Europa: sussidiarietà e sviluppo Alberto Quadrio Curzio Preside Facoltà di Scienze Politiche Università Cattolica del Sacro Cuore Conferenza Episcopale Italiana IL C OMITATO SCIENTIFICOORGANIZZATORE DELLE SETTIMANESOCIALI 1 1. Premessa. L’Unione europea rappresenta la più importante innovazione economico-istituzionale della seconda parte del XX secolo e una delle più importanti innovazioni storiche delle democrazie. Per capire il passato e il futuro dell’Europa e per riflettere sulle linee di rinnovamento della sua Costituzione economica noi enfatizziamo dei momenti e dei principi 1 . I momenti sono: costruzione, crescita, costituzione. Per memoria sono le tre «C» su cui l’Europa si fonda nella sua storia per il passato e si proietta per progettare il suo futuro. A questi va aggiunto anche l'allargamento, che prevede l'ingresso di dieci nuovi Paesi membri nell'Unione. I principi sono sussidiarietà, sviluppo, solidarietà. Per memoria sono le tre «S». Si tratta di principi non sempre chiari negli enunciati dei Trattati, ma permeanti gli stessi e gran parte della azione della Ue. Una loro riorganizzazione concettuale potrebbe configurare per l’Ue sia una impostazione mista funzionalista e federalista, intergovernativa e comunitaria capace di esprimere un «federalismo solidale» sia un «liberalesimo sociale o una economia liberal-sociale» capace di stabilire i migliori rapporti tra «Stato, Società, Mercato» ovvero tra «pubblico, pubblico libero, privato sociale, privato». In sintesi e per memoria iconografica: l’Ue si fonda sul paradigma «3Cx3S». 2. Orientamenti ideali, politici ed economici di alcune personalità italiane. L'Unione Europea come si presenta oggi ha un fondamento storico e di pensiero irrinunciabile cosicché il processo di costituzionalizzazione può essere inteso come una fusione tra processo di costruzione storica e processo di razionalizzazione-rafforzamento istituzionale. Data questa impostazione, sono necessari alcuni riferimenti ideali espressi da personalità italiane ch'ebbero un ruolo importante nel costruire la Comunità europea. Einaudi nel 1944 scriveva 2 : «…federazione europea dal punto di vista economico vuol dire attribuzione all’autorità federale di alcuni compiti economici definiti tassativamente nel documento costitutivo della federazione» (p.35). Einaudi prosegue quindi con due intuizioni straordinarie, considerando l’anno in cui scriveva 3 , […] «non parrebbe controversa la devoluzione alla federazione del regolamento della moneta e dei surrogati della moneta. […] Sarebbe abolito cioè il diritto dei singoli Stati confederati di battere moneta propria […] Potrebbe essere solo consentito che la zecca o la Banca Centrale […] battesse esemplari di monete, con impronte diverse per ogni stato, ma con denominazione, peso e titolo uniformi» (pp.38-39). L’Euro, così come è nato nel 1999, è come Einaudi l’aveva prefigurato nel 1944. Occorre inoltre tenere presente la cornice nella quale Einaudi svolge il suo discorso: egli sta parlando di attribuzione all’autorità federale di alcuni compiti definiti tassativamente nel documento costitutivo, e non di attribuzioni generiche. Subito dopo prosegue parlando del mercato interno 4 : «La necessità di un unico sistema federale doganale è talmente evidente che nessuna controversia mai è sorta in proposito. Federazione vuol dire anzitutto lega doganale, vuol dire unico territorio doganale. [Ne segue il]... divieto fatto ai singoli stati federati di opporre essi qualunque impedimento […] al traffico inter-statale di persone e di cose entro l’unico territorio federale» (pp.46-47). 1 Cfr. A. Quadrio Curzio, Sussidiarietà e sviluppo. Paradigmi per l'Europa e per l'Italia, Vita e Pensiero, Milano, 2002. L. Einaudi, I problemi economici della Federazione europea, saggio scritto per il Movimento federalista europeo e pubblicato nelle «Nuove edizioni» di Capolago, Lugano 1944. Ripubblicato in L. Einaudi, La guerra e l’Unità Europea, Edizioni di Comunità, Milano, 1948, pp.35-120 3 Ibidem 4 Ibidem 2 2 Einaudi quindi, già nel 1944, aveva un’idea molto precisa di cosa dovesse essere una federazione europea e aveva posto i due pilastri della stessa: la moneta unica, governata da un soggetto certamente di tipo federale e unitario; il mercato unico. Einaudi non era tuttavia un economista tecnicista e ciò va enfatizzato. Spesso la costruzione europea sulla moneta unica e sul mercato unico è stata criticata per essere semplicemente una impostazione di tipo economicistico e per non avere alla base una visione politica. Nel 1947, scriveva nel suo discorso all’Assemblea costituente (e questo ci conduce al dibattito dei giorni nostri a proposito dell’Unione Europea) «Gli Europei erano troppo amanti di libertà per non tentare ogni via per resistere al brutale dominio della forza» [intende riferirsi in questa dichiarazione ai grandi sistemi coercitivi fascista e nazista, ma implicitamente anche al sistema comunista, che Einaudi ha sempre combattuto] «E troppi popoli al mondo discendono dagli Europei e serbano il medesimo ideale cristiano del libero perfezionamento individuale e dell’evoluzione autonoma dell’uomo verso Dio» (p.125). Proseguendo la sua analisi, egli pone in evidenza l’importanza della volontaria cooperazione per il bene comune, l’importanza dell’idea di libertà contro l’intolleranza e della cooperazione contro la forza bruta. Questo riferimento