Master IPSOA Analisi di Bilancio

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 Master IPSOA Analisi di Bilancio DISPENSA Il rendiconto finanzia‐
rio Costruzione e interpre‐
tazione
Francesco Giunta
Il rendiconto finanziario 2011
Capitolo Primo IL MODELLO GENERALE DI RENDICONTO FINANZIARIO 1. Introduzione 2. L’analisi della liquidità: dalle quantità livello ai flussi finanziari 3. Il rendiconto dei flussi di liquidità e le aree di gestione 4. Il cuore dei flussi di liquidità: la gestione operativa corrente 5. Dal flusso di cassa operativo corrente al free cash flow: il mantenimento e lo svi‐
luppo della struttura operativa 6. I flussi di liquidità dell’area finanziaria della gestione: flusso al servizio del debi‐
to e flusso al servizio del capitale di rischio 7. Il fabbisogno finanziario complessivo e la sua copertura 8. I tre momenti della gestione monetaria dell’impresa: produzione, assorbimento, raccolta Capitolo Secondo IL FLUSSO DELLA GESTIONE OPERATIVA CORRENTE 1. Il cuore dei flussi di liquidità: la gestione operativa corrente 2. Il flusso di cassa potenziale e il margine operativo lordo 3. Il fabbisogno finanziario del ciclo operativo e il capitale circolante netto com‐
merciale 4. La messa a punto del flusso operativo corrente 4.1. L’accantonamento per trattamento fine rapporto (TFR) 4.2. L’accantonamento a fondi rischi e oneri 4.3. La svalutazione dei crediti commerciali 4.4. Le imposte e i debiti tributari 5. Flusso operativo corrente levered e unlevered 6. Metodo diretto o metodo indiretto? 8. L’utile è un’opinione, la cassa un fatto Capitolo Terzo IL CAPEX E IL FLUSSO DELLA GESTIONE FINANZIARIA ATTIVA 1. Oltre la gestione operativa corrente: il free cash flow from operations 2. Il calcolo del capex 3. Il flusso monetario delle gestione finanziaria attiva www.analisidibilancio.it 4 Il rendiconto finanziario 2011
Capitolo Quarto I FLUSSI DELLA GESTIONE FINANZIARIA PASSIVA 1. I flussi della gestione finanziaria passiva 2. Il flusso della gestione dei debiti finanziari 3. Il flusso della gestione del capitale di rischio Capitolo Quinto L’ANALISI DELLA LIQUIDITÀ ATTRAVERSO IL RENDICONTO FINANZIARIO 1. L’analisi dinamica della liquidità e il rendiconto finanziario 2. La produzione di moneta 2.1. L’analisi dell’autofinanziamento 2.2. L’analisi del capitale circolante 3. L’assorbimento di moneta 3.1. Il servizio della struttura e il free cash flow from operations 3.2. Il servizio degli investitori 3.2.1. Il servizio del debito 3.2.2. Il servizio dell’equity 4. La gestione finanziaria attiva: produzione o assorbimento? 5. La raccolta delle risorse finanziarie 6. Gli indici di cash flow: un gioco che vale la candela www.analisidibilancio.it 5 Il rendiconto finanziario 2011
Capitolo Primo IL MODELLO GENERALE DI RENDICONTO FINANZIARIO 1. Introduzione 2. L’analisi della liquidità: dalle quantità livello ai flussi finanziari 3. Il rendiconto dei flussi di liquidità e le aree di gestione 4. Il cuore dei flussi di liquidità: la gestione operativa corrente 5. Dal flusso di cassa operativo corrente al free cash flow: il mantenimento e lo svi‐
luppo della struttura operativa 6. I flussi di liquidità dell’area finanziaria della gestione: flusso al servizio del debi‐
to e flusso al servizio del capitale di rischio 7. Il fabbisogno finanziario complessivo e la sua copertura 8. I tre momenti della gestione monetaria dell’impresa: produzione, assorbimento, raccolta 1. INTRODUZIONE L’equilibrio finanziario è una condizione essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo di ogni impresa. Esso deve essere costantemente verificato, valutando il grado di solvibilità dell’impresa, ossia la capacità dell’impresa di far fronte agli impegni di pagamento. La solvibilità può essere apprezzata a due livelli: • solvibilità nel medio‐lungo termine: solidità patrimoniale; • solvibilità nel breve termine: liquidità. Il concetto di liquidità si ricollega alla capacità dell’impresa di far fronte agli impegni di paga‐
mento “tempo per tempo”. Si tratta, ad evidenza, di un aspetto di cruciale importanza, capace di condizionare pesantemente tutta la gestione aziendale. Questo non solo per gli evidenti rischi di fallimento a cui condizioni di liquidità precarie espongono l’impresa; ma anche per il profilo eco‐
nomico che risulta fortemente penalizzato dalle tensioni di liquidità. Infatti, costantemente incal‐
zati dall’esigenza di far fronte alle scadenze di pagamento, gli amministratori dell’impresa finisco‐
no inesorabilmente per scegliere non ciò che favorisce la crescita dell’equilibrio economico nel lungo termine, ma ciò che può dare respiro finanziario nel breve. Questo causa inevitabilmente scelte di gestione sub‐ottimali: investimenti altamente lucrosi nel medio termine vengono scartati a favore di iniziative meno redditizie, ma associate a immediati flussi di cassa positivi; le dilazioni concesse ai clienti vengono abbreviate, finendo però per perdere quote di mercato a favore dei concorrenti più disponibili a concedere credito; i termini di pagamento ai fornitori vengono tirati il più possibile, caricando il Conto Economico di oneri finanziari occulti; le spese di formazione, ricer‐
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ca e sviluppo, pubblicità e promozione, vitali per accrescere l’immagine ed il patrimonio di cono‐
scenze dell’impresa, sono oggetto di drastiche riduzioni. La tensione finanziaria arriva, così, a compromettere l’equilibrio economico, innescando una crisi irreversibile. Si pone dunque, forte, l’esigenza di disporre di strumenti per valutare le condizioni di liquidità della gestione. La via più diretta, accessibile a tutti i diversi stakeholder di un’impresa, è rappre‐
sentata dall’analisi dei dati di bilancio. 2. L’ANALISI DELLA LIQUIDITA’: DALLE QUANTITA’ LIVELLO AI FLUSSI FINANZIARI Le condizioni di liquidità di un’impresa vengono valutate, in prima battuta, impiegando margini e indici. Gli indici di liquidità e i margini ai quali essi sono correlati si concentrano su determinate risor‐
se finanziarie che l’impresa è chiamata a governare. Tali risorse sono individuate dal bilancio di esercizio in termini di quantità‐livello; esse, cioè, rappresentano mere grandezze fondo che risul‐
tano dall’interazione, nel tempo, di una serie di flussi e deflussi finanziari, ossia di variazioni au‐
mentative e diminutive, conseguenti alle molteplici operazioni di gestione poste in essere nell’azienda. Le quantità‐livello nulla dicono sulla natura e consistenza dei flussi che le hanno origi‐
nate e modificate. Da qui la necessità, per un sempre più approfondito esame delle condizioni di solvibilità dell’impresa, di ricostruire, secondo la logica dei flussi finanzia‐
ri, i movimenti che hanno determinato variazioni delle quantità‐livello finanziarie, in due momenti successivi, ad esempio fra l’inizio (1‐I) e la fine (31‐XII) dell’esercizio. Si tratta, in sostanza, di individuare a causa di quali operazioni di gestione la consistenza di una determinata massa di risorse finanziarie a disposizione dell’impresa è variata nel tempo. In concreto, scelta la risorsa finanziaria di riferimento, l’analisi per flussi cerca di mettere in evidenza quali operazioni di gestione hanno comportato, in un certo intervallo di tempo: • riduzioni della risorsa finanziaria. Tali operazioni si configurano come impieghi della risorsa. Esse, quindi, sono all’origine dei fabbisogni finanziari; • incrementi della risorsa finanziaria. Tali operazioni si configurano come fonti della risorsa, quindi come forme di copertura di quei fabbisogni. Una volta individuati e quantificati, fonti e impieghi della risorsa finanziaria vengono riepilogati e messi in evidenza mediante la redazione di un particolare prospetto chiamato rendiconto finan‐
ziario. www.analisidibilancio.it 7 Il rendiconto finanziario 2011
Per capire meglio questa logica di analisi possiamo ricorre a una metafora idraulica. Si pensi di avere una vasca. La vasca contenga acqua. L’acqua viene a più riprese prelevata dalla e versata nella vasca. Si misuri la quantità di acqua presente nella vasca all’inizio di un determinato periodo di tempo, ad esempio all’inizio dell’anno. Si misuri, infine, la quantità di liquido presente nella va‐
sca alla fine del periodo prescelto, ossia alla fine dell’anno. Il confronto delle due misure evidenzi una variazione nella consistenza del liquido, ad esempio una variazione diminutiva. La variazione della consistenza del liquido sarà la conseguenza di: versamenti di liquido nella vasca; prelevamen‐
ti di liquido dalla vasca. A questo punto, il problema è: individuare e quantificare i singoli versamenti e i singoli prele‐
vamenti che hanno fatto, nel complesso, variare il livello della vasca. Uscendo dalla metafora: il liquido è la risorsa finanziaria che vogliamo analizzare; i versamenti e i prelevamenti di liquido sono le varie operazioni di gestione che, svolgendosi, hanno fatto au‐
mentare o diminuire la quantità livello della risorsa finanziaria. Gli aggregati tratti dalle sintesi di bilancio che possono essere sottoposti a questo tipo di inda‐
gine sono molteplici: • capitale circolante; • posizione finanziaria netta; • disponibilità liquide. La posizione finanziaria netta può essere osservata nelle sue diverse possibili configurazioni: posizione finanziaria netta globale, posizione finanziaria netta a breve termine. Anche le stesse di‐
sponibilità liquide, la cui individuazione appare agevole, sono suscettibili di essere variamente con‐
figurate. Accanto a interpretazioni che considerano solamente il denaro contante nelle casse aziendali e i depositi di liquidità presso banche e simili, si ritrovano impostazioni più ampie che ar‐
rivano a ricomprendere i cosiddetti cash equivalents. Si tratta, di solito, di valori mobiliari di rapi‐
dissima (entro tre mesi) trasformabilità in numerario con un irrilevante rischio di variazione del lo‐
ro valore. Essi di fatto costituiscono un prolungamento della cassa, alimentandosi con gli esuberi di liquidità in attesa di forme alternative di impiego. E’ questa, ad esempio, l’impostazione adottata dallo IASB nello IAS n. 7. L’allargamento dei confini della risorsa di cassa può giunge a comprende‐
re anche poste passive quali gli “scoperti di conto corrente bancario”. Un tale allargamento è plausibile laddove i conti correnti bancari costituiscono parte integrante della gestione della liqui‐
dità aziendale, registrando frequenti spostamenti fra saldi attivi e saldi passivi. Muovendosi in questa direzione, si parla di disponibilità liquide nette o liquidità netta che, di fatto, corrisponde alla posizione finanziaria netta a breve. Fra le varie risorse, quella che appare cruciale per la solvibilità nel breve termine sono sicuramente le disponibilità liquide. La variazione delle disponibilità liquide, infatti, ri‐
flette immediatamente i movimenti di moneta che si verificano nell’impresa. www.analisidibilancio.it 8 Il rendiconto finanziario 2011
In questo senso, si esprime anche lo IASB. Nello IAS n. 7 si afferma, infatti, che: “Per quanto le imprese possano differire nella loro gestione caratteristica, esse hanno bisogno di disponibilità li‐
quide sostanzialmente per gli stessi motivi. Esse hanno bisogno di disponibilità liquide per condurre le loro operazioni, per onorare i loro impegni e per produrre utili per gli investitori”. Parole pesanti, quelle dell’ormai autorevolissimo IASB, il quale è fermamente convinto che ogni investitore, per prendere decisioni economiche razionali e convenienti, debba conoscere la “capacità di un’impresa di produrre disponibilità liquide o equivalenti e i tempi ed il grado di certezza della loro generazione”.1 A ben vedere, lo IASB altro non fa che formalizzare in un principio contabile quello che, da tempo, gli operatori economici pensano e fanno. Al grido di cash is king, infatti, investitori istitu‐
zionali, banche d’affari, analisti finanziari giudicano le imprese valutando soprattutto la loro capa‐
cità di generare flussi di cassa positivi. E’ in questo quadro che diventa cruciale mettere a punto criteri e strumenti per una lettura cash flow based delle operazioni di gestione svolte dall’impresa. In concreto, i problemi da affron‐
tare sono due: • definire un modello chiaro e rigoroso di rendiconto finanziario; • elaborare criteri e strumenti per interpretare i dati che emergono dal rendiconto. Indubbiamente, la linea di demarcazione fra i due aspetti è molto labile. Mettere a punto la struttura del modello presuppone esplicitare le finalità conoscitive perseguite, il che, di fatto, comporta l’esplicazione anche delle logiche interpretative. Cercheremo, tuttavia, di tenere separati i problemi richiamati, fissando, anzitutto, l’attenzione sul primo aspetto, quello di definire la struttura del modello di rendiconto. 3. IL RENDICONTO DEI FLUSSI DI LIQUIDITÀ E LE AREE DI GESTIONE Un rendiconto dei flussi di disponibilità liquide, se ben strutturato, permette di conoscere: • da un lato, la natura e la consistenza dei diversi esborsi monetari richiesti dallo svolgimento della gestione; • dall’altro, le specifiche fonti attraverso le quali l’impresa si è procurata i mezzi monetari per far fronte a fabbisogni finanziari originati da tali esborsi. Esso, quindi, meglio di qualunque indice costruito impiegando quantità‐livello, contribuisce a descrivere in senso dinamico l’evoluzione della solvibilità a breve dell’impresa. A questo fine, il pe‐
riodo di tempo preso a riferimento per l’analisi non corrisponde necessariamente all’anno. Proprio 1
Cfr. COPELAND T., KOLLER T., MURRIN J., Valuation. Measuring and managing the value of companies, McKinsey & Company Inc., terza edizione, 2000, parte 1, capitolo 5. www.analisidibilancio.it 9 Il rendiconto finanziario 2011
tenuto conto dell’esigenza di verificare la presenza dell’equilibrio monetario momento per mo‐
mento, può essere opportuno svolgere l’analisi utilizzando anche bilanci infrannuali, redatti a brevi intervalli di tempo. Analogamente, i dati di bilancio da utilizzare non sono solamente quelli dei bi‐
lanci consuntivi. Avvalendosi di bilanci preventivi, è possibile comprendere la formazione del fab‐
bisogno finanziario suscitato dai programmi di gestione e definire le forme di copertura più oppor‐
tune di tale fabbisogno. In seguito, per non appesantire l’esposizione, faremo riferimento a bilanci annuali e consuntivi. La costruzione del rendiconto dei flussi di cassa si basa sulla logica tratteggiata nel precedente paragrafo; deve, cioè, mettere in evidenza in che misura le diverse operazioni di gestione hanno prodotto o consumato moneta; in altre e più immediate parole, in che misura hanno causato en‐
trate o uscite di moneta (cfr. tavola 1). In generale, se: • entrate > uscite, si creano avanzi di liquidità; • entrate < uscite, si creano fabbisogni di liquidità. Per orientare metodologicamente il lavoro, dobbiamo anzitutto mettere ordine fra le operazioni di gestione. Sappiamo, infatti, che esse non sono tutte uguali. Al contrario si possono distinguere e raggruppare in aree. In quest’ottica, le causali della dinamica monetaria dell’impresa vengono ricondotte all’attività di alcune specifiche aree di ge‐
stione ognuna delle quali svolge un ruolo e ha un’importanza diversa nell’economia dell’impresa. Tavola 1 – La ricostruzione delle variazioni della risorsa finanziaria www.analisidibilancio.it 10 Il rendiconto finanziario 2011
Le aree di gestione intorno a cui sviluppare l’analisi dei flussi finanziari sono le stesse che han‐
no animato la riclassificazione dello Stato Patrimoniale e del Conto Economico, ossia: 2 • area della gestione operativa. Questa, a sua volta, si articola in gestione operati‐
va corrente e gestione operativa strutturale; • area della gestione finanziaria, all’interno della quale è utile distinguere fra ge‐
stione finanziaria passiva e gestione finanziaria attiva. Alla luce di quanto richiamato, i flussi finanziari generati dalla gestione operativa possono es‐
sere suddivisi fra: • flussi della gestione operativa corrente; • flussi della gestione operativa strutturale. Ai fini delle analisi dei flussi monetari, l’area della gestione finanziaria passiva può essere inte‐
sa in senso ampio, come gestione delle diverse fonti di capitali finanziari negoziati sia con vincolo di debito che con vincolo di pieno rischio. In questo senso, essa viene a comprendere anche le operazioni che riguardano il capitale netto visto nelle sue componenti ideali (capitale sociale, ri‐
serve, utili). Le operazioni svolte nell’ambito di ognuna delle aree e sub‐aree individuate determinano en‐
trate e uscite di moneta. Quindi, originano avanzi o fabbisogni di liquidità. Si veda, riassuntivamen‐
te, la tavola 2. Tavola 2 – Flussi monetari e aree di gestione 2
Per rendere la trattazione più semplice e chiara ci limitiamo a queste sole aree. Una volta capita la metodologia di analisi per flus‐
si, sarà poi facile, per chi lo volesse, integrare lo schema inserendo anche il contributo monetario di altre aree come quella accesso‐
ria e gli effetti di alcuni eventi anomali. www.analisidibilancio.it 11 Il rendiconto finanziario 2011
Ragionando in questi termini, siamo in grado di costruire un prospetto di rendiconto finanzia‐
rio che metta dettagliatamente in evidenza in che misura le attività di ogni specifico ambito di ge‐
stione hanno prodotto avanzi monetari o suscitato fabbisogni monetari. E’, così, possibile capire la genesi degli impieghi monetari e delle fonti utilizzate per far fronte ad essi. Lo schema generale di rendiconto è quello riportato nella tavola 3. Tavola 3 – Lo schema generale di rendiconto finanziario 4. IL CUORE DEI FLUSSI DI LIQUIDITÀ: LA GESTIONE OPERATIVA CORRENTE La lettura del prospetto presentato è agevole. La ricostruzione dei flussi monetari prende le mosse dalla gestione operativa e, in particolare, dalle attività correnti. Queste, infatti, rappresen‐
tano il vero e proprio “motore” dell’impresa, raccogliendo le quotidiane attività di acquisto dei fat‐
tori di consumo, di loro trasformazione per l’ottenimento dei prodotti e, infine, di vendita dei pro‐
dotti ottenuti. Queste attività generano costantemente uscite ed entrate monetarie. Per valutare le condizioni di equilibrio finanziario della gestione è, dunque, indispensabile mi‐
surare il flusso di cassa operativo corrente, ossia comprendere se le attività che animano il ciclo operativo determinano, nel loro complesso, un avanzo di cassa o un fabbisogno monetario. Infatti, come sul piano economico è alla gestione operativa corrente che spetta pro‐
durre reddito, così sul piano finanziario è da questo ambito di gestione che devono provenire le disponibilità di mezzi monetari da impiegare per far fronte ai diversi im‐
pegni di pagamento suscitati dalle altre attività della gestione aziendale. Si pensi, ad esempio, all’acquisto di nuovi impianti, al rimborso dei debiti, alla corresponsione di dividendi. www.analisidibilancio.it 12 Il rendiconto finanziario 2011
5. DAL FLUSSO DI CASSA OPERATIVO CORRENTE AL FREE CASH FLOW: IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO DELLA STRUTTURA OPERATIVA Il flusso di cassa operativo corrente esprime la portata del principale “condotto idrico” dell’impresa. I movimenti di cassa, tuttavia, non sono riconducibili soltanto alle attività del ciclo operativo. Occorre, quindi, andare avanti nell’analisi. Le strade possibili sono almeno due. a) Una prima strada percorribile è quella di contrapporre il flusso corrente ai pagamenti vinco‐
lati della gestione. Rientrano in questa categoria il pagamento di interessi passivi ed il rimborso di quote capitale di debiti in scadenza come pure la distribuzione di dividendi su azioni privilegiate (ad esempio le azioni di risparmio). L’obiettivo è quello di verificare il grado di solvibilità dell’impresa, ossia la sua capacità di far fronte autonomamente, con le risorse monetarie auto‐
prodotte, agli impegni di pagamento indifferibili. Si tratta, a evidenza, di un modello di rendiconto adatto a soddisfare le finalità conoscitive di specifiche categorie di stakeholder: i creditori finanzia‐
ri dell’impresa, tipicamente banche e obbligazionisti, ma anche i portatori di capitale di rischio. Dal confronto fra mezzi autoprodotti dalla gestione operativa corrente ed esborsi monetari vincolati scaturisce il flusso di cassa netto disponibile per usi strategici, ossia la massa di moneta effettivamente e liberamente manovrabile, con un elevato grado di flessibilità, per modificazioni strutturali delle caratteristiche dell’azienda. b) Una seconda strada, che a ben vedere non rinuncia alle finalità conoscitive della preceden‐
te, è quella di mantenere l’attenzione sulla gestione operativa. Dopo aver determinato i movimen‐
ti monetari dovuti alla gestione operativa corrente, si passa, cioè, a considerare i movimenti di moneta derivanti dalla gestione operativa strutturale. Come si ricorderà, la gestione operativa strutturale è rappresentata dal complesso delle opera‐
zioni attraverso le quali viene predisposto, conservato e sviluppato l’apparato produttivo dell’impresa. Si tratta, dunque, di operazioni di acquisto (e dismissione) di fabbricati, impianti, macchinari, ma anche brevetti, know how, ecc. In quest’ottica, i movimenti di cassa derivanti da tale ambito della gestione sono riconducibili a: • acquisizioni di immobilizzazioni materiali e immateriali, le quali causano uscite di moneta; • dismissioni di immobilizzazioni materiali e immateriali, le quali generano entrate di moneta. Dalla gestione operativa strutturale, in conclusione, può derivare un disavanzo (ossia un fabbisogno) o (più raramente) un avanzo netto di cassa. L’importo di tale saldo vie‐
ne comunemente indicato con il termine capex (capital expenditure). Il capex può es‐
sere misurato elaborando i dati di bilancio secondo i criteri che verranno illustrati nel Capitolo Terzo. www.analisidibilancio.it 13 Il rendiconto finanziario 2011
Determinato il capex, si è in grado di calcolare il flusso di cassa complessivo della gestione operativa. Esso si ottiene sommando l’avanzo (o il disavanzo) di cassa della gestione operativa cor‐
rente con il disavanzo (o l’avanzo) di cassa della gestione operativa strutturale. Il risultato monetario complessivo della gestione operativa viene comunemente indicato come free cash flow from operations. Il segno del free cash flow può essere (cfr. tavola 4): • positivo, nel qual caso esso misura l’ammontare di mezzi monetari a disposizione dell’impresa per far fronte agli impegni di pagamento derivanti da altre operazio‐
ni di gestione; • negativo, nel qual caso si configura un fabbisogno monetario operativo. Il fabbi‐
sogno finanziario operativo indica l’ammontare dei mezzi monetari necessari per realizzare gli investimenti collegati ai piani di consolidamento e sviluppo nelle arene competitive prescelte. Tali mezzi monetari dovranno essere raccolti attra‐
verso operazioni svolte nell’ambito della gestione finanziaria. Tavola 4 – I significati del free cash flow Il calcolo del free cash flow, ma soprattutto la sua composizione, assume grande rilevanza ai fi‐
ni del giudizio sulle condizioni di equilibrio della gestione. Cruciale si rivela il confronto fra il flusso di cassa operativo corrente e il saldo monetario derivante dalle attività operative strutturali. Tale confronto mette in evidenza la capacità dell’impresa di far fronte con le sole proprie forze, ossia con i soli mezzi monetari prodotti attraverso il quotidiano avvicendarsi delle operazioni di acqui‐
sto‐trasformazione‐vendita, al fabbisogno finanziario derivante dalle attività di consolidamento e sviluppo della struttura produttiva. L’idea di fondo è che l’impresa deve essere in grado di soddisfare, in primo luogo, i fabbisogni finanziari relativi agli investimenti necessari per consolidare e sviluppare la struttura con la quale compete nel business di riferimento. E’ grazie a questi investi‐
