NOTE DI MATEMATICA PER LA CRESCITA ECONOMICA_2014

NOTE DI MATEMATICA PER LA CRESCITA ECONOMICA1
G. Graziola, Bergamo, 16 giugno 2014
NOTA BENE: Gli appunti che seguono sono solo uno strumento di supporto didattico e non
costituiscono materiale d’esame. Sono scritti secondo quello che, nella valutazione del docente,
è l’ordine della loro importanza.
1. ALGEBRA DEL PIL: CONFRONTI INTERTEMPORALI
1.1 Definizione. Il prodotto interno lordo, o PIL, nominale di un paese è il valore dei beni e
servizi finali prodotti nel corso di un anno dai residenti (nazionali o immigrati) nel territorio di quel
paese, e valutati ai prezzi correnti in quell’anno.
Formalmente, il PIL è il prodotto scalare del vettore delle quantità di quei beni, yt = (yt1,…,
ytN), per il vettore dei prezzi, pt = (pt1,…, ptN):
! !
PIL(t,t) = pt yt = 𝑡
(1.1)
𝒏!𝟏 𝑝! 𝑦!
dove il primo t nella parentesi specifica l’anno al quale si riferiscono le quantità ed il secondo
quello al quale si riferiscono i prezzi; N è il numero dei beni; yt1 è la quantità del bene 1 nell’anno
t, pt1 il suo prezzo, e così via.
1.2 Fattore di crescita o numero indice del PIL. Nel confronto tra i PIL di due diversi anni,
diciamo un anno t e un anno iniziale o base, 0, siamo interessati a sapere quanta crescita sia
imputabile ad aumenti dei prezzi e quanta ad aumenti delle quantità. Un modo di isolare la
component della crescita dovuta solo a variazioni delle quantità (la parte che interessa ai fini della
misura dello sviluppo economico) è di valutare il PIL dell’anno t ai prezzi dell’anno zero,
calcolando il PIL reale come:
! !
GDP(t,0) = p0 yt = 𝑡
(1.2)
𝒏!𝟏 𝑝! 𝑦!
In tal modo si può ottenere un fattore di crescita o numero indice del PIL reale che indicheremo
con ft,0Y, e che riflette solo le variazioni nelle quantità tra gli anni 0 e t:
ft,0Y = p0 yt / p0 y0 =
𝑡
𝒏 𝒏
𝒏!𝟏 π’‘πŸŽ π’šπ’•
𝑡 𝒑𝒏 π’šπ’
𝒏!𝟏 𝟎 𝟎
(1.3)
Non sarebbe difficile verificare che il rapporto al secondo membro della precedente uguaglianza
altro non è che un’opportuna media aritmetica dei fattori di crescita delle quantità di ciascun bene,
yt1/y01,...., ytN/y0N.
Invertendo i ruoli di prezzi e quantità è possibile calcolare il fattore di crescita o indice dei
prezzi o fattore d’inflazione tra gli anni 0 e t, come:
ft,0P = pt yt /p0 yt =
𝑡
𝒏 𝒏
𝒏!𝟏 𝒑𝒕 π’šπ’•
𝑡 𝒑𝒏 π’šπ’
𝒏!𝟏 𝟎 𝒕
(1.4)
Si noti che moltiplicando il fattore di crescita del PIL reale dato dalla (1.3) per il fattore d’inflazione
dato dalla (1.4) si ottiene il fattore di crescita o numero indice del PIL nominale:
(p0 yt / p0 y0) βœ• (pt yt /p0 yt) = pt yt /p0 y0
1
Per gli studenti del corso di “Storia delle istituzioni politiche ed economia dello sviluppo”, Modulo 2: Economia dello
sviluppo” - Corso di laurea magistrale in Diritti dell’uomo e cooperazione internazionale - Facoltà di Lettere e flosofia –
Università di Bergamo – A.A. 2013/2014
1
E’ importante tenere presente che il PIL reale del periodo t può essere calcolato non solo
direttamente, usando la formula (1.2), ma anche indirettamente (come avviene nella pratica
statistica), dividendo il PIL nominale dato nella (1.1) per l’indice dei prezzi dato nella (1.4). Così
facendo si ottiene, infatti, banalmente:
𝑡
𝒏 𝒏
𝒏!𝟏 𝒑𝒕 π’šπ’•
𝑡 𝒑𝒏 π’šπ’
𝒏!𝟏 𝒕 𝒕
𝑡 𝒑𝒏 π’šπ’
𝒏!𝟏 𝟎 𝒕
=
N
∑p
n
0
y tn
(1.5)
n =1
Guardando il primo membro della (1.5) si capisce perché l’indice dei prezzi che appare al
denominatore è noto come il deflatore del PIL.
