appunti di pedagogia della relazione educativa

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APPUNTI DI PEDAGOGIA DELLA RELAZIONE EDUCATIVA
La pedagogia, almeno fino al secondo Dopoguerra , è considerata una disciplina
“ancella” della filosofia, una sorta di applicazione pratica derivante da riflessioni
filosofiche.
La pedagogia è uguale applicazione delle ipotesi valoriali che venivano fatte dalla
filosofia (il problema è che esistevano tante filosofie, di conseguenza le pedagogie
erano ideologicamente connaturate alla filosofia da cui discendevano), quindi la
pedagogia non aveva una propria identità e rimaneva legata a queste ideologie più o
meno dominanti. Le ideologie hanno un potere che qualche volta i trasforma in potere
politico, sia come potere politico di chi comanda, sia di chi si oppone. oggi la
pedagogia si considera scienze dell’educazione.
IDEOLOGIA:correnti di pensiero più o meno dominanti che fanno riferimento a
concetti filosofici di base (non articolati) ed hanno un potere pontico (sia politico che
sociale).
Solo nel secondo Dopoguerra, a fronte degli ampi cambiamenti politici, economici,
sociali e culturali, la pedagogia cerca una più forte definizione del proprio statuto
epistemologico. Essa, di conseguenza:
 Tenta di diventare una scienza autonoma;
 Si apre agli apporti offerti da altre discipline (psicologia, antropologia,
filosofia, sociologia ecc…).
La pedagogia subisce, così, un profondo cambiamento.
Ciò avviene, perché in quegli anni i nostri confini culturali si aprono alla cultura che
proviene dal mondo anglosassone ed in particolare dalle Americhe. Ciò non è
accaduto prima, perché nel periodo fascista il nostro paese è stato in qualche modo
legato ad un ideologia nazista che costringeva l’Italia a chiudersi all’istanza che
provenivano dai paesi che non avevano al potere una tendenza politica di carattere
totalitario (come l’America, la Francia e la Gran Bretagna). Con la sconfitta subita
nella seconda Guerra Mondiale, gli americani e i francesi “invasero” il nostro paese
con la loro letteratura; quindi la pedagogia cambia, perché in America c’è la tendenza
democratica e la pedagogia strettamente strettamente legata alla corrente pragmatista
che costringe l’Italia ad aprire gli occhi su una realtà che fino ad allora era
completamente sconosciuta. Gli americani avevano una tipologia educativa diversa
dalla nostra, avevano scuole con programmi diversi dai nostri, avevano un trand di
fondo di carattere teorico strettamente legato all’azione, al comportamento, al
rapporto col discente, poco legato ai contenuti classici, per cui l’Italia riteneva che gli
americani fossero profondamente ignoranti per quando riguardava la nostra cultura
classica (latino e greco). Essi, infatti, davano una grandissima importanza alla
scienza, alla tecnologia, alla fisica, alla matematica e tutto questo dimostrava
chiaramente che questo tipo di preparazione era vincente sul piano produttivo ed
economico. Sta di fatto, che la cultura italiana viene invasa da queste proposte
pedagogiche nuove che mettono in crisi la nostra pedagogia “ancella” della filosofia,
la quale si trova completamente disarmata ad affrontare questo tipo di problema e si
rende conto che non può essere così dipendente dalla nostra filosofia, anche perché
nel frattempo si sono costruite discipline veramente significative per il discorso
educativo (come la psicologia, l’antropologia, la sociologia ecc…). A questo punto la
nostra pedagogia capisce che deve trovare una propria identità che la libera dalla
filosofia e che l’agganci alle nuove valenze, discipline; i più attenti si rendono anche
conto, però, che un rifiuto totale della filosofia è sbagliato, perché comunque la
filosofia è un’elaboratrice di valori e i valori sono un elemento estremamente
significativo nella formazione del processo educativo.
VANTAGGI: la pedagogia può rispondere alle esigenze educative in materia più
completa ed organica, considerando nel processo formativo, tutti i fattori ( sociali,
culturali, ambientali, biologici, ecc…) che concorrono alla formazione integrale
dell’individuo, un formazione che non riguarda più la sola fanciullezza, ma che
dura tutta la vita: la pedagogia non si occupa solo del bambino, ma di infiniti
problemi che accompagnano l’uomo dalla nascita fino alla sua morte.
RISCHI: la pedagogia rischia perdere la sua identità, perché potrebbe frammentarsi
nelle discipline di cui ha bisogno.