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menti, infatti, che si producono i flussi correnti e, quindi, si alimenta l’acquedotto mo‐
netario dell’impresa. Un’impresa che non sappia sostenere adeguatamente lo sviluppo della propria struttura produttiva, rappresentata dalle immobilizzazioni materiali e immateriali, eroderà la propria posizione di vantaggio competitivo e inaridirà, ben pre‐
sto, la propria capacità di generare un congruo autofinanziamento. Certo, per lo sviluppo della struttura è sempre possibile ricorrere all’indebitamento o alla rac‐
colta di capitale di rischio. Ma, al di là dell’onerosità di queste scelte, occorre considerare che i tempi del mercato finanziario non necessariamente coincidono con quelli della competizione nelle aree strategiche di affari. Ai tempi lunghi necessari per istruire un’operazione finanziaria e portarla a compimento (ammesso che i finanziatori accolgano positivamente le richieste dell’impresa) si contrappongono i tempi brevi con i quali è indispensabile rispondere alle mosse della concorrenza. Solo disponendo di risorse interne, l’impresa è effettivamente in grado di muoversi con tempesti‐
vità e senza condizionamenti. 6. I FLUSSI DI LIQUIDITÀ DELL’AREA FINANZIARIA DELLA GESTIONE: FLUSSO AL SERVIZIO DEL DE‐
BITO E FLUSSO AL SERVIZIO DEL CAPITALE DI RISCHIO Esaurita la gestione operativa, l’attenzione si sposta sulla gestione finanziaria. L’esame dei mo‐
vimenti di quest’area della gestione viene compiuto sulla scorta della distinzione fra: a) gestione finanziaria attiva; b) gestione finanziaria passiva. a) La gestione finanziaria attiva può produrre: entrate monetarie; uscite monetarie. Le entrate sono tipicamente associate a operazioni di: • incasso di dividendi, cedole e simili; • vendita di attività finanziarie. Le uscite sono associate a operazioni di: • acquisto diritti d’opzione, pagamento ratei interessi e simili; • acquisto di attività finanziarie. La gestione finanziaria attiva, in conclusione, può generare un avanzo o un disavanzo (ossia un fabbisogno) di cassa. Tale importo è agevolmente misurabile elaborando i dati di bilancio secondo i criteri che verranno indicati nel Capitolo Quarto. b) Anche la gestione finanziaria passiva può produrre sia entrate che uscite di moneta. Tutta‐
via, al fine di accrescere la portata informativa del rendiconto, è utile limitare inizialmente l’analisi www.analisidibilancio.it 15 Il rendiconto finanziario 2011
dei movimenti monetari della gestione finanziaria passiva alle sole operazioni che determinano uscite di moneta. Restano volutamente escluse le operazioni di raccolta di mezzi finanziari che modificano la struttura finanziaria dell’impresa, ossia le operazioni di contrazione di nuovi debiti o di aumento del capitale di rischio. Muovendosi su questa strada, quindi, la gestione finanziaria passiva determina necessariamente un fabbisogno monetario. Gli esempi più significativi di uscite causate dalla gestione finanziaria passiva sono costituiti da: • pagamento di interessi passivi; • rimborso di quote capitale di prestiti contratti. Assumendo una visione allargata della gestione finanziaria, ossia considerando accanto a quelle sul capitale di credito anche le operazioni sul capitale di rischio, ulteriori uscite monetarie si possono manifestare in corrispondenza a: • riduzioni di capitale sociale. Si pensi, in proposito, alle operazioni di riacquisto azioni proprie (buy‐back), oggi giorno assai frequenti, con successivo annullamen‐
to delle azioni; • distribuzioni di utili; • distribuzioni di riserve. E’ opportuno sottolineare come, anche nelle realtà imprenditoriali di più piccola dimensione, questa sezione del rendiconto assuma rilevante importanza. Qui, infatti, la distribuzione dell’utile ai soci rappresenta un’esigenza ineludibile. Data la profonda commistione fra economia dell’impresa ed economia della famiglia del nucleo imprenditoriale, è grazie all’utile che i soci pos‐
sono soddisfare le proprie esigenze di consumo domestico. I movimenti monetari dell’area finanziaria, attiva e passiva, possono essere organizzati in mo‐
do da evidenziare la formazione di particolari saldi monetari. Sommando al free cash flow from operations i movimenti monetari riconducibili alla gestione finanziaria attiva è, anzitutto, possibile determinare il flusso di cassa al servizio del debito (free cash flow to debt). Partendo da questo saldo si giunge, poi, a quantificare il flusso di cassa al servizio del capitale di rischio (free cash flow to equity). Per ottenerlo, basta sottrarre dal flusso di cassa al servizio del debito l’ammontare delle uscite dovute al pagamento di interessi passivi e ai rimborsi di quote di capitale di credito. Il contributo che ciascuno dei saldi monetari indicati può fornire all’analisi delle condizioni fi‐
nanziarie della gestione è evidente. Il flusso di cassa al servizio del debito esprime la capacità dell’impresa di generare ri‐
sorse monetarie sufficienti a servire adeguatamente i prestiti. In altre parole, si vuole mettere in luce il grado di effettiva solvibilità dell’impresa intesa come capacità di far www.analisidibilancio.it 16 Il rendiconto finanziario 2011
fronte ai debiti con le proprie risorse interne, dopo aver soddisfatto le esigenze di in‐
vestimento operativo e finanziario. Questa capacità potrebbe essere misurata anche confrontando il flusso di cassa operativo cor‐
rente direttamente con l’ammontare dei pagamenti imposti dai finanziamenti contratti dall’impresa. L’idea di fondo, tuttavia, è che un’impresa è veramente solvibile se è in grado di rimborsare i debiti, pagare gli interessi e corrispondere i dividendi senza sacrificare lo sviluppo de‐
gli investimenti, segnatamente quelli relativi alla struttura operativa. Per questo, il flusso operativo corrente viene dapprima contrapposto ai fabbisogni monetari legati alla struttura operativa (ca‐
pex) e, solo successivamente, ai fabbisogni generati dal servizio dei debiti. Il flusso di cassa al servizio dell’equity costituisce, poi, la premessa per comprendere:3 ‐ in che misura la remunerazione corrisposta ai portatori di capitale di rischio (vuoi sotto forma di dividendi, vuoi sotto forma di riacquisto azioni) concorre a determinare il fabbisogno finanziario dell’esercizio; ‐ se le risorse prodotte internamente consentono di coprire tale fabbisogno, oppure è necessario fare ricorso a fonti esterne. 7. IL FABBISOGNO FINANZIARIO COMPLESSIVO E LA SUA COPERTURA Una volta determinato il flusso di cassa al servizio dell’equity si passa a misurare la consistenza del saldo monetario della gestione vista nel suo complesso, a prescindere dall’acquisizione di nuo‐
vi mezzi finanziari dall’esterno. Questa si ottiene sommando al flusso di cassa al servizio dell’equity l’ammontare delle uscite dovute alla gestione del patrimonio netto, ossia: distribuzioni di utili, di‐
stribuzioni di riserve, riduzioni di capitale sociale. Il flusso di cassa complessivo, che risulta dopo aver considerato anche gli esborsi relativi al ser‐
vizio del capitale netto, può essere (cfr. tavola 5): • positivo, nel qual caso si parla di flusso di cassa disponibile o discrezionale. Il flusso di cassa discrezionale indica l’ammontare di mezzi monetari netti a disposi‐
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Nella teoria finanziaria, il free cash flow to equity viene determinando ricomprendendo tutti i movimenti della gestione finanziaria passiva, ossia anche le entrate derivanti dalla contrazione di nuovi prestiti. Il free cash flow to equity viene, così, considerato quale misura delle risorse complessivamente a disposizione degli azionisti. Tale grandezza, attualizzata a un congruo tasso, è impiegata per calcolare il valore economico del capitale netto. Si veda in proposito: DAMODARAN A., Finanza aziendale, Apogeo, Milano, 2001, cap. 11 e 12; MASSARI M., Finanza aziendale. Valutazione, Mc Graw‐Hill, Milano, 1998, capitolo 1; BREALEY R. A. ‐ MYERS S. C. ‐ SNADRI S., Principi di finanza aziendale, McGraw Hill, Milano, 1999, capitolo 3. Sottese a questa impostazione si ritrovano alcu‐
ne assunzioni semplificatrici in merito alla distribuibilità delle risorse disponibili per gli azionisti. Il free cash flow to equity, infatti, misurato considerando anche le risorse monetarie provenienti dalla raccolta di nuovi debiti, può avere un ammontare superiore all’utile dell’esercizio e, finanche, alle riserve. Nella realtà, la sua effettiva, integrale, distribuzione trova dei limiti nelle norme che disciplinano la distribuibilità di utili, di riserve e di capitale agli azionisti. Indipendentemente da queste considerazioni, il flusso di cassa al servizio degli azionisti (dell’equity) proposto nel testo vuole avere un significato diverso da quello proprio della teoria fi‐
nanziaria. A parte il fatto di essere una determinazione ex post e non preventiva, come accade invece nelle valutazioni di capitale economico, esso vuole consentire, nell’ambito di una rilettura monetaria delle operazioni di gestione svolte in un determinato esercizio, di analizzare la composizione del fabbisogno finanziario della gestione e le strade seguite per coprirlo. www.analisidibilancio.it 17 Il rendiconto finanziario 2011
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zione dell’impresa per gli usi più diversi. Esso corrisponde a un incremento netto di disponibilità liquide registrato nel periodo di riferimento; negativo, nel qual caso si configura un fabbisogno finanziario complessivo della gestione. Il fabbisogno finanziario complessivo non si presenta, però, come un’entità indistinta. Grazie al percorso di analisi seguito, infatti, è possibile cono‐
scerne la composizione qualitativa, individuando in che misura le diverse aree di gestione (operativa, finanziaria attiva, finanziaria passiva) hanno contribuito alla sua formazione. Così, ad esempio, un dato fabbisogno complessivo può essere dovuto in parte alla gestione operativa, laddove questa presenti un free cash flow from operations negativo, e, in parte, alla gestione finanziaria a causa della realiz‐
zazione di investimenti finanziari e/o del servizio dei debiti contratti. Tavola 5 – Il flusso di cassa complessivo Alla luce di queste osservazioni, si comprende la scelta di lasciar fuori i flussi di cassa derivanti dall’accensione di nuovi debiti o da aumenti del capitale di rischio. Solo così, infatti, è possibile mettere in chiara evidenza se l’impresa: • è in grado di produrre, senza rivolgersi all’esterno, surplus monetari; oppure… • a quanto ammonta e come è composto il fabbisogno finanziario dell’intera ge‐
stione aziendale per coprire il quale è indispensabile il ricorso a fonti esterne. www.analisidibilancio.it 18 Il rendiconto finanziario 2011
Se si fossero considerate le operazioni di rimborso dei prestiti insieme a quelle di ac‐
quisizione di nuove fonti finanziarie, evidentemente non saremmo riusciti a cogliere questi importanti aspetti! Fabbisogni e loro coperture esterne si sarebbero, per così dire, mescolati. Nel caso in cui il rendiconto evidenzi la formazione di un fabbisogno finanziario possono darsi due soluzioni (cfr. tavola 6): • il disavanzo è assorbito da una riduzione delle disponibilità liquide iniziali; • il disavanzo è coperto facendo ricorso alla raccolta di nuovi capitali. Tavola 6 – La copertura del fabbisogno finanziario In quest’ultimo caso, il rendiconto dovrà mettere in evidenza il contributo monetario derivante dalle operazioni di raccolta di nuove risorse, condotte nell’ambito della gestione finanziaria passi‐
va. Queste operazioni, che vengono ad incidere sulla struttura finanziaria dell’impresa, riguardano: • la contrazione di nuovi prestiti; • aumenti del capitale di rischio, sotto forma di aumenti di Capitale Sociale o di ver‐
samenti dei soci in c/capitale. Sommando alla consistenza del fabbisogno monetario complessivo gli afflussi di moneta deri‐
vanti dalle operazioni di raccolta si ottiene la variazione del saldo di disponibilità monetarie inter‐
venuta fra l’inizio e la fine dell’esercizio. Aggiungendo questa variazione alle consistenze di dispo‐
nibilità liquide all’ 1.I, si deve ottenere l’ammontare di tali disponibilità al 31.XII. www.analisidibilancio.it 19 Il rendiconto finanziario 2011
8. I TRE MOMENTI DELLA GESTIONE MONETARIA DELL’IMPRESA: PRODUZIONE, ASSORBIMEN‐
TO, RACCOLTA Il rendiconto è così concluso. Esso spiega cosa c’è “dietro” alla variazione della risorsa finanzia‐
ria (nel nostro caso la cassa) oggetto di analisi. In particolare, guardando al rendiconto nel suo complesso, grazie alla logica con la quale è sta‐
to costruito è possibile mettere in evidenza le correlazioni esistenti tra i tre momenti chiave che scandiscono la gestione monetaria dell’impresa (cfr. tavola 7): • la produzione di risorse monetarie; • l’assorbimento di risorse monetarie; • la raccolta di risorse monetarie. Tavola 7 – Le aree monetarie della gestione La produzione corrisponde al volume di moneta che l’impresa è in grado di generare autono‐
mamente e ripetitivamente, grazie ai propri processi di gestione. L’assorbimento è riconducibile a quelle operazioni che determinano, nel loro complesso e per loro intrinseca natura, esborsi di moneta, contribuendo a causare la formazione di fabbisogno fi‐
nanziario. Si tratta quindi, tipicamente, delle operazioni di: investimento (specie in immobilizza‐
zioni impiegate nella gestione operativa); servizio del debito; remunerazione del capitale di rischio. Il momento della raccolta si configura quando il volume di risorse monetarie prodotte inter‐
namente non è sufficiente a coprire il fabbisogno suscitato dalle operazioni che generano assor‐
bimento. Esso si traduce nella contrazione di nuovi debiti e/o in aumenti di capitale sociale. Questi tre momenti corrispondono a tre sezioni ideali del rendiconto monetario che abbiamo costruito. In particolare: www.analisidibilancio.it 20 Il rendiconto finanziario 2011
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la produzione è rappresentata, nella sua dimensione quantitativa e nel suo profilo qualitativo, dal flusso di cassa operativo corrente; l’assorbimento è descritto e quantificato dagli investimenti dell’area operativa strutturale (capex), dagli investimenti finanziari, dal servizio e rimborso dei presti‐
ti e dalla remunerazione del capitale di rischio, Si tratta, a ben vedere, di un as‐
sorbimento netto in quanto la gestione finanziaria attiva e, talvolta anche quella operativa strutturale possono generare risorse finanziarie, invece di assorbirle; la raccolta è descritta nella parte finale del rendiconto, laddove vengono isolate e messe in luce le politiche finanziarie adottate dall’impresa nel corso del periodo di riferimento. Indubbiamente, la costruzione di un rendiconto monetario siffatto richiede un’attenta lettura della Nota Integrativa e della Relazione sulla Gestione. Solo così, infatti, è pos‐
sibile acquisire le informazioni necessarie per separare, in seno alla gestione finanzia‐
ria passiva, le operazioni legate alla remunerazione e al rimborso dei prestiti da quelle di accensione di nuovi finanziamenti (cfr. tavola 8). Lo sforzo richiesto, tuttavia, è am‐
piamente compensato dal maggior contenuto informativo del rendiconto. Tavola 8 – La distinzione fra servizio e raccolta delle fonti di finanziamento Nel caso non si riuscisse a disporre di sufficienti informazioni per compiere la separazione pro‐
posta, lo schema di rendiconto si dovrebbe inevitabilmente modificare, assumendo la fisionomia illustrata nella tavola 9. Come si nota uscite ed entrate relative all’indebitamento vengono accor‐
pate e concorrono, insieme, a determinare il flusso di cassa a servizio dell’equity. Sottraendo da tale margine le uscite per dividendi e rimborsi di capitale sociale, si ottiene un nuovo risultato. Questo, se positivo, corrisponde alla variazione del saldo delle disponibilità liquide; se negativo, invece, esso misura il fabbisogno finanziario residuo da coprire con aumenti di capitale sociale e/o www.analisidibilancio.it 21 Il rendiconto finanziario 2011
attingendo alle consistenze di disponibilità liquide all’1‐I. Il risultato finale del rendiconto esprime‐
rà, in ogni caso, la variazione del saldo di disponibilità liquide nell’esercizio. Sulla scorta di queste osservazioni è opportuno ricordare che, frequentemente, i modelli pro‐
posti dalla manualistica e adottati dalle imprese non enucleano la gestione finanziaria attiva, né separano, in seno alla gestione finanziaria passiva, i flussi monetari in uscita, che determinano as‐
sorbimento di risorse, da quelli in entrata, che esprimono attività di raccolta di risorse. Piuttosto, i movimenti monetari generati dall’area finanziaria vengono considerati nel loro complesso e con‐
trapposti al free cash flow from operations, giungendo, così, a quantificare immediatamente la va‐
riazione del saldo delle disponibilità liquide. Tavola 9 – La commistione fra servizio e raccolta del debito www.analisidibilancio.it 22 Il rendiconto finanziario 2011
Capitolo Secondo IL FLUSSO DELLA GESTIONE OPERATIVA CORRENTE 1. Il cuore dei flussi di liquidità: la gestione operativa corrente 2. Il flusso di cassa potenziale e il margine operativo lordo 3. Il fabbisogno finanziario del ciclo operativo e il capitale circolante netto com‐
merciale 4. La messa a punto del flusso operativo corrente 4.1. L’accantonamento per trattamento fine rapporto (TFR) 4.2. L’accantonamento a fondi rischi e oneri 4.3. La svalutazione dei crediti commerciali 4.4. Le imposte e i debiti tributari 5. Flusso operativo corrente levered e unlevered 6. Metodo diretto o metodo indiretto? 8. L’utile è un’opinione, la cassa un fatto 1. IL CUORE DEI FLUSSI DI LIQUIDITÀ: LA GESTIONE OPERATIVA CORRENTE Esaminando la struttura generale del rendiconto finanziario è emerso che il punto di partenza di tale documento è rappresentato dall’ambito corrente della gestione operativa. Infatti, come sul piano economico è alla gestione operativa corrente che spetta produrre reddito, così sul piano fi‐
nanziario è da questo ambito di gestione che devono provenire le disponibilità di mezzi monetari da impiegare per far fronte ai diversi impegni di pagamento suscitati dalle altre attività della ge‐
stione aziendale. Si pensi, ad esempio, all’acquisto di nuovi impianti, al rimborso dei debiti, alla corresponsione di dividendi. 2. IL FLUSSO DI CASSA POTENZIALE E IL MARGINE OPERATIVO LORDO Muovendosi nella prospettiva tracciata, la redazione del rendiconto monetario deve iniziare dalla determinazione del flusso di cassa operativo corrente. A questo fine occorre, anzitutto, pro‐
cedere a quantificare il margine operativo lordo (MOL o EBITDA, come spesso viene identificata questa grandezza nel linguaggio internazionale). Il MOL può essere individuato attraverso la riclas‐
sificazione dei valori di Conto Economico condotta secondo la logica del modello a valore della produzione e valore aggiunto. Il ruolo del MOL nel calcolo del flusso di cassa corrente può essere compreso avvalendosi di un semplice esempio. Al termine del suo primo esercizio di attività (ipotesi A), l'impresa Alfa presenti i seguenti valori di reddito operativo: • ricavi 1000; www.analisidibilancio.it 23 Il rendiconto finanziario 2011
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costi 700, di cui 100 per ammortamenti e accantonamenti; MON 300. Si supponga, inoltre, (ipotesi B) che l’impresa negozi solo in contanti e non costituisca scorte di magazzino; pertanto i crediti verso clienti alla fine dell’esercizio saranno pari a zero, come pure ze‐
ro saranno le scorte di magazzino e i debiti verso fornitori. Date queste ipotesi, determiniamo il volume di moneta generato dalla gestione. Questo, chia‐
ramente, ammonta a 400, ossia: entrate 1000 (ricavi 1000) meno uscite 600 (costi 600) = saldo monetario prodotto 400 Infatti, in assenza di quote di fatturato ancora da riscuotere dai clienti (crediti verso clienti = 0) , tutti i ricavi si sono trasformati in entrate. Lo stesso discorso vale per le uscite; in mancanza di scorte (scorte di magazzino = 0) tutte le merci acquistate sono state vendute; infine, non esistendo debiti verso fornitori (debiti verso fornitori = 0), tutti gli acquisti risultano pagati, come pure inte‐
ramente pagati sono gli stipendi e gli altri costi per servizi. L'ammortamento, le svalutazioni e gli altri accantonamenti operativi vengono esclusi dal calcolo perché evidentemente non corrispon‐
dono a uscite monetarie. La gestione, dunque, ha prodotto un ammontare di moneta pari a 400. Si tratta di un flusso di cassa riconducibile alla gestione operativa. Più in particolare, il flusso di cassa in questione è gene‐
rato dalle attività di acquisto e vendita dei prodotti dell’impresa, ossia dal ciclo operativo. Siamo, quindi, in presenza del flusso di cassa operativo corrente. A questo punto, il significato finanziario del MOL è di immediata evidenza. In quanto differenza fra ricavi e costi di derivazione monetaria, esso corrisponde al saldo monetario generato dalle ope‐
razioni di acquisto‐trasformazione‐vendita. Come tale, dunque, il MOL è espressione di sintesi del flusso di cassa generato dalla gestione operativa corrente. E’, inoltre, agevole notare che al flusso di cassa corrente si sarebbe potuti pervenire non partendo “dall’alto” del Conto Economico, cioè dai ricavi delle vendite, ma muo‐
vendosi “dal basso”, ossia sommando al MON di 300 gli ammortamenti e accantona‐
menti operativi di 100. Infatti, se MOL meno ammortamenti e accantonamenti è uguale a MON, allora MON più am‐
mortamenti e accantonamenti è pari al MOL. Dunque, la somma del margine operativo netto e dei costi non aventi diretta derivazione monetaria, pur non essendo reale espressione di un flusso di cassa, misura la consistenza della moneta generata dal continuo alternarsi delle operazioni di ac‐
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quisto dei fattori di consumo, di trasformazione di tali fattori in prodotti (beni e servizi), di vendita dei prodotti ottenuti. E’ questo un procedimento di calcolo indiretto che, però, produce il medesimo risul‐
tato del procedimento diretto basato sul confronto fra ricavi e costi di derivazione monetaria. 3. IL FABBISOGNO FINANZIARIO DEL CICLO OPERATIVO E IL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO COMMERCIALE A ben vedere, però, il MOL esprime non tanto il flusso monetario effettivo quanto il flusso di moneta potenzialmente prodotto dalla gestione; potenzialmente nel senso di: quale sarebbe se tutte le negoziazioni avvenissero in contanti e non ci fossero scorte. Nella misura in cui, invece, esistono ricavi negoziati a credito, costi a pagamento differito e si procede alla costituzione di scorte le cose cambiano. Riprendiamo l’esempio visto nel precedente paragrafo e rimuoviamo l’ipotesi di scambi solo in contanti e di assenza di scorte di magazzino. Si supponga, invece, che, sempre al termine del primo esercizio di gestione, si abbiano: • crediti verso clienti pari a 300; • rimanenze finali di merci pari a 150; • debiti verso fornitori pari a 100. Ricalcoliamo, ora, il flusso di cassa seguendo, il procedimento diretto, entrate meno uscite. Al‐
la luce delle ipotesi formulate, il flusso monetario della gestione diventa il seguente: ricavi monetari 700 meno costi monetari 650 = saldo monetario prodotto 50 In presenza di crediti verso clienti per 300, i ricavi che si trasformano in entrate ammontano a 700, ossia 1000 di vendite meno 300 di crediti ancora da esigere. Per quanto riguarda le uscite, oc‐
corre considerare che, nel corso dell’esercizio, l’impresa ha proceduto ad acquistare più merce di quanta ne è stata venduta. Sono, cioè, state acquistate scorte per 150, le quali hanno determinato un incremento di pari importo negli esborsi che salgono a 750. Tuttavia, non tutti gli acquisti sono stati pagati. In presenza di debiti verso fornitori per 100, le uscite effettive si riducono a 650. Ne risulta un flusso di cassa pari a 50. È questo il flusso monetario reale prodotto dalla gestione operativa corrente. Esso differisce in modo rilevante dal flusso potenziale espresso dal MOL, che ammonta sempre a 400. www.analisidibilancio.it 25 Il rendiconto finanziario 2011