ESERCIZIO.
Si considerino tre beni, 1, 2 e 3; e due anni: anno 0 e anno 1. Nell’anno 0 le quantità dei beni sono:
y01 = 20; y02 = 100 e y03 = 800; ed i rispettivi prezzi: p01 = 5; p02 = 3; p03 = 2.
Nell’anno 1 si ha:
y11 = 18; y12 = 80; y13 = 1.600; ed i rispettivi prezzi: p11 = 7; p12 = 4; p13 = 1.
Calcolate:
(i) il PIL nominale negli anni 0 e 1;
(ii) il PIL reale nell’anno 1;
(iii) il fattore e il tasso di crescita del PIL reale (vedi sotto la definizione di tasso di crescita);
(iv) il tasso d’inflazione ovvero il deflatore del PIL nominale dell’anno 1;
(v) usate il precedente deflatore per ricalcolare il PIL reale dell’anno 1;
(vi) commentate sull’inflazione.
Risposte:
(i)
(ii)
(iii)
(iv)
(v)
(vi)
PIL (0,0) = 2.000 e PIL (1,1) = 2046
PIL (1,0) = 3.530
!
𝑓!,!
= 3.530/2.000 = 1,765; per cui il tasso di crescita è: 1,765 – 1 = 0,765 o 76,5% !
!
𝑓!,! = 2.046/3.530 = 0,58; per cui il tasso di crescita è: 0,58 – 1 = - 0,42 o – 42% !
!
PIL(1,0) = PIL (1,1)/ 𝑓!,!
= 2.046/0,58 = 3.527 ≈ 3.530
Una forte deflazione (fattore di crescita minore di 1 e tasso di crescita fortemente
negativo) si è accompagnata alla forte crescita del PIL reale (Un fatto che in realtà non
si verifica: la deflazione è tipicamente la triste compagna della riduzione del PIL reale)
1.3 Tasso di crescita del PIL. Consideriamo l’andamento nel tempo del PIL reale di un paese,
indicato per brevità con la lettera Y. Per evidenziare la dipendenza di Y dal tempo scriviamo: Yt ,
per t = 0,1,2,……
Con questa notazione possiamo definire il fattore di crescita di Y tra gli anni t-1 e t, come:
ft = Yt / Yt-1
(1.6)
e il corrispondente tasso proporzionale di crescita
gt = ft – 1 = (Yt / Yt-1) – 1 =
!! !!!!! !!!!
βˆ†!!
=!
!!!
(1.7)
L’aggettivo “proporzionale” è usato per distinguere gt dal tasso assoluto di crescita, βˆ†π‘Œ! , che
compare al numeratore della (1.7), anche se in pratica quell’aggettivo è lasciato quasi sempre cadere
per economia di linguaggio.
2
Dalla (1.6) e dalla prima uguaglianza delle (1.7) si ottiene:
Yt = (1+ gt) Yt-1
(1.8)
Si consideri ora la crescita di un paese durante T anni: Y1, Y2,...., YT e si usi la (1.8) per
ottenere
Y1 = (1+g1) Y0 ,
Y2 = (1+g2) Y1 = (1+g2) (1+g1) Y0.
Continuando fino all’anno T otteniamo:
YT = (1+gT) (1+g T-1).....(1+g1) Y0
(1.9)
La (1.9) ci porta a definire il tasso proporzionale di crescita annuo medio, che possiamo indicare
semplicemente con g, come la soluzione della seguente equazione:
YT = (1+g)T Y0
(1.10)
cioè come:
1
g = (YT /Y0 )T – 1
(1.11)
Confrontando le (1.9) e (1.10) si vede che
(1+g)T = 1 + g! … … 1 + g ! ,
vale a dire che un PIL, Y0, che crescesse per T anni a un tasso costante g raggiungerebbe lo stesso
valore, YT, raggiunto dopo una crescita effettiva ai tassi g1,…, gT.