permette di comprendere come i temi, di cui oggi si dibatte, hanno radici molto antiche. Anche personalità, con una forte connotazione economico-politica, avevano una assoluta onestà nel riconoscere che le radici ideali in generale e quelle cristiane in particolare facevano parte della storia, della tradizione e della cultura europea. La seconda citazione è quella di De Gasperi che, a mio avviso, si allinea a quella precedente ed è quanto egli disse in occasione del conferimento del premio Carlo Magno nel 1950. In De Gasperi si vede la forza dello statista 5 : «In questo studio della costituzione federale bisognerebbe, a mio parere, tener presenti soprattutto le considerazioni seguenti: bisognerebbe prima di tutto limitare per quanto possibile le enunciazioni generiche, enunciazioni che esistono già in tutte le nostre costituzioni nazionali e fare una distinzione tra le trasformazioni strutturali, che sono consentite dalle nostre costituzioni attuali e quelle per cui delle revisioni costituzionali sarebbero necessarie» (p.15). Prosegue De Gasperi 6 «Bisogna mettere in comune dapprima solo quello che è strettamente indispensabile per raggiungere lo scopo immediato che ci proponiamo e servirci, per questo, di formule elastiche suscettibili di un’applicazione graduale e progressiva di formule che sappiano conciliare lo spirito giuridico latino con il pragmatismo britannico» (p.15). Queste proposizioni dimostrano come sia Einaudi sia De Gasperi avessero in mente una federazione europea ma fossero perfettamente consapevoli che questa federazione dovesse avere al centro solo pochi poteri, stabiliti tassativamente, applicando quel principio di sussidiarietà che avrebbe trovato successivamente applicazione nel trattato di Maastricht del 1992 e nel protocollo al trattato di Amsterdam del 1997. Credo sia importante rileggere le riflessioni di personalità di questo livello, perché spesso “andare indietro” serve ad “andare avanti”. Interessante è anche rifarsi al recente conferimento in Aquisgrana il 9 maggio 2002 del Premio «Carlo Magno» all’euro. Qui Carlo Azeglio Ciampi nella sua Laudatio 7 ha parlato di uno «spirito degli elementi unificanti delle radici cristiane e umanistiche della civiltà europea». Egli si è così 5 A. De Gasperi, Discorso pronunziato dinanzi all’assemblea del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 16 settembre 1952, in Id., Per l’Europa, Roma, 1952. 6 Ibidem 7 Laudatio del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, alla cerimonia di Conferimento all’euro del Premio Internazionale «Carlo Magno», Aquisgrana, 9 maggio 2002. Consultabile nel sito internet: http://www.quirinale.it/Discorsi. 3 richiamato alla motivazione fondativa nel 1950 del Premio «Carlo Magno» che recita8 : «Per volontà dei suoi iniziatori il Premio Internazionale “Carlo Magno” di Aquisgrana sarà attribuito per contributi insigni alla causa della comprensione e del comune impegno europeo, della umanità e della pace mondiale. Esso vuole onorare la crescita dell’Europa Unita con riferimento alla politica, all’economia, alla cultura nei valori della mente e dello spirito». Questa motivazione ha trovato attuazione nei molti insigni europeisti che hanno avuto il Premio (tra cui 1952 Alcide De Gasperi; 1953 Jean Monnet; 1954 Konrad Adenauer; 1958 Robert Schuman; François Mitterrand e Helmut Kohl; 1992 Jacques Delors). Alcuni sono cristiani, altri laici: tutti sono una dimostrazione vissuta di queste radici ideali convergenti in un disegno di sviluppo e pace. Anche altri eminenti personalità italiane hanno dimostrato grande progettualità europea, tra le quali Altiero Spinelli. Molti di questi ideali si trovano riassunti nella Carta dei Diritti fondamentali (proclamata nel dicembre 2000) che nel suo Preambolo conferma: «I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia». 3. La Visione sull’Europa di Giovanni Paolo II. Così come prima abbiamo citato economisti e politici per evidenziare come anch’essi si riferivano a valori ideali, è adesso importante sottolineare come una personalità religiosa sappia apprezzare le concretezze economico-politiche non contrapponendole a quelle etico-politiche 9 . Per questo è utile anche ai politologi e agli economisti rileggere le valutazioni di Giovanni Paolo II sull'Europa ove si combinano radici valoriali e autonomie istituzionali in vari interventi, tra i quali ne richiamiamo alcuni recenti. Nel 1998 egli dice: «L’apertura dell’Unione europea verso l’Est e gli sforzi compiuti per una stabilità monetaria dovrebbero condurre a una progressiva complementarietà dei popoli, nel rispetto dell’identità e della storia di ognuno di essi. Si tratta in un certo senso di condividere il patrimonio di valori che ogni nazione ha contribuito a far sbocciare: la dignità della persona umana, i suoi diritti fondamentali imprescindibili, l’inviolabilità della vita, la libertà e la giustizia, il senso di solidarietà e il rifiuto dell’esclusione 10 ». Su questo sfondo, Giovanni Paolo II nel 2002 colloca le sue valutazioni su radici cristiane e laicità delle Istituzioni apprezzando anche l’economia, la politica, la costituzionalizzazione: «Tra i motivi di soddisfazione, va senz’altro menzionata l’unificazione progressiva dell’Europa, di cui è simbolo la recente adozione, da parte di dodici Paesi, di un’unica moneta. Si tratta di una tappa decisiva nella lunga storia di questo continente. Ma è altresì importante che l’allargamento dell’Unione europea continui a costituire una priorità. 