Gli elementi che fanno la differenza fra flusso potenziale e flusso reale sono gli inve‐
stimenti in crediti e in scorte di magazzino, al netto del finanziamento indiretto accor‐
dato dai fornitori. Questi elementi configurano il Capitale Circolante Netto Commer‐
ciale (CCNc). Il ruolo esercitato da questa grandezza tipicamente patrimoniale, nella determinazione del flusso di cassa, è agevolmente comprensibile solo che si rifletta sul suo significato finanziario. Cre‐
diti verso clienti e scorte di magazzino, infatti, rappresentano tipiche attività legate al ciclo opera‐
tivo. Esse esprimono gli investimenti suscitati specificamente dallo svolgimento della gestione operativa corrente. In altre parole, se non venisse svolto il ciclo, non ci sarebbe la formazione delle scorte di magazzino, né dei crediti verso i clienti. In quanto attività, ossia impieghi di capitale in attesa di essere recuperati, clienti e scorte misu‐
rano con il loro valore la consistenza del fabbisogno finanziario lordo del ciclo, il fabbisogno finan‐
ziario, cioè, che si manifesta indipendentemente dalle fonti utilizzate per coprire tale fabbisogno. Di contro, i debiti verso fornitori indicano in che misura il fabbisogno lordo si riduce grazie alle dilazioni di pagamento ottenute dai fornitori e simili. Nella misura in cui i fornitori consentono di “non pagare” i fattori impiegati nel ciclo, il capitale impiegato in esso, e quindi il correlato fabbiso‐
gno finanziario effettivamente da affrontare, si riduce. In questo senso il CCNc, quale differenza fra attività e passività legate al ciclo operativo, non può che esprimere il fabbisogno finanziario netto generato dallo svolgimento del processo di ac‐
quisto‐trasformazione‐vendita. In quanto espressione di un fabbisogno finanziario, il CCNc opera, in sostanza, come un filtro fra il flusso di cassa potenziale e quello reale. Un’espansione del CCNc assorbe la liquidità potenziale dell’impresa e, quindi, va a ridurre il flusso di cassa potenzial‐
mente disponibile. Essa, infatti, sta a indicare che una parte della moneta prodotta dal ciclo è stata impiegata per finanziare il fabbisogno finanziario causato dall’incremento netto (al netto dei fornitori) degli investimenti legati al ciclo operativo stesso. Di contro, una contrazione del CCNc genera liquidità e, quindi, va ad aggiungersi alla liquidità potenziale generata nell’esercizio dal ciclo operativo. Una riduzione del CCNc, infatti, segnala che il ciclo operativo svoltosi nell’esercizio non ha determinato un in‐
cremento netto di investimenti ma, al contrario, un realizzo netto degli investimenti formatisi nel ciclo operativo del precedente esercizio (o di precedenti esercizi) che genera ulteriore liquidità. Ricorrendo ancora una volta a una metafora idraulica, il flusso potenziale si segnala come il ru‐
binetto dal quale sgorga la liquidità prodotta dal ciclo operativo. Il CCNc, di contro, si configura come una sorta di “spugna”. Il liquido che esce dal rubinetto passa attraverso la spugna del CCNc: se la spugna cresce, e quindi assorbe liquido, il flusso monetario reale che ne residua è ridotto ri‐
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spetto a quello potenziale di partenza; viceversa, se la spugna viene strizzata, il flusso monetario reale è accresciuto grazie al recupero del liquido immagazzinato nella spugna nel corso di prece‐
denti esercizi. Dire che la spugna cresce significa che il CCNc aumenta fra l’inizio e la fine di un da‐
to periodo di riferimento, ad esempio l’esercizio; dire che la spugna viene strizzata significa che il CCNc diminuisce fra l’inizio e la fine dell’esercizio (cfr. tavola 1). Tavola 1 – Flusso potenziale e fabbisogno finanziario corrente Alla luce di queste osservazioni, peraltro, possiamo rimuovere anche l’ipotesi assunta nell’esempio sin qui proposto, ossia che l’impresa si trovi al suo primo esercizio di attività. Quel che conta, infatti, ai fini della determinazione del flusso di cassa, è la variazione del CCNc in un da‐
to periodo e non la sua consistenza in un certo istante. La metafora del rubinetto e della spugna suggerisce che, per ottenere il flusso di cassa real‐
mente prodotto dalla gestione operativa corrente, è sufficiente procedere a correggere il MOL con la variazione intervenuta nella consistenza del CCNc durante l’esercizio. Se il CCNc aumenta, tra l'inizio e la fine dell'esercizio, il MOL va ridotto di questo incremento, viceversa se il CCNc diminui‐
sce. Matematicamente, dunque, l’effetto del circolante è espresso dalla differenza fra il CCNc al 31.XII ed il CCNc all’1.I, preceduta dal segno meno, ossia: ‐ (CCNc 31.XII – CCNc 1.I). Infatti: se nell’esercizio il CCNc cresce, la differenza è positiva e, come tale, esprimendo un assorbimento di risorse, deve essere sottratta dal flusso potenziale; se nell’esercizio il CCNc diminuisce, la differen‐
za è negativa e, come tale, esprimendo un rilascio di risorse, deve essere aggiunta al flusso poten‐
ziale; il meno davanti alla parentesi trasforma, appunto, il valore della differenza da negativo a po‐
sitivo. Per verificare la fondatezza del procedimento proposto, torniamo all'esempio. Applicando la sequenza di calcolo ora richiamata avremo: www.analisidibilancio.it 27 Il rendiconto finanziario 2011
Margine Operativo Lordo 400 ‐ (CCNc 31.XII – CCNc 1.I) (350) = Flusso di cassa reale 50 Nel caso al quale ci riferiamo, infatti, il CCNc passa da zero (ricordiamoci che abbiamo suppo‐
sto di essere al primo esercizio di attività dell’impresa – ipotesi A) a 350. Quindi la spugna si gonfia e assorbe liquidità per 350. Dal MOL di 400 togliamo, allora, l'incremento del CCNc di 350 e otte‐
niamo il flusso di cassa reale pari a 50. Il flusso potenziale di 400, in sostanza, viene risucchiato dall'espansione dell'investimento netto in CCNc per 350. Restano solo 50 di moneta disponibile per altri usi. Dal quadro tracciato, il flusso potenzialmente prodotto dalla gestione operativa non perde im‐
portanza, anzi. La sua carenza, o peggio la sua assenza, è inequivocabile segnale di gravi patologie aziendali. 4. LA MESSA A PUNTO DEL FLUSSO OPERATIVO CORRENTE La combinazione “MOL ‐ ∆ CCNc” aiuta a spiegare la gran parte del flusso di cassa operativo corrente. Tuttavia, se vogliamo determinare correttamente il profilo monetario della gestione operativa corrente, occorre mettere alcuni “puntini sulle i”. Non farlo causa distorsioni inaccetta‐
bili. In particolare, dobbiamo considerare con più attenzione i seguenti problemi: 1) l’accantonamento per trattamento fine rapporto; 2) gli accantonamenti a fondi rischi e oneri 3) la svalutazione dei crediti commerciali 4) l’effetto delle imposte e dei debiti tributari. 4.1. L’ACCANTONAMENTO PER TRATTAMENTO FINE RAPPORTO Il MOL è al netto dei costi riconducibili al fattore “lavoro”; quindi, è al netto anche dell’accantonamento a TFR, che del costo del lavoro, di fatto, è parte integrante. Così facendo, l’accantonamento a TFR viene considerato come un costo monetario. Questa cir‐
costanza può non essere vera ai fini della determinazione del flusso di cassa reale. Occorre allora introdurre un correttivo. L’interpretazione della variazione del fondo TFR o, più propriamente, del debito verso dipen‐
denti per TFR è la seguente: www.analisidibilancio.it 28 Il rendiconto finanziario 2011
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se la variazione del fondo è pari all’accantonamento operato, ciò significa che il fondo non è stato utilizzato e quindi non ci sono stati esborsi monetari. Occorre, pertanto, integrare (nel senso di accrescere) il flusso di cassa reale; se la variazione è inferiore all’accantonamento, ciò significa che il fondo è stato utiliz‐
zato con riflessi sulla cassa. Per chiarire il concetto si consideri la seguente esemplificazione numerica. Supponendo di ave‐
re: •
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ricavi 1000; costi 700 di cui 100 per ammortamenti e altri accantonamenti e 50 per accanto‐
namento a TFR; il MOL sia pari a 400; il CCNc si incrementi di 30. Formuliamo, ora, delle ipotesi circa la variazione del fondo TFR fra l’inizio e la fine dell’esercizio: • ipotesi 1): il fondo subisce un incremento di 50; • ipotesi 2): il fondo subisce un incremento di 40. Consideriamo, dapprima, l’ipotesi 1). Il MOL di 400 considera le 50 di accantonamento a TFR come un costo monetario. Tuttavia, poiché la variazione del TFR è uguale all’accantonamento, nessun esborso per TFR è avvenuto nell’esercizio. Pertanto, aggiungendo al MOL, corretto con la variazione del CCNc, la variazione del TFR rimettiamo le cose in ordine, recuperando “a cassa” le 50 che non sono effettivamente uscite. Passiamo, ora, all’ ipotesi 2) Se la variazione del TFR è inferiore a 50, ossia all’accantonamento dell’anno, ciò significa che il TFR è stato utilizzato nell’esercizio. L’entità dell’utilizzo è pari a 10, ottenuto come differenza fra 50, l’accantonamento appunto, e la variazione intervenuta nel fondo, ossia 40. Aggiungendo al MOL, corretto con la variazione del CCNc, la variazione di 40 del TFR teniamo conto di questo uti‐
lizzo. Infatti, così facendo, incrementiamo il flusso espresso dal MOL di sole 40 (variazione TFR) contro un accantonamento, già considerato dentro il MOL come costo monetario, di 50. Il flusso di cassa, rispetto all’ipotesi precedente, viene pertanto ridotto di 10 (‐50, l’accantonamento al fondo; + 40, l’incremento del fondo), che corrispondono appunto all’utilizzo del TFR. Questi semplici esempi suggeriscono come procedere per assestare il calcolo del flusso di cassa reale in relazione alle variazioni del TFR. La sequenza di calcolo di validità generale è quella rias‐
sunta di seguito: www.analisidibilancio.it 29 Il rendiconto finanziario 2011
MOL ‐ ∆ CCNc + ∆ fondo TFR Applicando la sequenza prospettata ai dati dell’esempio precedente avremo: Ipotesi a) MOL 400 ‐ ∆ CCNc (30) + ∆ fondo TFR 50 = flusso di cassa operativo corrente 420 Ipotesi b) MOL 400 ‐ ∆ CCNc (30) + ∆ fondo TFR 40 = flusso di cassa operativo corrente 410 L’effetto del TFR sul flusso di cassa operativo corrente poteva essere quantificato anche pro‐
cedendo in modo diverso. Si poteva, infatti, aggiungere al MOL l’intera consistenza dell’accantonamento a TFR, considerando tale accantonamento alla stregua degli altri costi non monetari, come ad esempio l’ammortamento. Successivamente, il valore così ottenuto poteva es‐
sere corretto con l’ammontare dell’utilizzo del fondo, ammontare derivante dalla differenza fra accantonamento e variazione del fondo fra inizio e fine del periodo di riferimento dell’analisi. Tuttavia, lasciare il MOL al netto dell’accantonamento TFR ha una precisa motivazione logica. Infatti, l’accantonamento a TFR si configura come un vero a proprio costo a esborso monetario differito, correlato a una posizione debitoria dell’impresa verso i dipendenti. Si tratta, in altre parole di “soldi di altri” (i dipendenti) momentaneamente lasciati a disposizione dell’impresa. L’accantonamento a TFR, dunque, rappresenta un valore ben diverso dall’ammortamento al quale può in prima battuta essere assimilato se e in quanto non generi esborsi monetari. L’ammortamento, infatti, non si correla ad alcuna posizione debitoria dell’impresa; esso rappre‐
senta risorse non ipotecate da futuri impegni finanziari nei confronti dei terzi. A fronte di esso, quindi, si realizza un trattenimento di risorse che restano nella piena disponibilità della gestione. Pertanto, mantenere il MOL al netto dell’accantonamento TFR e al lordo degli ammor‐
tamenti consente di configurare il MOL come espressione di un vero e proprio autofi‐
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nanziamento, ossia di risorse finanziarie prodotte autonomamente dall’impresa e non gravate da debiti verso nessuno. Muovendo da questa considerazione, si comprende pienamente la definizione del MOL quale misura dell’autofinanziamento operativo. 4.2. L’ACCANTONAMENTO A FONDI RISCHI E ONERI Alla luce dell’obiettivo di quantificare l’ammontare dell’autofinanziamento dell’impresa, è chiaro in che modo trattare tutti gli accantonamenti per rischi e oneri contabilizzati nel Conto Eco‐
nomico e i correlati fondi presenti nello Stato Patrimoniale. La logica, analoga a quella proposta per il TFR, può essere tradotta in una regola generale. Tutti i costi per accantonamento rilevati a Conto Economico devono essere sottratti dall’importo del MOL. Per quanto riguarda i Fondi, invece, bisogna distinguere fra: a. quelli già considerati nel calcolo del CCNc. Per questi non occorre una spe‐
cifica evidenziazione, poiché la loro variazione è già considerata all’interno della varia‐
zione del CCNc e, quindi, partecipa al calcolo del flusso di cassa; b. quelli non considerati nel calcolo del CCNc. Questi devono essere esplici‐
tamente inseriti nel flusso di cassa, aggiungendo la loro variazione in una apposita vo‐
ce dello schema di rendiconto. La sequenza di calcolo diventa allora: MOL ‐ accantonamenti a fondi rischi e oneri ‐ ∆ CCNc + ∆ fondo TFR e altri fondi rischi e oneri non ricompresi nel CCNc = flusso di cassa della gestione operativa corrente La correzione ora prospettata suggerisce di abbandonare il MOL e identificare l’autofinanziamento sommando direttamente al risultato operativo (MON) gli ammor‐
tamenti e le svalutazioni. E’, infatti, evidente che se: MOL – ammortamenti e svalutazioni ‐ accantonamenti a fondi rischi e oneri = MON www.analisidibilancio.it 31 Il rendiconto finanziario 2011
allora: MON + ammortamenti e svalutazioni = MOL ‐ accantonamenti a fondi rischi e oneri Pertanto, la sequenza da adottare per assestare il calcolo del flusso di cassa operativo corrente diventa quella che segue: MON + ammortamenti e svalutazioni ‐ ∆ CCNc + ∆ fondo TFR e altri fondi rischi e oneri non ricompresi nel CCNc = flusso di cassa operativo corrente 4.3. LA SVALUTAZIONE DEI CREDITI COMMERCIALI Ai fini del calcolo del flusso corrente, al MON vengono sommati gli ammortamenti e le svaluta‐
zioni. Le svalutazioni, infatti, non rappresentano costi di derivazione monetaria. E’, quindi, corretto che il loro importo concorra al calcolo del flusso di cassa, analogamente a quanto avviene per gli ammortamenti. Fra le svalutazioni rientra, però, anche quella relativa ai crediti commerciali. Questa circostan‐
za, apparentemente innocua, può creare seri problemi di calcolo. Per capire come deve essere trattato questa svalutazione dobbiamo ricostruirne il percorso contabile. La svalutazione crediti trova collocazione nella macroclasse B, voce 10, sottovoce d, del Conto Economico civilistico. Quando viene riclassificata, la svalutazione viene considerata alla stregua degli altri accantonamenti operativi e degli ammortamenti; essa, quindi, si posiziona fra il MOL e il risultato operativo, configurandosi come un costo non monetario. Guardiamo, ora, all’aspetto patrimoniale. La svalutazione viene operata in contropartita al fondo svalutazione crediti, il quale, negli schemi di bilancio dettati dalla normativa civilistica, deve essere portato in detrazione del valore dei crediti. Lo stesso accade nei prospetti riclassificati. Esso, dunque, è parte integrante del CCNc. Di fatto, ciò comporta che il valore dei crediti in bilancio non evidenzia il reale fabbisogno che l’impresa deve fronteggiare per detenere un certo volume di clienti, in quanto questi ultimi risultano ridotti dall’importo del fondo svalutazione. Tutto questo ha profonde ricadute sul calcolo del flusso di cassa operativo corrente. Un esempio aiuterà a chia‐
rire il problema. Si supponga, al termine del primo esercizio di attività, di avere la seguente situazione: www.analisidibilancio.it 32 Il rendiconto finanziario 2011
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ricavi di vendita 1000; costi per personale e merci 600; ammortamenti 90; svalutazione crediti 10; risultato operativo 300; il CCNc alla fine dell’esercizio è composto da: ‐ clienti 100; ‐ fondo svalutazione crediti 10. Nel caso prospettato è chiaro che, a fronte della svalutazione crediti di 10, non vi è stato alcun esborso monetario; la svalutazione, infatti, corrisponde all’importo del fondo; quindi, i crediti si sono formati e non si è ancora manifestata alcuna perdite al momento di riscuoterli. Apparirebbe corretto, allora, che al MON fosse sommato anche il valore della svalutazione, considerandolo alla stregua di un costo non monetario. Procediamo, ora, al calcolo del flusso di cassa utilizzando il metodo diretto, ossia determinando gli importi delle entrate e delle uscite mediante la correzione dei valori di ricavo e di costo. Entrate del ciclo operativo
(ricavi delle vendite 1000 ‐ Δ crediti vs. clienti 100)
‐ Uscite del ciclo operativo
(costi per personale e consumi di merci)
= flusso di cassa operativo corrente
900
(600)
300
Proviamo ora a ricostruire il flusso di cassa utilizzando il metodo indiretto, ossia basandosi sul valore del MON e sulla variazione intervenuta nel CCNc pari a 90. margine operativo netto 300
+ ammortamenti 90
+ svalutazioni 10
‐ variazione CCNc (90)
= flusso di cassa operativo corrente
310
Il confronto dei risultati ottenuti evidenzia che qualcosa non va. Quale che sia il metodo di cal‐
colo utilizzato, infatti, i risultati dovrebbero coincidere. Sicuramente il risultato ottenuto con il me‐
todo diretto è giusto. La contrapposizione tra entrate e uscite monetarie non lascia dubbi a riguar‐
do. Il problema nasce dal metodo indiretto ed è riconducibile, proprio, alla svalutazione e al relati‐
vo fondo. A ben vedere, l’effetto dell’accantonamento è conteggiato due volte nel calcolo del flus‐
so di cassa: www.analisidibilancio.it 33 Il rendiconto finanziario 2011
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•
una prima volta accrescendo il valore dell’autofinanziamento. Infatti, il MOL di 400 corrisponde a: risultato operativo (MON 300), più ammortamenti (90), più svalutazione crediti (10); una seconda volta riducendo l’incremento del CCNc e, quindi, l’assorbimento di cassa da esso esercitato. L’incremento del CCNc infatti, al netto del fondo svalu‐
tazione, è di 90; se non avessimo conteggiato il fondo, l’incremento sarebbe stato di 100. Ora, tenuto conto che nei bilanci ufficiali e nel riclassificato i crediti sono esposti già al netto del fondo correttivo, la strada più semplice da seguire per evitare distorsioni nei calcoli è quella di decurtare il MOL dell’importo della svalutazione crediti, mantenendo il CCNc al netto del fondo svalutazione stesso. Riprendendo l’esempio di prima avremo infatti: margine operativo netto
+ ammortamenti + svalutazioni (senza svalutazione crediti)
‐ variazione CCNc = flusso di cassa operativo corrente
300
90
0
(90)
300
Come si vede i conti ora tornano. La questione sollevata a proposito della svalutazione crediti consente di trarre una conclusione a carattere generale. Se non si escludono dall’autofinanziamento le svalutazioni che interessano componen‐
ti del circolante, il flusso del ciclo operativo viene erroneamente aumentato. La sequenza di calcolo diventa allora: MON + ammortamenti + svalutazioni (escluse quelle che riguardano componenti del CCNc) ‐ ∆ CCNc + ∆ fondo TFR e altri fondi rischi e oneri non ricompresi nel CCNc = flusso di cassa operativo corrente 4.4. LE IMPOSTE E I DEBITI TRIBUTARI Il flusso di cassa operativo corrente può essere calcolato: • al lordo delle imposte; www.analisidibilancio.it 34 Il rendiconto finanziario 2011
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al netto delle imposte. La determinazione del flusso di cassa al netto delle imposte mette bene in luce le disponibilità monetarie prodotte dal ciclo operativo su cui l’impresa può effettivamente contare per affrontare i fabbisogni finanziari suscitati dalle altre operazioni di gestione quali: sviluppare le proprie immo‐
bilizzazioni tecniche, acquistare partecipazioni in altre imprese, pagare interessi passivi e rimbor‐
sare i debiti contratti, corrispondere dividendi agli azionisti. Indubbiamente, individuare le imposte relative ai soli risultati del ciclo operativo è assai diffici‐
le. Tuttavia, poiché la maggior parte del reddito nasce proprio dal ciclo operativo, è plausibile at‐
tribuire tutte le imposte all’ambito corrente della gestione operativa. Così facendo, si vengono a configurare, in seno al calcolo del flusso di cassa operativo corrente, due valori di autofinanziamento: • autofinanziamento lordo; • autofinanziamento netto. Ossia: MON + ammortamenti + svalutazioni (escluse quelle che riguardano componenti del CCNc) = autofinanziamento lordo ‐ imposte dell’esercizio = autofinanziamento netto ‐ ∆ CCNc + ∆ fondo TFR e altri fondi rischi e oneri non ricompresi nel CCNc = flusso di cassa operativo corrente L’esame congiunto delle due configurazioni di autofinanziamento aiuta a comprendere l’entità del drenaggio di risorse monetarie potenziali esercitato dal prelievo fiscale. Ai fini di un corretto calcolo del flusso di cassa reale, tuttavia, si pone il problema della colloca‐
zione da dare ai debiti tributari. Nella misura in cui tali debiti variano, le imposte contabilizzate a Conto Economico e sottratte dall’autofinanziamento lordo non corrispondono all’effettivo esborso monetario sostenuto dall’impresa. Si consideri il seguente esempio. Nel Conto Economico dell’impresa Alfa vengono rilevate im‐
poste per 1000. Nello Stato Patrimoniale al 31.XII, il debito tributario ammonta a 200; alla fine dell’esercizio precedente, ammontava a 300. L’effetto monetario esercitato dalle imposte è age‐
www.analisidibilancio.it 35 Il rendiconto finanziario 2011
volmente determinabile: Debiti tributari all’1/I 300
+ imposte dell’esercizio 1.000
‐ Debiti tributari all’31/XII 200
= imposte pagate nell’anno
1.100
Pertanto, se vogliamo ottenere il flusso di cassa operativo corrente al netto degli esborsi tribu‐
tari, è opportuno procedere nel seguente modo: • tutte le imposte dell’esercizio vengono sottratte dall’importo dell’autofinanziamento lordo, ottenendo, così, un valore di autofinanziamento netto, come in precedenza proposto; • la variazione intervenuta fra l’inizio e la fine dell’esercizio nel saldo dei debiti tri‐
butari viene inglobata nella variazione del CCNc e, in tal modo, partecipa alla de‐
terminazione del flusso di cassa operativo corrente. 5. FLUSSO OPERATIVO CORRENTE LEVERED E UNLEVERED Inserendo le imposte nel calcolo del flusso di cassa operativo corrente si è supposto che il red‐
dito nascesse proprio dal ciclo operativo e, dunque, che fosse assolutamente plausibile attribuire tutte le imposte all’ambito corrente della gestione operativa. A ben vedere, però, il carico delle imposte rilevate a conto economico è influenzato dall’effetto di scudo fiscale esercitato dagli one‐
ri finanziari, ossia da un valore che riflette scelte finanziarie della gestione. Le imposte, dunque, non sono quelle che deriverebbero dai soli risultati dell’attività operativa. Come noto, i flussi di cassa sono alla base della determinazione del valore fondamentale dell’impresa secondo le logiche discounted cash flow (DCF). I metodi DCF si presentano in due versioni: • equity side; • asset side. Le determinazioni equity side misurano direttamente il valore fondamentale del capitale di ri‐
schio e, da qui, delle singole azioni che lo formano. Per farlo, si procede all’attualizzazione, a un congruo tasso, del free cash flow to equity (FCFE), ossia del flusso monetario disponibile per gli azionisti.4 Le determinazioni asset side, invece, pervengono indirettamente alla misura del valore fon‐
damentale del capitale di rischio. Esse, infatti, quantificano il valore fondamentale del complesso 4
Il free cash flow to equity che viene impiegato è quello descritto nel capitolo primo, alla nota 3.