Spesso, essendo i valori dei tassi di crescita piuttosto vicini a zero si preferisce riportarli
moltiplicati per 100. Così, se Y1 = 120 e Y0 = 110, il fattore di crescita è dato da f1 = 120/110 =
1,09 e il tasso di crescita da g1 = 0,09 ovvero 9%.
ESERCIZIO.
Il PIL dell’anno zero è Y0 = 300€. I tassi di crescita reali negli anni 1,2 e 3 sono rispettivamente del
3%, 10% e 5%.
Calcolate:
(i) Y3; e
(ii) il tasso di crescita annuo medio.
Risposte
(i)
(ii)
Y3 = 300 (1.03) (1,1) (1,05) = 357;
357/300 = (1+ g)3 e, quindi, g = (357/300)1/3 – 1 = 0,06;
o, più direttamente, [(1.03) (1,1) (1,05)]1/3 – 1 = 0,06
Un PIL che cresce a un tasso proporzionale costante, g, darà luogo a tassi assoluti di
crescita, βˆ†Y, sempre più grandi. Questo fa si che i valori di due PIL inizialmente uguali ma
crescenti a tassi proporzionali anche solo un poco diversi finiranno col divergere senza limiti al
tendere di t all’infinito; o, da un altro punto di vista, un PIL inizialmente piccolo ma con un tasso di
crescita, g, anche solo poco più alto di quello al quale cresce un altro PIL, inizialmente molto più
grande, sorpasserà inevitabilmente quest’ultimo entro un tempo finito.
ESERCIZIO 1.3 Rispondete alle seguenti domande:
(i)
nell’anno zero i PIL dei paesi 1 e 2 sono uguali: Y01 = Y02 = Y0 , ma il primo crescerà al
tasso del 3% annuo ed il secondo al tasso annuo del 5%. Dopo quanti anni il PIL del
secondo paese sarà il doppio del PIL del primo?
3
(ii)
nell’anno zero il PIL del paese 1 è pari a 200 miliardi di € e quello del paese 2 pari a
4.000 mld di €. Il PIL del primo crescerà al tasso dell’8% e quello del secondo al tasso
dell’1,5%. Dopo quanti anni il PIL del primo avrà raggiunto il livello del PIL del
secondo?
Risposte
(i)
Il numero di anni richiesto è quel t che soddisfa la seguente equazione:
Y0(1,05)t = 2 Y0(1,03)t
Cioè: (1,05)t / (1,03)t = 2; o (1,019)t = 2; o prendendo i logaritmi naturali (vedi sotto la (4.8)):
t ln (1,019) = ln 2; cioè t = 0,7/0,019 = 35 (anni);
(ii)
Il numero di anni richiesto è quel t che soddisfa la seguente equazione:
200 (1,08)t = 4.000 (1,015)t
Semplificando si ottiene (1,064)t = 20; e quindi prendendo i logaritmi naturali:
t ln (1,064) = ln 20; cioè t = 3/0,062 = 48 (anni).
2. ALGEBRA DEL PIL: CONFRONTI INTERNAZIONALI
Un confronto internazionale fatto in un certo anno tra i PIL di un gruppo di paesi
(confronto cross section) è formalmente identico al confronto intertemporale tra i PIL di un paese
(confronto time series): nel primo tipo di confronti l’indice del PIL identifica un paese invece di un
anno, ma il calcolo di fattori o tassi di crescita resta lo stesso. In pratica, però, nei confronti
internazionali ci si limita a considerare i livelli di PIL, popolazioni, ecc. ; e a calcolare rapporti tra
questi livelli, esprimendoli spesso in termini percentuali, come avviene spesso nel libro di Weil.
Il calcolo dei PIL reali di un gruppo di paesi rispetto a un paese base presenta però difficoltà
pratiche assai più severe di quelle che s’incontrano nel calcolo del PIL reale in ambito
intertemporale. A causa di queste difficoltà il calcolo del PIL reale nei confronti internazionali si è
diffuso solo nel corso degli ultimi vent’anni.
