività illegali (traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando di sigarette) i dati nazionali sono stati ripartiti territorialmente utilizzando il numero di segnalazioni relative allo sfruttamento della prostituzione, alle normative sugli stupefacenti e sul contrabbando. Le stime del valore aggiunto e dei redditi da lavoro dipendente vengono effettuate utilizzando ed integrando, come accade a livello nazionale, i dati provenienti da fonti amministrative, dai registri statistici (imprese e occupazione) e dalle indagini sul Sistema dei Conti di impresa e sulle piccole e medie imprese. La stima per Unità di Attività Economica Locale, che permette di stimare il valore aggiunto e il costo del lavoro a livello locale, è effettuata integrando il sistema Frame SBS con il registro delle unità locali di impresa. Per la stima dell’input di lavoro, come fatto a livello nazionale, sono stati utilizzati i dati provenienti dagli archivi amministrativi ed integrati con le informazioni contenute nella Rilevazione sulle forze di lavoro. Questo metodo permette di individuare e misurare in modo più attendibile il lavoro regolare e quello irregolare e di correggere ed evitare possibili errori di sottocopertura e sovracopertura. Per la stima dell’occupazione regolare nelle imprese si fa riferimento all’archivio statistico sulle singole unità locali delle imprese attive, per i settori non contenuti in tale archivio si è seguito un approccio di tipo micro che ha permesso di stimare l’input di lavoro e i relativi redditi. L’occupazione irregolare a livello regionale è stata stimata considerando le informazioni contenute nella Rilevazione sulle forze di lavoro, ed in altre fonti quali i permessi di soggiorno, le domande di regolarizzazione e l’indagine Multiscopo. I dati regionali calcolati in base al nuovo Sec, disponibili solo per il periodo 20112013, sono relativi al Pil, al valore aggiunto, ai redditi da lavoro dipendente, all’occupazione, agli investimenti e alla spesa per consumi finali. Le stime per il 2011 sono definitive, mentre quelle del 2012 e del 2013 sono preliminari. 8 Istat “Conti economici territoriali. Nota metodologica”, febbraio 2015. 37 Tutte queste modifiche introdotte nel calcolo del Pil non producono però un effetto omogeneo nelle regioni italiane (Tabella 5.1). Per il 2011, ma il medesimo andamento si osserva anche nel 2012, il Prodotto interno lordo, espresso in base al Sec 2010, della maggior parte delle regioni italiane ha registrato una rivalutazione rispetto alle stime in Sec 95, ma con intensità differenti, con variazioni comprese tra il +10% del Lazio e il +1,3% dell’Umbria. In alcune regioni invece (Friuli-Venezia Giulia, Marche, Molise, Puglia, Calabria e Sardegna) si è registrata una contrazione del Pil, per il 2011, che per la Calabria e la Puglia è risultata particolarmente consistente (-3,3% e -2,2% rispettivamente). Tabella 5.1. Rivalutazione dei Pil regionali in Sec 2010 rispetto alle stime in Sec 95 (dati in milioni di euro e in percentuale) Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Rivalutazione del Pil rispetto alle stime in Sec 95 (milioni di euro) 2011 2012 2.554 2.646 228 265 3.882 3.964 23.117 25.032 2.316 2.379 2.266 2.813 -401 -474 2.677 3.554 1.967 2.231 275 473 -646 -616 