GIULIA MORATTI La prostituta romana. “Ad ogni sorgere del sole sei sempre più splendente bambina mia.” Mia madre mi ripeteva sempre che ero bella. Io non le credevo, almeno non fino in fondo. Lei sì che era bella. Mia mamma era la mia luce. Era tutto per me, ma per gli altri era solo una meretrice, una lupa vorace. Viveva da donna libera a Roma ma, in realtà, era la schiava di tutti gli uomini ai quali aveva donato il suo corpo. Io nacqui da un amore di una notte, da una fugace passione. Non conobbi mai l'identità di mio padre, del resto nemmeno mia mamma conosceva il suo volto. Mio papà era solo uno dei tanti, dei troppi uomini che la mia dolce madre aveva stretto voracemente tra le cosce. Vi sembra un controsenso che una meretrice possa essere dolce, non è vero? Bé, ve l'ho detto, è solo questione di tempo e probabilmente anche voi arriverete ad abbandonare i vostri confortanti schemi, a stravolgere la vostra idea di chi sono gli eroi e chi, invece, gli infami. Era il 193 d.C. Avevo vent'anni e Roma profumava di libertà e di giustizia ma, forse, il mio olfatto era ingannevole. Le strade della mia città erano altere come le carrozze che le percorrevano ed erano belle come gli stalloni che trainavano quei calesse. Non era un romano d'origine. Era nato a Leptis Magna, una città fenicia. Lui era Lucio Settimio Severo. Era lui l'uomo che Roma stava impazientemente aspettando. Era arrivato per restare. Era giunto a Roma per renderla grande. Egli fu il capostipite della dinastia dei Severi, destinata a diventare una delle più grandi dinastie della storia di Roma, nata sulle ceneri di un lungo periodo di guerre civili. Settimio Severo si assicurò la fedeltà del corpo pretoriano immettendovi un gran numero di soldati tratti dalle sue legioni e cancellandone la fisionomia italica. Era un uomo scaltro ed ambizioso e Roma lo amò per questo. Ma egli era anche un uomo forte e colto e, grazie alle sue mani potenti e alla sua mente preparata, la città si abbellì ed estese i suoi confini. Non importa se lo fece con metodi equi o brutali. Settimio Severo conquistò Roma e, in cambio, ricevette da lei lealtà e stima. Quell'anno Roma vide un uomo diventare una grande guida. Settimio Severo fu il primo princeps che adottò il titolo di dominus ac deus per indicare la divinità dell'Imperatore a discapito di quella del Senato. Settimio Severo non aveva bisogno dell'aiuto dei senatori perché era una divinità e, quindi, era sufficientemente forte da solo. Ma come potevo sapere che il 193 d.C. era anche l'anno che avrebbe cambiato per sempre il mio destino? Io ero una meretrice, proprio come mia madre. Ero considerata una donna bellissima, ma restavo pur sempre una puttana. Non ero nulla di più e nulla di meno. Vendevo il mio corpo e non lo facevo per divertimento o per esibizionismo, ma solo per mangiare. Avevo il dovere di aiutare mia mamma ormai morente. La sifilide la stava portando via da me, divorando giorno dopo giorno il suo corpo splendido e la sua mente intelligente. Mia madre non era solo bella. Era anche una donna colta che si era nutrita di poesia e di danza, oltre che di sesso ovviamente. Ricordo una nostra conversazione, pochi giorni prima che lei morisse. « Mia cara Lucilla, amor mio, sei stata la gioia più grande della mia vita. Non rinunciare ad amare come ho fatto io. Ti prego, non arrenderti mai. » « Cosa vuoi dire madre mia? Non capisco. » « Stringerai tanti uomini tra le tue splendide gambe, ma non rinunciare all'amore come ho fatto io. Ruberanno la tua dignità, ma non permettere mai loro di portarti via i sogni. » « Non preoccuparti mamma, non chiuderò la porta in faccia all'amore se esso deciderà di bussare. Te lo prometto. » « Sei bella figlia mia e sei intelligente. Non dimenticarlo mai. Mai. » mi disse, mentre lacrime di tristezza uscivano dai suoi stupendi occhi neri come la notte. Nemmeno la malattia era riuscita ad oscurare la luminosità del suo sguardo. Era troppo bella mia madre e neanche la morte sarebbe riuscita a strapparle via la sua eterna bellezza. Io ero considerata bella tanto quanto lei, ma ero diversa. Probabilmente assomigliavo a mio padre, chiunque egli fosse. Non badavo particolarmente al mio aspetto esteriore perché preferivo coltivare l'armonia dell'anima ma, in quanto meretrice, ero costretta ad apparire sempre in ordine e perfetta. Il mio aspetto, in quegli anni, era incredibilmente affascinante. I miei occhi erano blu e nel pieno del loro splendore, ricordavano il colore del mare quando viene un'inaspettata tempesta. Il mio corpo era esile e sodo. I miei fianchi alti e il mio seno perfetto erano il sogno proibito di ogni uomo. Ero una prostituta, schiava del sesso certo, ma non appartenevo a nessuno. Lavoravo per me stessa, senza dover rendere conto dei miei guadagni. Ero fortunata perché la maggior parte della mie colleghe doveva sottostare ad un padrone, spesso crudele. La mia fortuna era quella di aver avuto una madre generosa che mi aveva lasciato un appartamento di mia proprietà e dovevo solo pagare un affitto per la mia cella meretricia, la misera stanza dove mi prostituivo. Mi ritenevo fortunata, anche se di certo non era quella la vita che avrei scelto per me. Ero una sognatrice da bambina, una vera sognatrice. Credevo che i bambini nascessero da una conchiglia, ma la vita non perse tempo a farmi svegliare dal mio bellissimo e dolcissimo sogno. Divenni una prostituta a diciannove anni.