Da qui nasce un discorso sul quale si è discusso molto negli anni 50 e cioè sulla
metodologia interdisciplinare e multidisciplinare che può consentire ad una scienza,
quale è la pedagogia di avere un rapporto con tutte le altre discipline pur restando
pedagogia. Nell’ambito di questo processo di ridefinizione scientifica, si definisce il
passaggio dalla pedagogia alla scienze dell’educazione. Uno dei primi a descrivere
questo passaggio è Gaston Mialaret, il quale negli anni 60, un modello di pedagogia
antidogmatico e pluralista che approfondisce i problemi dell’educazione grazie
all’apporto scientifico offerto dalle altre discipline.
In Italia, Aldo Visalberghi è stato un importante pedagogista che con la
pubblicazione, nel 1974, della sua opera “Pedagogia e scienze dell’educazione”
propone un’enciclopedia che divide in quattro macro aree: la psicologia, la
sociologia, la metodologia didattica e quella dei contenuti culturali e propone uno
schema circolare. Il testo esamina il rapporto fra pedagogia e scienze dell’educazione.
Cosa si intende per scienza?
Due sono gli elementi che caratterizzano la scienza:
 Il primo è metodologico, cioè ogni scienza si basa su esperienze replicabili,
quindi la scienza ha una natura empirico – sperimentale;
 Il secondo è logico strutturale, cioè ogni scienza è costituita da una serie di
enunciati coerenti e ordinati, quindi è un sistema con una struttura ipotetico –
deduttiva. In altre parole, ogni scienza si basa sulla prassi e sulla teoria.
In questo nuovo quadro, cambia anche il ruolo dell’educatore; egli, infatti, deve
conoscere:
 La materia che insegna;
 L’allevio
 I metodi per insegnare (problema che nasce già nell’ 800 con Pestalozzi);
 La società in cui avviene l’azione educativa.
Tuttavia, oggi il rapporto docente/discente è solo uno dei momenti del più ampio
rapporto tra le istituzioni e una pluralità di alunni. In questo quadro, la funzione
dell’educatore cambia radicalmente: piuttosto che di educare, maestro ecc… è più
corretto parlare di operatore di processi educativi.
Data la pluralità di soggetti coinvolti nel processo formativo (genitori,
maestri,educatori in genere ecc…) cambiano anche le scienze dell’educazione.
Visalberghi le organizza in maniera circolare ( come una vera e propria enciclopedia)
e le divide i 4 settori:
 Settore psicologico (comprendente la psicologia generale, psicologia dell’età
evolutiva, psicologia dell’apprendimento ecc…)
 Settore sociologico (comprendente la sociologia generale, sociologia dei
gruppi, antropologia sociale e culturale ecc…)
 Settore metodologico didattico ( comprendente la docimologia, ovvero la
disciplina che si occupa della valutazione, la pedagogia speciale, le tecnologie
educative, l’informatica ecc…);
 Settore dei contenuti (comprendente la storia dell’educazione, la della materia
specifica e le teorie del curricolo ecc…)
Ogni educatore deve conoscere ( anche se in modo non approfondito) gli elementi di
base di tali discipline.
Tuttavia, Visalberghi è consapevole che ci sono delle omissioni ( la pedagogia
generale, la filosofia dell’educazione, la biologia ecc…); consapevole che tali
discipline fanno parte delle scienze dell’educazione, saranno comunque oggetto di
discussione nel caso del volume. Allo stesso modo, egli nota che, nell’ambito delle
scienze dell’educazione sono inserite delle discipline che non hanno un vero e
proprio statuto scientifico ( ad esempio la teoria del curriculo, le tecniche educative
ecc…), le quali, tuttavia, sono parti importanti delle scienze del’educazione.
Mialter offre la seguente sistemazione delle scienze dell’educazione, differente da
quella proposta di Visalberghi:
1. Scienze che studiano le condizioni generali e locali dell’istituzione
scolastica ( sociologia scolastica, demografia scolastica, economia
dell’educazione, educazione comparata);
2. Scienze che studiano la relazione pedagogica e l’atto educativo stesso, si
divide tra:
a) Scienze che studiano le condizioni immediate dell’atto
educativo ( fisiologia dell’educazione, psicologia
dell’educazione, psicosociologia dei piccoli gruppi, scienze
della comunicazione);
b) Scienze della didattica delle differenti discipline;
c) Scienze dei metodi e delle tecniche;
d) Scienze della valutazione
3. Scienza della riflessione e dell’educazione (filosofia dell’ educazione,
pianificazione dell’educazione e teoria dei modelli).