8 Nostra traduzione dalla Declaration by the Board of Directors of the Society for the Conferring of the International Charlemagne Prize of Aachen on the EURO e consultabile sul sito http://www.karlspreis.de. 9 Discorso del Santo Padre al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 10 gennaio 2002. Si rinvia il lettore anche al volume: Giovanni Paolo II, Profezie per l’Europa, a cura di M. Spezzibottiani, Presentazione di Dionigi Card. Tettamanzi, PIEMME, Casale Monferrato 1991 (II edizione aggiornata 1999). Si veda anche, sia pure sotto un profilo di tipo economico attento tuttavia al pensiero cattolico, A. Quadrio Curzio, European Union and Italian Federalism, «The European Union Review», 2 (1997), 1. 10 Discorso del Santo Padre al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 10 gennaio 1998. 4 So inoltre che ci si sta interrogando circa l’opportunità di una Costituzione dell’Unione. A tal proposito, è fondamentale che siano sempre meglio esplicitati gli obiettivi di questa costruzione europea e i valori sui quali essa deve basarsi. Per questo, non senza una certa tristezza, ho preso atto del fatto che, fra i partner che dovranno contribuire alla riflessione sulla «Convenzione» istituita nel corso del summit di Laeken lo scorso mese, le comunità dei credenti non sono state citate esplicitamente. La marginalizzazione delle religioni, che hanno contribuito ed ancora contribuiscono alla cultura e all’umanesimo dei quali l’Europa è legittimamente fiera, mi sembra essere al tempo stesso un’ingiustizia e un errore di prospettiva. Riconoscere un fatto storico innegabile non significa affatto disconoscere l’esigenza moderna di una giusta laicità degli Stati, e dunque dell’Europa! 11 » Giovanni Paolo II, dopo essere ritornato sulla rilevanza delle questioni istituzionali e costituzionali europee anche in vista dell’allargamento, così conclude: «Un siffatto nuovo ordinamento europeo, tuttavia, per essere davvero adeguato alla promozione dell’autentico bene comune, deve riconoscere e tutelare quei valori che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’umanesimo europeo, il quale ha assicurato e continua ad assicurare all’Europa una irradiazione singolare nella storia della civiltà [...] Senza cedere ad alcuna tentazione nostalgica, e neppure accontentandosi di una meccanica duplicazione dei modelli del passato, ma aprendosi alle nuove sfide emergenti, occorrerà perciò ispirarsi, con fedeltà creativa, a quelle radici cristiane che hanno segnato la storia europea 12 ». Giovanni Paolo II, nel vivo del dibattito costituzionale europeo, elogia la costruzione europea dicendo: «L’Europa di oggi, contemporaneamente unita e allargata. Essa ha saputo abbattere i muri che la sfiguravano. Si è impegnata nell’elaborazione e nella costruzione di una realtà capace di coniugare unità e diversità, sovranità nazionale e azione comune, progresso economico e giustizia sociale. Questa Europa nuova porta in sé i valori che hanno fecondato, per due millenni, un’arte di pensare e di vivere di cui il mondo intero ha beneficiato. Fra questi valori, il cristianesimo occupa un posto privilegiato avendo dato origine a un umanesimo che ha impregnato la sua storia e le sue istituzioni 13 ». E riguardo alla costituzionalizzazione europea enfatizza il ruolo del cristianesimo riferendosi ad esso in questi termini: «Ricordando tale patrimonio, la Santa Sede e l’insieme delle Chiese cristiane hanno insistito presso i redattori del futuro Trattato costituzionale dell’Unione Europea affinché in esso figuri un riferimento alle Chiese e alle istituzioni religiose. Infatti, sembra augurabile che, nel pieno rispetto della laicità, siano riconosciuti tre elementi complementari: la libertà religiosa nella sua dimensione non solo individuale e cultuale, ma pure sociale e comunitaria; l’opportunità di un dialogo e di una consultazione strutturati fra i Governi e le comunità dei credenti; il rispetto dello 11 Discorso del Santo Padre al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 10 gennaio 2002. Si rinvia il lettore anche al volume: Giovanni Paolo II, Profezie per l’Europa, a cura di M. Spezzibottiani, Presentazione di Dionigi Card. Tettamanzi, PIEMME, Casale Monferrato 1991 (II edizione aggiornata 1999). Si veda anche, sia pure sotto un profilo di tipo economico attento tuttavia al pensiero cattolico, A. Quadrio Curzio, European Union and Italian Federalism, «The European Union Review», 2 (1997), 1. 12 Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al Convegno europeo di studio «Verso una Costituzione Europea?», Roma, 20-23 giugno 2002, promosso dall’Ufficio per la pastorale universitaria di Roma in collaborazione con Federazione delle università cattoliche d’Europa (Fuce), Commissione degli Episcopati della Comunità Europea, Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei. 13 Discorso del Santo Padre al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 13 gennaio 2003. 5 statuto giuridico di cui le Chiese e le istituzioni religiose già godono negli Stati membri dell’Unione. Un’Europa che rinnegasse il proprio passato, che negasse il fatto religioso e non tenesse in conto alcuna dimensione spirituale, risulterebbe fortemente sminuita di fronte al progetto ambizioso che mobilita le sue energie: costruire l’Europa di tutti! 