17.144 16.929 1.566 1.722 -14 -164 2.946 3.706 -1.566 -1.427 328 79 -1.101 -1.415 2.337 1.047 -444 -704 Rivalutazione in % 2011 2,0% 5,1% 8,7% 6,9% 6,6% 1,5% -1,1% 1,9% 1,9% 1,3% -1,6% 10,0% 5,2% -0,2% 3,1% -2,2% 3,1% -3,3% 2,7% -1,3% 2012 2,1% 6,0% 9,0% 7,6% 6,7% 1,9% -1,3% 2,5% 2,1% 2,2% -1,5% 10,0% 5,7% -2,6% 3,9% -2,0% 0,8% -4,3% 1,2% -2,1% Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, conti economici territoriali 38 5.1 La spesa in ricerca e sviluppo Utilizzando i dati Istat sulle spese in ricerca e sviluppo, si può indagare quali sono le realtà territoriali più attive e quali sono i settori maggiormente dinamici. I dati evidenziano un’Italia a due velocità, entrambe non elevate. Le regioni con maggiore incidenza della spesa in ricerca e sviluppo sul Pil, e quindi a maggiore velocità, come il Piemonte (1,9% nel 2012), l’Emilia-Romagna e il Lazio (entrambe con l’1,6%), il Friuli-Venezia Giulia (1,4%) sono comunque lontanissime dagli investimenti in ricerca e sviluppo di alcune regioni europee come Brabant in Belgio (8,9%), Stoccarda (6,6%), regioni Norvegesi e Finlandesi, intorno al 3,5%, ma anche quella di Praga con il 2,4%, che viaggiano, quindi, a velocità ben diverse (Tabella 5.2). Le regioni con incidenza minore delle spese in ricerca e sviluppo sono la Calabria e il Molise (0,5%) e la Basilicata (0,6%). Tabella 5.2. Spesa totale in ricerca e sviluppo (migliaia di euro) e incidenza sul Pil in Sec 2010 (%) Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia 2011 2012 Incidenza % Incidenza % Spesa R&S Spesa R&S sul Pil sul Pil 2.368.934 1,8% 2.424.952 1,9% 25.754 0,5% 21.222 0,5% 630.960 1,3% 629.804 1,3% 4.456.175 1,2% 4.541.496 1,3% 434.358 1,2% 440.292 1,2% 1.529.231 1,0% 1.562.255 1,0% 520.189 1,4% 514.535 1,4% 2.039.390 1,4% 2.290.279 1,6% 1.287.311 1,2% 1.347.882 1,2% 195.419 0,9% 187.505 0,9% 307.537 0,8% 319.157 0,8% 2.888.200 1,5% 2.930.333 1,6% 263.751 0,8% 256.634 0,8% 26.723 0,4% 28.225 0,5% 1.153.895 1,2% 1.243.539 1,3% 517.308 0,7% 546.919 0,8% 62.648 0,6% 63.590 0,6% 151.291 0,5% 164.957 0,5% 696.159 0,8% 744.565 0,9% 255.373 0,8% 244.344 0,8% 19.810.606 1,2% 20.502.485 1,3% Nota: La spesa totale in R&S per l’Italia differisce dai dati riportati nei paragrafi 2 e 3. In tali paragrafi sono stati utilizzati i dati dei conti economici nazionali, più aggiornati rispetto a quelli della banca dati “Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo”, che contiene però i dati regionali. Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo e conti economici territoriali 39 La bassa incidenza degli investimenti in ricerca e sviluppo totali delle regioni italiane si colloca all’interno di un trend poco dinamico, che contraddistingue anche gli anni pre-crisi (Tabella 5.3)9. Una dinamica così contenuta, e a volte decrescente negli anni della crisi, di questa variabile induce a pensare che difficilmente, un incremento del Pil secondo le nuove modalità di calcolo del Sec 2010, potrà essere dovuto a breve termine, nelle regioni italiane, da un innalzamento degli investimenti in un’area così rilevante come quella della ricerca e dello sviluppo. Quest’ultima formalmente riconosciuta a livello europeo come investimento, dovrebbe assumere anche in Italia un ruolo strategico per lo sviluppo, segnando