Siamo al servizio dei signori del silicio Tecnologie della comunicazione – Evgeny Morozov e l’ideologia dell’«App per ogni problema» / 02.01.2017 di Lorenzo De Carli «Siamo sorvegliati. Il governo dispone di un sistema segreto, una macchina che vi spia ogni ora di ogni singolo giorno. Ho ideato una macchina per prevenire atti di terrorismo, ma vede ogni cosa.» Queste parole, pronunciate all’inizio di ogni episodio di Person of Interest, serie televisiva tra le più riuscite degli ultimi anni, sono di Harold Finch, hacker, programmatore geniale, diventato miliardario, che ha scelto di vivere in totale anonimato, nascondendo la sua identità dietro la maschera di mestieri banali. Con l’amico Nathan Ingram, nel frattempo deceduto, Finch ha costruito «La Macchina». Non si tratta di un computer, bensì di una intelligenza artificiale distribuita, creata per soddisfare le esigenze dell’amministrazione americana dopo gli attentati terroristici che colpirono gli Stati Uniti nel 2001.«La Macchina» è capace non solo di accedere a tutti i database, è interfacciata con tutte le telecamere connesse a Internet, anche quelle di tutti gli smartphone, caratteristica che permette a questa IA di prevedere le nostre azioni. Il mondo distopico di Person of Interest è sullo sfondo della riflessione sociologica di Evgeny Morozov, il quale – dopo il saggio intitolato L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet dedicato all’uso di Internet negli stati totalitari – ha raccolto i suoi ultimi scritti nel volume Silicon Valley: i signori del silicio. Così come gli stati totalitari usano le tecnologie della comunicazione per sorvegliare, censurare e svolgere azione di propaganda; dietro l’apparente libertà delle nostre libere società le medesime tecnologie sono usate per tenerci tutti avvinghiati a un rutilante ininterrotto spettacolo d’informazione e intrattenimento, fornito da agenzie che raccolgono dati sui nostri gusti, le nostre abitudini, i nostri desideri allo scopo di tracciare e tener costantemente aggiornati i nostri profili di consumatori, l’unico aspetto della nostra identità per il quale siamo suscettibili d’interesse. Bersaglio di Evgeny Morozov è il cyber ottimismo, la tendenza capillarmente diffusa di ritenere le tecnologie della comunicazione neutre rispetto al modello di società che ciascuno di noi vorrebbe impegnarsi a realizzare. Nelle mani di aziende che hanno solo lo scopo di soddisfare i loro azionisti, queste tecnologie moltiplicano invece nuove necessità e stimolano nuovi desideri. Evgeny Morozov usa «Silicon Valley» come antonomasia di tutta l’industria delle tecnologie della comunicazione. Nelle sue riflessioni critiche il luogo nel quale si sono concentrate le attività delle maggiori imprese impegnate nell’innovazione di hardware e di software è contrapposto a «Wall Street», sede della più grande borsa valori del mondo, simbolo del capitalismo finanziario: «Wall Street predica scarsità e invoca austerità, la Silicon Valley celebra abbondanza e innovazione». Secondo Morozov, i due luoghi simbolici sembrano narrare il presente in maniera contrapposta mentre in realtà condividono il comune progetto di ridurre fino a sopprimerlo lo spazio a disposizione per pensare a modelli d’interazione sociale alternativi a quelli vigenti tutti orientati al profitto. Di primo acchito, la posizione di Morozov sembrerebbe essere quella di un luddista, un epigono di coloro che, nell’Ottocento, sabotavano le macchine industriali al doppio scopo di affrancare i lavoratori dalle catene della produzione e di ridare dignità all’artigianato. In verità, ciò che persegue Morozov è un uso consapevole delle tecnologie della comunicazione, lo sviluppo di una consapevolezza all’altezza dell’attuale fase della produzione capitalistica: «se da un lato sappiamo bene che gli interessi del settore farmaceutico, alimentare e petrolifero sono lontanissimi dai nostri, dall’altro non guardiamo mai alla Silicon Valley con necessario spirito critico». Sembra che la seduzione delle tecnologie della comunicazione, che tendono a rendere liquidi i confini tra produzione e intrattenimento, sia a tal segno efficace, che agisce come una sorta di narcotico collettivo, che induce a sospendere la riflessione critica: «quando gli attivisti del cibo si scagliano contro Big Food e sostengono che le aziende alimentari aggiungono troppo sale per renderli più gustosi e farceli desiderare, nessuno osa tacciarli di anti scientificità. Invece, criticare Facebook o Twitter con argomenti simili – per esempio dimostrando come siano progettati per far leva sulle nostre ansie e manie – porta a immediate accuse di tecnofobia se non addirittura di luddismo». Altro motivo d’inquietudine di Morozov è la mole di dati che Google, Facebook o Twitter raccolgono sui nostri gusti e sulle nostre abitudini. Se leggiamo le dichiarazioni d’uso che, per esempio Google, ci chiede di sottoscrivere la prima volta che ne usiamo il motore di ricerca, apprendiamo che i dati di navigazione personali raccolti saranno usati per servirci meglio e per migliorare la sua offerta, ma Google è nelle condizioni di poter setacciare la nostra posta, di raccoglie informazioni sulla nostra navigazione, sulle ricerche che facciamo nelle mappe, nelle sue raccolte di libri – di aggregare tutti i dati dell’ampia mole di servizi che ci offre allo scopo di creare le condizioni per renderci bersaglio di una sempre più puntuale pubblicità. Siccome, talvolta, ciò che ci viene offerto dalla pubblicità è la soddisfazione di una necessità latente, grazie al meccanismo di piacere in tal modo prodotto, si attiva la sospensione della nostra vigilanza critica. Siamo sempre al lavoro per altri ma non ce ne rendiamo conto perché le tecnologie della comunicazione stimolano il rilascio di dopamina. Morozov ci fa comprendere i meccanismi per mezzo dei quali la Silicon Valley ha creato le condizioni per rendere superfluo pensare a soluzioni politiche per l’attuale crisi economica generalizzata: basta un’App, un nuovo dispositivo, e si ripete l’illusione che lo sforzo d’immaginazione per rinnovare le istituzioni politiche possa essere rimpiazzato con il comando «aggiorna». Secondo Morozov disconnettersi non è una buona alternativa all’irretimento, ma la riscoperta del piacere di annoiarsi, per contro, è un buon antidoto al click compulsivo.