Tuttavia i primi settori non sono molto diversi dal settore psicologico e da quello
metodologico - didattico. Il terzo “modulo” prevede un’impostazione più
strettamente filosofica.
SCIENZE DELL’EUCAZIONE E FORMAZIONE DEGLI
INSEGNANTI
Ma come può un pedagogista dominare tutte le scienze dell’educazione?
La soluzione potrebbe essere quella di ridurre tutte le scienze dell’educazione ad una
sola pedagogia scientifica. Ma è possibile ciò?
L’ipotesi di un pedagogia scientifica si esaurisce con il Positivismo. Dewey
immaginava una scienza ancora di costruire, attingendo alle “scienze ausiliarie
dell’educazione”. Anche De Bartolomeis ( “La pedagogia come scienza” 1953)
osserva che tale disciplina non esiste.
In questa prospettiva è dunque giustificato l’uso plurale dell’espressione scienze
dell’educazione. Pur non potendo pretendere che ogni educatore abbia una
conoscenza approfondita di tale scienza dell’educazione , è necessario che possieda le
conoscenze di base delle varie discipline per avere una buona formazione.
Ma come stabilire i livelli di conoscenza necessari?
Visalberghi sottolinea, l’importanza che ogni insegnante si lasci guidare, oltre che
dalle conoscenze scientifiche, anche dal “buon senso” acquisibile con la pratica e
l’esperienza: queste ultime non hanno alcun valore senza supporti scientifici, così
come nessuna conoscenza scientifica è efficace senza esperienza.
Un semplice approccio di ricerca non può essere anche interdisciplinare, può essere
giuridico e ambiguo. La metodologia interdisciplinare non va confusa con quella
multidisciplinare o pluridisciplinare o con quella trandisciplinare.
La metodologia interdisciplinare implica una collaborazione tra specialisti di campi
affini e confinanti che interagiscono tra loro anche nell’organizzazione metodologica
e concettuale di un indagine anche settoriale.
PSICOLOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE
Il rapporto tra psicologia e scienze dell’educazione risente oggi della crisi che la
psicologia sta attraversando. Tale rapporto, pertanto, non può concretizzarsi in una
serie di indicazioni teoriche ( di natura psicologica ) applicata ad un ambito pratico
(l’educazione). Tale crisi è stata determinata, tra l’altro, da:
1. La crisi del modello d’insegnamento apprendimento comportamentista;
2. La conseguente ridefinizione del modello di uomo e dei suoi stili di
apprendimento;
3. La seguente ridefinizione del ruolo dello psicologo.
In questo quadro, come si ridefinisce la “psicologia dell’educazione”?
Spesso si è trattato di un “prestito” di informazioni da un ambito ad un altro. Per tale
motivo sono nate le “pedagogie spontanee” di psicologia il cui unico interesse era
l’applicazione pratica delle loro teorie e psicologie analizzate spesso superficialmente
e poco scientificamente da pedagogisti che cercavano una conferma alle loro teorie.
Al contrario, già Dewey si mostrava favorevole ad una forma di collaborazione tra le
discipline. Ma cosa cambia nella pratica? Lo scienziato non è più un teorico che offre
soluzioni precostituite, senza badare al campo d’azione, ma è un operatore
responsabilizzato della conduzione dell’attività formativa, che lavora nel gruppo
degli operatori scolastici in uno scambio reciproco di conoscenze. Cambia anche il
campo delle conoscenze, si annulla la differenza tra le diverse scuola psicologiche, si
dà dignità teorica all’impegno pratico, s’allarga l’area dell’intervento scientifico.
Innanzitutto, non è sempre possibile scindere la psicologia dell’educazione dalla
psicologia generale. Spesso inoltre tale disciplina risente della divisione tra obiettivi
cognitivi ed obiettivi socio-affettivi. Sul piano dei processi formativi, questa scissione
può produrre una rottura tra le istituzioni e l’educazione, tra il momento della crescita
intellettuale e quello della crescita generale della personalità. Il modo di fare scuola
non era centrato fino a poco tempo fa sull’esperienza e la deduzione del docente su
una sorta di artigiano: oggi c’è, invece, la tendenza ad industrializzare il processo
d’insegnamento introducendo elementi di razionalità e di professionalità
specializzata, cioè renderebbe più produttivo tale processo, ciò vorrebbe dire stabilire
con attenzione obiettivi e metodi educativi nonché i metodi di valutazione del
conseguimento di tali obiettivi. Proprio per questo motivo si è cercato di dare una
definizione più attenta degli obiettivi fornendo un sistema di riferimenti concreti su
cui orientarsi. La definizione degli obiettivi comporta una serie di vantaggi:
a) Consente di articolare in modo coerente le tappe intermedie;
b) Consente una razionale pianificazione dell’intervento didattico;
c) Riduce margini di ambiguità del processo di insegnamento e
apprendimento;
d) Consente di determinare criteri oggettivi di verifica e valutazione;
e) Facilità il coinvolgimento dell’allievo nel processo, in quanto gli si indica
un meta tangibile;
f) Permette di andare oltre la semplice scelta dei contenuti.