così una “rottura” con una tradizione di investimenti bassi e stazionari. Tabella 5.3. Spesa totale in ricerca e sviluppo in % del Pil in Sec 95. Anni 2005-2012 2005 Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia 1,7% 0,3% 1,2% 1,1% 0,7% 0,6% 1,1% 1,2% 1,1% 0,8% 0,6% 1,8% 1,0% 0,4% 1,1% 0,6% 0,5% 0,4% 0,8% 0,6% 1,1% 2006 1,7% 0,3% 1,3% 1,2% 0,8% 0,7% 1,2% 1,2% 1,1% 0,8% 0,6% 1,7% 1,0% 0,5% 1,2% 0,7% 0,7% 0,4% 0,9% 0,6% 1,1% 2007 1,8% 0,4% 1,1% 1,2% 0,8% 0,8% 1,4% 1,4% 1,0% 0,9% 0,7% 1,7% 1,0% 0,4% 1,2% 0,8% 0,7% 0,5% 0,8% 0,6% 1,2% 2008 1,8% 0,6% 1,2% 1,2% 1,1% 1,0% 1,3% 1,3% 1,1% 0,8% 0,7% 1,8% 0,9% 0,4% 1,3% 0,7% 0,7% 0,4% 0,9% 0,6% 1,2% 2009 1,9% 0,7% 1,4% 1,3% 1,3% 1,1% 1,5% 1,4% 1,2% 1,0% 0,7% 1,8% 0,9% 0,5% 1,3% 0,8% 0,7% 0,5% 0,9% 0,7% 1,3% 2010 1,8% 0,6% 1,5% 1,3% 1,3% 1,0% 1,4% 1,4% 1,2% 0,9% 0,7% 1,8% 0,9% 0,5% 1,2% 0,8% 0,7% 0,5% 0,8% 0,7% 1,3% 2011 1,9% 0,6% 1,4% 1,3% 1,2% 1,0% 1,4% 1,4% 1,2% 0,9% 0,8% 1,7% 0,9% 0,4% 1,2% 0,7% 0,6% 0,5% 0,8% 0,8% 1,3% 2012 1,9% 0,5% 1,4% 1,4% 1,2% 1,1% 1,4% 1,6% 1,3% 0,9% 0,8% 1,7% 0,9% 0,4% 1,3% 0,8% 0,6% 0,5% 0,9% 0,7% 1,3% Fonte: Istat, Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo (marzo 2015) Le spese in ricerca e sviluppo nella Pubblica amministrazione e nelle Università assumono valori uniformemente bassi tra le regioni e negli anni dal 2005 al 2012, ad eccezione del Lazio che si attesta su valori di poco superiori all’1% nello stesso periodo. 9 I dati per il 2011 e per il 2012 non coincidono nelle tabelle 5.2 e 5.3 perché l’incidenza è stata calcolata rispettivamente sul Pil derivante dal Sec 2010 nel primo caso e sul Sec 95 nel secondo. 40 La spesa in ricerca e sviluppo delle imprese ha valori superiori all’1% solo in Piemonte (da 1,3% nel 2005 a 1,5% nel 2012) e in Emilia-Romagna (da 0,7% nel 2005 a 1,1% nel 2012) mentre le altre regioni del Nord hanno valori più contenuti e comunque maggiori di quelli delle regioni del Mezzogiorno, che vede la Calabria registrare investimenti in R&S nulli da parte delle imprese negli anni considerati. La specializzazione produttiva nell’industria manifatturiera determina la differenza di investimenti nelle regioni. 41 42 5.2 L’economia sommersa delle regioni L’economia non osservata pesava sul Pil nazionale del 2011 per il 12,4%, (si veda paragrafo 3.2), in questo paragrafo tenteremo di comprendere come il fenomeno si distribuisca a livello regionale. Una risposta precisa a questo interrogativo, però, dovrà attendere, in quanto i dati sub-nazionali non sono stati ancora forniti dall’Istat. L’unica indicazione che è possibile ottenere allo stato attuale riguarda la quantificazione di quella parte della rivalutazione del Pil regionale, dovuta all’adozione del Sec 2010, che fa riferimento alla stima regionale dell’economia illegale, una parte di economia sommersa (imputabile ai nuovi metodi di stima), alle spese per armamenti e, quindi, a quella parte non imputabile alla capitalizzazione delle spese in R&S (Tabella 5.4). Ancora una volta si assiste ad una estrema variabilità nei valori regionali. L’incidenza più rilevante nella rivalutazione è relativa al Lazio, 8,3% del Pil sia nel 2011 che nel 2012, e molto importante in Liguria, nei due anni rispettivamente 7,3% e 7,6% del Pil. Subiscono una rivalutazione di