www.analisidibilancio.it 36 Il rendiconto finanziario 2011
degli investimenti operativi netti (COIN) attraverso l’attualizzazione a un congruo tasso del free cash flow from operations (FCF). Per ottenere il valore fondamentale del capitale di rischio e, da qui, delle singole azioni che lo formano, occorre, poi, sottrarre dal valore economico del COIN il va‐
lore dell’indebitamento netto (cfr. tavola 2). La logica asset side ha il pregio di consentire misura‐
zioni che prescindono dagli effetti esercitati sulla redditività dalla struttura finanziaria dell’impresa e, quindi, dal rapporto di indebitamento. L’attenzione è tutta concentrata sui risultati operativi. Si rendono così comparabili imprese con strutture finanziarie diverse o la stessa impresa in vari mo‐
menti temporali connotati da un differente grado di indebitamento. Proprio perché rivolte a quantificare il valore economico dell’impresa a prescindere dalla sua struttura finanziaria, le determinazioni asset side impiegano flussi di cassa unlevered, ossia non influenzati dalle scelte di finanziamento. Il valore economico del COIN, infatti, si ottiene attraverso l’attualizzazione, a un congruo tasso, del free cash flow from operations (FCF), dal momento che il FCF tiene conto dei soli flussi derivanti dalla gestione operativa. Tavola 2 – La determinazione del valore fondamentale con il metodo DCF – asset side L’impiego di flussi unlevered comporta che le imposte non dovrebbero essere influenzate dalla deducibilità degli oneri finanziari, essendo questi ultimi frutto proprio delle scelte di struttura fi‐
nanziaria dell’impresa. Di conseguenza, per calcolare il flusso di cassa operativo al netto delle im‐
poste, non si tratta semplicemente di togliere dall’autofinanziamento operativo le imposte sul reddito netto quali risultano dal Conto Economico riclassificati; occorrerà, anche, togliere i rispar‐
mi di imposta dovuti alla deducibilità degli interessi passivi. In sostanza, l’autofinanziamento netto deve essere al netto delle imposte quali esse sarebbero senza lo scudo fiscale costituito dagli oneri finanziari. www.analisidibilancio.it 37 Il rendiconto finanziario 2011
Un esempio aiuterà a chiarire il concetto. Si supponga la seguente situazione: MON Oneri finanziari
Reddito ante imposte Aliquota di imposta Imposte Reddito al netto delle imposte
300
(50)
250
40%
(100)
150
Volendo ottenere il flusso di cassa operativo corrente al netto delle imposte, occorre conside‐
rare il risparmio fiscale consentito dagli oneri finanziari. Infatti, le imposte gravanti sul reddito operativo ammonterebbero, senza gli oneri finanziari, a 160. L’importo delle imposte da inserire nella sequenza di calcolo del flusso di cassa, pertanto, dovrà essere di 120, ossia 100 (le imposte dell’esercizio) più i risparmi di imposta dovuti agli oneri finanziari pari al 40% degli oneri finanziari stessi, ossia 20. Alla luce delle precedenti precisazioni, muovendoci nell’ottica unlevered, il flusso di cassa ope‐
rativo corrente si otterrà così: MON + ammortamenti e svalutazioni
= autofinanziamento lordo
‐ imposte dell’esercizio ‐ risparmi di imposta da oneri finanziari
= autofinanziamento netto
Per il resto la sequenza di calcolo rimane inalterata. 6. METODO DIRETTO O METODO INDIRETTO? L’esame del flusso di cassa operativo corrente e dei principali problemi che si incontrano nella sua determinazione è stato condotto, di fatto, adottando due metodi: a) metodo diretto o dall’alto; b) metodo indiretto o dal basso. I due metodi sottendono due logiche diverse. Il metodo diretto prende le mosse dai valori che si trovano nella parte alta del Conto Economico riclassificato. Esso si basa sulla contrapposizione fra ricavi e costi generati dal ciclo operativo, debitamente corretti per ricondurli da una logica di competenza economica a una di competenza monetaria» Le correzioni riguardano: www.analisidibilancio.it 38 Il rendiconto finanziario 2011
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i ricavi delle vendite che vengono rettificati in relazione alla variazione intervenu‐
ta, fra l’inizio e la fine dell’esercizio, nell’ammontare dei crediti verso clienti; i costi operativi di derivazione monetaria, ossia costi per acquisti di materiali, merci e simili, costi per servizi e costi per il personale, i quali vengono rettificati in relazione alla variazione intervenuta, fra l’inizio e la fine dell’esercizio, nell’ammontare dei debiti verso fornitori e delle scorte di magazzino. Ammorta‐
menti, svalutazioni e accantonamenti, in quanto costi non di derivazione numera‐
ria, vengono scartati. Il metodo indiretto muove dalla parte bassa o dalla parte alta dell’area operativa del Conto Economico. Esso prende le mosse dal MON, il margine netto dell’area operativa; risalendo verso l’alto, al MON vengono sommati i valori degli ammortamenti e svalutazioni e sottratto l’importo di eventuali perdite su crediti. Il valore così ottenuto, infine, viene corretto con la variazione interve‐
nuta, fra l’inizio e la fine dell’esercizio, nell’ammontare del CCNc. Indubbiamente il metodo diretto è più immediatamente comprensibile. Esso nasce dalla con‐
trapposizione fra entrate e uscite monetarie quali derivano dai ricavi di vendita e dai costi di pro‐
duzione dell’impresa. E’, dunque, logico che la differenza fra questi valori misuri il saldo (flusso) di cassa derivante dalle attività del ciclo operativo. Meno immediato, invece, è capire che proceden‐
do indirettamente, ossia risommando al MON i costi di derivazione non monetaria (come gli am‐
mortamenti materiali) e correggendo il risultato così ottenuto con la variazione di un margine pa‐
trimoniale (il CCNc), si perviene a un analogo risultato. Non a caso, infatti, per supportare i vari passaggi nel nostro percorso di avvicinamento al flusso di cassa operativo corrente abbiamo cerca‐
to chiarimenti e conferme proprio nel metodo diretto. Perché, dunque, ricostruire in modo indiretto il flusso di cassa corrente? Si ottengono forse dei vantaggi? La risposta a queste domande è affermativa: ricostruire il flusso di cassa in modo indiretto por‐
ta vantaggi che giustificano pienamente il procedimento. Il primo, più elementare, ma non per questo trascurabile, vantaggio è rappresentato dalla maggior rapidità e facilità di calcolo. Una volta predisposti lo Stato Patrimoniale e il Conto Econo‐
mico riclassificati, infatti, il calcolo del flusso corrente è pressoché immediato. Viceversa, volendo seguire il procedimento diretto, i passaggi da compiere sono più numerosi e laboriosi e richiedono la redazione di un apposito foglio di lavoro. Non sono, comunque, solo motivi di speditezza di calcolo a orientare verso il metodo indiretto. I vantaggi di questa strada si apprezzano considerando le informazioni che si possono ottenere e la loro utilità ai fini di una valutazione della gestione. Senza anticipare considerazioni che saranno sviluppate quando verranno approfonditi i criteri di interpretazione del rendiconto finanziario, è immediato notare che il sistema dei valori nei quali si articola il flusso di cassa operativo corrente, ottenuto per via indiretta, consente di apprezzare separatamente l’influsso esercitato sui risultati monetari dell’impresa da quattro grandezze: www.analisidibilancio.it 39 Il rendiconto finanziario 2011
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40 l’autofinanziamento; le imposte; il CCNc; i fondi rischi e oneri. Ciascuna di queste grandezze riflette specifiche condizioni interne d’azienda e esterne d’ambiente che caratterizzano la gestione dell’impresa: • l’autofinanziamento esprime la capacità potenziale dell’impresa di generare risor‐
se monetarie attraverso le attività del ciclo operativo. Esso dipende dai volumi di attività e dai margini reddituali, ossia dallo scarto tra prezzi‐ricavo e prezzi‐costo che la gestione dell’impresa riesce a conseguire; • le imposte, invece, mettono in evidenza, oltre che le condizioni fiscali del paese in cui l’impresa opera, le ricadute monetarie delle politiche di tax planning adottate dagli amministratori; • quanto al CCNc, esso riflette le politiche commerciali praticate o subite dall’impresa. Si tratta, cioè, delle scelte in materia di: dilazione concesse ai clienti; costituzione delle scorte di magazzino; dilazioni ottenute/imposte dai/ai fornitori. Ciascuna di queste politiche a sua volta compendia diverse condizioni di gestione quali, ad esempio: le strategie competitive e i comportamenti della concorrenza; i fabbisogni del processo produttivo; i tempi di approvvigionamento. Proprio al fine di accrescere la portata informativa del CCNc, circoscrivendone la variazione es‐
senzialmente alle politiche commerciali, può essere opportuno estrarre dal CCNc i valori ricondu‐
cibili ai fondi rischi e oneri accantonati (escluso il fondo svalutazione crediti che, di fatto, è un fon‐
do svalutazione, parte integrante dei clienti). I fondi, infatti, sono influenzati, nel loro ammontare, da fattori in larga parte diversi dalle politiche commerciali e dalle condizioni che le determinano. Quanto al fondo Trattamento Fine Rapporto, questo dipende dalla intensità di impiego del fat‐
tore lavoro che caratterizza i processi produttivi e dalle norme che regolano i rapporti di lavoro. Inoltre, la separata evidenziazione degli effetti del TFR sui flussi di cassa correnti rende più agevoli le comparazioni nel tempo e nello spazio. Ciò in quanto la struttura dei processi e la normativa possono subire mutamenti nel corso degli anni. Inoltre, il TFR costituisce una peculiarità delle im‐
prese italiane che le differenzia da quelle di altri paesi. Quanto ai fondi rischi e oneri, questi dipendono prevalentemente da: • le regole dettate dalla normativa in tema di bilancio e dai principi contabili; • le politiche di autoassicurazione adottate, nel rispetto delle suddette regole, da‐
gli amministratori. In generale la separata individuazione dei fondi rispetto al CCNc aiuta, in qualche misura, a esprimere: www.analisidibilancio.it Il rendiconto finanziario 2011
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in caso di incremento dei fondi, i contributi monetari correnti comunque ipotecati da eventi di futura manifestazione; in caso di riduzione dei fondi, gli assorbimenti di moneta dovuti al manifestarsi degli eventi a essi sottesi. In conclusione, il rendiconto del flusso di cassa per via indiretta, realizza una scompo‐
sizione monetaria del ciclo operativo che mette in risalto i driver del flusso di cassa, ossia le leve agendo sulle quali è possibile massimizzare la produzione monetaria della gestione (cfr tavola 3). Tavola 3 – I driver del flusso operativo corrente Il riferimento ai driver diventa la premessa per una lettura qualitativa del flusso di cassa cor‐
rente, separando il motore monetario della gestione (l’autofinanziamento lordo), di cui è possibile apprezzare la potenza, dalle ricadute della pianificazione fiscale (l’autofinanziamento netto), dagli effetti delle condizioni commerciali di svolgimento del ciclo (il CCNc) e dalle politiche adottate per fronteggiare rischi ed eventi di futura manifestazione (i fondi). Da quanto detto, i pregi del metodo indiretto appaiono tali da farlo preferire a quello diretto. Ciononostante, i più autorevoli standard setter contabili propendono chiaramente per il metodo diretto. Se guardiamo allo IASB, infatti, nello IAS n.7, al paragrafo 19, si legge che “Le imprese sono incoraggiate a presentare i flussi finanziari derivanti dall’attività operativa utilizzando il metodo di‐
retto. Il metodo diretto fornisce informazioni che possono essere utili nella stima dei futuri flussi fi‐
nanziari che non sono disponibili con il metodo indiretto”. Proseguendo nella lettura del principio contabile si comprende quali siano queste informazioni in più, per così dire, offerte dal metodo diretto. Recita, infatti, sempre lo IAS n. 7: “Con il metodo www.analisidibilancio.it 41 Il rendiconto finanziario 2011
diretto possono essere ottenute le informazioni sulle principali categorie di incassi e pagamenti lordi”. Dunque, il vantaggio del calcolo dall’alto consiste nel mettere in evidenza non solo l’ammontare del flusso di cassa operativo corrente (o netto), ma anche i principali valori di entrate e uscite operative (queste ultime definite comunemente opex, ossia operating expenses) che han‐
no concorso a determinarlo. Insomma, nella logica dei driver del flusso di cassa, è possibile appro‐
fondire come si alimenta il rubinetto monetario della gestione. Si tratta, indubbiamente, di informazioni preziose. Tuttavia, se così facendo è possibile cono‐
scere i flussi positivi e negativi di disponibilità liquide generati dal ciclo, è altrettanto vero che pre‐
sentare il valore dei ricavi operativi corretto con le variazioni intervenute nei crediti commerciali, da un lato, e i valori dei costi operativi corretti con le variazioni intervenute nei debiti commerciali, dall’altro, di fatto impedisce di apprezzare compiutamente l’interazione fra il flusso di cassa po‐
tenziale e la variazione del CCNc. La contrapposizione fra entrate e uscite operative del metodo di‐
retto non permette, cioè, di capire se e quanto margine monetario l’impresa è potenzialmente in grado di generare grazie ai propri prezzi‐ricavo e prezzi‐costo e quanta parte di questo margine è, eventualmente, assorbito dalla manovra delle leve commerciali (credito mercantile, politica delle scorte). È questo, invece, un aspetto di notevole rilievo. Infatti, pericoli di crack finanziari si corro‐
no laddove il CCNc, ossia il fabbisogno del ciclo operativo, cresce molto rapidamente, superando lo sviluppo del flusso di cassa potenziale. In altre parole, quando la “spugna” del CCNc assorbe più di quanto getta il rubinetto dell’autofinanziamento, si determinano fabbisogni finanziari da coprire con l’indebitamento o con nuovi conferimenti di capitale di rischio, pena l’arresto del ciclo opera‐
tivo e, quindi, la cessazione dell’attività aziendale. Al verificarsi di questa circostanza, dunque, l’impresa non manifesta alcuna effettiva autonomia finanziaria; si rivela, cioè, incapace di contri‐
buire a produrre le risorse monetarie necessarie per sviluppare autonomamente la struttura pro‐
duttiva, per servire i debiti contratti e per distribuire utili ai propri soci. La contrapposizione diretta fra entrate e uscite operative non consente di percepire neppure la situazione opposta, laddove, cioè, i margini di autofinanziamento si contraggano, ma il flusso di cassa è sostenuto da una “spremitura” del CCNc. Si tratta di una situazione ancora più insidiosa di quella prospettata in precedenza. La spremitura del CCNc, infatti, esercita un effetto solo tempo‐
raneo sulla liquidità aziendale mascherando problemi al motore monetario (il flusso potenziale). Essa, inoltre, trova dei limiti invalicabili. Tali limiti sono rappresentati da: • le condizioni competitive dell’area di affari in cui l’impresa opera. Si pensi, ad esempio, alla gestione del credito commerciale; trenta giorni in meno di dilazione concessa ai clienti possono si significare meno CCNc, e quindi meno fabbisogno finanziario da coprire, ma anche la perdita di fette critiche di fatturato; • i vincoli tecnici del processo produttivo attuato. Valga, qui, l’esempio della scorta di magazzino. La durata della giacenza di magazzino, e la correlata consistenza delle scorte, non è manovrabile ad libitum da parte dell’imprenditore. Produzioni la cui realizzazione richieda numerose e protratte lavorazioni, determinano tempi lunghi nel passaggio dalla materia prima al prodotto finito e, quindi, alla vendita. www.analisidibilancio.it 42 Il rendiconto finanziario 2011
Ciò necessariamente comporta un allungamento dei tempi medi di giacenza dei semilavorati nei magazzini e un accumulo di scorte. Analogamente, tempi lunghi di consegna da parte dei fornitori impongono all’impresa di costituire volumi di scorte di materie prime per evitare di lasciare a secco il processo trasformativo. In sostanza, in ogni impresa esiste un livello oltre il quale il CCNc non può essere ulteriormente compresso senza danneggiare il cuore dell’operatività aziendale. Per questi motivi, dunque, il metodo indiretto appare preferibile. Comunque, volendo acco‐
gliere nella sua essenza la proposta dei principi contabili, è possibile accrescere ulteriormente la capacità informativa del metodo indiretto integrando il rendiconto con l’indicazione dei ricavi ope‐
rativi e dei costi operativi di diretta derivazione monetaria. In questo modo, non solo si conoscerà l’ammontare dell’autofinanziamento, ma emergeranno anche i volumi di ricavi e costi dai quali questo promana. 7. L’UTILE È UN’OPINIONE, LA CASSA È UN FATTO Un’adeguata strutturazione del rendiconto è la premessa per una sua approfondita interpreta‐
zione. Già l’esame dei margini monetari, considerati nelle quantità elementari che concorrono a determinarli (ad esempio, il flusso di cassa corrente articolato in autofinanziamento, variazione del circolante…) e visti nella loro sequenza, contribuisce in modo rilevante a fornire spunti di valuta‐
zione sulla presenza o meno di condizioni di equilibrio finanziario della gestione. Ulteriori e significativi elementi di giudizio potranno, poi, essere ottenuti costruendo con i dati del rendiconto, opportunamente integrati anche con altre grandezze, specifici indicatori di cash flow. Gli indicatori costruiti con dati di cash flow, oltre a esprimere misure essenziali per la compren‐
sione della dinamica finanziaria della gestione, presentano, rispetto ai tradizionali indicatori co‐
struiti con quantità economiche (risultato operativo, reddito netto, ecc.), un grado decisamente maggiore di oggettività. E infatti gli analisti anglosassoni hanno sempre mostrato più attenzione alle misure di liquidità, forti dell’idea che gli utili sono il risultato dell’opinione di qualcuno (colui che redige il bilancio) mentre la liquidità rimane un fatto; da cui il motto: cash is king. La sensazione di trovarsi di fronte a uno dei tanti slogan, suggestivi ma sostanzialmente infon‐
dati, certo la si può avvertire. Un semplice esempio, però, aiuta a comprendere che non si tratta di slogan e a giustificare il forte orientamento cash‐flow based che sta sempre più pervadendo le analisi e le valutazioni dei risultati di gestione. Consideriamo il caso dell’impresa Alfa, la quale, per semplicità di ragionamento, si trovi al ter‐
mine del suo primo esercizio di vita. Supponiamo che il Conto Economico dell’impresa Alfa, pre‐
senti i seguenti valori: www.analisidibilancio.it 43 Il rendiconto finanziario 2011
Ricavi Acquisti di merci e spese per servizi
Personale Variazione delle rimanenze di merci
Margine Operativo Lordo (MOL)
Ammortamenti materiali
Margine Operativo Netto (MON)
1000
(700)
(600)
300
0
(100)
(100)
Supponiamo, inoltre, che il Capitale Circolante Netto Commerciale di fine esercizio abbia la se‐
guente composizione: Crediti verso clienti 100
Scorte di merci 300
Debiti verso fornitori (150)
CCNc 250
I dati della contabilità denunciano una perdita operativa. Per occultare tale perdita, gli ammi‐
nistratori di Alfa intraprendono un processo di “cosmesi”, lavorando su quelle poste di determina‐
zione più discrezionale: le rimanenze di magazzino; gli ammortamenti. Come prima ipotesi, si pensi di portare, attraverso una valutazione più generosa, la rimanenza di magazzino da 300 a 400. Gli effetti di tale manovra sono evidenti. Il Conto Economico si modifi‐
ca, azzerando la perdita operativa. La seconda ipotesi di lavoro prevede di agire anche sugli am‐
mortamenti, attraverso un allungamento del periodo di vita utile dei cespiti. Ciò porta a un alleg‐
gerimento di tali costi da 100 a 50. L’effetto finale è quello di un risultato operativo che raggiunge il valore positivo di 50, rovesciando la situazione di partenza. Si tratta di accorgimenti sovente adottati nella realtà operativa, anche perché legati all’esercizio della discrezionalità valutativa de‐
gli amministratori. Il loro impiego mette chiaramente in evidenza che l’utile, nel nostro caso l’utile operativo, è un’opinione: passa, infatti, da –100 a + 50. Andiamo ora a rileggere i valori con la “lente” dei flussi di cassa; in particolare, trattandosi di gestione operativa, calcoliamo il flusso di cassa operativo corrente sia sui dati originali, sia su quelli “addomesticati”. Adottando la sequenza di calcolo: risultato operativo + ammortamenti – varia‐
zione del CCNc, si ottengono i seguenti risultati: Valori originali Valori “addomesticati” MON (100)
MON
50 + Ammortamenti 100
+ Ammortamenti 50 = Autofinanziamento
0
= Autofinanziamento
100 ‐ ∆ CCNc (250)
‐ ∆ CCNc
(350) Flusso di cassa (250)
Flusso di cassa
(250) www.analisidibilancio.it 44 Il rendiconto finanziario 2011
Si nota immediatamente che il flusso di cassa non subisce alterazioni, restando sempre uguale a se stesso. Infatti, al variare di scorte e ammortamenti, l’autofinanziamento si modifica, ma si modifica anche il CCNc: il maggior valore attribuito alle scorte fa lievitare il valore del circolante a fine esercizio da 250 a 350 (si ricordi che l’impresa si trova al suo primo esercizio di vita e, dunque, il circolante iniziale è pari a 0). L’effetto netto finale, pertanto, resta inalterato; il flusso calcolato con valori “addomesticati” è uguale a quello che si sarebbe ottenuto impiegando i valori originali. La cassa, quindi, è un fatto! Sulla stessa logica di questo esempio, potremmo considerare gli effetti anche di altri trucchi contabili come: fatturazioni attive fittizie di fine esercizio con iscrizione di crediti presunti (fatture da emettere), seguite da resi a inizio esercizio successivo; spostamenti, da un esercizio all’altro, di costi operativi e dei relativi debiti commerciali. In tutti questi casi, gli effetti sul Conto Economico possono essere anche rilevanti. Non così per il flusso di cassa: le modifiche che si ottengono a livel‐
lo di autofinanziamento sono neutralizzate da variazioni di uguale ammontare, ma di segno oppo‐
sto, che si manifestano nella consistenza del capitale circolante. L’esempio autorizza un’ultima conclusione: identificare, come spesso avviene nell’informazione economica, il flusso di cassa con la somma utile netto più ammortamenti non è corretto; quello che si ottiene, infatti, è solo un’approssimazione del flusso di cassa. Anzitutto, il riferimento alle aree di gestione è indefinito; l’utile netto risente sia della gestione operativa cor‐
rente, sia della gestione finanziaria, attiva e passiva. Inoltre, e soprattutto, trascura l’effetto crucia‐
le esercitato dal CCNc. Così facendo non solo si assimilano flussi potenziali a flussi reali, ma si ren‐
de la misura del flusso di cassa soggetta ai possibili arbitrii valutativi degli amministratori. www.analisidibilancio.it 45 Il rendiconto finanziario 2011
Capitolo Terzo IL CAPEX E IL FLUSSO DELLA GESTIONE FINANZIARIA ATTIVA 4. Oltre la gestione operativa corrente: il free cash flow from operations 5. Il calcolo del capex 6. Il flusso monetario delle gestione finanziaria attiva 1. OLTRE LA GESTIONE OPERATIVA CORRENTE: IL FREE CASH FLOW FROM OPERATIONS Sin qui abbiamo misurato la portata del principale condotto monetario dell’impresa: il flusso di cassa operativo corrente. I movimenti di disponibilità liquide, tuttavia, non sono riconducibili sol‐
tanto alle attività del ciclo operativo. Occorre, quindi, andare avanti nell’analisi. Come si ricorderà, le strade possibili sono due: • contrapporre il flusso corrente ai pagamenti vincolati della gestione. Rientrano in que‐
sta categoria il pagamento di interessi passivi e il rimborso di quote capitale di debiti in scadenza come pure la distribuzione di dividendi su azioni privilegiate (ad esempio le azioni di risparmio). L’obiettivo è quello di verificare il grado di solvibilità dell’impresa, ossia la sua capacità di far fronte autonomamente, con le risorse monetarie autopro‐
dotte, agli impegni di pagamento indifferibili. Si tratta, a evidenza, di un modello di rendiconto adatto a soddisfare le finalità conoscitive di specifiche categorie di stake‐
holder: i creditori finanziari dell’impresa, tipicamente banche ed obbligazionisti, ma an‐
che i portatori di capitale di rischio. Dal confronto fra mezzi autoprodotti dalla gestione operativa corrente ed esborsi monetari vincolati scaturisce il flusso di cassa netto di‐
sponibile per usi strategici, ossia la massa di moneta effettivamente e liberamente manovrabile, con un elevato grado di flessibilità, per modificazioni strutturali delle ca‐
ratteristiche dell’azienda. • mantenere l’attenzione sulla gestione operativa. Dopo aver determinato i movimenti monetari dovuti alla gestione operativa corrente, si passa a considerare i movimenti di moneta derivanti dalla gestione operativa strutturale. Come si ricorderà, la gestione operativa strutturale è rappresentata dal complesso delle operazioni attraverso le quali viene predisposto, conservato e sviluppato l’apparato produttivo dell’impresa. Muo‐
vendosi in questa direzione si giunge a mettere in evidenza il free cash flow from ope‐
rations della gestione. www.analisidibilancio.it 46 Il rendiconto finanziario 2011
E’, inoltre, agevole notare che al flusso di cassa corrente si sarebbe potuti pervenire non partendo “dall’alto” del Conto Economico, cioè dai ricavi delle vendite, ma muo‐
vendosi “dal basso”, ossia sommando al MON di 300 gli ammortamenti e accantona‐
menti operativi di 100. 2. IL CALCOLO DEL CAPEX Nella Capitolo Primo abbiamo chiarito l’importanza del free cash flow from operations. Esso sta alla base del calcolo del valore fondamentale dell’impresa secondo le logiche Discounted Cash Flow, nella versione asset side. La determinazione di questo margine monetario passa attraverso la misurazione del capex, os‐