Nella definizione dei contenuti sono stati identificati:
1. La tassonomia di Bloom;
2. La gerarchia degli apprendimenti di Gagnè;
3. La classificazione dei fattori intellettuali di Guildford.
La tassonomia di Bloom è organizzata su sei livelli disposti in ordine gerarchico,
ciascuno dei quali presuppone i precedenti ed è propedeutico al successivo e serve
per l’identificazione dei parametri su qui fondare l’azione di verifica. Essi sono:
1. La conoscenza ( capacità di ricordare elementi specificativi a contenuti,
metodi ecc…);
2. La comprensione ( capacità minima di utilizzare ciò che si conosce);
3. Le applicazioni ( capacità di usare elementi astratti acquisiti in situazioni
concrete);
4. L’analisi ( capacità di identificare gli elementi e le relazioni interne ad
un sistema);
5. La sintesi ( capacità di dare un organizzazione ad una serie di elementi,
producendo una comunicazione unitaria ad un programma di intervento
e una serie di relazioni astratte);
6. La valutazione ( capacità di produrre giudizi circostanziati quantitativi e
qualitativi)
L’idea è quella di creare l’ipotesi concreta di aggregazione da diversi tipi di
apprendimenti. Anche in questo caso c’è un modello gerarchico:
1.
2.
3.
4.
5.
Apprendimento di segnali ( reazione emotiva a determinare segnali);
Apprendimento di connessioni stimolo – risposta;
Concatenazione ( sequenze di più connessioni stimoli – risposta);
Associazione verbale apprendimento;
Apprendimento di discriminazione ( risposte differenziate a stimoli
apparentemente omogenei);
6. Apprendimento di regole ( catene di concetti che danno luogo a dei principi);
7. Apprendimento di concetti ( risposta comune agli stimoli apparentemente
omogenei);
8. Problem solving , combinazione di una serie di regole per risolvere problemi
nuovi.
LA NON DIRETTIVITA’
Tra i fautori della non direttività viene scelto quale esponente Carl Rogers, un clinico
non perché sia uno psicologo dell’educazione, ma perché dalle sue idee nasce in
filone di intervento, non solo pratico, ma anche teorico.
La sua teoria della libertà di apprendimento prende avvio da un’analisi della prassi
didattica: innanzitutto, si dà una valutazione fortemente nell’insegnamento,
considerato come uno statico condizionamento delle nuove generazioni da parte delle
vecchie; bisogna dunque, favorire il cambiamento.
In questa prospettiva, il ruolo dell’insegnante si trasforma in quello di facilitatore
dell’apprendimento.
Quali attitudini dovrebbe avere il facilitatore dell’apprendimento?
Egli dovrebbe essere innanzitutto “genuino”, sincero e disposto al dialogo con lo
studente pronto ad accettare pensieri ed opinioni e a creare con lui un rapporto
empatico. Il limite di Rogers è l’eccesso di “terapismo”: egli si è preoccupato
unicamente di portare l’analisi clinica nelle scuole, sovrapponendo la scienza
psicologica a quella didattica.
LA PSICOLOGIA DEL BAMBINO
Vale quindi la pena di ricordare che gran parte dell’attuale quadro della psicologia
dell’educazione trae origine dalla psicologia infantile, della quale diventa qui
importante valutarne gli indirizzi generali di ricerca, collegandoli a specifici aspetti
dell’elaborazione e della pratica pedagogica e didattica.
LA MATURAZIONE FISICA
In questa categoria, sono raccolte le teorie di coloro che ritengono che lo sviluppo
del bambino sia legato a processi interni, biologici, soprattutto di maturazione fisica.
L’eduzione non dovrebbe fare altro che tenere conto di questa crescita naturale,
organizzando gli interventi in relazione alle tappe di crescita soggettiva.