In precedenza il PIL nominale di un paese, X, era convertito in un PIL reale in termini di un
paese base, B, dividendo il PIL nominale del paese X per il tasso di cambio tra la moneta di X e
quella di B. Indicheremo questo tasso con il singolo mX,B. L’inadeguatezza di questo metodo sarà
palese dopo aver richiamato il calcolo corretto del PIL in un confronto internazionale.
Definiamo il PIL nominale del paese X, diciamo India, come PIL(X,X) = pX yX =
N
∑p
n
X
y Xn
n =1
e quello del paese B, diciamo USA, come PIL(B,B) = pB yB =
N
∑p
n
B
y Bn .
n =1
Il PIL reale del paese X è il valore delle quantità di X ai prezzi di B:
PIL(X,B) = pB yX =
N
∑p
n
B
y Xn
(2.1)
n =1
PIL (X,B) sono quindi le quantità finali dei beni disponibili in India valutate ai prezzi in
dollari in vigore negli USA: mentre PIL(X,X) è una somma di rupie, PIL (X,B) è una somma di
dollari.
Come nei confronti intertemporali, anche in quelli internazionali è più semplice in pratica
calcolare il PIL reale dell’India non già direttamente, come nella (4.1), ma indirettamente,
4
dividendo il PIL nominale dell’India in rupie per un indice dei prezzi dell’India rispetto a quelli
degli USA. Un tale indice è noto come Parità del potere d’acquisto o PPA(in inglese, Purchasing
power parity o PPP) della moneta del paese X rispetto a quella del paese B:
N
PPAX,B = pX yX/ pB yX = ∑ p Xn y Xn
n =1
N
∑p
n
B
y Xn
(2.2)
n =1
Analogamente a quanto osservato a proposito della (1.3), si può dire che la (2.2) è
un’appropriata media ponderata delle PPA dei singoli beni:
!
𝑃𝑃𝑃!,!
= 𝑝!! /𝑝!! ,
per n = 1,2,…,N
(2.2)’
Le (2.2)’ permettono di comprendere il significato della PPA: la PPA per un singolo bene
n è la quantità di moneta del paese X, richiesta per comprare la quantità di quel bene che nel paese
base, B, si compra con un’unità della sua moneta. Infatti, questa quantità è: 1/pBn ; e il suo costo in
!
moneta di X è: pXn × (1/pBn). La 𝑃𝑃𝑃!,!
per ciascun bene n o la PPAX,B per l’aggregato dei beni è
quindi il “vero” tasso di cambio tra la moneta di X e quella di B; o, nel nostro esempio, tra rupia e
dollaro. Una volta calcolata la PPA di X rispetto a B, si può calcolare il PIL reale di X
“deflazionandolo” il suo PIL nominale con quella PPA, esattamente come si è fatto con la (1.5):
pB yX = pX yX/[ pX yX/ pB yX]
(2.3)
Se tutti i beni fossero commerciati sui mercati internazionali e se questi fossero
perfettamente concorrenziali, allora il prezzo di ogni bene dovrebbe essere lo stesso, a prescindere
dalla moneta in cui è espresso. Nel nostro caso, scegliendo di esprimere i prezzi internazionali in
moneta di B, si avrebbe:
pXn/mX,B = pXB
per n = 1,…,N
(2.4)
Tornando al nostro esempio, la (2.4) ci dice che il prezzo del bene n espresso in dollari è lo stesso
negli USA e in India. Ma la (2.4) comporta immediatamente l’uguaglianza tra tasso di cambio
(rupie per dollaro) e PPA (prezzo in rupie/prezzo in dollari):
mX,Bn = pXn/pXB = PPAX,Bn per n = 1,…,N
(4.4)’
Possiamo quindi affermare che, essendo la PPA per ogni bene uguale al tasso di cambio, allora
questo tasso sarà uguale anche alla PPAX,B definita nella (4.2) per l’aggregato degli N beni. Ciò
significherebbe che per calcolare il vero e proprio PIL reale di X rispetto al paese base B,
basterebbe dividere il PIL nominale di X per il tasso di cambio, invece di affrontare i lunghi e
complessi calcoli della PPA! Ma nella realtà, tassi di cambio e PPA divergono e quindi la
scorciatoia appena individuata porterebbe fuori strada.