sia delle capital expenditures sostenute dall’impresa. In via generale, il capex rappresenta il saldo monetario derivante da due ordini di operazioni: • acquisizioni di immobilizzazioni materiali e immateriali, le quali causano uscite di moneta; • dismissioni di immobilizzazioni materiali e immateriali, le quali generano entrate di moneta. L’acquisto o la vendita di immobilizzazioni, nel bilancio, produce due effetti: • un effetto patrimoniale, evidenziato nello Stato Patrimoniale dalla variazione (positiva o negativa) delle immobilizzazioni materiali ed immateriali; • un eventuale effetto reddituale, che emerge in Conto Economico per la presenza di plusvalenze o minusvalenze realizzate in seguito alla cessione delle immobilizzazioni. Il calcolo dei flussi monetari originati dalla gestione operativa strutturale richiede, quindi, la determinazione dei: • flussi patrimoniali, originati dalla vendita e dall’acquisto di immobilizzazioni; • flussi reddituali, espressi da plusvalenze o minusvalenze da cessione. Per l’individuazione dei flussi originati da plusvalenze e minusvalenze da cessione, l’attenzione deve essere rivolta al Conto Economico riclassificato, guardando eventualmente all’area dei com‐
ponenti anormali, se tali sono state ritenute le operazioni di cessione delle immobilizzazioni. Ai fini del calcolo dei flussi patrimoniali, occorre guardare allo Stato Patrimoniale. Infatti, come regola generale, vale che: www.analisidibilancio.it 47 Il rendiconto finanziario 2011
•
le acquisizioni sono segnalate da incrementi dei conti accesi alle immobilizzazioni mate‐
riali e immateriali; • le dismissioni sono segnalate da decrementi dei conti accesi alle immobilizzazioni mate‐
riali e immateriali. In mancanza di informazioni specifiche che consentano di distinguere le acquisizioni dalle di‐
smissioni, la determinazione del capex prende le mosse dal calcolo della differenza fra la consi‐
stenza del valore contabile delle immobilizzazioni espresso nello Stato Patrimoniale alla fine e all’inizio del periodo osservato. Vale dunque: Immobilizzazioni nette al 31/XII
‐ Immobilizzazioni nette all’1/I
Una differenza positiva segnala acquisizioni nette di cespiti; una differenza negativa, dismis‐
sioni nette. Considerando il ruolo del capex nel calcolo complessivo del flusso di cassa, si com‐
prende il segno da attribuire alla differenza. Infatti: ‐ gli incrementi devono essere accompagnati dal segno meno, poiché rappresentano entrate nette; ‐ i decrementi, dal segno più, in quanto corrispondono a entrate nette. In sostanza, alla differenza deve essere anteposto il segno meno, ossia: ‐ Δ immobilizzazioni nette (31/XII‐1/I) Così facendo, tutte le volte che la variazione sarà positiva, la differenza avrà segno meno e ri‐
leverà un’uscita di cassa; il contrario, quando la variazione sarà negativa. La variazione così determinata, tuttavia, è soltanto una variazione grezza che deve es‐
sere opportunamente rettificata per giungere a una misura corretta di flusso moneta‐
rio. Alcuni semplici esempi numerici aiuteranno a chiarire il rilievo e la natura delle rettifiche da apportare. a) Si supponga che il valore degli impianti all’1.I sia pari a 100 al netto del fondo ammorta‐
mento. Durante l’anno non sono stati acquistati altri impianti. Al 31.XII la quota annua di ammortamento sia pari a 20. Il valore contabile netto (al netto del fondo ammortamento) degli impianti, al 31.XII, sarà allora di 80, ossia 100‐20. La variazione grezza, calcolata come www.analisidibilancio.it 48 Il rendiconto finanziario 2011
in precedenza indicato, segnala una diminuzione di immobilizzazioni e, quindi, un’entrata di 20. E’ palese che si tratta di un mero effetto contabile dovuto alla procedura di ammor‐
tamento. Occorre, allora, correggere la variazione grezza, recuperando nel calcolo il valore delle quote di ammortamento stanziate nell’esercizio e aggiungendo tale valore all’importo della variazione grezza. Nel nostro esempio, avremo: ‐(80 ‐ 100) + 20 = 0. b) A considerazioni analoghe si prestano anche le svalutazioni, Queste determinano variazioni del saldo netto delle immobilizzazioni senza che ciò si accompagni a movimenti monetari. c) Nella prospettiva delle rettifiche da apportare alla variazione grezza, si pongono anche eventuali debiti verso i fornitori degli impianti. Si supponga, infatti, che l’impresa abbia ac‐
quistato, nel corso dell’esercizio, impianti per 50. Tale acquisto dovrebbe determinare un’uscita di moneta. Però, se nello stesso periodo di tempo si sono formati debiti verso fornitori impianti per 30, è chiaro che solo 20 delle 50 del costo di acquisto sono state mo‐
netariamente pagate influenzando il free cash flow. Indubbiamente, l’individuazione dei “fornitori impianti” non è agevole. Un’attenta lettura della nota integrativa, se ben redatta, può talvolta fornire le informazioni ricercate. d) Considerazioni analoghe sebbene di portata inversa valgono per eventuali crediti che l’impresa vanta nei confronti di clienti che abbiano acquisito le immobilizzazioni dismesse . e) Da non trascurare sono anche gli effetti delle rivalutazioni economiche e monetarie. Come noto, una rivalutazione determina un aumento di valore del cespite senza che a ciò corri‐
sponda un effettivo acquisto e, quindi, un esborso immediato o differito di moneta. Se, dunque, durante l’esercizio, gli amministratori attuano una rivalutazione per un importo netto (al netto, cioè, della rivalutazione operata anche sui fondi ammortamento) di 20, di fatto, nessuna uscita sarebbe da attribuire all’incremento registrato nei conti accesi alle immobilizzazioni. Come regola generale, dunque, gli incrementi di immobilizzazioni ricon‐
ducibili a processi di rivalutazione devono essere eliminati dal calcolo del flusso di cassa operativo strutturale. A differenza del caso precedente (i fornitori impianti), le informazioni che le imprese devono obbligatoriamente fornire in caso di rivalutazioni, sia monetarie che economiche, sono numerose e dettagliate. L’esame della nota integrativa dovrebbe per‐
mettere di compiere agevolmente le correzioni richiamate. Peraltro, le plusvalenze nette da rivalutazione devono essere accantonate in appositi fondi di riserva. Quindi, lo stesso esame dello Stato Patrimoniale fornisce alcuni preziosi indizi. f) Sempre con l’intento di comprendere l’importanza delle rettifiche da apportare alla varia‐
zione grezza delle immobilizzazioni, si considerino i conferimenti. È evidente che incre‐
menti di immobilizzazioni tecniche legate agli apporti di vecchi soci o all’ingesso di nuovi soci non generano alcun esborso di moneta. Analogamente alle rivalutazioni, l’effetto dei conferimenti deve essere sterilizzato ai fini del calcolo del flusso di cassa generato dalla struttura operativa. www.analisidibilancio.it 49 Il rendiconto finanziario 2011
g) Integrazioni della variazione del valore delle immobilizzazioni si rendono necessarie anche in caso di plus e minusvalenze da alienazione. Come noto, infatti, il prezzo di vendita delle immobilizzazioni non necessariamente corrisponde al loro valore contabile. Si abbia, ad esempio, la seguente situazione: impianti netti, in bilancio all’1.I, 100. Al 31.XII, il valore degli impianti netti in bilancio sia pari a 70. La diminuzione del valore degli impianti po‐
trebbe suggerire una dismissione. Tuttavia, occorre considerare, anzitutto, le quote di am‐
mortamento stanziate nell’esercizio. Posto che queste ammontino a 20, emerge chiara‐
mente che la riduzione effettiva delle immobilizzazioni è solo di 10. Questa riduzione è ri‐
collegabile a una dismissione. Ora, però, il movimento monetario sotteso alla dismissione non necessariamente corrisponde a 10: potrebbe essere stato superiore o inferiore. Per saperlo bisogna guardare al Conto Economico. La presenza di plus o minusvalenze ci aiute‐
rà a ricostruire l’importo monetario ottenuto con la dismissione. Posto di ritrovare in Conto Economico plusvalenze da alienazione pari a 40, ecco che l’entrata derivante dall’alienazione degli impianti ammonterà a 50, ossia +30 (variazione immobilizzazioni) ‐20 (quota di ammortamento) più 40 (plusvalenza su alienazione) uguale 50. Anche in questo caso, la nota integrativa costituisce un prezioso supporto per operare le rettifiche. Quindi, come regola generale, le plusvalenze vanno aggiunte all’importo del decremento delle im‐
mobilizzazioni, mentre le minusvalenze vanno sottratte. h) Ai fini del calcolo del capex, una nota a parte meritano gli incrementi di immobilizzazioni dovuti alla capitalizzazione di costi per costruzioni interne. Anche in questo caso, infatti, si tratta di uscite sostenute per assicurare all’impresa una particolare dotazione di fattori strutturali. Ad esempio, invece di spendere moneta per comprare impianti disponibili sul mercato, l’impresa spende moneta per acquistare i materiali, i servizi e il lavoro grazie ai quali realizzare al suo interno quell’impianto. Che si compri l’impianto o si comprino i ma‐
teriali di cui l’impianto è fatto, sotto il profilo monetario non cambia nulla. Ovviamente, perché i conti tornino, le capitalizzazioni di costi relativi alla costruzione di immobilizzazioni devono essere opportunamente considerate già al momento di determinare la consistenza del flusso operativo corrente. Si consideri, in proposito, un semplice esempio. L’impresa Al‐
fa presenta, al 31.XII.200x, il seguente Conto Economico: ricavi capitalizzazione di costi per costruzione interna di impianti VALORE DELLA PRODUZIONE costi per materie, servizi e lavoro MOL Ammortamenti RISULTATO OPERATIVO (MON) www.analisidibilancio.it 200 (800) 300 1000 1200 400 (100) 50 Il rendiconto finanziario 2011
La capitalizzazione dei costi è una posta che risponde all’esigenza di ricondurre il calcolo del reddito a competenza economica. Essa indica che una parte (pari a 200) dei costi per mate‐
rie, servizi e lavoro complessivamente sostenuti dall’impresa (800) durante l’esercizio è do‐
vuta alla realizzazione di un impianto. Ora, l’impianto è un fattore produttivo a fecondità ripetuta il quale fornirà i suoi servizi negli esercizi futuri. La quota di costi attribuibile all’impianto, quindi, non deve gravare sul calcolo del reddito dell’esercizio 200x. Per que‐
sto, un importo di 200, pari alla quota di costi che rappresenta il valore attribuito all’impianto costruito internamente, viene iscritto in Conto Economico fra i ricavi. Infatti, aggiungendo 200 ai ricavi, si corregge indirettamente l’importo dei costi. In questo modo i costi per materie prime, servizi e lavoro concorrono, di fatto, alla formazione del risultato operativo solo per 600. Sotto il profilo monetario, però, le cose stanno diversamente. I ricavi (o meglio la rettifica di costi) rilevati in Conto Economico a fronte della capitalizzazione non esprimono alcun movimento di moneta. Lasciando da parte gli effetti del circolante, e supponendo quindi che tutti gli scambi siano avvenuti in contanti, il flusso di cassa suggerito dai dati dell’esempio risulterebbe pari a 200 (1000 ricavi delle vendite ‐ 800 costi della produzione di derivazione monetaria). Tale importo, evidentemente, differisce dal valore di MON (300) più ammortamenti (100) che ammonta a 400. Altrettanto indubbiamente, però, se guardiamo alle sole attività connesse al ciclo operati‐
vo, i movimenti di cassa sono pari a 400, ossia 1.000 per ricavi di vendita meno 600 per co‐
sti relativi alla produzione di quanto venduto. Le uscite di 200 riconducibili ai costi sostenu‐
ti per produrre l’impianto non pertengono all’ambito corrente della gestione operativa; piuttosto, sono da attribuire all’ambito strutturale. Di fatto, è come se l’impresa avesse ac‐
quistato dall’esterno un impianto del valore di 200. Questo significa che il flusso di cassa operativo corrente è correttamente espresso dal mar‐
gine operativo netto (MON) più gli ammortamenti. L’ammontare della capitalizzazione ver‐
rà, invece, conteggiato nell’ambito dei flussi della gestione operativa strutturale; ciò in quanto le capitalizzazioni sono rilevate anche fra le immobilizzazioni nello Stato Patrimo‐
niale. Quindi, come regola generale, nel calcolo del flusso di cassa operativo corrente, condotto seguendo il metodo indiretto, l’ammontare dell’autofinanziamento lordo (misurato MON più ammortamenti e svalutazioni) non deve essere rettificato per l’importo delle capitaliz‐
zazioni. Queste andranno debitamente recuperate fra gli esborsi monetari legati alla ge‐
stione operativa strutturale. Le rettifiche che si possono rendere necessarie per la messa a punto del capex sono poten‐
zialmente molto numerose. Senza pretesa di esaustività, si presenta nella tavola 1 uno schema di calcolo generale che individua le principali grandezze contabili che concorrono alla determinazione del capex. www.analisidibilancio.it 51 Il rendiconto finanziario 2011
Tavola 1 – La sequenza di calcolo del capex 3. I FLUSSI DI CASSA DELLA GESTIONE FINANZIARIA ATTIVA Esaurita la gestione operativa, l’attenzione si sposta sulla gestione finanziaria. L’esame dei mo‐
vimenti di quest’area della gestione viene compiuto sulla scorta della distinzione fra: a) gestione finanziaria attiva; b) gestione finanziaria passiva. a) La gestione finanziaria attiva può produrre: • entrate monetarie; • uscite monetarie. Le entrate sono associate a operazioni di: • incasso di dividendi, cedole e simili; • vendita di attività finanziarie. La vendita di attività finanziarie è segnalata da decremen‐
ti nei conti accesi alle immobilizzazioni finanziarie o alle attività iscritte fra i valori dell’attivo circolante. www.analisidibilancio.it 52 Il rendiconto finanziario 2011
Le uscite sono associate a operazioni di: • acquisto diritti d’opzione, pagamento ratei interessi e simili; • acquisto di attività finanziarie. L’acquisto di attività finanziarie è segnalato da incremen‐
ti nei conti accesi alle immobilizzazioni finanziarie o alle attività iscritte fra i valori dell’attivo circolante. Ai fini di un corretto calcolo delle variazioni monetarie derivanti dalla gestione finanziaria atti‐
va occorre procedere in modo analogo alla gestione operativa strutturale. In questo senso, il calco‐
lo dei flussi monetari originati dalla gestione finanziaria attiva richiede, quindi, la determinazione dei: • flussi patrimoniali, originati dalla vendita e dall’acquisto di attività finanziarie; • flussi reddituali, espressi da plusvalenze o minusvalenze da cessione, ma anche dai pro‐
venti e dalle perdite derivanti dalla gestione delle attività finanziarie possedute. Per l’individuazione dei flussi reddituali, l’attenzione deve essere rivolta al Conto Economico ri‐
classificato, guardando eventualmente all’area dei componenti anormali, se tali sono state ritenu‐
te le operazioni di cessione delle attività finanziarie. Ai fini del calcolo dei flussi patrimoniali, occorre guardare allo Stato Patrimoniale. Infatti, come regola generale, vale che: • gli acquisti sono segnalati da incrementi dei conti accesi alle attività finanziarie; • le vendite sono segnalate da decrementi dei conti accesi alle attività finanziarie. In mancanza di informazioni specifiche che consentano di distinguere gli acquisti dalle vendi‐
te, la determinazione dei flussi patrimoniali derivanti dalla gestione delle attività finanziarie pren‐
de le mosse dal calcolo della differenza fra la consistenza del valore contabile di tali attività espresso nello Stato Patrimoniale alla fine e all’inizio del periodo osservato. Vale dunque: Attività finanziarie al 31/XII
‐ attività finanziarie all’1/I
Una differenza positiva segnala acquisizioni nette di attività; una differenza negativa, vendite nette. Considerando il ruolo della gestione finanziaria attiva nel calcolo complessivo del flus‐
so di cassa, si comprende il segno da attribuire alla differenza. Infatti: ‐ le differenze positive devono essere accompagnate dal segno meno; www.analisidibilancio.it 53 Il rendiconto finanziario 2011
‐ le differenze negative, dal segno più. In sostanza, alla differenza deve essere anteposto il segno meno, ossia: ‐ Δ attività finanziarie (31/XII‐1/I) Così facendo, tutte le volte che la variazione sarà positiva, la differenza avrà segno meno e ri‐
leverà un’uscita di cassa; il contrario, quando la variazione sarà negativa. Nella scelta delle attività finanziarie da prendere in considerazione, è necessario tener presen‐
te la composizione della risorsa finanziaria di riferimento della quale, attraverso il rendiconto, si vogliono ricostruire le variazioni. A questo fine, è opportuno ricordare che, data una risorsa finan‐
ziaria di riferimento, si configurano due ordini di variazioni: • endogene, ossia variazioni degli elementi che formano le disponibilità liquide; • esogene, variazioni degli elementi che non formano le risorsa finanziaria di riferimen‐
to, ma alle quali corrispondono variazioni negli elementi che formano tale risorsa. Le variazioni endogene concorrono solamente a modificare la composizione qualitati‐
va delle risorsa finanziaria di riferimento, ma non ne determinano variazioni nell’ammontare complessivo. Si consideri il caso delle disponibilità liquide, formate da liquidità, liquidità equivalenti e debiti a breve. Si supponga che all’inizio di un dato periodo la composizione delle disponibilità liquide sia la seguente: disponibilità liquide nette 350 cassa 500 titoli 50 banca c/c passivo 200 Si immagini, ora, un acquisto di titoli impiegando denaro contante per un importo di 100. E’ evidente che la composizione della disponibilità liquide cambia, ma non ne cambia l’ammontare. Infatti: disponibilità liquide nette 350 cassa 400 titoli 150 banca c/c passivo 200 Affrontando la gestione finanziaria attiva, il richiamo alla distinzione fra variazioni esogene ed endogene è necessario. Infatti, tutti i valori finanziari compresi nella risorsa finanziaria non devono essere considerati nel calcolo della variazione patrimoniale. Oltre la distinzione fra variazioni eso‐
gene ed endogene, occorre ricordare che la variazione patrimoniale determinata come in prece‐
www.analisidibilancio.it 54 Il rendiconto finanziario 2011
denza accennato è soltanto una variazione grezza che deve essere opportunamente rettificata per giungere a una misura corretta di flusso monetario. Molte delle rettifiche seguono la logica illustrata a proposito della gestione operativa struttura‐
le. Ovviamente, nel caso delle attività finanziarie non abbiamo ammortamenti; dobbiamo, però, tener conto di eventuali svalutazioni che riducono il valore finale delle attività senza che questo corrisponda a una loro vendita. Inoltre, nel caso di acquisto di partecipazioni legate ad aumenti di capitale, è necessario verifi‐
care l’esistenza di debiti dell’impresa verso le società partecipate dovuti a versamenti ancora da effettuare. La gestione finanziaria attiva comporta, inoltre, con una certa frequenza, investimenti in attivi‐
tà nominate in valuta. Questa circostanza fa sorgere utili e perdite su cambi. Ai fini della costru‐
zione del rendiconto finanziario, occorre distinguere fra: • utili/perdite da valutazione e, quindi, non realizzate; • utili/perdite realizzate. Per comprendere il trattamento da riservare a questa tipologia di valori contabili, si consideri un semplice esempio. L’impresa Alfa ha acquistato titoli del valore di $130. Il bilancio di Alfa è espresso in Euro; dunque, il valore di quei titoli va convertito nella valuta di bilancio. Si supponga che il rapporto di cambio al momento dell’acquisto sia Euro 1 = $1,3. L’attività finanziaria viene, quindi, rilevata a Euro 100. A fine esercizio, il cambio si sia modificato: Euro 1 = $ 1,5. Di conse‐
guenza, l’attività è valutata Euro 87 e in Conto Economico viene rilevata una perdita su cambi pari a Euro 13. La perdita non è realizzata e, dunque, deve essere eliminata dal calcolo del flusso mo‐
netario, rettificando la variazione grezza che si manifesta in bilancio. Supponendo che all’inizio dell’anno, Alfa non presentasse attività finanziarie, la variazione grezza sarà: Attività finanziarie al 31/XII 87
‐ attività finanziarie all’1/I 0
‐ Variazione attività finanziarie ‐87
Emerge, dunque, un’uscita di 87 euro. In realtà, però, l’uscita ammontava a Euro 100. Occor‐
re, allora, rettificare la variazione aggiungendo il valore della perdita su cambi, pari a ‐13; si ottie‐
ne, così, il valore di ‐100, pari all’uscita effettiva. Si immagini, ora, che nell’esercizio successivo, l’attività venga venduta al suo valore nominale di $ 130. Al momento della vendita, il cambio Euro/dollaro sia il seguente: Euro 1 = $ 1,2. La vendi‐
ta ha prodotto un utile su cambi di circa Euro 21 [ossia: rapporto di cambio = 0,83 (1/1,20); con‐
trovalore in Euro del valore nominale dell’attività di $130 = 108,33 (0,83x130); utile su cambi = 21,33 (108,33 – 87)] . Alla fine dell’esercizio, Alfa non presenti altre attività finanziarie. La varia‐
zione grezza sarà: www.analisidibilancio.it 55 Il rendiconto finanziario 2011
Attività finanziarie al 31/XII 0
‐ attività finanziarie all’1/I 87
‐ Variazione attività finanziarie +87
Emerge, dunque, un’entrata di 87 euro. In realtà, però, l’entrata ammontava a Euro 108,33. Occorre, allora, rettificare la variazione aggiungendo il valore dell’utile su cambi, pari a ‐21,33; si ottiene, così, il valore di 108,33, pari all’entrata effettiva. In conclusione, anche nel caso della gestione delle attività finanziarie, le rettifiche che si pos‐
sono rendere necessarie per la messa a punto del flusso monetario sono potenzialmente molto numerose. Senza pretesa di esaustività, si presenta nella tavola 2 uno schema di calcolo generale che individua le principali grandezze contabili da tener presenti. Tavola 2 – La sequenza di calcolo del flusso monetario derivante dalla gestione delle attività fi‐
nanziarie www.analisidibilancio.it 56 Il rendiconto finanziario 2011
Capitolo Quarto I FLUSSI DELLA GESTIONE FINANZIARIA PASSIVA 4. I flussi della gestione finanziaria passiva 5. Il flusso della gestione dei debiti finanziari 6. Il flusso della gestione del capitale di rischio 1. I FLUSSI DELLA GESTIONE FINANZIARIA PASSIVA Il modello di analisi della gestione si basa sulla distinzione fra gestione operativa e gestione fi‐
nanziaria. L’esame dei movimenti di quest’ultima area di gestione viene compiuto sulla scorta del‐
la distinzione fra: gestione finanziaria attiva; gestione finanziaria passiva. I flussi monetari della gestione finanziaria attiva sono già stati considerati al momento di quantificare il flusso di cassa al servizio del debito. Si tratta, ora, di concentrare l’attenzione sulla gestione finanziaria passiva. Questa, come sappiamo, può produrre sia entrate che uscite di mo‐
neta. Tuttavia, al fine di accrescere la portata informativa del rendiconto, è utile separare, in seno ai movimenti monetari della gestione finanziaria passiva, i flussi relativi alle operazioni di servizio delle fonti di finanziamento raccolte da quelli relativi a eventuali operazioni di raccolta di nuovi mezzi finanziari. 2. IL FLUSSO DELLA GESTIONE DEI DEBITI FINANZIARI La gestione dei debiti finanziari si articola in due momenti distinti: la raccolta e il servizio del capitale di credito; il primo momento determina entrate monetarie, il secondo uscite. Ai fini di costruire un rendiconto finanziario con un forte contenuto informativo è op‐
portuno tenere distinti i due ordini di flussi monetari. Questa posizione è condivisa dall’autorevole IASB. Lo IAS 7, infatti, richiede esplicitamente di presentare distinta‐
mente i due ordini di flussi monetari. In via generale, la gestione del debito genera, in bilancio, due effetti: • un effetto patrimoniale, evidenziato nello Stato Patrimoniale dalla variazione dell’indebitamento netto; • un effetto reddituale, che emerge in Conto Economico con la presenza di oneri finan‐
ziari e altri costi legati ai rapporti con i terzi finanziatori, come, ad esempio, oneri per servizi bancari. Guardando al profilo patrimoniale, occorre definire con chiarezza la risorsa finanziaria www.analisidibilancio.it 57 Il rendiconto finanziario 2011
oggetto di rendicontazione. Nell’impostazione che si sta seguendo, la risorsa è rappre‐
sentata dalla liquidità netta, ossia le disponibilità liquide e gli equivalenti di queste al netto degli eventuali debiti a breve termine. E’, allora evidente, ricordando la distin‐
zione fra variazioni esogene ed endogene rispetto alla risorsa finanziaria di riferimen‐
to, che, sul piano patrimoniale, il servizio del debito riguarda le variazioni di debiti e medio‐lungo termine, e comunque di tutti i debiti che sono stati esclusi dalla liquidi‐
tà netta. In ogni caso, anche una volta ben perimetrata la risorsa di riferimento, si pongono alcuni pro‐
blemi applicativi. La mera diminuzione dell’ammontare dei debiti finanziari rilevati nello Stato Pa‐
trimoniale e non ricompresi nella risorsa analizzata non necessariamente corrisponde al rimborso di una quota capitale di quei debiti. Nel corso dell’esercizio, infatti, possono essersi verificate ope‐
razioni di segno opposto (rimborsi e accensioni di nuovi debiti) delle quali la variazione patrimonia‐
le esprime solamente l’effetto netto. E’ allora evidente che per rappresentare le uscite relative al servizio del debito separa‐
tamente dalle entrate derivanti dall’accensione di nuovi debiti occorrono informazioni dettagliate; informazioni che possono essere rintracciate nelle sezioni narrative del bi‐
lancio, ossia nelle note al bilancio e, talvolta, nella relazione degli amministratori a commento della situazione finanziaria della società e delle politiche finanziarie adotta‐
te nell’esercizio. In mancanza di informazioni di dettaglio non è, però, possibile distinguere flussi del servizio da flussi della raccolta. La conseguenza è la determinazione di un flusso netto dell’indebitamento finanziario. Muovendosi in questa prospettiva, la ricostruzione del flusso netto dell’indebitamento finan‐
ziario prende le mosse dal calcolo della differenza fra la consistenza del valore contabile del debito finanziario (escluse le passività finanziarie incluse nella risorsa di riferimento) espresso nello Stato Patrimoniale alla fine e all’inizio del periodo osservato. Vale dunque: Debiti finanziari al 31/XII
‐ Debiti finanziari all’1/I
Una differenza positiva segnala accensioni (nette) di nuovi debiti; una differenza negativa, rimborsi (netti). Considerando il ruolo di queste variazioni nel calcolo complessivo del flusso di cassa, si comprende il segno da attribuire alla differenza. Infatti: ‐ gli incrementi di indebitamento devono essere accompagnati dal segno più, poiché www.analisidibilancio.it 58 Il rendiconto finanziario 2011
corrispondono a entrate nette; ‐ i decrementi, dal segno meno, in quanto rappresentano uscite nette. In sostanza, alla differenza deve essere anteposto il segno più, ossia: + Δ debiti finanziari (31/XII‐1/I) Così facendo, tutte le volte che la variazione sarà positiva, la differenza avrà segno più e rile‐