14 ». Ci siamo soffermati a lungo su Giovanni Paolo II per evidenziare da un lato come egli esprime apprezzamento all’euro, alla stabilità monetaria, alle riforme istituzionali con attenzione alle concretezze economiche e politiche, che altri non hanno apprezzato, e dall’altro i termini in cui pone il riconoscimento delle radici cristiane dell’umanesimo europeo. Ci sembra quindi che si dia compatibilità tra questi riferimenti ideali e le impostazioni istituzionalieconomiche di nostra competenza alle quali ritorniamo. 4. Crescita. Il primo tema al quale guardare quali economisti è quello della crescita economica che, anche per i successivi allargamenti, è stata impressionante ma non priva di problemi. Diamo alcune cifre, sia pure molto stilizzate, calcolate in termini di ppa e dollari Usa 1990 15 . Pil totale Ceca-Ue: % sul Pil mondiale e sul Pil Usa 90 80 70 60 50 1951 40 2000 30 20 10 0 % sul Pil mondiale % sul Pil Usa Nostra elaborazione su fonti: A. Maddison, The World Economy: a Millennial Perspective, OECD Development Centre, Paris 2001 e OECD, Economic Outlook, dicembre 2001, n.70 ©aqc Nel 1951 il Pil aggregato dei sei Paesi Ceca era il 13,5% del Pil mondiale, il 48,5% del Pil Usa. Nel 2000 il Pil della Ue era pari al 19,6% di quello mondiale e all’88,2% di quello Usa. Anche in termini di PIL pro capite 16 la crescita è stata forte nel confronto con gli Usa. 14 Ibidem I dati sul Pil totale che qui presentiamo sono nostre elaborazioni su fonti: A. Maddison, The World Economy: a Millennial Perspective, Oecd Development Centre, Paris 2001 e Oecd, Economic Outlook, dicembre 2001, n. 70. 16 Cf. An Agenda for a growing Europe. Making the EU economic system deliver, Report of an Independent HighLevel Study Group established on the initiative of the President of the European Commission, Chairman of the Group: André Sapir, luglio 2003. 15 6 Pil pro capite Ceca-Ue: anni 1951 e 2000 Usa=100 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Ceca-Ue Usa 1951 2000 Fonte: An Agenda for a growing Europe. Making the EU economic system deliver, Luglio 2003 ©aqc Nel 1951 la quota rispetto a quello Usa, posto eguale a 100, era del 43%. Dopo un successivo aumento fino alla metà degli anni '70, il divario rispetto agli Usa ha avuto un lievissimo ampliamento concludendo al 2000 con una quota del 70,0%. Significativi sarebbero anche i confronti fra i tassi di crescita del Pil che dimostrano come dopo un primo ventennio di crescita Ceca-Cee ben più forte di quella Usa, l’Europa sia andata rallentando fin a scendere verso un 2% medio annuo, mentre gli Usa sono andati accelerando fino a salire stabilmente sopra il 3% medio annuo 17 . Tutto ciò dimostra, sia pure superficialmente, che ogni allargamento tra Paesi relativamente omogenei è comunque graduale nei risultati. Esso ha avuto infatti effetti benefici ma non istantanei e non sempre facili. Non è dimostrata dunque l’equazione tra allargamento e accentuazione della crescita. Certo: molti altri aspetti andrebbero evidenziati e in particolare che la Ue è il primo esportatore al mondo e nel contempo il commercio intra-Ue è andato crescendo fino a raggiungere il 61% di tutte le esportazioni dei Paesi della Ue stessa. In conclusione, come abbiamo sostenuto in tutte la pagine precedenti, questa crescita economica ha avuto luogo sul disegno di una costruzione complessa e non solo come evento spontaneo di tipo esclusivamente economico. Non si ricorderà mai abbastanza il Preambolo del Trattato Ceca del 1951 dove risultava chiaro che i Paesi partecipanti erano «coscienti che l’Europa si costruirà soltanto con attuazioni concrete, che creino innanzitutto una solidarietà di fatto e con l’instaurazione di basi comuni di sviluppo economico». Così come non si ricorderà mai a 17 Cfr. An Agenda for a growing Europe. Making the EU economic system deliver, cit. ; per altre interessanti analisi si vedano AMECO database e A. Maddison, The World Economy: a Millennial Perspective, Oecd Development Centre, Paris 2001 e Oecd, Economic Outlook, dicembre 2001, n. 70. . 7 sufficienza che la costruzione successiva ha sempre visto al centro l’economia ma non solo come momento produttivo bensì anche come momento aggregante intorno al quale sono cresciute delle Istituzioni che via via incorporavano funzioni politiche. Crescita e costruzione sono stati dunque due momenti distinti ma interagenti di continuo attraverso i quali si sono raggiunti molti importanti risultati che sono esplicitati negli articoli del Tue (art. 2) e del Tce 18 (art. 2 e art. 3) che delineano la strategia di crescita e costruzione della Ue e UEM. 5. Costruzione e Costituzione In cinquant’anni, con sette Trattati (Parigi, Ceca, 1951; Roma, Cee ed Euratom, 1957; AUE, 1986; Maastricht, 1992; Amsterdam, 1997; Nizza, 2001) e con cinque successive adesioni (1951: Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo; 1973: Danimarca, Irlanda, Regno Unito; 1981: Grecia; 1986: Spagna, Portogallo; 1995: Austria, Finlandia, Svezia) l’Europa è passata da 6 Paesi membri della Ceca (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo) fino agli attuali 15 membri della Ue. È una vicenda economico-istituzionale condotta con metodi di pace che non sembra avere eguali nella storia. L'Unione Europea si prepara ora al più grande allargamento della sua storia: infatti dal 1 maggio 2004 entreranno