La ragione principale della loro divergenza non è tanto che i mercati internazionali non sono
perfettamente concorrenziali e falliscono quindi nell’imporre un prezzo unico per ogni bene, ma è
piuttosto che molti beni e, ancor più, servizi non sono commerciati nei mercati internazionali, per
cui non c’è nessuna forza di mercato che porti alla loro uguaglianza. Al contrario, nel confronto tra
un paese sviluppato (PSV), come B, e uno in via di sviluppo (PVS), come X, vi sono delle buone
ragioni (vedi al riguardo quanto è scritto nel libro di Weil a p. 262) perché i prezzi di molti servizi
siano relativamente più bassi nei PVS rispetto ai PSV. Ciò fa si che la PPA di un PVS sia
sistematicamente inferiore al suo tasso di cambio: mX,Bn > PPAX,Bn . Quindi la conversione del
PIL nominale in rupie dell’India, dividendolo per il tasso di cambio rupia/dollaro, da un valore per
il PIL reale dell’India, in dollari, significativamente minore di quello corretto, ottenuto dividendo il
PIL nominale per la PPA della rupia sul dollaro USA.
5
ESERCIZIO 1.
Secondo quanto riporta The Economist, nel 2009 il costo di un Big Mac in Egitto era di 13 pounds
mentre in USA era di 3,54$. Il tasso di cambio pound egiziano/$ USA era di 5,57.
Rispondete alle seguenti domande:
(i)
il prezzo del Big Mac è lo stesso nei due paesi?
(ii)
Quant’è la PPA tra pound e $?
(iii)
Di quanto è sottovalutato o sopravvalutato il pound egiziano rispetto al $ USA?
Risposte
(i)
(ii)
(iii)
Il prezzo è più basso in Egitto: 13 (pounds)/5,57 (pounds per $) = 2,33 $ < 3,54 $;
La PPApounds/$ = 13 (pounds)/3.54 ($) = 3,67 (pounds per $);
Il tasso di cambio di mercato è maggiore della PPA: 5,57 > 3,67, quindi il pound è
sottovalutato di 5,57 – 3,67 = 1.90 pounds. Il tasso di sottovalutazione del pound
egiziano rispetto al $ USA è pari a 1,90/5,57 = 0,34 o 34%.
ESERCIZIO 2. Controllate lo svolgimento dell’esempio della Table 1.2 (p.46) nel testo di Weil.
Notate che nell’esempio si assume implicitamente che il tasso di cambio della moneta di Poorland
rispetto a quella di Richland sia pari a 1.
Risultati da controllare:
(i)
Il GDP nominale di Richland è 120; e quello di Poorland è 20;
(ii)
Il GDP reale di Poorland è 30;
(iii)
La PPPPoorland/Richland è 2/3 < 1 = tasso di cambio della moneta di Poorland in quella di
Richland
(iv)
GDP nominale Poorland/tasso di cambio = 20/1 = 20: è una misura non corretta del
GDP reale di Poorland;
(v)
GDP nominale di Poorland/ PPPPoorland/Richland = 20/(2/3) = 30: è la misura corretta del
GDP reale di Poorland.
3. ALGEBRA DELLA CONTABILITA ELEMENTARE DELLA CRESCITA: IL CASO
PIU’ ELEMENTARE
Dati il PIL, Y, e la popolazione, N, si definisce il PIL per abitante o pro-capite, come y = Y/N.
Con questa definizione si può fare l’esercizio più semplice possibile di contabilità della crescita,
scrivendo:
Y = y × N
(2.1)
Dividendo i valori delle grandezze per l’anno t per i corrispondenti valori per l’anno t-1, si ottiene
che il fattore di crescita del PIL è uguale al prodotto del fattore di crescita del PIL pro-capite per il
fattore di crescita della popolazione:
!!
!!
!!!!
!!
=!
!!!
×!
!!!