verà un’entrata di cassa; il contrario, quando la variazione sarà negativa. La variazione così determinata, tuttavia, è soltanto una variazione grezza che deve es‐
sere opportunamente rettificata per giungere a una misura corretta di flusso moneta‐
rio. Alcuni semplici esempi numerici aiuteranno a chiarire il rilievo e la natura delle rettifiche da apportare. i) Si supponga che il valore del debito all’1.I sia pari a 100. Il debito sia rappresentato da ob‐
bligazioni convertibili in azioni. Durante l’anno la metà degli obbligazionisti esercitano il lo‐
ro diritto. Al 31.XII l’ammontare del debito al netto delle conversioni sarà di 50. La varia‐
zione grezza, calcolata come in precedenza indicato, segnala una diminuzione di debito e, quindi, un’uscita pari a 50. E’ palese che si tratta di un mero effetto contabile dovuto alla conversione di debito in equity. Occorre, allora, correggere la variazione grezza, recupe‐
rando nel calcolo il valore del debito convertito e aggiungendo tale valore all’importo della variazione grezza. Nel nostro esempio, avremo: +(50 ‐ 100) + 50 = 0. j) A considerazioni analoghe si prestano anche gli effetti di conferimenti. Si, ad esempio, a un aumento di capitale sociale realizzato attraverso il conferimento di un complesso produtti‐
vo. È di tutta evidenza che l’operazione determina incrementi sia nelle attività (si pensi all’apparato strutturale) che nelle passività, con l’accollo dei debiti finanziari presenti nel complesso produttivo conferito. Tuttavia, sul piano monetario, ancora una volta, non si re‐
gistra nessun movimento di moneta: così come le “nuove” immobilizzazioni non sono state pagate, allo stesso modo non si sono registrati incassi monetari derivanti dall’accensione di nuovi debiti. Per questa ragione, ai nostri fini, il valore dei conferimenti deve essere sot‐
tratto dalla variazione grezza dell’indebitamento finanziario (oltre che dalla variazione grezza delle immobilizzazioni tecniche). k) La gestione dei debiti finanziari può comportare, inoltre, operazioni in valuta. Questa circo‐
stanza fa sorgere utili e perdite su cambi. Per comprendere il trattamento da riservare a questa tipologia di valori contabili, si consideri un semplice esempio. L’impresa Alfa ha con‐
tratto un debito in dollari, pari a $130. Il bilancio di Alfa è espresso in Euro; dunque, il valo‐
www.analisidibilancio.it 59 Il rendiconto finanziario 2011
re del debito va convertito nella valuta di bilancio. Si supponga che il rapporto di cambio al momento dell’accensione sia Euro 1 = $1,3. Il debito viene, quindi, rilevato a Euro 100. A fi‐
ne esercizio, il cambio si sia modificato: Euro 1 = $ 1,5. Il dollaro, dunque, ha perso valore rispetto all’Euro. La circostanza è sicuramente favorevole per l’impresa, la quale rileverà un minor debito. Sulla base del nuovo rapporto di cambio, infatti, la passività è valutata Euro 87 e in Conto Economico viene rilevata un utile su cambi pari a Euro 13. L’utile non è realiz‐
zato e, pertanto, deve essere eliminato dal calcolo del flusso monetario, rettificando la va‐
riazione grezza che si manifesta in bilancio. Supponendo che all’inizio dell’anno, Alfa non presentasse passività finanziarie, la variazione grezza sarà: Passività finanziarie al 31/XII 87
‐ passività finanziarie all’1/I 0
= Variazione passività finanziarie +87
Emerge, dunque, un’entrata di 87 euro. In realtà, però, l’entrata ammontava a Euro 100. Occorre, allora, rettificare la variazione aggiungendo il valore dell’utile su cambi, pari a +13; si ottiene, così, il valore di +100, pari all’entrata effettiva. Si immagini, ora, che nell’esercizio successivo, la passività venga estinta al suo valore no‐
minale di $ 130. Al momento del rimborso, il cambio Euro/dollaro sia il seguente: Euro 1 = $ 1,2. Il dollaro si è apprezzato rispetto al momento della negoziazione del debito; la circo‐
stanza è sfavorevole per l’impresa che dovrà impiegare più Euro per il rimborso. In partico‐
lare, si è prodotta una perdita su cambi di circa Euro 21 [ossia: rapporto di cambio = 0,83 (1/1,20); controvalore in Euro del valore nominale del debito di $130 = 108,33 (0,83x130); perdita su cambi = 21,33 (108,33 – 87)]. Alla fine dell’esercizio, Alfa non presenta altre passività finanziarie. La variazione grezza sarà: Passività finanziarie al 31/XII 0
‐ passività finanziarie all’1/I ‐87
= Variazione passività finanziarie ‐87
Emerge, dunque, un’uscita di 87 euro. In realtà, però, l’uscita ammonta a Euro 108,33. Oc‐
corre, allora, rettificare la variazione sommando (algebricamente) il valore della perdita su cambi, pari a ‐21,33; si ottiene, così, il valore di 108,33, pari all’uscita effettiva. Le rettifiche che si possono rendere necessarie per la messa a punto del flusso netto ricondu‐
cibile all’indebitamento finanziario sono anche altre. Senza pretesa di esaustività, si presenta nella tavola 1 uno schema di calcolo generale che individua le principali grandezze contabili delle quali tenere conto. www.analisidibilancio.it 60 Il rendiconto finanziario 2011
Tavola 1 – La sequenza di calcolo del flusso da indebitamento finanziario La tavola ricorda che, così come avviene per le altre aree di gestione, segnatamente quella fi‐
nanziaria attiva, la ricostruzione della dinamica monetaria richiede di considerare accanto ai flussi derivanti dalla variazione degli stock patrimoniali anche i flussi reddituali. Il flusso reddituale della gestione finanziaria passiva è tipicamente un flusso in uscita costituito dagli oneri finanziari e altre spese sostenute per la negoziazione dei finanziamenti. 3. IL FLUSSO DELLA GESTIONE DEL CAPITALE DI RISCHIO Assumendo una visione allargata della gestione finanziaria, ossia considerando accanto a quelle sul capitale di credito anche le operazioni sul capitale di rischio, ulteriori uscite ed entrate monetarie si possono manifestare in corrispondenza a: • aumenti di capitale sociale; • riduzioni di capitale sociale. Si pensi, in proposito, alle operazioni di riacquisto azioni proprie (buy‐back), oggi giorno assai frequenti, con successivo annullamen‐
to delle azioni; • distribuzioni di utili; • distribuzioni di riserve. Anche per i movimenti monetari del capitale di rischio vale quanto detto per i movimenti mo‐
netari del capitale di credito e, cioè, che ai fini di costruire un rendiconto finanziario con un forte contenuto informativo è opportuno tenere distinti i due ordini di flussi monetari. www.analisidibilancio.it 61 Il rendiconto finanziario 2011
I flussi finanziari derivanti dalla gestione del capitale di rischio sono, in genere, meno articolati di quelli relativi all’indebitamento. L’esame del prospetto dei movimenti del patrimonio netto consente di solito di evidenziare separatamente i flussi in entrata da quelli in uscita. In mancanza di questa documentazione o laddove si voglia sveltire e semplificare il calcolo, il flusso della gestione del capitale netto viene rappresentato complessivamente, individuando un flusso finanziario netto. Assumendo questa prospettiva, il flusso in parola genera, in bilancio, un effetto meramente patrimoniale. La ricostruzione del flusso netto dell’equity prende, dunque, le mosse dal calcolo della differenza fra la consistenza del valore del capitale netto espresso nello Stato Patrimoniale alla fine e all’inizio del periodo osservato. Vale dunque: Capitale netto al 31/XII
‐ Capitale netto all’1/I
Una differenza positiva segnala incrementi (netti) di capitale dirischio; una differenza negati‐
va, riduzioni (nette). Considerando il ruolo di queste variazioni nel calcolo complessivo del flusso di cassa, si comprende il segno da attribuire alla differenza. Infatti: ‐ gli incrementi di equity devono essere accompagnati dal segno più, poiché corri‐
spondono a entrate nette; ‐ i decrementi, dal segno meno, in quanto rappresentano uscite nette. In sostanza, alla differenza deve essere anteposto il segno più, ossia: + Δ capitale netto (31/XII‐1/I) Così facendo, tutte le volte che la variazione sarà positiva, la differenza avrà segno più e rile‐
verà un’entrata monetaria; il contrario, quando la variazione sarà negativa. La variazione così determinata, tuttavia, è soltanto una variazione grezza che deve es‐
sere opportunamente rettificata per giungere a una misura corretta di flusso moneta‐
rio. Alcuni semplici esempi numerici aiuteranno a chiarire il rilievo e la natura delle rettifiche da apportare. www.analisidibilancio.it 62 Il rendiconto finanziario 2011
a) Si consideri, anzitutto, il risultato netto dell’esercizio, utile o perdita. È evidente che que‐
sto comporta una variazione del netto. Ed è altrettanto evidente che tale variazione non ha rilievo monetario. Pertanto, la variazione grezza del netto deve essere ridotta di un am‐
montare pari all’utile netto dell’esercizio e incrementata di un importo pari alla perdita netta dell’esercizio. b) Si riprenda il caso dei conferimenti, considerando un aumento di capitale sociale realizzato attraverso l’apporto di un complesso produttivo. È di tutta evidenza che l’operazione può determinare incrementi del netto senza che sul piano monetario si registri alcun movimen‐
to di moneta. Per questa ragione, il valore netto dei conferimenti deve essere sottratto dal‐
la variazione grezza registrata nell’equity. c) Con le rivalutazioni, siamo in presenza di un fenomeno che genera effetti analoghi in ter‐
mini monetari. A fronte di queste operazioni, come noto, per il principio della prudenza deve essere costituita un’apposita riserva nel patrimonio netto. Si tratta, ancora una volta, di una mera variazione contabile che si traduce in un aumento del patrimonio netto senza che vi sia stato alcun movimento di moneta. d) Si consideri l’esempio, già presentato, relativo alla conversione di debito in equity. La con‐
versione non ha effetto monetario non solo sul versante del debito ma anche sul quello del capitale netto. Questo si incrementa senza che ciò corrisponda ad alcuna entrata moneta‐
ria. Si tratta, insomma, di un mero effetto contabile che deve essere “sterilizzato” sot‐
traendo dalla variazione grezza di equity il valore del debito convertito. e) Una notazione a parte meritano i crediti verso soci per versamenti ancora dovuti. Come noto, si tratta di crediti che l’impresa vanta nei confronti dei soci che hanno sottoscritto un aumento di capitale sociale ma che, nei fatti, non hanno ancora operato il relativo versa‐
mento. In questa situazione, per determinare l’effettivo afflusso di moneta originato dall’aumento di capitale sociale, si rende necessario un ulteriore correttivo che consiste nel sottrarre dalla variazione del capitale netto la variazione intervenuta in detti crediti. Se i crediti sono aumentati, infatti, in quella misura l’eventuale incremento di capitale sociale non si è tradotto in afflusso di moneta; viceversa, se i crediti sono diminuiti. Le rettifiche che si possono rendere necessarie per la messa a punto del flusso netto ricondu‐
cibile all’indebitamento finanziario sono anche altre. Senza pretesa di esaustività, si presenta nella tavola 2 uno schema di calcolo generale che individua le principali grandezze contabili delle quali tenere conto. www.analisidibilancio.it 63 Il rendiconto finanziario 2011
Tavola 2 – La sequenza di calcolo del flusso da capitale di rischio Nell’ordinario funzionamento aziendale, una delle principali cause di variazione del capitale netto è riconducibile alla distribuzione di dividendi. La distribuzione dei dividendi ha carattere di discrezionalità, ma fattori di natura economica rendono necessario soddisfare le attese del capitale di rischio. E’ questo un aspetto che assume particolare rilievo nelle società quotate. Qui, l’apprezzamento del titolo in borsa è legato ai risulta‐
ti ottenuti dall’impresa, da un lato, e alla misura in cui tali risultati vengono distribuiti agli investi‐
tori, dall’altro. Il valore attribuito dal mercato all’impresa dipende, infatti, dalla “creazione” di va‐
lore, ma anche dalla “distribuzione” di tale valore; i due processi si alimentano vicendevolmente. Analizzando la distribuzione dei dividendi, è necessario tener presente che esistono anche si‐
tuazioni di diritto che eliminano o riducono ogni discrezionalità e vengono ad assimilare tale di‐
stribuzione al servizio dei prestiti; si pensi, in proposito, alla remunerazione spettante alle azioni privilegiate, specie quelle di risparmio.5 Mettere in evidenza il flusso monetario derivante dalla distribuzione dei dividendi as‐
sume, dunque, notevole importanza per giudicare le politiche finanziarie dell’impresa. I dividendi distribuiti si ricavano direttamente dal prospetto dei movimenti del patrimonio net‐
to. Anche la Relazione sulla Gestione indica la politica di distribuzione degli utili. In ogni caso, i di‐
videndi si possono calcolare elaborando i saldi di bilancio. A quest’ultimo fine occorre considerare che: • gli utili possono seguire due vie: essere accantonati a riserva; venire distribuiti; 5
Condizioni di vincolo alla distribuzione dell’utile si possono manifestare anche in altre circostanze. Si pensi, anzitutto, al caso delle piccole e medie imprese nelle quali la distribuzione dei risultati aziendali è indispensabile per soddisfare i bisogni di consumo dei soci. Non dissimile è anche il caso che si può verificare in seno alle imprese controllate. Queste, spesso, sono «costrette» a riversare i propri utili sulla controllante per sostenerne gli equilibri economici e finanziari. www.analisidibilancio.it 64 Il rendiconto finanziario 2011
•
gli utili distribuibili sono solo quelli degli esercizi precedenti a quello oggetto di osser‐
vazione; l’utile dell’esercizio appena conclusosi, infatti, verrà distribuito nell’esercizio (o negli esercizi successivi). Per il calcolo, occorre, dunque, prendere le mosse dalla variazione delle riserve, ossia: Riserve al 31/XII
‐ Riserve all’1/I
Le riserve alla fine e all’inizio dell’esercizio sono integrate dell’ammontare degli uti‐
li/perdite portati a nuovo. Gli utili portati a nuovo, di fatto, rappresentano una sorta di riserva (le perdite corrispondono, invece, a riduzioni di riserve). L’importo così ottenuto deve essere debitamente rettificato per ricavare l’ammontare dei divi‐
dendi pagati. Le rettifiche sono di più ordini. Anzitutto, occorre eliminare tutte le riserve di capitale, ossia ri‐
serve che non sono alimentate da accantonamento di utili; dunque: riserve da rivalutazione, ma anche riserve da sovrapprezzo azioni. Ovviamente, ai fini della rettifica, quello che conta non è tanto l’ammontare della riserva di capitale, quanto la sua variazione: ogni incremento delle riserve in parola deve essere sottratto dalla variazione complessiva delle riserve. Oltre a ciò, si devono considerare eventuali aumenti gratuiti di capitale, ossia aumenti realizzati trasformando riserve in capitale sociale. Questi, infatti, determinano una riduzione delle riserve, senza che questa corri‐
sponda a distribuzione di dividendi. L’importo di tali aumenti deve, dunque, essere aggiunto alla variazione delle riserve. Infine, e soprattutto, si devono eliminare tutti gli utili o le perdite dell’esercizio precedente; l’utile verrà sottratto, la perdita aggiunta. Per comprendere la sequenza di calcolo proposta, si consideri questo semplice esempio. L’impresa Alfa presenta la seguente situazione patrimoniale: Capitale netto 20x1
20x2 Capitale sociale 1.000
1.050 Riserve 200
240 di cui: da rivalutazione
0
60 Utili portati a nuovo 60
0
Utile dell’esercizio 100
130 totale
1.360
1.420 Dal l’esame della nota integrativa risulta un aumento a titolo gratuito di capitale sociale per 50. La variazione delle riserve è la seguente: www.analisidibilancio.it 65 Il rendiconto finanziario 2011
Riserve e utili portati a nuovo al 31/XII
240 Riserve e utili portati a nuovo al 1/I
260 La variazione grezza di ‐20, potenzialmente corrispondente a una erogazione di dividendi, vie‐
ne rettificata. Delta riserve e utili portati a nuovo
‐20
‐ delta riserve di capitale
‐60
+ aumenti gratuiti di capitale
+50
‐ utile dell’esercizio precedente
‐100
= dividendi distribuiti ‐130
La semplicità dell’esempio permette di verificare la congruità del risultato ottenuto ricostruen‐
do logicamente i movimenti sottesi ai valori contabili. Alla fine dell’anno 20x1, la riserva ammonta a 200; sono presenti anche utili portati a nuovo per 60 e un utile dell’esercizio per 100. Nel corso dell’anno 20x2, si è avuto un processo di rivalutazione che ha portato le riserve a 260. Sempre nell’anno 20x2 una parte delle riserve pari a 50 è stata trasformata in capitale sociale. In seguito a queste operazioni il valore della riserva dovrebbe essere di 210 (200+60‐50). Tuttavia, l’ammontare delle riserve iscritte a bilancio è di 240. Ciò significa che un importo pari a 30 degli utili portati a nuovo o dell’utile dell’esercizio precedente è stato accantonato; la restante parte, invece, è stata necessariamente distribuita come dividendo. Infatti, alla fine dell’anno 20x2 non residuano utili portati a nuovo. Considerato che l’ammontare complessivo degli utili portati a nuo‐
vo e dell’utile di esercizio alla fine dell’anno 20x1 ammonta a 160 e che 30 di questi sono stati ac‐
cantonati, la distribuzione di utili è stata di 130, come appunto risulta dalla sequenza di calcolo in precedenza proposta. www.analisidibilancio.it 66 Il rendiconto finanziario 2011
Capitolo Quinto L’ANALISI DELLA LIQUIDITÀ ATRAVERSO IL RENDICONTO FINANZIARIO 1. L’analisi dinamica della liquidità e il rendiconto finanziario 2. La produzione di moneta 2.1. L’analisi dell’autofinanziamento 2.2. L’analisi del capitale circolante 3. L’assorbimento di moneta 3.1. Il servizio della struttura e il free cash flow from operations 3.2. Il servizio degli investitori 3.2.1. Il servizio del debito 3.2.2. Il servizio dell’equity 4. La gestione finanziaria attiva: produzione o assorbimento? 5. La raccolta delle risorse finanziarie 6. Gli indici di cash flow: un gioco che vale la candela 1. L’ANALISI DINAMICA DELLA LIQUIDITÀ E IL RENDICONTO FINANZIARIO L’analisi delle condizioni di liquidità dell’impresa può essere condotta seguendo due vie: • analisi statica; • analisi dinamica. L’analisi statica si basa sul confronto di stock patrimoniali opportunamente individuati; quel‐
la dinamica si traduce, invece, nell’esame dei flussi e deflussi di cassa nel corso del tempo. I flussi monetari vengono ricavati dal rendiconto finanziario. L’analisi ha come obiettivo generale quello di formulare un giudizio sulle condizioni finanzia‐
rie della gestione. Tale obiettivo generale è articolato in una serie di sotto‐obiettivi specifici quali: • valutare il contributo delle diverse operazioni di gestione alla variazione della risorsa finan‐
ziaria oggetto di osservazione, individuando quali operazioni hanno maggiormente assorbi‐
to la risorsa e quali l’hanno prevalentemente prodotta; • misurare la capacità dell’impresa di autoprodurre risorse finanziarie; • approfondire l’analisi degli impieghi, mettendone in luce il grado di manovrabilità; • ricostruire le fonti alle quali si è attinto, evidenziando la loro composizione qualitativa e ed i rapporti quantitativi; • ricomporre il quadro generale delle fonti e degli impieghi della risorsa finanziaria, verifi‐
cando correlazioni ed equilibri fra specifiche categorie di fonti e di impieghi; • apprezzare le politiche finanziarie adottate dall’impresa. www.analisidibilancio.it 67 Il rendiconto finanziario 2011
Sul piano procedurale, l’analisi deve prendere le mosse dall’esame del segno e dell’intensità della variazione subita dalla risorsa finanziaria di riferimento. Tale esame deve essere condotto al‐
la luce delle più generali condizioni di equilibrio economico, patrimoniale e finanziario che conno‐
tano la gestione. Così, ad esempio, una forte riduzione di liquidità verificatasi in un’impresa carat‐
terizzata da un margine di tesoreria negativo è da giudicarsi ben più severamente di un’analoga variazione maturata in seno a un’impresa dove le disponibilità di cassa siano esuberanti. Questa considerazione mette in evidenza un tratto metodologico dell’analisi del rendiconto finanziario: l’analisi dei flussi finanziari è intimamente legata a quella dei dati di bilancio mediante indici e margini, condotta lungo le coordinate dello crescita, della redditività operativa, solidità patrimo‐
niale e liquidità. Il riferimento ad un’interpretazione del rendiconto finanziario sistemicamente correlata alle generali condizioni della gestione postula, inoltre, che l’analisi tenga in debito conto il profilo stra‐
tegico dell’impresa. Questo rappresenta, per così dire, lo sfondo sul quale proiettare i risultati dell’analisi per poterli giudicare criticamente; ad esempio, insufficiente autoproduzione di risorse monetarie e forte ricorso a mezzi esterni sono condizioni da valutare negativamente al momento di interpretare il rendiconto. Tuttavia, tali condizioni devono essere considerate ben diversamente a seconda che si manifestino in un’impresa in piena fase di consolidamento della sua posizione di mercato, oppure in un’impresa impegnata nella realizzazione di un piano di sviluppo caratterizzato da un’intensa crescita delle immobilizzazioni, materiali e immateriali. Esaminati segno e intensità della variazione subita dalla risorsa finanziaria, l’analisi deve an‐
dare avanti restando fedele alla logica generale adottata per la costruzione del rendiconto. Tale logica è basata, anzitutto, sull’articolazione della gestione in aree funzionali. Oltre a ciò, la costru‐
zione del rendiconto ha messo in evidenza tre fondamentali zone monetarie della gestione, va‐
riamente alimentate dalle diverse aree funzionali (cfr. tavola 1): ƒ produzione; ƒ assorbimento; ƒ raccolta. I dati di flusso contenuti nel rendiconto, riferiti alle aree di gestione e alle zone, hanno già un loro preciso significato, immediatamente percepibile. Ad esempio, un flusso di cassa operativo corrente negativo è un segnale di serio squilibrio della gestione. Analogamente, un free cash flow from operations negativo denuncia una incapacità dell’impresa di sostenere autonomamente gli investimenti nella propria struttura produttiva. Questi segnali, tuttavia, possono essere approfonditi, rendendoli più chiari e di univoca in‐
terpretazione grazie ad ulteriori elaborazioni. Assai utile, a questo fine, si rivelano specifici indici costruiti utilizzando dati di flusso. Si parla, in proposito, di indici di cash flow. Sul piano metodologico, il riscorso agli indici consente di superare i limiti insiti nei valori as‐
soluti, permettendo una più compiuta misura dei fenomeni indagati e rendendo possibili compa‐
www.analisidibilancio.it 68 Il rendiconto finanziario 2011
razioni nello spazio e nel tempo. Ad esempio, sapere che il flusso di cassa operativo corrente è di 100 aiuta relativamente ai fini di un giudizio sulle capacità di autoproduzione monetaria dell’impresa; sapere, invece, che quel flusso di cassa operativo corrente è il 45% del fatturato con‐
sente: ƒ di operare confronti, da un lato, con i risultati conseguiti dall’impresa in altri esercizi, dall’altro, con quelli ottenuti dalle imprese concorrenti; ƒ di raccordare l’analisi del rendiconto con altri indicatori impiegati nell’analisi di bilancio; considerando l’esempio in oggetto, il tasso di sviluppo del fatturato, la redditività delle vendite e la rotazione del capitale circolante divengono chiavi interpretative della «qualità» del flusso di cassa operativo corrente. E’ di tutta evidenza come gli indici di cash flow accrescano enormemente la possibilità di formulare giudizi sulle condizioni monetarie dell’impresa, rispettando i nessi sistemici che legano le operazioni di gestione. Inoltre emerge, con altrettanta chiarezza, come la stessa analisi per indici e margini basata sulle grandezze patrimoniali e reddituali ne esca straordinariamente arricchita. Gli indici di cash flow possono essere costruiti confrontando per quoziente vuoi le quantità elementari (es. il capex), vuoi i margini (es. il free cash flow) contenuti nel rendiconto. L’esempio precedente, comunque, aiuta a comprendere che la forza informativa di tali indici si accresce ‐ e dunque l’interpretazione risulta più pregnante – se i confronti si allargano a comprendere, accanto ai flussi, anche grandezze contenute negli altri prospetti di bilancio, opportunamente riclassificati, come: quantità e margini reddituali (es. flusso operativo corrente/fatturato; flusso operativo cor‐
rente/EBIT); stock di capitale investito (es. free cash flow/COIN); specifiche categorie di debiti (free cash flow/debiti finanziari). Al fine di conferire all’analisi del rendiconto, condotta avvalendosi di indici di cash flow, la necessaria sistematicità occorre procedere seguendo un preciso ordine. Tale ordine, come in pre‐
cedenza accennato, è dettato dalla logica stessa di costruzione del rendiconto e dai caratteri in‐
trinseci della dinamica finanziaria. In questo senso, l’analisi si deve sviluppare per zone monetarie: dapprima, la zona di produzione delle risorse; poi, l’assorbimento; infine, la raccolta. L’esame delle zone, ovviamente, deve essere integrato con quello delle aree gestionali, mantenendo un focus particolare sull’area operativa. 2. LA PRODUZIONE DI MONETA La costruzione del rendiconto inizia con la misurazione del flusso di cassa generato dallo svolgimento del ciclo operativo. La centralità del ciclo operativo nell’economia dell’impresa è di assoluta evidenza. Altrettanto evidente è che la possibilità dell’impresa di sopravvivere e sviluppa‐
re si lega alla capacità di autoprodurre, attraverso il ciclo, un volume di risorse finanziarie adegua‐
to alle molteplici esigenze della gestione. L’interpretazione del rendiconto, pertanto, si deve anzi‐
tutto concentrare sulla gestione operativa corrente, l’area che, per definizione, compendia la zona www.analisidibilancio.it 69 Il rendiconto finanziario 2011
della produzione di moneta. L’analisi del flusso operativo corrente va condotta su più piani, utilizzando strumenti diversi. In primo luogo, si tratta di verificare il grado di efficienza mostrato dalla gestione nella generazio‐
ne di tale flusso. In sostanza, occorre rispondere a domande del tipo: quanto flusso di cassa operativo corren‐