In questo quadro, l’ambiente non ha un ruolo determinate nello sviluppo. Tuttavia
non si tratta di una teoria generica, in quanto accetta quale fattore dello sviluppo il
principio della maturazione biologica. Se gli interventi pedagogici e didattici devono
tener conto dei tempi di crescita biologica, allora possiamo parlare di permissività
pedagogica. L’educazione, in altre parole, non può fare altro che accompagnare il
processo della crescita.
SOCIOLOGIA E STORIA DELL’EDUCAZIONE
Data la crescita qualitativa e quantitativa dei problemi connessi alla formazione
scolastica, è difficile trovare una scienza sociale che non abbia nel suo ambito una
delimitazione relativa all’educazione.
Tuttavia, data la varietà degli ambiti legati a queste due discipline, sono possibili
alcune forzature in questo processo di specializzazione:

Una disciplina di settore tende ad assumere potere interpretativo che al di
là del suo oggetto specifico;

Da una disciplina specifica si crea un ambito relativo all’educazione,
anche se non troppo inerente; Proprio per questo motivo sono stati identificati
degli ambiti precisi:
a) Per il versante delle scienze sociali, si può parlare di sociologia
dell’educazione politica dell’educazione, diritto,economia, scienze della
programmazione, demografia, antropologia;
b) Per il versante delle scienze storiche, si può parlare di storia della
pedagogia, storia dell’istruzione scolastica, storia generale della cultura
e della comunicazione sociale.
Nella descrizione dei vari ambiti l’autore individua alcuni autori e saggi, non a scopo
esemplificativo, ma come testimonianza della varietà delle posizioni emesse e dei
problemi sottostanti.
SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZONE
L’autore parte da V. Cesareo “Sociologia dell’educazione” (1976), vengono indicati
due momenti nello sviluppo di tale disciplina:
a) Una prima fase moralistica;
b) Una seconda fase centrata sul carattere conflittuale che hanno a livello
sociale i processi.
La prima fase, identificata con l’educational sociology sviluppata in America tra la
fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, era centrata sul valore di trasformazione
sociale rivestito dall’educazione.
In pratica, l’imperfezione dell’uomo veniva colmata dall’educazione: di qui, l’enfasi
missionaria della proposta, che si esauriva in formule esortative di carattere
ideologico. In questo caso, il discorso sociologico era finalizzato ad una messa a
punto delle tecniche di controllo di trasmissione culturale. La seconda fase, dai
contorni storici non precisamente definibili, è quella della sociologia dell’educazione
vera e propria:
l’educazione costituisce, cioè un campo specifico dell’indagine sociologica.
Quest’ultima conosce tre direzioni di sviluppo:

La socializzazione politica e i rapporti tra scuole;

La stratificazione sociale e mercato del lavoro;

L’effetto dell’innovazione sul comportamento dei gruppi sociali.
Per socializzazione politica s’intende il compito della scuola di trasmettere modelli di
comportamento e contenuti culturali da una generazione all’altra, con tutti gli effetti
di condizionamento ideologico e sociale che ciò comporta.
Quest’ambito è quello che ha suscitato la maggiore ondata polemica ( ad esempio
dopo la contestazione studentesca del 1968), soprattutto sulla base della funzione di
discriminazione di classe e di riproduzione degli equilibri sociali esistenti assunta
dalla scuola. Tale funzione verrebbe esercitata sia attraverso la trasmissione esplicita
di valori, sia i processi di selezione e di emarginazione. Su questo aspetto fu offerto
un contributo significativo da Bondieu e Passeron, i quali affermavano: “ogni potere
di violenza simbolica, cioè ogni potere che riesce a imporre dei significati e ad
imporli come legittimi dissimulando i rapporti di forza su cui si basa la sua forza,
aggiunge la propria forza, cioè una forza specificatamente simbolica, a questi rapporti
di forza”
In pratica, ogni intervento pedagogico si concretizza in una violenza simbolica, in
quanto è un’imposizione ideologica di contenuti. Quindi la presenza di un sistema
scolastico istituzionalizzato garantisce un lavoro pedagogico di inculcamento,
necessario a garantire la sopravvivenza e la legittimazione dell’ordine sociale
costituito.
L’organizzazione scolastica, pertanto, traduce le ineguaglianze sociali in eguaglianze
scolastiche.
In Italia, posizioni simili sono state assunte, ad esempio, dall’opera-denuncia di Don
Lorenzo Milani “Lettera ad una professoressa” dove punta il dito contro le persone
dialettofone, poiché egli ritiene che siccome loro sono costretti ad eseguire un doppio
processo di apprendimento non possano seguire un’educazione normale come gli
altri.