una certa entità non dovuta alla capitalizzazione delle spese in R&S anche la Lombardia, 5,6% nel 2011 e al 6,2% nel 2012, il Trentino Alto Adige, 5,4% nel 2011 e al 5,5% nel 2012, la Valle d’Aosta, 4,5% nel 2011 e al 5,5% nel 2012, e l’Abruzzo 4,3% nel 2011 e al 4,9% nel 2012. Tabella 5.4. Il Pil e la rivalutazione del Pil non imputabile alla capitalizzazione delle spese in R&S (milioni di euro) 2011 Pil Sec 2010 Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna 129.160 4.719 48.350 357.581 37.469 150.707 35.892 145.085 108.201 21.845 40.306 188.129 31.656 6.356 98.972 69.645 10.956 32.313 87.330 32.686 Rivalutazione Pil 185 202 3.251 18.661 1.882 737 -922 638 679 79 -954 14.255 1.302 -41 1.792 -2.083 265 -1.252 1.640 -699 2012 Rivalutazione % 0,1% 4,5% 7,3% 5,6% 5,4% 0,5% -2,5% 0,4% 0,6% 0,4% -2,3% 8,3% 4,3% -0,6% 1,9% -2,9% 2,5% -3,7% 1,9% -2,1% Pil Sec 2010 127.573 4.708 48.029 356.437 37.784 149.418 35.522 144.468 108.126 21.695 39.576 186.412 31.771 6.221 99.194 68.887 10.595 31.866 85.935 32.321 Rivalutazione Pil 221 244 3.335 20.491 1.939 1.250 -988 1.264 883 286 -935 13.999 1.466 -192 2.462 -1.974 16 -1.580 302 -948 Rivalutazione % 0,2% 5,5% 7,6% 6,2% 5,5% 0,9% -2,7% 0,9% 0,8% 1,3% -2,3% 8,3% 4,9% -3,0% 2,6% -2,8% 0,1% -4,7% 0,4% -2,9% Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat 43 Alcune altre regioni subiscono, al contrario rilevanti “svalutazioni” del Pil: la Calabria, -3,7% nel 2011 e al -4,7% nel 2012; la Puglia, -2,9% nel 2011 e al -2,8% nel 2012; la Sardegna, -2,1% nel 2011 e al -2,9% nel 2012; il Friuli Venezia Giulia, -2,5% nel 2011 e al 2,7% nel 2012, le Marche, -2,3% in entrambi gli anni e il Molise, -0,6% nel 2011 e al -3,0% nel 2012. Tra le componenti che costituiscono la variabile presa in esame, l’economia non osservata è senz’altro quella più rilevante. Possiamo quindi intendere la rivalutazione del Pil in Sec 2010 (esclusa la capitalizzazione delle spese in R&S) come una proxy del Noe. Le due stime, Sec 2010 e Sec 95, colgono il fenomeno dell’economia non osservata in modo diverso e, teoricamente, la stima della nuova contabilità dovrebbe essere più accurata e, inoltre, inserisce una nuova componente. È quindi possibile ipotizzare che nel primo gruppo di regioni preso in esame l’economia non osservata venisse sottostimata dal Sec 95, mentre veniva sovrastimata nel secondo gruppo di regioni. Non essendo ancora disponibili i dati a livello regionale, però, non è possibile comprendere come ogni componente contribuisca a determinare la proxy né, all’interno dell’economia non osservata comprendere se abbia più peso l’economia illegale o quella sommersa. A livello nazionale abbiamo visto (Tabella 3.4) come a pesare maggiormente nella valutazione dell’economia non osservata (Sec 2010) per l’anno 2011 siano la correzione delle sottodichiarazioni (5,7%) e il lavoro irregolare (4,3%), mentre l’economia illegale e “altro” pesano per lo 0,9% e l’1,4% rispettivamente. A livello regionale possiamo vedere in dettaglio come venga rivista la stima dei lavoratori non regolari e in quali regioni e in quali settori economici avvengano le revisioni più rilevanti (per l’anno 2011) (Tabelle 5.5-5.7). La differenza tra le stime Sec 95 e Sec 2010 rispetto ai lavoratori non regolari è stata complessivamente