nell'Unione altri 10 paesi (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria). Essi sono attualmente indicati con il termine di "paesi aderenti". A questi vanno aggiunti in prospettiva anche Bulgaria e Romania che auspicano di poter fare il proprio ingresso nell'UE nel 2007, mentre la Turchia non sta ancora negoziando l'adesione 19 . Dal punto di vista istituzional-decisionale 20 , il processo di costruzione della Ue ha portato alla realizzazione di un sistema composito basato principalmente sul cosiddetto "triangolo istituzionale": Parlamento europeo, espressione diretta dei cittadini; Consiglio dell'Unione europea, che rappresenta i singoli Stati membri; Commissione europea, che difende gli interessi generali dell'Unione. Queste Istituzioni "producono" politiche e leggi (direttive, regolamenti e decisioni) che si applicano in tutta l'Ue. Solitamente il processo prevede che sia la Commissione a proporre nuove leggi dell'Ue, che spetta poi al Parlamento e al Consiglio adottare. Accanto al triangolo vi sono poi altre Istituzioni che svolgono funzioni, per così dire, specializzate. Troviamo la Corte di giustizia, con il compito di far rispettare le leggi europee, e la Corte dei conti, che verifica il finanziamento delle attività dell'Unione. Abbiamo due organismi finanziari, ovvero la Banca centrale europea, dalla quale dipende la politica monetaria europea e la Banca europea per gli investimenti che, come evidenzia il suo nome, si preoccupa di finanziare i progetti di investimento della Ue. A questi aggiungiamo il Fondo europeo per gli investimenti (FEI), istituito nel 1994 come un'impresa comune di tre azionisti. (la Banca europea per gli investimenti, la Commissione europea e altre istituzioni finanziarie europee) e specializzato in strumenti di capitale di rischio e strumenti di garanzie. Sotto l'aspetto consultivo, operano poi il Comitato economico e sociale europeo, con il compito di rappresentare la "società civile organizzata", ovvero datori di lavoro, sindacati, agricoltori, consumatori e altri gruppi di interesse, e il Comitato delle regioni, con il compito di rappresentare le autorità regionali e locali. Abbiamo infine il Mediatore europeo, una sorta di "intermediario", con il compito di difendere i cittadini e le organizzazioni dell'UE dalla cattiva amministrazione. 18 Per Tce si intende il Trattato di Roma del 1957 nella versione consolidata con le modifiche via via introdotte dai successivi Trattati di adesione. Per Tue si intende la versione consolidata del Trattato sull'Unione europea a seguito delle revisioni introdotte al Trattato Maastricht (del 1992) dal Trattato di Amsterdam (del 1997). 19 Cfr. sito internet http://europa.eu.int/comm/enlargement/enlargement_it.htm 20 Cfr. sito internet http://europa.eu.int/institutions/index_it.htm 8 Il 15 dicembre del 2001, con il vertice europeo di Laeken, l’Unione europea (Ue) ha deciso di avviare una Convenzione quale «organo» preparatorio per il successivo varo di una «Costituzione europea». Il 28 febbraio 2002 la Convenzione è stata insediata e da allora i suoi lavori sono proseguiti. Il 20 giugno 2003 è stata presentata la bozza definitiva di trattato al Consiglio europeo di Salonicco, che è stata rivista e consegnata al Presidente del Consiglio europeo a Roma il 18 luglio 2003. Dato che le modifiche dei trattati su cui si fonda l’Unione europea richiedono l’accordo di tutti gli Stati membri è stata convocata una Conferenza intergovernativa (CIG), alla quale sono stati invitati anche i rappresentanti dei Paesi “entranti” nella Ue, che ha aperto i suoi lavori il 4 ottobre a Roma. La CIG è condotta dai Capi di Stato o di governo, assistiti dai ministri degli affari esteri. Attualmente il dibattito, a volte anche con toni accesi, è in corso. Il progetto di Trattato costituzionale è veramente imponente e consta di quasi 500 articoli, suddivisi in quattro Parti. La Parte I non è ancora identificata da un titolo ma potremmo definirla «Principi europeisti», visto che nei nove Titoli si tratta, tra i vari argomenti, degli obiettivi, delle competenze e delle istituzioni dell'Unione. La Parte II replica la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, mentre la Terza è intitolata «Le politiche e il funzionamento dell'Unione» ed è composta da otto Titoli. La Parte IV «Disposizioni generali e finali» poi comprende anche cinque Protocolli e tre Dichiarazioni. L'impressione è quella di trovarsi di fronte ad un Testo unico piuttosto che ad una Costituzione vera e propria. Ci siano permesse due considerazioni 21 . La prima è che il progetto di Trattato costituzionale è positivo nel prefigurare un presidente del Consiglio europeo in carica per due anni e mezzo, durante i quali non può esercitare un mandato nazionale affinché si dedichi, a tempo pieno, a quello non facile di "coordinare" i Capi di Stato e di Governo della Ue. Positiva è anche la confermarafforzamento dei poteri della Commissione e del suo presidente, che rimangono in carica cinque anni, nonché la creazione del ministro degli Esteri dell'Unione che diventa anche uno dei vicepresidenti della Commissione. Dovrebbe seguirne, con un migliore funzionamento del Consiglio dei ministri e dell'Europarlamento, una più efficiente combinazione dei metodi comunitario e intergovernativo che caratterizza la democrazia europea. Diversamente la stessa avrebbe crescenti difficoltà a funzionare quando nel 2004 sarà composta da 25 Paesi. La seconda è che bene ha fatto il progetto di Trattato costituzione nel prevedere il meccanismo delle "cooperazioni rafforzate". Si tratta di uno strumento di integrazione progressiva tra i Paesi dentro la Ue (con un minimo di un terzo degli Stati membri) e un mezzo per realizzare gradualmente gli obiettivi dell'Unione. É pressoché impossibile che 25 Paesi possano marciare tutti alla stessa velocità, mentre è più verosimile che ad una avanguardia di Paesi si possano poi associare altri per un processo di virtuosa emulazione. Tra la regola dell'unanimità che caratterizzava un'Europa comunitaria di pochi Paesi e quella di una generalizzazione del voto a maggioranza, stanno le cooperazioni rafforzate che sono a un tempo democratiche ed efficienti. 