Dall’ampio movimento di contestazione sorto attorno a queste posizioni sono emersi
che i suoi “punti deboli”, così sintetizzati dal francese Sydners:
a) Si identificala classe sociale con la classe scolastica, considerando la
prima solo in relazione al capitale culturale posseduto, tralasciando i
mezzi di produzione;
b) È una denuncia fine a se stessa, poiché poggia sull’assunto illuministico
che la realtà possa essere cambiata dalla pura conoscenza posseduta;
c) Si crea un sistema “chiuso”, in cui i fenomeni scolastici trovano la loro
giustificazione all’interno delle situazioni scolastiche, lasciando fuori dal
processo formativo tutti i fattori scolastici;
d) Le categorie su cui si fonda tale analisi sono essenzialmente statiche,
poiché la cultura è quella delle classi dominanti e queste ultime sono
riparazioni di ordini culturali.
Da queste considerazioni emerge la natura statica di un’analisi sociologica chiusa
all’interno della scuola rispetto alla necessità di ipotesi di trasformazione della prassi
educativa.
Il campo della sociologia che studia i rapporti tra scuola, stratificazione di classe e
mercato di lavoro appare invece più collegato a dimensioni di ricerca empirica. Nel
caso della stratificazione di classe ciò ha significato l’esplicitazione dei modi in cui si
esprime la selettività del sistema scolastico. L’analisi dei rapporti tra scuola e lavoro
si è invece centrata sull’individuazione scolastica e sviluppo sociale in rapporto ai
problemi posti dalla divisione tecnica del lavoro.
LA POLITICA DELL’EDUCAZIONE
Vanno qui distinti due livelli d’indagine: quello della sistemazione teorica e quello
della prassi di intervento.
Tuttavia, per quanto riguarda la situazione italiana, se è vero che esiste un profondo
intreccio tra sociologia politica e sociologia civile, è anche vero che l’evoluzione
politica si sente poco nell’ambito dell’istituzione scuola. A tale proposito,
significativo è l’intervento di L. Althusser (“ideologia e apparati di Stato”, 1970): si
tratta di un contributo di marca eminentemente marxista, nel quale si afferma che,
all’interno delle varie istituzioni, l’ideologia si fa strumento di riproduzione sociale.
Ciascuna istituzione, continua Althusser, funziona ”ad ideologia della classe
dominante”, pertanto ciascuna avrà la sua specificità nell’evoluzione storica; la
scuola è l’apparato ideologico dominante di Stato.
Al di là delle discrepanze presenti nel saggio di Althusser, va detto che esso va letto
in un determinato contesto storico-sociale (la contestazione del 1968).
IL DIRITTO
Di solito, i problemi legati al diritto appaiono di competenze del tecnico,
conseguenza di ciò è l’incapacità da parte della maggioranza degli operatori scolastici
di muoversi sul terreno delle norme, di leggerle ed interpretarle correttamente. Tale
gap è stato reso ancora più evidente con l’avvento dei decreti delegati, i quali hanno
sancito una maggiore possibilità di intervento delle famiglie da un parte e dei docenti
dall’altra. Per questi motivi, o le potenzialità delle nuove leggi sono rimaste
inespresse, o ci si è affidati all’aiuto di un esperto.
LA DIMENSIONE STORICA: LA STRUTTURA DELLA SCUOLA
Analizzando i processi formativi in prospettiva storica non significa solo descriverne
il senso diacronico l’organizzazione, ma significa anche cercare di cogliere il nesso
tra scuola e sviluppo sociale (intendendo per quest’ultimo anche sviluppo culturale,
politico, sociale e istituzionale). Esemplare, in questo senso, è l’opera di D. Bertoni
Jovine (“La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri”): è una sintesi della
ricostruzione delle tre diverse prospettive che hanno dominato lo sviluppo della
società italiana e quindi le sue istituzioni educative: il positivismo, l’idealismo, il
pragmatismo. Da un punto di vista contenutistico, invece, molta attenzione è rivolta
agli aspetti del lavoro della scuola, come le modalità di intervento didattico, le varie
innovazioni, ecc…
LA PRATICA EDUCATIVA. DAL PROGRAMMA ALLA
PROGRAMMAZIONE
Il ruolo del docente appare oggi molto più complesso ed articolato che in passato. Si
avverte spesso da più parti la crisi di tale ruolo. Tale crisi è vissuta sia come una
contraddizione tra la partecipazione diretta o indiretta a grossi progetti sociali di
cambiamento che investono la società da una parte e le limitazioni cui il docente è
costretto dal suo stesso lavoro scolastico dall’altra parte, determinate dalle carenze di
strumenti e di mezzi ecc…
Spesso tale crisi investe anche la teorizzazione pedagogica, divisa tra una letteratura
teorica di stampo spesso filosofico e la precettistica spicciola della letteratura
didattica. In questo contesto, il problema diventa allora definire il cambiamento in
un contesto di dialettica tra il vecchio e il nuovo.