per il Paese di quasi 512 mila unità (Tabella 5.5) e pari a circa il 20% sul totale dei lavoratori non regolari per l’anno 2011 (Tabella 5.7). Questa rilevante quota di lavoratori non regolari rilevata con il Sec 2010, segue una distribuzione molto differenziata sia a livello regionale che a livello settoriale. Infatti, se da un lato alcune regioni di dimensioni minori vedono aumentare notevolmente la rilevazione del numero di lavoratori irregolari (Valle d’Aosta 75% e Trentino Alto Adige 61%), un incremento notevole riguarda anche alcune regioni di grandi dimensioni, Lombardia 58%, Campania 46,5%, Lazio 42,6% ed Emilia-Romagna 36,4% (Tabella 5.7). Dall’altro alcune regioni vedono ridurre la stima delle unità irregolari in modo consistente: la Sardegna -33%, la Basilicata -36,1%, il Molise -35,3%, il Piemonte (-14,8%) e la Calabria (-9,6%). In termini assoluti sono Lombardia, Campania e Lazio che contribuiscono all’incremento della stima dei lavoratori non regolari (rispettivamente 155 mila, quasi 140 mila e 106.600) e in gran parte nel settore dei servizi. Al contrario le riduzioni maggiori nella stima si hanno per la Sardegna, di quasi 42 mila unità (in tutti i settori ma prevalentemente nei servizi), e per il Piemonte, -30.700 quasi esclusivamente dovuto al settore dei servizi. Lombardia, Lazio e, in misura minore la Campania, hanno avuto anche un importante rivalutazione del Pil relativa alla proxy del Noe (come abbiamo già detto, vedi Tabella 5.4) mentre solo la Sardegna sembra vedere un’importante riduzione del Pil dovuto alla riduzione della stima della componente dei lavoratori non regolari. 44 Mentre il settore dei servizi, per le modifiche introdotte nelle stime, vede una consistente rivalutazione del numero di lavoratori irregolari (518.800), il settore agricolo è interessato dal fenomeno opposto, infatti, sostanzialmente tutte le regioni vedono ridurre la stima di lavoratori irregolari, -157.600 unità (Tabella 5.5). Tabella 5.5. Lavoratori non regolari per macro-settori economici, anno 2011: differenze tra le stime in Sec 2010 e quelle in Sec 95 (in migliaia) Totale attività economiche Italia Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Industria in senso stretto Agricoltura 511,9 -30,7 -157,6 -14,8 Costruzioni Servizi 87,4 4,6 63,3 6,8 518,8 -27,3 2,1 -0,5 0 0,6 2,0 -3,0 -4,7 -0,9 2,4 0,2 155,0 -27,0 39,8 12,1 130,1 16,0 -3,4 -1,5 0 20,9 38,8 -23,8 19,0 5,7 37,9 -0,6 -5,9 4,1 0,7 0,5 50,6 -22,9 14,7 9,6 49,2 35,7 -4,5 10,0 4,0 26,2 -0,2 -3,3 1,3 1,0 0,8 1,2 -5,0 6,8 2,4 -3,0 106,6 -12,3 10,1 12 96,8 22,8 -7,9 3,9 1,6 25,2 -8,9 -1,7 -3,4 -0,3 -3,5 130,9 -10,2 12,3 23,6 105,2 35,4 0 -1,2 1,0 35,6 -14,5 -2,1 -8,4 -2,4 -1,6 -16,1 -2,4 -10,3 -6,8 3,4 32,7 0,6 -9,9 -5,2 47,2 -41,9 -5,8 -3,6 -5,5 -27,0 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat 45 Tabella 5.6. Lavoratori non regolari per macro-settori economici in Sec 2010. Anno 2011 (in migliaia) Totale attività economiche Italia Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Agricoltura Industria in senso stretto Costruzioni Servizi 3074,8 176,3 196,5 5,6 291,3 20,5 244,4 10,9 2342,6 139,3 4,9 0,3 0 0,7 3,9 71,4 1,3 2,9 6,2 61,0 422,2 8,0 49,9 24,8 339,5 42,2 2,8 3,0 1,4 35,0 180,3 8,0 25,3 11,5 135,5 51,8 1,9 5,7 2,4 41,8 189,6 