te l’impresa è stata capace di tirar fuori da…?. Seguendo questa strada, si afferma, per il suo rile‐
vante valore segnaletico, l’indice: flusso di cassa operativo corrente/fatturato L’indice esprime la capacità dell’impresa di estrarre risorse monetarie da ogni Euro di fattu‐
rato. Siamo dunque di fronte a un tasso percentuale che sostanzialmente ricalca il tasso di redditi‐
vità delle vendite, comunemente detto ROS; non a caso, frequentemente si parla di cash flow re‐
turn on sales. L’interpretazione dell’indice è agevole: più alto è, maggiore è la capacità dell’impresa di tra‐
sformare valori economici in quantità monetarie; il reddito, in sostanza, è monetariamente dispo‐
nibile in misura rilevante e, quindi, presenta una qualità elevata. Non potendosi costruire, sul pia‐
no logico, valori parametrici di riferimento, per affinare il giudizio critico si rivela essenziale fare ri‐
corso a comparazioni nel tempo e nello spazio. L’evidente importanza dell’indice spinge ad approfondire i fattori causali che ne influenzano il livello. La direzione nella quale muoversi è dettata dalla sequenza di calcolo seguita per determi‐
nare il flusso operativo corrente. Come sappiamo, il flusso in parola risulta dalla combinazione di più elementi;6 tra questi, due si propongono come fondamentali driver di cassa: • l’autofinanziamento operativo; • il capitale circolante netto commerciale (CCNc). E’ lungo queste due coordinate che va sviluppata l’analisi della zona di produzione delle ri‐
sorse monetarie. 2.1. L’ANALISI DELL’AUTOFINANZIAMENTO L’analisi e l’interpretazione del ritorno monetario sulle vendite trova un suo primo appro‐
fondimento nel calcolo del seguente indicatore: 7 autofinanziamento operativo lordo/fatturato 6
Si veda Capitolo Secondo. Al numeratore dell’indice si riporta l’autofinanziamento, lordo. Non si considera, dunque, l’effetto delle imposte poiché questo è in larga parte influenzato da condizioni estranee alla gestione operativa corrente. Si pensi, ad esempio, all’effetto di «scudo fiscale» esercitato dagli oneri finanziari. Comunque, gli indici di autofinanziamento possono essere calcolati, anche al netto delle imposte. 7
www.analisidibilancio.it 70 Il rendiconto finanziario 2011
Molto spesso, tale indice è approssimato dal seguente rapporto, denominato ebitda margin: EBITDA (MOL)/fatturato Entrambi i rapporti esprimono, in termini percentuali, la capacità potenziale dell’impresa di generare risorse monetarie attraverso le vendite del ciclo operativo. Livelli elevati degli indici se‐
gnalano un rilevante grado di efficienza monetaria della gestione e, dunque, un’alta qualità dei ri‐
sultati aziendali. Volendo scavare nel margine di autofinanziamento, questo dipende dal differenziale fra rica‐
vi di vendita e costi operativi di derivazione monetaria. Guardando a tali fattori emergono, quindi, due fondamentali direttrici di analisi dell’autofinanziamento: • i ricavi delle vendite, ossia il fatturato; • i costi operativi monetari, comunemente definiti opex. L’analisi del fatturato chiama in causa, a sua volta, ulteriori determinanti, quali: i prezzi‐
ricavo negoziati sui mercati di vendita; i volumi di attività realizzati; la composizione (mix) del fat‐
turato. Quanto agli opex, questi sono prevalentemente influenzati dalle modalità di impiego dei fat‐
tori produttivi: materie prime e servizi; lavoro. Pensando a tali fattori, si rafforza il significato di in‐
dicatore di efficienza attribuito al tasso di autofinanziamento; infatti, la capacità dell’impresa di contenere gli opex, si lega a: • incrementi di efficienza interna, ossia di produttività nell’impiego dei fattori della produ‐
zione; • recuperi di efficienza esterna, ossia a riduzioni dei prezzi‐costo negoziati sui mercati di ac‐
quisto. Il richiamo alla gestione dei ricavi di vendita e a quella degli opex consente di ricostruire il complesso reticolo dei fattori causali che determinano il tasso di autofinanziamento. Esplicitando tale reticolo è possibile evidenziare in che modo la dinamica monetaria si integra sistemicamente con le variabili economiche e fisico‐tecniche della gestione (cfr. tavola 2a). Si ottengono, così, elementi di giudizio preziosi non solo per una valutazione ex‐post, ma anche per programmare i futuri flussi di cassa operativi correnti. Sul piano interpretativo, fra i diversi fattori causali, un rilievo particolare meritano gli am‐
mortamenti che, insieme al risultato operativo, costituiscono l’asse portante dell’autofinanziamento. Questi, come noto, rappresentano, sia pur indirettamente, un tratteni‐
mento di ricchezza da destinare alla ricostruzione delle immobilizzazioni tecniche; quindi, i flussi di cassa originati dall’ammortamento sono, per così dire, vincolati al rinnovo della struttura produtti‐
va. Di conseguenza, maggiore è l’incidenza degli ammortamenti sul flusso di cassa potenziale www.analisidibilancio.it 71 Il rendiconto finanziario 2011
espresso dall’autofinanziamento, minore è la qualità di quel flusso perché minore è la parte di es‐
so del tutto libera per fronteggiare altre occorrenze monetarie senza compromettere il manteni‐
mento della struttura operativa. Seguendo questa logica, è opportuno integrare l’analisi dell’autofinanziamento con il calcolo del rapporto: ammortamenti/autofinanziamento operativo lordo Tavola 2 – Le determinanti dell’autofinanziamento L’indice esprime la composizione dell’autofinanziamento; attraverso esso è possibile apprez‐
zare in che percentuale l’ammortamento concorre a formare la consistenza del flusso di cassa operativo potenziale dell’impresa. L’interpretazione del rapporto, tuttavia, può risultare fuorviata dalle politiche di ammortamento perseguite dai redattori del bilancio. Un alleggerimento pilotato delle quote di ammortamento stanziate a Conto Economico, infatti, migliorerebbe apparentemen‐
te l’indice. A questo fine, l’interpretazione della qualità dell’autofinanziamento deve essere inte‐
grata con il tasso di ammortamento, ossia: ammortamenti/immobilizzazioni operative lorde Il tasso di ammortamento, in quanto calcolato sul valore lordo delle immobilizzazioni tecni‐
che, esprime l’aliquota di ammortamento effettivamente utilizzata in bilancio. Comparandolo nel tempo esso, pertanto, segnala immediatamente se e in che misura tale aliquota è stata variata ri‐
spetto agli esercizi precedenti. www.analisidibilancio.it 72 Il rendiconto finanziario 2011
2.2. L’ANALISI DEL CAPITALE CIRCOLANTE L’analisi dell’autofinanziamento deve essere condotta in parallelo a quella del CCNc. A que‐
sto fine, di grande interesse è il calcolo e l’interpretazione del tasso di intensità del circolante, os‐
sia: CCNc/fatturato Come noto, l’indice esprime il fabbisogno finanziario per unità di fatturato. Esso dipende dal‐
le politiche commerciali adottate o subite dall’impresa sul fabbisogno finanziario corrente. Si trat‐
ta, cioè, delle politiche di: dilazione concesse ai clienti; costituzione delle scorte di magazzino; dila‐
zioni ottenute dai fornitori. Ciascuna di queste politiche, a sua volta, compendia diverse condizioni di gestione quali, ad esempio: le strategie competitive e i comportamenti della concorrenza; i fab‐
bisogni del processo produttivo e i tempi di approvvigionamento. Tenuto conto dell’effetto di assorbimento/rilascio di risorse monetarie esercitato dal CCNc, l’analisi si deve concentrare: • da un lato, sull’entità del rapporto. Più alto è il livello dell’indice, più severo è il giudizio sul‐
le condizioni dell’impresa in quanto maggiore è il fabbisogno finanziario per unità di fattu‐
rato che essa deve soddisfare per sostenere quest’ultimo; • dall’altro, sulle variazioni subite dall’indice nel corso degli esercizi. A parità di tutti gli altri fattori, infatti, il CCNc dovrebbe rimanere proporzionato alle vendite; per cui un 10% in più di vendite dovrebbe, più o meno, determinare un’analoga crescita del CCNc, mantenendo invariato il rapporto. Un aumento dell’indice, dunque, segnala il manifestarsi di effetti di assorbimento che, se particolarmente intensi, sono spia di condizioni di overtrading. In via generale, gli effetti esercitati dalla dinamica del CCNc sul flusso di cassa operativo cor‐
rente possono essere sinteticamente apprezzati attraverso il calcolo del seguente indicatore: flusso di cassa operativo corrente/autofinanziamento operativo lordo L’interpretazione dell’indice è immediata: ogni volta che esso è inferiore all’unità si segnala (e si misura) l’azione di assorbimento di risorse esercitata dal CCNc; laddove, invece, sia superiore all’unità, emerge il contributo monetario derivante dalla compressione del circolante. Anche quest’ultima circostanza, tuttavia, merita la massima attenzione. Infatti, se il sovrassorbimento di risorse monetarie dovuto all’espansione del CCNc è senz’altro pernicioso, non meno insidioso può risultare il fenomeno opposto. La spremitura del circolante può, infatti, mascherare problemi a li‐
vello di produzione potenziale di moneta; essa, inoltre, è in grado di esercitare un effetto solo temporaneo sulla liquidità aziendale, scontrandosi con precisi limiti economico‐tecnici rappresen‐
tati da: • le condizioni competitive dell’area di affari in cui l’impresa opera. Si pensi, ad esempio, alla www.analisidibilancio.it 73 Il rendiconto finanziario 2011
gestione del credito commerciale: trenta giorni in meno di dilazione concessa ai clienti pos‐
sono sì significare meno CCNc, e quindi meno fabbisogno finanziario da coprire, ma anche la perdita di importanti quote di mercato; • i vincoli tecnici del processo produttivo attuato. Valga, qui, l’esempio della scorta di magaz‐
zino. Tempi lunghi di consegna da parte dei fornitori impongono all’impresa di costituire consistenti volumi di scorte di materie prime. In questo caso, ridurre eccessivamente tali scorte può significare «lasciare a secco» il processo trasformativo, con gravi conseguenze per la gestione. In sostanza, in ogni impresa esiste un livello oltre il quale il CCNc non può essere ulterior‐
mente compresso (ridotto) senza danneggiare il cuore dell’operatività aziendale. Volendo spingere più a fondo l’analisi del CCNc, è indispensabile approfondire, anzitutto, la velocità di rotazione delle principali poste che compongono l’aggregato. A questo fine, si possono utilmente impiegare i noti indici di rotazione espressi in giorni. La comparazione dei tempi di rota‐
zione nel corso degli esercizi offre primi, importanti, elementi di giudizio. Affinché, però, il giudizio sia ragionevolmente fondato, la dinamica degli indici deve essere interpretata tenendo adeguata‐
mente conto: • della struttura del settore nel quale l’impresa compete; • del comportamento dei concorrenti; • degli effetti che si sono prodotti nelle altre variabili economiche e finanziarie della gestio‐
ne; • dei processi interni di gestione del CCNc. Quanto al primo punto, è evidente la necessità di un adeguato inquadramento strategico del CCNc, condotto valutando, in particolare, la forza dei clienti e dei fornitori che caratterizzano la ca‐
tena del valore dell’impresa. Clienti forti, ovviamente, riducono la capacità dell’impresa di accele‐
rare la rotazione dei crediti; di contro, uno scarso potere negoziale nei confronti dei fornitori im‐
pedisce di sfruttare adeguatamente questa fonte di finanziamento indiretto per contenere la con‐
sistenza del CCNc. L’analisi di settore deve essere integrata da confronti condotti sui bilanci dei concorrenti. Questi aiuteranno a capire se e in che misura l’impresa sta manovrando le politiche commerciali per ottenere una posizione di vantaggio competitivo; ad esempio, in un contesto di “clienti debo‐
li”, un allungamento nel tempo di riscossione dei crediti sensibilmente superiore alla concorrenza rende plausibile l’ipotesi che si sia di fronte a una politica commerciale aggressiva adottata dall’impresa. Si conferma, in sostanza, la necessità di un inquadramento strategico di tutta l’analisi dei dati di bilancio, in generale, e di quella dei flussi di cassa, in particolare. In ogni caso, le ipotesi suggerite dall’analisi esterna devono essere corroborate dall’interpretazione sistemica dei segnali interni forniti dal complesso degli indicatori economici e finanziari dell’impresa. Così, ad esempio, un allungamento dei tempi di pagamento dei clienti su‐
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periore alla concorrenza, se accompagnato da una contrazione del fatturato e della redditività del‐
le vendite (ROS) è plausibilmente segno di debolezza negoziale dell’impresa e di scarsa solvibilità della clientela, piuttosto che di una politica commerciale aggressiva mirante a conquistare quote di mercato. Ancora, una contrazione nella rotazione del magazzino che si verifica in presenza di una significativa crescita delle vendite e di un irrobustimento della struttura finanziaria attraverso l’aumento di finanziamenti durevoli non è sinonimo di difficoltà di vendita ma di adozione di poli‐
tiche volte ad accrescere stabilmente la giacenza di magazzino, adeguandola a più elevati livelli di attività. Nell’interpretare la dinamica delle poste del CCNc è necessario, infine, tener presente che, al di là del comportamento di clienti e fornitori, un ruolo rilevante è esercitato dai processi interni aziendali attraverso i quali vengono gestite le variabili che formano il CCNc. Il riferimento è essen‐
zialmente ai processi di: • gestione degli acquisti (ciclo passivo); • gestione della logistica e della produzione; • gestione del credito commerciale (ciclo attivo). Si pensi, ad esempio, al tempo di riscossione dei crediti; questo non solo è influenzato dalla forza dei clienti, ma dipende anche, e spesso largamente, dall’efficienza con la quale sono condotti i processi di fatturazione e controllati quelli di riscossione. Qui, indubbiamente, l’analisi, se con‐
dotta da un soggetto esterno all’impresa, trova dei limiti sostanzialmente invalicabili. Non per questo l’operosità del fattore “processi di gestione” deve essere ignorata ai fini della valutazione, anche se le ipotesi interpretative possono essere formulate solo in via residuale; ad esempio, lun‐
ghi tempi di riscossione dai clienti, che si manifestano in un contesto di debolezza di questi ultimi, e senza apprezzabili ricadute sull’economia dell’impresa, autorizzano a immaginare la presenza di procedure di gestione del ciclo attivo non efficienti. Anche per il circolante dunque, come per l’autofinanziamento, si viene a configurare un reti‐
colo di fattori causali che influenzano la consistenza e le variazioni di questa grandezza (cfr. tavola 2b). Evidenziando in che modo la dinamica monetaria si integra sistemicamente con le variabili economiche e fisico‐tecniche della gestione, si ottengono ulteriori elementi di giudizio non solo per una compiuta valutazione a consuntivo, ma anche per programmare i futuri flussi di cassa ope‐
rativi correnti. 3. L’ASSORBIMENTO DI MONETA I flussi monetari prodotti dalla gestione operativa corrente costituiscono risorse finanziarie destinate a soddisfare i fabbisogni derivanti dalle altre aree di gestione. Le aree di gestione che ti‐
picamente determinano assorbimento di moneta sono rappresentate da: • la gestione operativa strutturale; www.analisidibilancio.it 75 Il rendiconto finanziario 2011
• la gestione finanziaria passiva. Dopo aver misurato il grado di efficienza nella produzione di moneta, l’analisi del rendiconto prosegue, dunque, verificando il grado di sufficienza di tale produzione. La domanda alla quale, ora, dare risposta è la seguente: il flusso di cassa operativo corrente prodotto nell’esercizio è suffi‐
ciente a …?. Si tratta, in sostanza, di verificare in che misura i flussi correnti riescono a “servire” le esigenze espresse dalle altre aree di gestione. Tavola 2 – Le determinanti del capitale circolante netto Tenuto conto delle attività di gestione che possono richiedere risorse monetarie, l’analisi di sufficienza si articola su due piani: • sufficienza rispetto alle esigenze di finanziamento della struttura operativa; • sufficienza rispetto alle esigenze di rimborso e remunerazione dei finanziatori, portatori vuoi di capitale di credito, vuoi di capitale di rischio. Peraltro, alcuni margini successivi al flusso corrente (tipicamente il free cash flow from ope‐
rations) consentono la costruzione anche di interessanti indici di efficienza che integrano e com‐
pletano l’analisi in precedenza svolta. Prima ancora di verificare il grado di sufficienza, comunque, è opportuno compiere una semplice analisi di composizione dell’area di assorbimento. Per ricostruire la composizione degli impieghi occorre: • individuare le voci del rendiconto che esercitano un effetto di assorbimento di risorse mo‐
netarie. Queste sono sostanzialmente tre: ‐ incrementi di investimenti nella struttura operativa (capex); www.analisidibilancio.it 76 Il rendiconto finanziario 2011
‐ servizio del debito; ‐ distribuzione di utili; • determinare l’importo totale di tali voci; • pesare l’importo di ciascuna voce di assorbimento sul totale. 77 A titolo esemplificativo, si veda la tavola 3. Analizzando la composizione dell’assorbimento, si riesce ad apprezzare con immediatezza qual è l’ambito di gestione che più pesa sulle casse azien‐
dali, evidenziando possibili condizioni di squilibrio della gestione; ad esempio, un’impresa in piena fase di sviluppo della sua attività che presenti un modesto investimento strutturale e un pesante servizio del debito rivela condizioni patologiche con maggiore chiarezza di quanto possano segna‐
lare i tradizionali indici patrimoniali o economici. Tavola 3 ‐ Composizione dell’area di assorbimento ASSORBIMENTO Capex Servizio del debito Distribuzione di utili totale assorbimento importi % 100 3.1. IL SERVIZIO DELLA STRUTTURA E IL FREE CASH FLOW FROM OPERATIONS Come noto, sottraendo dal flusso di cassa operativo corrente gli esborsi monetari netti rela‐
tivi alla gestione operativa strutturale si ottiene il free cash flow from operations. Questo margine monetario consente di verificare se i flussi prodotti internamente l’impresa sono sufficienti a co‐
prire il fabbisogno finanziario derivante dagli investimenti in immobilizzazioni tecniche, materiali e immateriali, comunemente definiti capex. Anche in questo caso, come già nell’esame delle relazioni fra autofinanziamento e CCNc, il free cash flow può essere espresso mediante un indicatore, ossia: flusso di cassa operativo corrente/capex L’indice sintetizza, meglio di quanto possa fare un mero valore assoluto, la proporzione fra le due componenti essenziali del free cash flow: la moneta prodotta internamente; gli esborsi per in‐
vestimenti strutturali. Sottesa all’interpretazione dell’indice si trova l’idea che l’impresa debba es‐
sere in grado di soddisfare, autonomamente, i fabbisogni finanziari relativi agli investimenti neces‐
sari per consolidare e sviluppare la struttura con la quale compete nei business di riferimento. E’ grazie a questi investimenti, infatti, che si producono i flussi correnti. Un’impresa che non sappia sostenere adeguatamente la propria struttura produttiva, rappresentata dalle immobilizzazioni materiali e immateriali, perderà la propria posizione di vantaggio competitivo e inaridirà, ben pre‐
sto, la capacità di generare un congruo autofinanziamento. In questo senso, valori dell’indice infe‐
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riori all’unità sono da giudicare negativamente, salvo che l’impresa non abbia avviato un intenso processo di sviluppo degli investimenti. In tal caso, per finanziarie la struttura è sempre possibile ricorrere all’indebitamento o alla raccolta di capitale di rischio. Ma, al di là dell’onerosità di queste scelte, occorre considerare che i tempi del mercato finanziario non necessariamente coincidono con quelli della competizione nelle aree strategiche di affari. Ai tempi lunghi necessari per istruire un’operazione finanziaria e portarla a compimento (ammesso che i finanziatori accolgano positi‐
vamente le richieste dell’impresa) si contrappongono i tempi brevi con i quali è indispensabile ri‐
spondere alle mosse della concorrenza. Solo disponendo di risorse interne, allora, l’impresa è ef‐
fettivamente in grado di agire con tempestività e senza condizionamenti. Il richiamo al ruolo svolto dagli investimenti strutturali nell’economia dell’impresa, comun‐
que, suggerisce di distinguere, all’interno del capex, fra: • investimenti di rinnovo, miranti al mantenimento della struttura produttiva; • investimenti di sviluppo, sostenuti per accrescere la struttura e/o realizzare un suo profon‐
do ricambio tecnologico. Le due categorie di investimenti assumono un ruolo ed un’importanza diversi. Gli investi‐
menti di mantenimento, infatti, si configurano come esborsi vincolati e inderogabili (mandatory) per la sopravvivenza nel breve termine dell’impresa; gli investimenti per lo sviluppo, invece, hanno carattere, per così dire, discrezionale, ancorché risultino critici, nel medio‐lungo termine, per fron‐
teggiare la concorrenza e assicurare il successo aziendale. Pertanto, se è indispensabile che il flus‐
so operativo corrente copra il capex di mantenimento (recurring), non è altrettanto indispensabi‐
le, né spesso possibile, che esso copra anche il capex determinato dalle politiche di sviluppo. In questo senso, l’adeguatezza dei flussi correnti rispetto ai fabbisogni derivanti dagli inve‐
stimenti strutturali dovrebbe essere analizzata con attenzione, valutando separatamente: • la sufficienza del flusso corrente rispetto agli investimenti di rinnovo; • la sufficienza del flusso corrente rispetto agli investimenti di sviluppo. Per far ciò è necessario capire, attraverso i dati di bilancio, quanta parte degli investimenti è ricorrente e quanta non lo è. La sezione narrativa del bilancio (nota integrativa e relazione sulla gestione) se redatta con cura fornisce informazioni preziose allo scopo. Utile è anche il ricorso al calcolo del seguente indice: capex/ammortamenti L’interpretazione dell’indice è apparentemente agevole. Laddove esso presenti valori uguali a uno, questo significa che i nuovi investimenti pareggiano il “consumo” delle immobilizzazioni preesistenti, idealmente espresso dalla quota di ammortamento; dunque, siamo di fronte a inve‐
stimenti di mero mantenimento. Quando, invece, l’indice assume valori superiori all’unità si confi‐
gura un processo di sviluppo degli investimenti. www.analisidibilancio.it 78 Il rendiconto finanziario 2011
Questi spunti interpretativi possono essere integrati con il calcolo del tasso di sviluppo delle immobilizzazioni, e del grado di ammortamento. Il primo indice evidenzia l’importanza relativa dei nuovi investimenti rispetto allo stock già disponibile; esso, quindi, sintetizza il tasso di crescita delle immobilizzazioni. Il secondo segnala l’anzianità media del complesso delle immobilizzazioni; un valore del grado di ammortamento che, a parità di tasso di ammortamento, si mantenga co‐
stante prospetta un’impresa impegnata in politiche di mero mantenimento della struttura. Un ab‐
bassamento del grado, sempre però sostenuto da un congruo tasso, rivela gli effetti di politiche di sviluppo. 8 Indubbiamente, il sistema di indicatori proposto per l’analisi del capex pecca di eccessiva semplicità interpretativa. Si pensi, in particolare, al fatto che, a causa del progresso tecnologico e della graduale perdita di potere di acquisto della moneta, i costi di sostituzione delle immobilizza‐
zioni tendono naturalmente a crescere. Di conseguenza, valori di capex superiori agli ammorta‐
menti si possono avere anche in caso di investimenti di sostituzione. Lo stesso grado di ammorta‐
mento risulta influenzato dalle circostanze richiamate. Queste osservazioni, inoltre, suggeriscono di tenere distinti, nell’analisi del capex, gli investimenti materiali da quelli immateriali. La dinamica economica di questi ultimi, i loro processi di acquisizione e accumulazione nell’impresa, la variabi‐
lità del loro valore non consentono, infatti, di applicare una logica interpretativa schematica come quella sin qui proposta. Al di là di questi limiti, i vari indici presentati hanno comunque un pregio: quello di spingere l’analisi verso le cause dei risultati monetari, evidenziando le relazioni che fra esse esistono. In questo modo, non ci si limita a una misura quantitativa dei risultati, pur sempre essenziale, ma di‐
venta possibile una loro lettura qualitativa. La tavola 4 illustra schematicamente una proposta di sviluppo del free cash flow condotto secondo la logica ad albero e. Muovendosi lungo questa stra‐
da, grazie all’impiego di specifici indicatori, quelle relazioni fra dinamica monetaria, componenti reddituali, condizioni patrimoniali e variabili fisico‐tecniche, già prospettate nell’analisi del flusso corrente, si possono ulteriormente allargare ed infittire, arrivando a coprire l’intero ambito della gestione operativa. Si accrescono, così, grandemente le conoscenze utili oltre che per valutare l’impresa, anche per il controllo e la programmazione del suo profilo monetario. L’albero del free cash flow può essere integrato con alcuni indici che esprimono questo margine non in valore assoluto, ma in termini percentuali. In questo senso, il free cash flow viene impiegato per costruire indici di efficienza attraverso i quali misurare percentualmente il rendi‐
mento monetario della gestione operativa. Tipici esempi sono rappresentati da: free cash flow form operations/fatturato free cash flow from operations/COIN 8
L’analisi delle politiche di sviluppo viene talvolta condotta confrontando il rapporto «ammortamenti/flusso operativo corrente» con il «tasso di reinvestimento», ossia con il rapporto «capex/flusso operativo corrente». Su un arco di più esercizi, il tasso di rein‐
vestimento dovrebbe essere superiore all’incidenza degli ammortamenti sul flusso di cassa per assicurare che avvenga un’adeguata sostituzione degli immobilizzi tecnici, tenuto conto dell’incremento dei costi correnti. www.analisidibilancio.it 79 Il rendiconto finanziario 2011
Il primo dei due indicatori si muove nella logica del cash flow ROS; il secondo si configura come una sorta di cash flow ROI. Entrambi gli indici, a differenza dei precedenti indicatori di effi‐