Spesso sono i programmi ad essere accusati di essere vecchi. Pur nella loro
salvaguardia, va comunque tenuto presente che essi vanno attuati in realtà spesso
molto diversi tra di loro. Di qui, l’importanza dell’autonomia degli itinerari per
raggiungere tali traguardi. Pertanto, possiamo riassumere che il programma,
corrispondente alle indicazioni ministeriali, è qualcosa di statico, di definito, mentre
per programmazione s’intende un processo dinamico. Naturalmente, la volta verso il
cambiamento deve prevedere un’opera legislativa non totalizzante, ma elastica in
grado di rispondere correttamente sia all’esigenza di uniformare gli obiettivi minimi
sia a quella di rispettare le diverse realtà. A tali due esigenze si risponde
correttamente attraverso una dialettica reale tra programma e programmazione. Va
ricordato che una corretta programmazione si attua solo grazie ad un’analisi attenta
della realtà economica, sociale e culturale in cui si opera. Viene dunque a delinearsi
un nuovo concetto di autonomia della figura docente, il quale acquista un’effettiva
libertà da misurarsi però all’interno dei confini del rapporto dialettico tra tutti coloro
che partecipano alla vita della scuola.
Tali cambiamenti investono anche gli allievi, i quali hanno sempre recepito
passivamente gli insegnamenti del docente: si tratta di un atteggiamento che è stato
spesso visto in contrasto con l’invito ad essere creativi.
In realtà, la programmazione non può non richiedere l’esplicito intervento da parte
degli stessi destinatari, dei quali vanno riconosciuti gli interessi, la provenienza e la
capacità.
La pianificazione dell’insegnamento diventa quindi a sua volta una forma di
educazione: la responsabilizzazione dell’allievo produce a livello psicologico
un’ulteriore motivazione al lavoro scolastico, in quanto si annullano le competizioni
che hanno sempre caratterizzato gli ambiti scolastici, dato ce i risultati da raggiungere
sono soggettivi. Inoltre, gli alunni stessi hanno la possibilità di partecipare alla
valutazione dell’efficacia didattica dell’insegnante: ciò non si traduce nel “bocciare”
un docente selettivo, ma provoca la maturazione delle capacità auto regolative degli
studenti.
La necessità della programmazione determinano dei cambiamenti anche per il
docente: programmare significa, infatti, rinunciare alla meccanicità del suo ruolo
Ciò implica, inoltre, che il docente si fa carico di verificare non solo li apprendimenti
dei contenuti, ma anche la rispondenza della sua operatività didattica ai traguardi
generali e specifici.
Ciò implica anche che sia dato maggior risalto al lavoro di preparazione che si ponga
anche per il docente il tempo pieno. In altre parole, il tempo dell’insegnamento non è
soltanto quello che si spende in classe, ma è necessario un tempo aggiuntivo.
Nell’ambito della letteratura anglosassone si parla, invece, di curricolo. Tale
concetto nasce in determinati ambiti, come quello statunitense, caratterizzato da una
notevole autonomia delle istituzioni scolastiche. Ciò ha portato, da un alto, ad
un’enorme differenziazione tra i vari sistemi scolastici, dall’altro lato alla ricerca di
metodologie unificatrici. Cercare di trasportare una tale organizzazione nel territorio
italiano non vuol dire negare ogni efficacia all’organizzazione centralizzata della
scuola, ma significa cercare di raccordare meglio le istanze centrali e le sua attuazioni
periferiche.
Rispetto alla programmazione, il curricolo da maggiore attenzione agli aspetti
cognitivi e strumentali, a discapito delle componenti sociali dell’istruzione.
Alla base della formazione del curricolo ci sono:
a)
Conoscenze del livello di partenza degli allievi;
b)
Motivazioni alla base di quelle scelte;
c)
Quadro generale degli obiettivi da raggiungere;
d)
Risorse didattiche;
e)
Attenzione al concetto socio-culturale;
f)
Valutazione.