6. Sussidiarietà: cenno alla storia e ai principi. L’Ue ci offre l’occasione di consolidare un paradigma su tre principi fondamentali anche per un’Italia europea nel XXI Secolo. Il nesso economico-istituzionale che noi vediamo tra Italia ed Europa, soprattutto in prospettiva, è la sussidiarietà 22 . Categoria delle scienze economiche, politiche e sociali che ha trovato la sua più nota e ampia affermazione istituzionale generalizzata nei Trattati europei per regolare i rapporti tra Unione e Stati membri. Categoria antica, polivalente e per vari aspetti problematica, la sussidiarietà può essere considerata un principio intorno al quale costruire un liberalesimo sociale che sottragga l’Europa e l’Italia dalle oscillazioni tra il nazional-dirigismo (di stampo francese), la social21 22 Cfr. A. Quadrio Curzio, Troppa burocrazia, Il Sole 24 Ore, 09/11/2003. Cfr. Sussidiarietà e sviluppo. Paradigmi per l'Europa e per l'Italia, cit. 9 democrazia (di stampo tedesco), il nazional-liberismo (di stampo americano sia democratico che repubblicano o di stampo britannico tatcheriano). E che sottragga l’Italia definitivamente dal suo «modello», forma composita di dirigismo sindacal-centralista e di spontaneismo, senza però cadere in confuse forme di neo-centralismo federalista ma anche di anarco-federalismo per ciò che attiene i rapporti tra Regioni e Stato. E infine di dirigismo-liberismo per ciò che attiene i rapporti con il mercato. SUSSIDIARIETA’ VERTICALE E ORIZZONTALE • Comando • Controllo • Cooperazione: responsabilizzazione • Coinvolgimento: attori (anche imprese) nel definire ed applicare le regole dell’economia ©aqc Dal punto di vista della definizione concettuale, la sussidiarietà si articola in quattro coordinate: verticale, orizzontale, positiva, negativa. Solo comprendendole tutte si può rendere operativa la categoria, ma in questa sede ci concentreremo solo sulle prime due. Esse si basano su principi di comando e controllo attraverso una imprescindibile cooperazione che determina responsabilizzazione degli attori coinvolti. Tali attori (comprese le imprese) partecipano nel definire ed applicare le regole dell'economia. Nella sua versione verticale la sussidiarietà coinvolge alcuni Soggetti istituzionali, quali, in primo luogo, l’Unione europea, poi lo Stato e le Regioni, i cui rapporti sono normati dal Titolo V della Costituzione così come riformata nel 2001, le Municipalità. Stante la delega di sovranità al popolo, essa si fonda su due principi fondamentali: la ripartizione dei poteri pubblici tra diversi Soggetti istituzionali che esprimono diversi livelli di Governo; la definizione di ambiti di sovranità (competenze) territoriali e funzionali: legislativo, esecutivo, giudiziario. Il termine verticale implica gerarchia nella autonomia. La sussidiarietà però non deve essere intesa solo nella sua valenza verticale di collocazione dei diversi livelli di governo, ma anche e prima di tutto nella sua valenza orizzontale regolatrice dei rapporti tra Stato, società e mercato. In questa versione la sussidiarietà è un’ampia applicazione del liberalesimo sociale e coinvolge Stato, Società e Mercato. Si base su due principi fondamentali: la ripartizione delle funzioni tra diversi Soggetti politici, sociali, economici dotati di autonomie proprie; i Poteri (istituzionali) non possono alterare le autonomie dei Soggetti sociali ed economici, ovvero i Poteri istituzionali devono promuovere il coinvolgimento, la responsabilità, l’imprenditorialità dei Soggetti sociali ed economici. Il termine orizzontale non implica gerarchia ma allineamento. 10 Ciascuno dei Soggetti coinvolti è «delegato» alla produzione di un tipo specifico di beni: lo Stato i beni pubblici (moneta, difesa, giustizia); la Società i beni sociali (istruzione, sanità, cultura, assistenza ai deboli); il Mercato i beni economici (concorrenza, profitto, imprese). VERTICALE ORIZZONTALE ANTICA Altusio 1603; Pio XI 1931; Röpke ’30-’40 una categoria NUOVA Giovanni Paolo II 1991; Delors 1991; Trattato di Maastricht 1992 ©aqc Per capire le potenzialità della sussidiarietà nella Ue, soprattutto nella definizione del Preambolo del Tue bisognerebbe evitare di trattarla come una regola operativa e leggerla anche considerando la visione etico-politica che Jacques Delors ha enunciato prima di Maastricht, essendo probabilmente egli stesso stato – in quanto Presidente della Commissione europea – l’artefice principale dell’inserimento del principio nel Trattato. Delors nel 1991 ha sottolineato come la sussidiarietà si applica a due ordini differenti di problemi, da un lato delimitando