cienza, non si limitano a misurare il risultato monetario corrente della gestione operativa (il flusso operativo corrente), ma tengono conto anche del complessivo fabbisogno di capitale (CCNc e ca‐
pex) necessario per ottenere quel risultato. Il secondo indice, in particolare, assume particolare ri‐
lievo nella prospettiva di un investitore. Il cash flow ROI, infatti, rappresenta il rendimento mone‐
tario degli investimenti operativi. E’ attraverso esso che vengono remunerati i finanziatori dell’impresa, ossia i creditori finanziari (banche ed obbligazionisti) e i soci. Tale rendimento trova, dunque, il suo naturale termine di confronto nel costo del capitale. In una prospettiva di medio‐
lungo termine, il valore economico ‐ sia del complesso degli investimenti, sia del patrimonio netto ‐ di un’impresa con rendimento monetario operativo inferiore al costo del capitale non potrà che essere negativo. Tavola 4 – L’albero del free cash flow 3.2. IL SERVIZIO DEGLI INVESTITORI La moneta prodotta dal ciclo operativo deve trovare impiego, oltre che nel finanziamento della struttura, nel soddisfacimento delle attese degli investitori. Questi sono rappresentati, anzi‐
tutto, da coloro che hanno conferito capitale di credito (banche ed obbligazionisti); successiva‐
mente, dai portatori di capitale di rischio. Si entra così nell’area finanziaria della gestione. L’attenzione si deve concentrare sulle operazioni passive di tale gestione, ossia: • il pagamento degli interessi ed il rimborso delle quote di indebitamento; • la distribuzione di utili ai soci e gli eventuali rimborsi di capitale sociale. www.analisidibilancio.it 80 Il rendiconto finanziario 2011
Gli indicatori che possono essere costruiti per analizzare questi aspetti della dinamica mone‐
taria dell’impresa appartengono, ancora, alla famiglia degli indici di sufficienza; anche in questo caso, infatti, si tratta di capire se le risorse rese disponibili dalla gestione operativa sono sufficienti a servire i finanziatori. 3.2.1 IL SERVIZIO DEL DEBITO L’analisi del servizio del debito è orientata ad acquisire elementi per formulare un giudizio compiuto sulle condizioni di solvibilità della gestione. Essa si integra con l’analisi condotta median‐
te margini e indici patrimoniali. Esaminando l’assorbimento di risorse esercitato dal servizio dei debiti finanziari è cruciale scegliere opportunamente la misura di flusso monetario da contrapporre agli esborsi causati dai debiti. Frequentemente, nella pratica aziendale, la grandezza presa a riferimento è l’EBITDA (o MOL), ossia un’approssimazione dell’autofinanziamento operativo lordo. Si costruiscono, così, due fondamentali indici di coverage: EBITDA/oneri finanziari EBITDA/rimborsi debiti finanziari Il senso di entrambi gli indici è agevolmente comprensibile: nel primo caso si verifica la capa‐
cità dell’impresa di far fronte al pagamento degli interessi passivi; il secondo indice, invece, misura la capacità dell’impresa di coprire le quote capitale del debito. Condizioni di equilibrio sono segna‐
late da valori degli indici superiori all’unità. In entrambi i casi, quello che si vuol verificare è l’attitudine a fronteggiare gli esborsi, legati ai debiti contratti, in modo autonomo. E’ questo un aspetto giustamente ritenuto molto importante ai fini della solvibilità aziendale. Infatti, il servizio del debito realizzato mediante ricorso ad altro indebitamento è un inequivocabile sintomo di crisi finanziaria. Non a caso, molti accreditati sistemi di rating assumono gli indici di co‐
verage fra i principali elementi oggetto di valutazione. Il costo del capitale di credito (Kd) viene, così, influenzato anche dalle condizioni di liquidità della gestione oltre che da quelle di solidità. I due indici, tuttavia, presentano alcuni limiti non trascurabili. Il primo è costituito dall’impiego dell’EBITDA come misura della moneta, autoprodotta dall’impresa, effettivamente di‐
sponibile per servire i debiti. Si tratta di un’approssimazione che può risultare grossolana in periodi caratterizzati da un’intensa dinamica del CCNc e in fasi di riduzioni dell’organico, con conseguenti cospicui esborsi per trattamenti di fine rapporto. Inoltre, l’autofinanziamento al quale ci si riferisce è al lordo delle imposte. Ora, è vero che gli oneri finanziari sono deducibili ai fini IRES e quindi tro‐
vano ideale copertura nei flussi correnti lordi; non lo sono però ai fini IRAP e, quindi, non tutto il flusso lordo è disponibile per la loro copertura. Quanto vale per gli oneri finanziari non vale per le quote capitale da rimborsare, le quali non sono un costo e devono essere fronteggiate solo con flussi al netto d’imposta. E’ forse il caso di sottolineare che spesso l’indice di copertura del debito è costruito contrap‐
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ponendo l’EBITDA allo stock di debiti finanziari rilevato in Stato Patrimoniale; quindi, prescindendo dai valori di flusso del rendiconto finanziario. Si tratta di una pratica poco sensata. Fra i debiti, in‐
fatti, si ritrovano anche posizioni a medio‐lungo termine che impegneranno la gestione degli anni futuri e troveranno copertura nei flussi che si formeranno in tali anni. Gli unici debiti confrontabili con il flusso di un singolo esercizio, dunque, appaiono quelli a rimborso nell’anno. Al massimo, vo‐
lendo utilizzare le indicazioni del rendiconto in chiave prospettica, e supponendo che l’EBITDA rappresenti un flusso sostanzialmente normalizzato (e quindi ripetibile anche negli anni a venire), i debiti a esso confrontabili potrebbero essere quelli a breve termine, in scadenza nell’esercizio suc‐
cessivo a quello di osservazione; sicuramente non altri. Sulla scorta di queste osservazioni, dun‐
que, è meglio procedere al calcolo del coverage finanziario impiegando i dati del rendiconto. In particolare, l’indice da costruire è il seguente: free cash flow from operations/(oneri finanziari+rimborso debiti) Il grado di coverage poteva essere verificato anche impiegando il flusso di cassa operativo corrente. L’idea di fondo sottesa all’impiego del free cash flow, tuttavia, è che l’impresa è vera‐
mente solvibile se è in grado di pagare gli interessi e rimborsare i debiti senza sacrificare lo svilup‐
po degli investimenti relativi alla struttura operativa. Per questo, il flusso operativo corrente viene, dapprima, contrapposto ai fabbisogni monetari legati alla struttura operativa (capex) e, solo suc‐
cessivamente, ai fabbisogni generati dal servizio dei debiti. A questo proposito però, alla luce di quanto osservato approfondendo l’analisi degli investi‐
menti operativi strutturali, può essere opportuna una rielaborazione dei dati del rendiconto al fine accrescere il significato informativo dell’indice. Infatti, come già sottolineato, se è condivisibile ri‐
chiedere che il flusso corrente di un singolo esercizio debba anzitutto coprire il capex ricorrente, legato agli investimenti di mantenimento della struttura sostenuti in quel periodo, non è necessa‐
rio, né spesso possibile, che esso copra anche il capex riconducibile agli investimenti di sviluppo che si riverbereranno su più esercizi. Laddove l’impresa sia impegnata in intensi programmi di espansione dimensionale o di ristrutturazione produttiva, la crescita del capex può avvenire solo attingendo a risorse esterne (di debito come di rischio). In queste circostanze, il free cash flow sarà sempre, gioco forza, negativo. L’indice proposto, pertanto, segnalerà sistematicamente problemi di solvibilità. In questo senso, dunque, il free cash flow al servizio del debito potrà essere più perti‐
nentemente ricalcolato sottraendo dal flusso operativo corrente i soli esborsi strutturali per inve‐
stimenti di mantenimento; in tal modo si individua una particolare configurazione di free cash flow, il free cash flow per pagamenti vincolati. E’ questa la grandezza da impiegare per costruire gli indici di coverage. 3.2.2. IL SERVIZIO DELL’EQUITY In una visione allargata della gestione finanziaria passiva rientra anche la gestione delle ri‐
sorse finanziarie investite dai soci. Similmente all’analisi dell’indebitamento, si tratta di verificare se i flussi monetari prodotti sono sufficienti a coprire gli esborsi legati alla remunerazione del capi‐
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tale di rischio. Siamo, dunque, ancora nell’ambito degli indici di sufficienza. Tenuto conto che la remunerazione del capitale di rischio è subordinata al servizio dei debiti, l’attenzione si deve concentrare sul free cash flow to equity. Accantonando le operazioni di riacquisto e riduzione di capitale sociale, peraltro non fre‐
quenti, il servizio dei finanziatori a pieno rischio al quale l’impresa è chiamata si lega alla distribu‐
zione di utili, tipicamente sotto forma di dividendi. In questa prospettiva, la sufficienza del free cash flow to equity può essere misurata dal seguente indice: free cash flow to equity/dividendi
Un valore dell’indice inferiore all’unità segnala che l’impresa, per distribuire ai soci i risultati della gestione, deve ridurre la consistenza della risorsa finanziaria di riferimento (nella nostra trat‐
tazione, la dotazione di cassa) o, più frequentemente, fare ricorso alla raccolta di risorse esterne, solitamente sotto forma di nuovi debiti. E’ questo un aspetto che assume particolare rilievo nelle società quotate. Qui, infatti, l’apprezzamento del titolo in borsa è legato ai risultati ottenuti dall’impresa, da un lato, e alla misura in cui tali risultati vengono distribuiti agli investitori, dall’altro. In quest’ottica, l’analisi della distribuzione dell’utile può essere integrata dal calcolo di alcuni tipici indici di borsa quali: dividendi/n° azioni utile di esercizio/n° azioni
dividendi/utile di esercizio Il primo degli indici richiamati è il noto cash dividend; esso misura quanto dividendo viene assegnato ad ogni azione. L’entità del cash dividend dipende da due fattori espressi dagli altri due indici: • quanto utile è stato prodotto per ogni azione, ossia l’altrettanto noto earning per share o EPS (cfr. 21 bis); • in che misura quell’utile si è stato distribuito. Quest’ultimo indice, meglio noto come pay‐
out, può assumere valori inferiori ma anche superiori all’unità: valori inferiori denotano po‐
litiche di costituzione di riserve e, quindi, di generico potenziamento del capitale di rischio; valori superiori segnalano una precisa volontà dell’impresa di soddisfare gli azionisti al di là dei risultati di esercizio, anche attraverso la distribuzione di riserve. Ovviamente, il mercato apprezzerà maggiormente quelle imprese con abbondante cash divi‐
dend che nasce non tanto dalla mobilizzazione di riserve, quanto da un elevato EPS. La qualità del dividendo distribuito (e dell’utile dal quale questo deriva) sarà tanto maggiore, e pertanto favore‐
volmente giudicata dal mercato, quanto più l’assegnazione dei risultati di gestione potrà avvenire www.analisidibilancio.it 83 Il rendiconto finanziario 2011
senza far ricorso alla raccolta di risorse esterne, ossia in presenza di valori positivi dell’indice free cash flow to equity/dividendi. Analizzando la distribuzione dei dividendi è necessario tener presente che, di regola, es‐
sa ha carattere di discrezionalità, anche se fattori di natura economica rendono di fatto neces‐
sario soddisfare le attese del capitale di rischio. Tuttavia, esistono anche situazioni di diritto che eliminano o riducono ogni discrezionalità e vengono ad assimilare tale distribuzione al ser‐
vizio dei prestiti; si pensi, in proposito, alla remunerazione spettante alle azioni privilegiate, specie le azioni di risparmio.9 In questi casi, il margine monetario sulla base del quale compiere le valutazioni di sufficienza dovrebbe essere rivisto, tenendo conto di quanto osservato a pro‐
posito del servizio del debito e della composizione del capex. Laddove, infatti, la remunerazio‐
ne degli azionisti sia vincolante per l’impresa, questa deve essere anteposta agli investimenti di sviluppo. Occorre, cioè, far riferimento al free cash flow per pagamenti vincolati. Comunque, poiché i debiti conservano una priorità rispetto alla remunerazione del capitale di rischio, tale margine deve essere espresso al netto del servizio del debito; si individua, così, un nuovo mar‐
gine monetario che chiameremo flusso di cassa disponibile per distribuzioni vincolate di utili. Sottraendo da quest’ultimo margine l’importo delle distribuzioni vincolate di utili si perviene alla determinazione del flusso di cassa discrezionale, ossia del flusso di cassa liberamente di‐
sponibile per finanziare il capex di sviluppo e per la remunerazione non vincolata degli azioni‐
sti. Si veda in proposito la seguente sequenza di calcolo: flusso di cassa della gestione operativa corrente ‐ capex per investimenti di mantenimento = free cash flow disponibile per pagamenti vincolati ‐ rimborso debiti ‐ pagamento oneri finanziari = flusso di cassa per distribuzioni vincolate di utili ‐ dividendi su azioni privilegiate = flusso di cassa discrezionale La sufficienza del free cash flow to equity può essere, pertanto ricalcolata così: flusso di cassa per distribuzioni vincolate di utili/dividendi su azioni privilegiate Il valore aggiunto dell’indice rispetto ai semplici margini è, come in tutti i casi preceden‐
ti, quello di consentire un migliore apprezzamento della proporzione esistente fra le due gran‐
dezze esaminate; ad esempio, una cosa è dire che il flusso discrezionale è –100, altra che il flusso disponibile per distribuzioni vincolate di utili è solo il 30% degli utili necessariamente da assegnare. 4. LA GESTIONE FINANZIARIA ATTIVA: PRODUZIONE O ASSORBIMENTO? Alla gestione finanziaria pertengono anche le operazioni di investimento/disinvestimento di 9
Condizioni di vincolo alla distribuzione dell’utile si possono manifestare anche in altre circostanze. Si pensi, anzitutto, al caso delle piccole e medie imprese nelle quali la distribuzione dei risultati aziendali è indispensabile per soddisfare i bisogni di consumo dei soci. Non dissimile è anche il caso che si può verificare in seno alle imprese controllate. Queste, spesso, sono costrette a riversare i propri utili sulla controllante per sostenerne gli equilibri economici e finanziari. In entrambi i casi, il capitale libero per lo sviluppo della struttura sarà solo quanto resta del free cash flow per pagamenti vincolati dopo avervi dedotto gli esborsi relativi al servizio dei debiti ed alla distribuzione degli utili. www.analisidibilancio.it 84 Il rendiconto finanziario 2011
attività finanziarie e i relativi risultati reddituali sotto forma di plus e minusvalenze, cedole, inte‐
ressi attivi; è questo l’ambito della gestione finanziaria attiva. Si tratta di un’area che, molto spes‐
so, ha un ruolo accessorio nella vita dell’impresa. Nelle realtà di maggiori dimensioni, specie lad‐
dove esistano rapporti di gruppo con altre imprese, la gestione finanziaria attiva riveste, invece, notevole importanza e, quindi, deve essere oggetto di attenta analisi. Esaminando il contributo monetario della gestione finanziaria attiva, occorre, anzitutto, di‐
stinguere fra impieghi (assorbimento) e fonti (produzione) di risorse monetarie. Gli impieghi nella gestione finanziaria attiva possono avere causali diverse: • acquisizione di partecipazioni per espandere o diversificare la gestione operativa; • concessione di prestiti a società consociate; • acquisto di titoli con finalità speculative; • costituzione di riserve di liquidità. Ai fini di una loro valutazione critica, le operazioni che determinano assorbimento devono essere interpretate uscendo dai confini del rendiconto. Ciascuna causa, infatti, porta a valutazioni differenti a seconda del più ampio contesto aziendale nel quale si inserisce; ad esempio, se un’impresa con liquidità insufficiente rispetto alle esigenze primarie della gestione (capex, rimbor‐
so debito ecc.) investe in titoli che, per le loro caratteristiche, appaiono speculativi, il giudizio non potrà che essere negativo. Di contro, un forte assorbimento di moneta dovuto all’acquisto di par‐
tecipazioni ritenute strategiche per la competitività aziendale, anche se toglie risorse agli altri im‐
pieghi, andrà valutato positivamente. Quanto alle fonti di risorse, occorre distinguere fra: • flussi monetari generati da disinvestimenti; • flussi monetari derivanti da interessi, cedole e simili. Questi ultimi, se frutto di investimenti finanziari che l’impresa intende mantenere durevol‐
mente, assumono un carattere di ricorrenza; come tali, essi di fatto integrano il flusso di cassa dell’attività operativa dell’impresa. Si pensi, in particolare, a dividendi relativi a partecipazioni di controllo aventi natura strategica. In questo senso, gli indici di sufficienza prima proposti possono essere rivisti, aggiungendo al valore del flusso operativo corrente quello delle risorse monetarie prodotte dalla gestione finanziaria attiva. Affrontando la collocazione da dare alla gestione finanziaria attiva è necessario sottolineare il ruolo esercitato dalla configurazione della risorsa finanziaria alla quale si fa riferimento. Questa, infatti, condiziona le variazioni di attività finanziarie che trovano esplicita evidenziazione nel rendi‐
conto. Se l’attenzione è rivolta alla sola cassa, tutti i movimenti di attività finanziarie figurano co‐
me variazioni esogene della risorsa e, quindi, possono trovare esplicita rappresentazione nel ren‐
diconto, vuoi come espressione di assorbimento monetario (uscite per investimenti in attività fi‐
nanziarie), vuoi come riduzione di tale assorbimento (entrate da disinvestimenti di attività finan‐
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ziarie). Se però ci si riferisce alla posizione finanziaria, ad esempio quella corrente, allora le varia‐
zioni delle attività finanziarie a breve divengono endogene rispetto alla risorsa e non possono emergere fra le poste del rendiconto. Si renderà, pertanto, necessaria un’attenta analisi dei cam‐
biamenti avvenuti nella composizione quali‐quantitativa delle componenti attive della risorsa esaminata. 5. LA RACCOLTA DELLE RISORSE FINANZIARIE L’impianto del rendiconto dal quale muove l’interpretazione dei flussi monetari della gestione è ispirato a una prevalente finalità conoscitiva: quella di ricostruire la composizione quantitativa e qualitativa del fabbisogno finanziario dell’impresa, verificando, al contempo, l’attitudine delle ope‐
razioni aziendali a generare autonomamente i mezzi monetari per fronteggiare tale fabbisogno. In questo senso, il rendiconto è stato articolato, dapprima, per aree di gestione e, poi, per zone mo‐
netarie. Dopo aver analizzato la zona della produzione di moneta e quella dell’assorbimento, l’interpretazione del rendiconto si chiude, dunque, con l’analisi delle operazioni di raccolta; si trat‐
ta di operazioni attraverso le quali nuovi mezzi monetari sono acquisiti dall’esterno dell’impresa, rivolgendosi al mercato finanziario. Le fonti alle quali fare riferimento sono due: • capitale di rischio, ossia aumenti di capitale sociale; • capitale di credito, ossia nuovi debiti finanziari. Questi ultimi, a loro volta, si distinguono in relazione alla durata del vincolo: debiti a medio‐
lungo termine; debiti a breve termine. L’analisi della raccolta, dunque, deve, in primo luogo, consentire di apprezzare se ed in che misura l’impresa ha attinto dalle due fonti; si deve, cioè, condurre un’analisi di composizione della raccolta. Con riferimento al capitale di credito, l’analisi di composizione dovrà anche distinguere i nuovi debiti in relazione alle forme tecniche di negoziazione e alla durata del vincolo (debiti a bre‐
ve o a medio‐lungo termine). L’analisi di composizione della raccolta presuppone di determinare il totale dei mezzi moneta‐
ri acquisiti, sia sotto forma di debiti che di capitale di rischio. Rispetto a tale ammontare, poi, si pe‐
sano gli importi delle singole voci di raccolta. L’indagine prosegue evidenziando la composizione per scadenza delle fonti reperite sul mercato finanziario. In quest’ottica, risulta opportuno, per le fasi successive dell’analisi, individuare l’importo di quelli che comunemente vengono definiti i ca‐
pitali permanenti, ossia i mezzi finanziari durevolmente disponibili per l’impresa. La tavola 5 espo‐
ne un prospetto che può essere utilmente impiegato per mettere a fuoco le scelte di raccolta di nuovi finanziamenti esterni operate dall’impresa nel corso dell’esercizio. www.analisidibilancio.it 86 Il rendiconto finanziario 2011
Tavola 5 ‐ Composizione, per «natura» e «durata» del vincolo, delle nuove fonti di finanziamento raccolte nell’esercizio dall’«esterno» dell’impresa FONTI IMPORTI % a Aumenti di capitale sociale … b Accensione nuovi debiti a medio‐lungo … c Capitali permanenti (a+b) … d Accensione nuovi debiti a breve … e Totale nuovi debiti (b+d) … f Totale fonti raccolte (a+e) 100 % Ancorché non si tratti di raccolta in senso stretto, il quadro delle fonti monetarie dell’esercizio potrebbe essere integrato considerando anche il contributo fornito dall’autofinanziamento e quel‐
lo di eventuali introiti derivanti dalla gestione degli investimenti finanziari; si tratta, infatti, di vere e proprie fonti di finanziamento, ancorché interne. Grazie a questo allargamento di prospettiva, è possibile comprendere la proporzione secondo la quale i mezzi monetari provengono dall’interno dell’impresa o dal suo esterno. Si veda, in proposito, la tavola 6. Tavola 6 ‐ Quadro complessivo delle fonti di finanziamento prodotte e raccolte nell’esercizio FONTI a Autofinanziamento operativo netto … b Fonti derivanti da attività finanziarie … c Totale risorse monetarie prodotte (a+b) d Aumenti di capitale sociale … e Accensione nuovi debiti … f Totale risorse monetarie raccolte (d+e) … g Totale fonti (c+f) 100 % IMPORTI
% In tema di composizione delle fonti è bene richiamare quanto sottolineato a proposito degli investimenti finanziari. La configurazione della risorsa finanziaria alla quale si fa riferimento, infat‐
ti, condiziona le fonti che trovano esplicita evidenziazione nel rendiconto. Se l’attenzione è rivolta alla cassa e a suoi equivalenti, tutti i debiti finanziari, comunque contratti, possono essere rappre‐
sentati nell’area del rendiconto dedicata alla raccolta. Se, però, ci si riferisce alla posizione finan‐
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ziaria, ad esempio quella corrente, allora le variazioni dei debiti finanziari a breve divengono en‐
dogene rispetto alla risorsa e non possono emergere fra le fonti del rendiconto. In questo caso, si renderà necessaria un’attenta analisi dei cambiamenti avvenuti nella composizioni quali‐
quantitativa delle componenti passive della risorsa esaminata. Ciò premesso, la composizione della raccolta deve essere interpretata muovendosi lungo due coordinate: • valutazione della scelta fra mezzi propri e mezzi di terzi; • valutazione della scelta fra fonti durevoli e fonti a breve termine. Queste valutazioni, tuttavia, non possono essere basate solo sui dati del rendiconto. Questi, infatti, rappresentano flussi manifestatisi nell’anno e prescindono dagli assetti patrimoniali e fi‐
nanziari dai quali derivano e sui quali influiscono, nonché dalle ricadute economiche alle quali danno luogo. Occorre, dunque, assumere una prospettiva più ampia valutando le scelte di finan‐
ziamento alla luce della complessiva struttura finanziaria dell’impresa. Ciò significa esaminare cri‐
ticamente i caratteri della struttura all’inizio dell’esercizio e la situazione venutasi a creare, in se‐
guito alla scelte compiute, alla fine dell’esercizio. L’analisi dei dati del rendiconto, pertanto, si deve collegare all’analisi dei rapporti patrimoniali di composizione e correlazione basati sulle quantità rappresentate nello Stato Patrimoniale. Così facendo, è possibile comprendere se la raccolta mo‐
netaria ha contribuito a migliorare o a peggiorare gli equilibri finanziari di breve e di medio‐lungo termine dell’impresa. 6. GLI INDICI DI CASH FLOW: UN GIOCO CHE VALE LA CANDELA Gli indici di cash flow appaiono, sotto molti profili, assai simili ai tradizionali indici costruiti im‐
piegando grandezze tratte da Stati Patrimoniali e Conti Economici riclassificati; si pensi, ad esem‐
pio, al rapporto flusso di cassa operativo corrente/fatturato e al ROS. E’, dunque, legittimo chie‐
dersi se valga la pena arricchire il già ricco ventaglio di indicatori inserendovi anche quelli costruiti con grandezze tratte dal rendiconto finanziario. La risposta è sicuramente affermativa; e questo per due ordini di ragioni. Anzitutto, gli indici di cash flow hanno un grado di oggettività maggiore rispetto ad indici co‐
struiti usando altre quantità contabili. Le principali politiche di bilancio (ad esempio, la manovra degli ammortamenti e delle scorte di magazzino) vengono di fatto neutralizzate se si fa ricorso ai flussi finanziari. Inoltre, rigorose ricerche empiriche hanno da tempo dimostrato che gli indici di cash flow non si sovrappongono ad altre categorie di indicatori (redditività, liquidità, etc.), replicandone il conte‐
nuto informativo; al contrario, hanno un forte e autonomo valore predittivo delle possibilità che un’impresa possa incorrere in future crisi finanziarie ed economiche. Essi, quindi, aiutano a discri‐
minare le imprese a più alto rischio di solvibilità dalle altre. A conferma di ciò sta anche il compor‐
tamento delle più importanti agenzie di rating; queste basano la loro valutazione, per quanto con‐
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cerne i dati di bilancio, prevalentemente sul calcolo di indici di cash flow, tipicamente gli indici di coverage del servizio del debito. 10 Per questi motivi gli indici di cash flow devono, a buon diritto, entrare a far parte delle analisi d’impresa condotte attraverso i dati di bilancio. Lo sforzo che si sostiene per costruire il rendicon‐
to, prima, e per elaborare gli indici, poi, è gravoso, ma viene ampiamente ripagato. 10
Si vedano, ad esempio, gli indicatori ai quali fa ricorso S&P disponibili su «www.standardandpoors.com». Per un’analisi degli indi‐
catori utilizzati nei rating esterni, si rinvia a: CANNATA F., (2001), Rating esterni e dati di bilancio: un’analisi statistica, in «Studi e Note di Economia», n.3. www.analisidibilancio.it 89 
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