L’effetto fotoelettrico:
un’introduzione
Lezioni d'Autore
di Claudio Cigognetti
VIDEO
LE CELLE FOTOELETTRICHE
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Alcune delle prime celle
fotoelettriche erano costituite da
coppie di metalli poste sotto
vuoto in una piccola ampolla di
quarzo e collegate a una pila.
Una delle superfici metalliche
era semplicemente una griglia o
un anello capace di far passare
la luce e non molto sensibile
all’effetto fotoelettrico a causa
della sua alta frequenza di soglia
(I)
LE CELLE FOTOELETTRICHE
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la seconda superficie, molto più
estesa, era realizzata con un
metallo alcalino capace di
trasformare l’energia di molti
quanti di luce di frequenze
diverse in elettroni
le microcorrenti che si
generavano tra i due elettrodi
potevano essere rilevate
attraverso un sistema di
amplificazione
L’interruzione del fascio di luce,
come succede ancor oggi,
attivava il dispositivo
(II)
L’APPORTO DI MILLIKAN
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La prima tecnologia delle celle è
riconducibile direttamente alle
ricerche coordinate da Robert A.
Millikan
L’obiettivo del fisico
statunitense, che già aveva
misurato con grande precisone
la carica elementare e la
costante di Avogadro, era quello
di determinare, tramite lo studio
dell’effetto fotoelettrico di tre
metalli alcalini (litio, sodio e
potassio), la costante di Planck
h.
(I)
L’APPORTO DI MILLIKAN
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(II)
All’interno di un tubo sotto vuoto tre cilindri di questi metalli
erano montati su una ruota; l’illuminazione con luce
monocromatica del metallo provocava l’emissione di elettroni
che fluivano verso il secondo elettrodo (indicato con C nella
figura).
L’energia massima degli elettroni
emessi era studiata in funzione
della frequenza (cambiando il
fascio monocromatico con
opportuni filtri che selezionavano
la luce di una lampada).
L’APPORTO DI MILLIKAN
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(III)
La particolarità dei metalli alcalini era quella di essere attivi
anche con luce diversa da quella ultravioletta. In questo
modo il fascio parzialmente riflesso sul secondo metallo
(attivo solo per luce ultravioletta) non generava, a sua volta,
fotoelettroni.
L’incapacità i selezionare in modo semplice le velocità degli
elettroni era stata aggirata, già all’inizio del Novecento, con
misure d’intensità di corrente e differenze di potenziale tra i
due metalli.
L’APPORTO DI MILLIKAN
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(IV)
Regolando opportunamente la tensione (tenuto conto anche
del potenziale di contatto dovuto al collegamento necessario
per le misure elettriche) era possibile arrestare il flusso a un
particolare valore di differenza di potenziale V.
L’energia cinetica massima era posta uguale al lavoro
elettrico (prodotto tra V e la carica elementare e).
IL CONTRIBUTO DI EINSTEIN
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(I)
Einstein nel 1905 aveva ipotizzato che l’energia radiante
fosse costituita da quanti di luce (di energia hf, ma la
costante di proporzionalità non era indicata con il simbolo
planckiano h) e previsto per l’effetto fotoelettrico
un’equazione per il potenziale in funzione della frequenza f di
tipo lineare con pendenza indipendente dal metallo illuminato
dalla radiazione.
“A me sembra che le osservazioni sulla radiazione di corpo
nero, la fotoluminescenza, la generazione dei raggi catodici
tramite luce ultravioletta […] appaiano più comprensibili
nell’ipotesi di una distribuzione spaziale discontinua
dell’energia luminosa […]; essa consiste di un numero finito
di quanti di energia, localizzati in punti dello spazio, i quali si
muovono senza dividersi e possono essere assorbiti e
generati solo nella loro interezza.”
IL CONTRIBUTO DI EINSTEIN
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(II)
Tra il 1905 e il 1913, nonostante le resistenze di
alcuni ricercatori, si andò affermando la legge
V= kf + costante
con f frequenza della radiazione.
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Il valore k, ricavato dalle misure di molti metalli, era,
nel 1913, valutato come media, prossimo
a 3,6 10-15 V/Hz.
IL CONTRIBUTO DI EINSTEIN
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Poiché il coefficiente
angolare k era, secondo
la teoria di Einstein
aggiornata con la
notazione della costante
di Planck h, uguale al
rapporto h/e, si può
confrontare k con i valori
approssimati delle
costanti (h=6,6 10-34 J s,
e=1,6 10-19 C) oggi
accettati, ottenendo: 4,1
10-15 V/Hz.
(III)
MILLIKAN E LA COSTANTE DI PLANCK
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(I)
Nel 1913 anche dal punto di vista teorico per
l’effetto fotoelettrico si prevedeva un coefficiente
della retta indipendente dal metallo e uguale al
rapporto: costante di Planck/carica elementare.
Conoscendo allora la carica dell’elettrone e il
coefficiente angolare era possibile determinare la
costante h. Millikan cercò, attraverso lo studio
dell’effetto fotoelettrico, di avvicinarsi al valore di
h=6,55 10-27 erg s
I risultati di Millikan nel 1916: h=6,57 10-27 erg s,
stimavano un errore relativo del 5%, incompatibile
con le misure odierne. Nonostante Millikan avesse
avvalorato “l’equazione di Einstein” egli non accettò
l’ipotesi corpuscolare dei quanti di luce.
MILLIKAN E LA COSTANTE DI PLANCK
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(II)
Nel 1918 il padre della costante h e della teoria del
corpo nero, Max Planck, fu insignito del premio
Nobel per la fisica.
Nel 1921 fu la volta di Albert Einstein. Nella
motivazione era citata la teoria dell’effetto
fotoelettrico.
Due anni più tardi Robert Millikan per le sue
ricerche sulla carica elementare e l’effetto
fotoelettrico ricevette l’ambito premio.
Solo però dopo gli studi sulla diffusione dei raggi X
di Arthur Compton, si affermò nella comunità
scientifica l’accettazione dell’ipotesi del quanto di
luce di Einstein.
FINE