la sfera privata da quella dello Stato e del pubblico e dall’altro la ripartizione dei compiti tra i differenti livelli di poteri pubblici. Da ciò egli deduce che la sussidiarietà non è solo un limite all’intervento di un’autorità superiore nei confronti di una persona o di una comunità quando queste hanno la capacità di azione autonoma; ma è anche un obbligo per tale autorità d’agire nei confronti di tali soggetti offrendo gli strumenti per realizzarsi in quanto la sussidiarietà tutela la dignità e la responsabilità degli individui. Questa interpretazione si ricollega da un lato al principio che promuove la libertà e l’autonomia della persona, nonché quella dei soggetti organizzati, delimitando la sfera dell’intervento pubblico; e dall’altro alla ripartizione dei poteri tra i diversi livelli di Governo. Ciò rinvia alle origini storico-politico-filosofiche della sussidiarietà che sono ben più antiche al punto che alcuni le fanno risalire ad Altusio (Politica Methodice Digesta, 1603) mentre è opinione pressoché unanime che una definizione etico-politico-sociale moderna sia stata data da Pio XI nella Enciclica Quadragesimo Anno (1931) che così recita al paragrafo 80 «…siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle». Tale impostazione è stata ripresa in varie Encicliche Sociali e da ultimo nella Centesimus Annus che così recita al paragrafo 48: «… deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società 11 di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso. Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana più profonda». Anche vari studiosi che hanno dato importanti contributi alla analisi della sussidiarietà andrebbero menzionati e tra questi Ropke 23 spicca. Non potremo farlo qui ma rinviamo il lettore sia ad un nostro studio 24 , sia ad altri 25 . 23 Cfr. W. Ropke, La crisi sociale del nostro tempo, traduzione di Ettore Bassan. Roma, Einaudi, 1946. Cfr. Ibidem 25 Cfr. C. Millon-Delsol, L'Etat subsidiarie. Ingerénce et non ingerénce de l'Etat: le principe de subsidiarité aux fondements de l'histoire européenne, Paris, 1992; P. Duret, La sussidiarietà «orizzontale»: le radici e le suggestioni di un concetto, «Jus», gennaio-aprile 2000. 24 12 7. La sussidiarietà orizzontale. Per comprendere la sussidiarietà bisogna collocarla nella «trilogia» composta da sussidiarietà, solidarietà e sviluppo. Essa si può configurare anche sotto altri due profili: quello del liberalesimo sociale, diverso dal liberismo; quello del federalismo solidale, differente dal federalismo competitivo. Per comprendere il fulcro centrale della sussidiarietà orizzontale che sta alla base di ogni forma di sussidiarietà è utile guardarla sotto il profilo della "produzione dei beni" 26 . SUSSIDIARIETA’ ORIZZONTALE Liberalesimo sociale Quali Soggetti coinvolge? Istituzioni Società Mercato Beni pubblici Beni sociali Beni economici Moneta Difesa Giustizia Istruzione Sanità Cultura Impresa Concorrenza Profitto ©aqc Se noi suddividiamo il funzionamento di un Sistema Paese ovvero di un Paese Europeo nel ruolo di tre soggetti – le istituzioni, la società e il mercato – assolutamente irrinunciabili in qualunque democrazia, il vero problema è sapere chi e come produce determinate tipologie di beni. Le istituzioni devono "produrre" i beni pubblici, i più tipici dei quali sono la difesa, la giustizia, la politica estera, il governo della moneta. La società è titolata a "produrre" i beni sociali, anche se nel contesto istituzionale italiano per un lungo periodo il ruolo della società nella produzione di beni sociali è stato largamente trascurato. Al mercato spetta, naturalmente, di "produrre" i beni economici. Soffermiamoci sulla distinzione tra beni economici e beni sociali, su chi deve produrli, se vi siano soggetti intersezione che si collocano sul confine istituzioni/società e società/mercato. Mi spiego meglio. I beni economici si caratterizzano con molta semplicità: l’impresa è il soggetto fondamentale sul lato dell'offerta nel mercato dove la domanda è espressa dai consumatori e da altre imprese; il profitto è l’obiettivo irrinunciabile dell’impresa, perché senza profitto non si produce crescita e senza profitto non si misura l’efficienza di mercato. I prezzi e le quantità sono grandezze essenziali 26 Cfr. A. Quadrio Curzio, Sussidiarietà e sviluppo economico, in Fondazione per la sussidiarietà (a cura di), "Conversazione sul bene comune", Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, 23 settembre 2003, Sala della Regina, Palazzo Montecitorio, in corso di pubblicazione. 13 di riferimento e naturalmente le imprese e i consumatori sono soggetti distinti. Questa è la tipologia più semplice del bene economico prodotto dall’impresa che opera nel mercato. I beni sociali sono meno facili da connotare. Essi sono prodotti da soggetti sociali ma anche da soggetti che vivono sul confine società/mercato, come le cooperative e per certi versi i distretti. I beni sociali nella classificazione tipizzante sono diversi dai beni economici. Innanzitutto non si scambiano sul mercato; hanno un costo e hanno un valore, ma non obbligatoriamente hanno un prezzo e comunque il prezzo non è necessariamente commisurato al costo. I soggetti che producono beni sociali non perseguono il profitto ma l’efficienza che però non è quella di mercato. Inoltre i soggetti sociali che operano nella società sono caratterizzati da una