(2.2)
Qual è la relazione tra i corrispondenti tassi di crescita? Si può facilmente verificare che il tasso di
crescita del PIL è approssimativamente uguale alla somma dei tassi di crescita del PIL pro-capite e
della popolazione:
βˆ†!!
!!!!
βˆ†!!
≈!
!!!
βˆ†!!
+!
!!!
6
(2.3)
Il segno “≈” significa “uguale approssimativamente”.
La (2.3) può essere riscritta come:
βˆ†!!
!!!!
βˆ†!!
≈
βˆ†!!
-!
!!!!
(2.3)’ ;
!!!
che corrisponde alla (2.2) scritta come:
!!
!!!!
!
!!
!!!
!!!
= (! ! ) / (!
)
(2.2)’
Analogamente a quanto ci hanno detto le (2.1) e (2.2) per prodotto e somma, le (2.2)’ e (2.3)’ ci
dicono che al rapporto tra i fattori di crescita di Y e N corrisponde la differenza tra i loro tassi di
crescita.
Per focalizzare l’analisi della crescita solo su certi aspetti è ammissibile e opportuno (come
fatto spesso, anche se non sempre, nel testo di Weil) semplificarne la descrizione identificando la
popolazione con i lavoratori occupati. Qui, però, vogliamo continuare il nostro esercizio di
contabilità della crescita per tenere conto che, nella realtà:
(i)
l’input di lavoro che conta veramente sono le ore lavorate (per anno), H; e
(ii)
il numero dei lavoratori, L, è inferiore a quello degli abitanti, N.
Definiamo la lunghezza dell’anno lavorativo con a = H/L, le ore mediamente lavorate in
un anno da un lavoratore; e il tasso di occupazione2 con b = L/N. Con le precedenti definizioni
possiamo scrivere il PIL pro-capite nel seguente modo:
y = Y/N = (Y/H)(H/L)(L/N) = yH × a × b
(2.4);
ed esprimere il suo tasso di crescita come:
Δy/y ≈ ΔyH /yH + Δa/a + Δb/b
(2.4)’
Le precedenti uguaglianze ci portano a considerare tre cause prossime della crescita del PIL
pro-capite: la crescita della produttività oraria del lavoro, l’allungamento dell’anno lavorativo e
l’aumento del tasso di occupazione. Nel corso dello sviluppo economico moderno le ore lavorate
per anno sono diminuite, per cui Δa/a è stato mediamente negativo; il tasso di occupazione è oggi
molto diverso tra paesi e quindi un suo aumento potrebbe contribuire all’aumento del PIL pro-capite
(è il caso dell’Italia odierna) ma il suo aumento nel corso dello sviluppo economico ha spiegato solo
una parte modesta del forte aumento del PIL pro-capite.
In definitiva, la causa prossima che ha spiegato la crescita di lungo periodo del PIL procapite è stata la forte crescita del prodotto di un’ora di lavoro.
4. I LOGARITMI E LA CRESCITA ECONOMICA
4.1 Definizione di logaritmo. Dato un numero positivo x, il suo logaritmo per una data base b (un
numero positivo e diverso da 1), è il numero u che soddisfa l’equazione:
x = bu
(4.1)
2
In realtà il tasso di occupazione è definito come il rapporto tra gli occupati e la popolazione in età lavorativa (15-65
anni). Si noti che il tasso di occupazione può essere espresso come:
! ! !"
!"!! !" b = = ×
=
×
= (1 – u) × f
!
!"
!
!"
!
dove FL sono le forze di lavoro o popolazione attiva, coloro che lavorano o cercano un lavoro; U sono
quelli che cercano un lavoro o sono disoccupati; f è il tasso di attività del paese; ed u il tasso di
disoccupazione. Nella pratica statistica, anche il tasso di attività è espresso come il rapporto tra popolazione
attiva e popolazione in età lavorativa.
7
La funzione logaritmica determina come varia u al variare di x e si scrive:
u = logb x
(4.2)
D’altra parte, prendendo ancora b come dato, si può anche leggere la (4.1) come una funzione che
determina x per ogni dato u, cioè come la funzione inversa della (4.2). La (4.1) è nota come
funzione esponenziale.