Costruzione del curricolo:
a)
Analisi realtà scolastica;
b)
Determinazione dei traguardi formativi;
c)
Determinazione di contenuti più consoni per il raggiungimento di tali
traguardi;
d)
Adeguare i mezzi didattici alle condizioni educative;
e)
Criteri valutazione del prodotto scolastico.
Progetto formativo non necessariamente didattico:

Dalla definizione degli obiettivi deriva la scelta contenutistica da operare.
Il valore di un contenuto non viene definito in maniera autonoma, ma va
definita tenendo conto del contesto scolastico;

I mezzi didattici vanno adeguati alle condizioni educative;

Si passa, infine, a stabilire i criteri della valutazione, la quale deve legarsi
ad un progetto sociale e politico di controllo della produttività del sistema
scolastico, analizzando le soluzioni tecniche ed operative più adeguate ad
assicurare un’informazione costante sullo sviluppo del curricolo.
SCIENZE BIOEDUCATIVE
Oggi non è possibile definire la relazione natura-cultura se non in modo dinamico,
evolutivo e sinergico. L’evoluzione culturale si innesta nell’evoluzione genetica in
modo tanto più significativo quanto maggiore è lo sviluppo della plasticità cerebrale.
La variabile dalla quale dipendono i processi di apprendimento è proprio lo sviluppo
encefalico, in costante relazione con il background dei processi di mutazione
genetica, per il quali le informazioni ambientali vengono trascritte e ritrascritte nei
lenti processi di composizione del quadro della conoscenza. Gli individuai, infatti,
esplorano l’ambiente in modo adattivo e ne ricavano interrelato per lo sviluppo di
funzioni elementari e complesse. Di conseguenza, nell’ambito della ricerca
pedagogica ci si chiede quale sia il senso da dare agli interventi educativi e formativi
in relazione all’indipendenza tra aspetti biologici e influenze ambientali.
Risulta inevitabile l’identificazione di un ambito di ricerca che, segnando il passaggio
del rapporto pedagogia-biologia al rapporto pedagogia-neuroscienze individua un
nuovo territorio di indagine che possa contribuire ad avvicinare due mondi
tradizionalmente considerati distanti: la pedagogia e la neuroscienze.
Ne consegue una visione epistemologica complessa, sistematica e interattiva, che
comporta l’integrazione di diverse prospettive per l’approccio a nuclei tematici
“condivisibili” quali ad esempio:
a)
Il ruolo che i vincoli biologici giocano nella relazione sinergica tra natura e
cultura e i suoi risvolti educativi e formativi;
b)
Lo sviluppo delle basi neurali dell’apprendimento e l’influenza che la
componente ambientale ed esperienziale attiva nell’epigenesi;
c)
La complessa evoluzione delle forme individuali in rapporto alle funzioni
integrative.
In questa prospettiva la ricerca bioeducativa, nel riconoscere le specializzazioni
funzionali dalle abilità cognitive e dalle influenze ambientali per costruire
stimolazioni apprenditive adeguate pur avvalendosi dei contributi delle neuroscienze
li rielabora nel rispetto dell’identità pedagogica.
In questa prospettiva, l’elaborazione teoretica è in stretta relazione con la pedagogia
in situazione. I contesti scolastici accompagnano quei momenti dello sviluppo
otnogenico nei quali l’individuo è particolarmente sensibile alle stimolazioni esterne.
La valutazione del potenziale genetico ricostruito nel suo sviluppo può essere
utilissimo per definire percorsi formativi possibili, sostenibili e progettabili.
Uno dei tanti aspetti da tenere presente è lo sprouting, processo particolarmente
significativo nei primi anni di età. Si tratta di un processo di “germoglia mento” della
connettività sinaptica e , nello stesso tempo, di “sfandamento” delle connessioni
neurali in rapporto all’incidenza delle stimolazioni ambientali sulla formazione della
mente individuale. Le stimolazioni educative e formative dovrebbero essere
equilibrate, mirate ed incentivati senza imporre procacità, senza “forzare” i confini
della disponibilità individuale all’apprendimento.
Dal punto di vista bioeducativo, infatti, il soggetto che acquisisce strategie
apprenditive rapportandosi all’ambiente attraverso stimolazioni reiterate e mediate
conserva caratteristiche della propria realtà biologica che fungono da orientamenti
funzionali biodinamici che regolano le modalità soggettive di interazione con
l’ambiente.
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