Tettonica a zolle - ENEA - Agenzia nazionale per le nuove

Emilio Santoro
Tettonica a zolle
Appunti di
A cura di Emilio Santoro
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Struttura interna della Terra
Sulla superficie della Terra ci sono tracce inequivocabili di processi imponenti che si sono verificati durante il corso
delle ere geologiche:
• masse rocciose di ogni età, fratturate e deformate;
• fratture della lunghezza di decine o centinaia di chilometri;
• catene montuose che segnano fasce corrugate di migliaia di chilometri di lunghezza e centinaia di larghezza;
• immense cinture di vulcani attivi.
Quali sono i meccanismi dei grandi processi geodinamici?
Iniziamo con un modello che descrive la parte interna del nostro pianeta. Secondo questo modello, la Terra è
fatta un po’ come una pesca (figura 1). La sua parte più esterna, quella che corrisponderebbe alla buccia, è
chiamata crosta; essa, analogamente alla buccia della pesca, è molto
sottile: nella similitudine, la crosta avrebbe all’incirca lo spessore
della sua buccia. La parte corrispondente alla polpa è chiamata
mantello, che coinciderebbe con una polpa di spessore leggermente
inferiore a quello delle pesche normali. La parte che corrisponde al
nocciolo, cioè il nucleo, sarebbe invece un po’ più grande. C’è una
profonda differenza tra la crosta che costituisce i continenti e quella
che costituisce i fondali marini. Infatti, le rocce che costituiscono la
crosta continentale sono più leggere di quelle che costituiscono la
crosta oceanica. Inoltre, la crosta continentale è più spessa di quella
oceanica. Entrambi questi tipi di crosta poggiano sulla parte esterna
del mantello, che è più densa della crosta. La parte esterna del
mantello arriva a una profondità di un centinaio di chilometri e
anche essa è più profonda sotto la crosta continentale che non sotto
la crosta oceanica. All’insieme dei due strati (crosta e parte esterna
del mantello) diamo il nome di litosfera.
Dobbiamo poi distinguere la litosfera in litosfera continentale, che è
quella più spessa, che contiene gli strati di crosta continentale ed è
quindi più leggera, cioè ha peso specifico minore, e in litosfera
oceanica, che è quella che comprende la crosta oceanica, che ha peso
specifico maggiore. Un ulteriore strato, sempre appartenente al
Figura 1. Interno della Terra
mantello, è quello al di sotto della litosfera, fino a 700 chilometri di
profondità. Esso è chiamato astenosfera. Questa zona è costituita da
materiale viscoso, forse parzialmente fuso come la lava. Più in profondità dell’astenosfera, il mantello si irrigidisce
nuovamente. Si può pensare alla litosfera come a una massa rocciosa solida che galleggia sull’astenosfera, che è
una massa calda e viscosa. Ma si è visto che la litosfera non è omogenea, perché quella oceanica “pesa” di più di
quella continentale: le parti di litosfera continentale infatti sprofondano di più nell’astenosfera e risultano
parimenti più emerse rispetto alle parti di litosfera oceanica. In base a questo modello, ci dovremmo aspettare che
un appesantimento di una parte della litosfera provochi un suo abbassamento, mentre un alleggerimento
dovrebbe provocare un innalzamento. Ebbene, alcune osservazioni dimostrano che la Scandinavia si è abbassata
sotto il peso dei ghiacci nell’Era Glaciale e che oggi si sta lentamente risollevando in conseguenza
dell’alleggerimento dovuto alla sparizione dei ghiacci per fusione della calotta glaciale.
Questo modello, introdotto più di un secolo fa, sebbene in accordo con alcune osservazioni geodinamiche, non
spiegherebbe tuttavia l’origine dell’energia necessaria per fratturare le rocce, per produrre i corrugamenti
costituiti dalle grandi catene di montagne, per generare le cinture di vulcani e, più in particolare, non spiega la
distribuzione dei terremoti sulla Terra. Il modello dei movimenti solo verticali della litosfera non chiarisce però la
complessità dei fenomeni.
Modello della tettonica a placche
La cartina della Terra di figura 2 mostra come è distribuita la sismicità terrestre, cioè dove si verificano più
frequentemente i terremoti. Come si vede, i terremoti si addensano lungo alcune strisce e sono praticamente
assenti nelle altre zone. Osservando come si presenta la superficie terrestre in queste zone di concentrazione
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dei terremoti, notiamo che esse sono caratterizzate dalla presenza di grandi catene montuose o da catene di
vulcani o ancora dalle dorsali oceaniche, che sono imponenti catene di montagne sottomarine alte fino a 3000
m, lunghe oltre l0.000 km e larghe mediamente 2.000 km, che si ergono dal fondo degli oceani nei bacini
dell’Atlantico, del Pacifico, dell’Oceano Indiano e del Mar Glaciale Artico.