forte prossimità alla persona, al gruppo sociale, alla famiglia come espressioni tipiche della società. E spesso i beneficiari e gli erogatori non sono del tutto distinti, diversamente dal bene economico prodotto nel mercato dove il produttore e il consumatore sono sempre soggetti distinti. Per comprendere la sussidiarietà uno dei grandi sforzi è quello di capire quali sono i soggetti sociali che debbono produrre beni sociali e quali sono i soggetti economici che debbono produrre beni economici. Più nello specifico uno dei grandi sforzi operativi che tutti noi dobbiamo fare in Italia è proprio quello di capire quali sono i beni sociali che debbono essere prodotti da soggetti sociali e non dal mercato o dalle istituzioni, affinché si realizzi quel paradigma di efficienza ma non di profitto, di valore ma non di prezzo, che caratterizza il funzionamento dalla società. Questo problema si riproduce a monte nei rapporti tra istituzioni e società. Infatti molti beni prodotti dalle Istituzioni, dallo Stato ma anche dalle Regioni e dai Comuni, possono benissimo essere prodotti da Soggetti sociali purché siano chiari i criteri di comportamento e i fini da perseguire: quindi efficienza sì, profitto no; valore sì, prezzo no, servizio sì, mercato no. Naturalmente sul confine tra istituzioni e società la questione è molto complessa e spesso possono coesistere soggetti istituzionali e soggetti sociali che producono gli stessi beni. Il problema è misurare che questi soggetti producano beni qualitativamente validi e che non li vendano per fare profitto, perché questa non è una caratteristica di questi beni. I soggetti e le tipologie di confine meritano la maggiore attenzione affinché essi operino o in concorrenza tra loro oppure, laddove l’efficienza di un soggetto sociale sia più forte di quella di un soggetto istituzionale e fissate forme di garanzia sul suo comportamento, bisognerà affidare al soggetto sociale l’esecuzione della produzione di un determinato bene. Vi sono poi i Soggetti intersezione tra l'economico e il sociale. E' un universo complesso che ha dato molto all'Italia ma che viene visto con diffidenza sia dalle Istituzioni che dal mercato che ne temono la "concorrenza". La storia italiana ne dimostra invece la continua vitalità e i continui tentativi di compressione da parte delle istituzioni e del mercato. Oggi bisogna rimeditarli per rilanciarli in pienezza di diritti e funzioni ma nel contempo nel pieno rispetto delle professionalità ch'essi devono avere. La riflessione deve essere sul c.d terzo settore ma anche sulle cooperative e sulle banche popolari cooperative che tanto hanno dato alla combinazione tra società ed economia nello sviluppo italiano 27 . 8. Conclusioni. Alla luce di quanto fino ad ora sostenuto sarebbe bene aprire un’altra analisi con un riferimento al Trattato costituzionale in discussione alla Conferenza intergovernativa. Non è possibile farlo ma è bene tenere presente che bisogna individuare al più presto dei criteri che consentano di passare 27 Cfr. A Quadrio Curzio, G. Merzoni (a cura di), Non profit e sussidiarietà. Il terzo settore tra servizi alla comunità e alla persona, Collana socio-economica della Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, Franco Angeli, Milano, 2002; A. Quadrio Curzio, Sussidiarietà e cooperazione per lo sviluppo del territorio. Riflessioni sulle Banche Popolari ed i Distretti economici, in "Modelli organizzativi nel sistema bancario. Il caso delle Banche Popolari", supplemento della rivista Credito Popolare n. 3/2002, Associazione nazionale fra le Banche Popolari. 14 dalla complessità del nascente Trattato Costituzionale (composto da quasi 500 articoli) a pochi parametri valutativi comprensibili e condivisibili. A tal fine proponiamo tre criteri-parametri politico-istituzionali: ♦ criterio dell’Europeismo; ♦ criterio dell’Eurodemocrazia; ♦ criterio di Composizione. Il primo criterio, quello «ideal-politico-istituzionale» si basa sulle forze dinamiche sulle quali si è incentrato il nostro saggio, ovvero sussidiarietà, solidarietà, sviluppo, con un forte accento su quest'ultima. Tali principi sono assolutamente necessari affinché il paradigma dell'Europeismo, congiunzione di storia, cultura, economia, Popoli e Stati, divenga il cuore della attuale e soprattutto della futura Eurodemocrazia. Il criterio «generale-democratico» pone appunto al centro il concetto di Eurodemocrazia che è valorizzabile nell'Unione a 15, ma a maggior ragione nella Ue-25, attraverso una semplificazione delle istituzioni, delle procedure e delle regole, donando una trasparenza maggiore nella loro applicazione. Ciò avrebbe un duplice effetto positivo: da un lato consentirebbe di aumentare l'efficacia politico-decisionale, dall'altro lato ne accrescerebbe senza dubbio la legittimità. Il criterio «istituzional-decisionale» della Composizione si esprime nella necessità che il sistema europeo, da sempre basato sul triangolo istituzionale formato da Parlamento, Consiglio e Commissione, evolva in un potenziato modello espressione sia dell'Europa come Unione di Popoli e Stati, sia come applicazione del metodo comunitario e intergovernativo. Tale modello, che non si pone in contrapposizione all'esistente, ma anzi ne sviluppa le potenzialità, dovrebbe raccogliere sia le istanze unioniste, che quelle federaliste e con federaliste unendo così Europeismo e Eurodemocrazia. 15