6,4 23,0 10,2 150,0 159,7 8,2 17,2 9,4 124,9 44,4 1,0 5,0 3,4 35,0 58,4 3,7 11,4 3,6 39,7 356,6 10,6 22,8 35,1 288,1 82,2 4,5 9,5 8,0 60,2 16,3 1,7 1,6 2,2 10,8 412,5 21,2 36,0 42,4 312,9 236,3 30,9 23,1 21,4 160,9 25,6 4,0 2,7 2,1 16,8 150,8 29,6 6,9 16,9 97,4 307,8 39,9 17,4 26,9 223,6 85,5 6,9 7,4 4,9 66,3 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat 46 Tabella 5.7. Incidenza della revisioni per i lavoratori non regolari per regione e per macro-settori economici. Anno 2011 Totale attività economiche Italia Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Agricoltura Industria in senso stretto Costruzioni Servizi 20,0% -14,8% -44,5% -72,6% 42,9% 28,9% 35,0% 165,9% 28,5% -16,4% 75,0% -62,5% - 600,0% 105,3% -4,0% -78,3% -23,7% 63,2% 0,3% 58,0% 61,1% -77,1% -54,8% 394,1% -33,3% 95,3% - 62,1% 148,2% 27,4% -74,8% 301,6% 98,3% 38,8% -1,2% -75,6% 256,3% 41,2% 1,2% 36,4% -78,2% 177,1% 1600,0% 48,8% 28,8% -35,4% 138,9% 74,1% 26,6% -0,5% -76,7% 35,1% 41,7% 2,3% 2,1% -57,5% 147,8% 200,0% -7,0% 42,6% -53,7% 79,5% 52,0% 50,6% 38,4% -63,7% 69,6% 25,0% 72,0% -35,3% -50,0% -68,0% -12,0% -24,5% 46,5% -32,5% 51,9% 125,5% 50,7% 17,6% 0,0% -4,9% 4,9% 28,4% -36,2% -34,4% -75,7% -53,3% -8,7% -9,7% -7,5% -59,9% -28,7% 3,6% 11,9% 1,5% -36,3% -16,2% 26,8% -32,9% -45,7% -32,7% -52,9% -28,9% Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat 47 48 6. Conclusioni L’obiettivo di includere nelle stime del Pil di contabilità nazionale quella parte di ricchezza derivante da attività di ricerca e sviluppo, da un lato, e dall’economia sommersa e da quella illegale dall’altro, è frutto di una scelta della Commissione europea che avrà ricadute molto profonde. Per l’Italia in particolare si avranno ripercussioni molto rilevanti per quanto riguarda la modifica dei criteri di stima dell’economia sommersa e l’inserimento dell’economia illegale. La rivalutazione del Pil italiano, pari 1.638,9 miliardi nel 2011 (stime Sec 2010), è stata di 58,9 miliardi (+3,7%), mentre in Germania la rivalutazione del Pil è stata del 3,4%, in Francia del 3,2% e nel Regno Unito del 4,6%. In questi Paesi hanno contribuito maggiormente alla revisione del Pil i cambiamenti metodologici, in particolare la capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo, la riclassificazione da consumi intermedi ad investimenti della spesa per armamenti sostenuta dalle amministrazioni pubbliche, e una nuova metodologia di stima degli scambi con l’estero di merci da sottoporre a lavorazione (2,7% Germania, 2,4% Francia e 2,3% nel Regno Unito). Anche in Italia, seppur in modo meno evidente, rispetto agli altri Paesi, sono le modifiche introdotte dal nuovo Sec, per il 2011, a contribuire maggiormente alla rivalutazione del Pil, per 24,3 miliardi di euro (+1,5%), la cui quota preponderante (+1,3%) è attribuibile alla capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo. Come abbiamo già visto, le modifiche connesse al superamento delle riserve europee comportano una rivalutazione di 12,6 miliardi di euro (0,8%), di cui quella con il maggiore impatto è relativa all’inclusione delle attività illegali (0,9%). I restanti 22 miliardi di euro (+1,4% del Pil) derivano dalle novità introdotte relative ai metodi di misurazione nazionali e al contributo delle nuove fonti