Il modello degli spostamenti verticali non spiega in modo soddisfacente l’addensarsi delle catene montuose,
delle cinture di vulcani, delle dorsali oceaniche nelle zone di maggiore sismicità. Per superare le inadeguatezze
del modello degli spostamenti verticali, è stato definito un diverso modello, detto modello della tettonica a
placche o della tettonica a zolle.
Con il termine “tettonica” ci riferiamo ai processi che portano alla formazione ed evoluzione delle catene
Figura 3. Suddivisione della superficie terrestre in zolle
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Figura 2. Distribuzione degli epicentri dei terremoti
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montuose, dei vulcani, delle fratture ecc. Tettonica a zolle vuol dire che questi processi sono spiegati con i
movimenti delle zolle di cui tra breve parleremo. Il ragionamento che ha portato a questo modello è grosso
modo il seguente: la fasce lungo cui si addensano le configurazioni geodinamiche prima ricordate, sono zone
di frattura della litosfera. Queste zone di frattura possono essere interpretate come i margini di placche di
litosfera. Secondo questa ipotesi, allora, la litosfera sarebbe costituita da tante placche o zolle, rigide, i cui
confini sono individuabili dalle fasce in cui si addensano i terremoti.
In figura 3 è mostrato come i geologi hanno suddiviso la superficie terrestre in un certo numero di placche, che
galleggiano sull’astenosfera.
Per comprendere i movimenti di queste placche supponiamo di far galleggiare su di un liquido alcune placche
di sughero. Scaldando il liquido, si nota che le placche si cominciano a muovere sul pelo del liquido: ciò è dovuto
ai movimenti che si sviluppano all’interno del liquido caldo. Questi movimenti che si sviluppano in un liquido
caldo si chiamano movimenti convettivi.
Dunque, i movimenti convettivi del liquido su cui abbiamo posto le placche di sughero fanno spostare queste
placche orizzontalmente.
Si pensa che qualcosa di analogo possa accadere per le placche di litosfera galleggianti sull’astenosfera calda.
A causa dei movimenti convettivi dell’astenosfera, le placche di litosfera si spostano orizzontalmente e i loro
margini o entrano in collisione e vengono allora detti margini convergenti, o si allontanano, e sono chiamati
margini divergenti, o scorrono uno accanto all’altro e si definiscono quindi margini trasformi.
Con i movimenti orizzontali delle placche, cerchiamo di dare una spiegazione all’addensarsi dei terremoti in
fasce preferenziali e alla presenza di catene montuose, dorsali oceaniche, cinture di vulcani ecc.
Innanzitutto, osserviamo che due sono gli elementi che determinano il particolare tipo di configurazione
geodinamica risultato dell’interazione di due zolle:
1. il movimento relativo delle zolle: esse infatti possono allontanarsi, avvicinarsi o scorrere una contro l’altra;
2. il tipo di margini che interagiscono: ci può essere infatti una interazione tra due margini oceanici o tra due
margini continentali, o ancora tra un margine continentale e uno oceanico.
Vediamo che cosa accade nei diversi casi:
margini divergenti
margini convergenti
Fonte: Università di Pavia
• margini divergenti: si trovano in corrispondenza delle dorsali oceaniche (dorsale medio-atlantica che si
sviluppa dal Polo Nord al Polo Sud) dove le zolle si separano e si forma nuova crosta;
• margini convergenti: le placche si avvicinano e la crosta si consuma; si trovano in corrispondenza delle fosse
oceaniche (Pacifico occidentale) e delle zone di subduzione. Per subduzione si intende lo scorrimento di una
placca litosferica sotto un’altra ed il suo conseguente riassorbimento nella astenosfera (come è accaduto
lungo le coste pacifiche del Sud-America, portando alla formazione della catena montuosa delle Ande);
• margini trasformi: le placche coincidono con una grande zona di frattura e scivolano semplicemente l’una
accanto all’altra senza produrre né distruggere la litosfera.
Tratto e adattato da:
M. Ferraris, V. Midoro, M. Ott, M. Stucchi – Che cosa sono i terremoti e come possiamo difenderci – CNR Istituto per le
tecnologie didattiche – CNR-SEI, 1984
Università di Pavia – Dipartimento di Scienze della Terra – Museo di Mineralogia (2006).
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