informative. La revisione e, quindi, la nuova stima del Pil si traduce in un sostanziale spostamento contabile delle spese in ricerca e sviluppo da consumi intermedi ad investimenti così come proposto dalla Commissione europea. La stima dell’economia non osservata (Noe), con la sua quota di economia illegale viene, invece, stimata da ogni Paese con metodi diversi. Non è possibile valutare se per l’Italia sia peggiorata o migliorata la stima del Pil dovuta all’introduzione del nuovo sistema di contabilità (Sec 2010) rispetto al vecchio sistema (Sec 95), anche se auspichiamo ci sia stato un cambiamento positivo. La certezza è che rispetto alla revisione del sommerso (in particolare per quanto riguarda le attività produttive non registrate, l’occultamento di grandezze economiche, la sotto-dichiarazione da parte delle imprese della produzione e del valore aggiunto) e del lavoro non regolare i due sistemi di contabilità propongono metodi di stima e valori diversi. Per quanto riguarda l’andamento dell’indicatore nazionale di attività economica, calcolato utilizzando il Pil espresso in base Sec 2010 si è osservato come esso segua lo stesso andamento di quello stimato mediante il Sec 95 e gli scostamenti tra le due serie siano molto limitati (le differenze maggiori e comunque limitate, pari allo 0,4%, sono nel 2012). Cambia sostanzialmente il livello del Pil e quindi ci aspettiamo che i contributi delle regioni a queste variazioni siano molto differenziati come confermato dagli unici dati disponibili per il confronto. Infatti la rivalutazione del Pil regionale varia da un contributo pari al -4,3% della Calabria (nel 2012) al +10% del Lazio (sempre nel 2012). 49 Ci auguriamo che le stime con il nuovo sistema di contabilità siano più precise ed accurate, le grandi differenze di stime del lavoro non regolare a livello regionale tra i due Sec fanno supporre che siano stati commessi (in passato?) errori di stima molto rilevanti: in alcune regioni, sembra infatti, che il lavoro non regolare sia stato pesantemente sottostimato, nel settore dei servizi, e in altre sovrastimato, per il settore agricolo. La strada da privilegiare per far crescere il Pil italiano sarebbe quella di investire in ricerca e sviluppo, facendone un driver di sviluppo. Un paese come l’Italia, che entro il 2020 dovrebbe raggiungere l’obiettivo dell’1,53% del Pil in R&S, oggi si attesta solo sull’1,22%, e valori obiettivo più contenuti vengono registrati solo dalla Grecia e dai Paesi entrati recentemente nell’Unione, mentre Francia e Germania si propongono un obiettivo del 3% e Svezia e Finlandia al 4% (dati Eurostat). L’Italia sembrerebbe non aver compreso che l’attività di R&S è ormai diventato un prerequisito dello sviluppo economico. Dovrà comprenderlo al più presto se non vuole che la sua crescita sia solo in termini “contabili”. 50 Riferimenti bibliografici Bai J., Ng S. (2002), Determining the Number of Factors in Approximate Factor Models, Econometrica Vol. 70, No. 1, pp. 191-221; Benni F., Brasili A. (2006), Un indicatore sintetico di attività economica per le regioni italiane, Rivista di Economia e Statistica del Territorio, n.2 maggio-agosto 2006, Ed. Franco Angeli; Centorrino M., David P., Gangemi A. 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