ESEMPIO 1. Sia b = 10 e si voglia (i) il log di 100; la (4.1) diventa: 100 = 10u, cioè u = 2;
(ii) il log di 5; abbiamo 5 = 10u, cioè u = 0,69897;
(iii) il log di 0,01; abbiamo: 0,01 = 10u, cioè u = -2
I grafici delle funzioni (4.1) e (4.2) sono disegnati nella seguente figura.
u; x x = bu 45° b u = logb x 1 0 1 b x; u u
Nota: Il grafico della funzione esponenziale x = b è simmetrico a quello della funzione del logaritmo: u = logb x, con asse di simmetria dato dalla diagonale tratteggiata. Per quanto l’occhio non ci possa credere, il valore di u tende all’infinito quando x tende all’infinito. Una base di grande importanza teorica e pratica è quella data dal numero
e = 2,71828182845…….
I logaritmi in base e sono chiamati anche logaritmi naturali e la lettera e è probabilmente l’iniziale
del cognome del grande matematico Leonhard Eulero (da lui stesso scelta!).
Nel seguito indicheremo il logaritmo di un numero positivo, x, in base e con l’espressione ln
x e con l’espressione log x il logaritmo di x in base 10. La nostra scelta è la stessa di quelle di molti
PC, iPad, ecc., ma in pratica non c’è una convenzione accettata universalmente per indicare in che
base è un log. Questo fatto non è dovrebbe disturbare più di tanto se si tiene presente che i log in
una certa base sono direttamente proporzionali ai log degli stessi numeri in un’altra base.
ESEMPIO 2. Calcolate i log in base 10 e in base e dei seguenti numeri: 13, 17, 26, 34, 52 e 104, e
verificate la proporzionalità. Notate qualcosa d’interessante?
4.2 Natura della funzione logaritmica. Se avete notato cosa c’è d’interessante nell’Esempio 2,
avete trovato un esempio della caratteristica fondamentale della funzione logaritmica. Questa è data
8
dal fatto che il log di un prodotto di due valori, x e y, della variabile indipendente, è uguale alla
somma dei log di quei valori:
logb (xy) = logb x + logb y
(4.3)
In parole, con la funzione log si passa da moltiplicazioni dei valori di una particolare
variabile alle somme dei corrispondenti log.
Per verificare la validità della (4.3), si considerino m e n, i log in base b di due numeri, x e y:
m = logb x
e n = logb y
(4.4)
e si faccia la somma:
m + n = logb x + logb y
(4.5)
Le funzioni esponenziali corrispondenti alle (4.4) sono: π‘₯ = 𝑏 !
e il loro prodotto è:
xy = 𝑏 ! 𝑏 ! = 𝑏 !!! ;
quindi:
logb (xy) = m + n
(4.6)
Confrontando le (4.5) e (4.6) si trova la (4.3):
logb (xy) = logb x + logb y
e
𝑦 = 𝑏! ;
La stessa logica con cui abbiamo ottenuto la (4.3) porta alle seguente analoghe espressioni
che riguardano divisioni ed elevamenti a potenza:
logb (x/y) = logb x - logb y
(4.7)
e
logb (xT) = T logb x
(4.8)
Una conseguenza della (4.3) è che quando una grandezza x cresce nel tempo secondo un
fattore moltiplicativo costante, a = 1+g (>1), allora il suo log cresce secondo un incremento
costante, pari a log a. Infatti, per una tale grandezza vale:
yt+1 = (1+g) yt
t = 0,1,2, 3,…..
e quindi
log (yt+1) = log(1+g) + log (yt )
t = 0,1,2, 3,…..
ovvero
log (yt+1) - log (yt ) = log(1+ g) = costante
L’impiego della funzione logaritmica consente quindi di trasformare i valori di una
grandezza che cresce per successive moltiplicazioni per (1+g) in un’altra grandezza, il suo log, che
cresce per somme successive di log (1+g). La rappresentazione dei log invece dei numeri originari
su un asse cartesiano è nota come scala logaritmica (nel vostro libro, ratio scale). Una volta
calcolato il valore di un log (yt) sommando a log (y0) per t volte log(1+g) si può sempre tornare
indietro al valore di yt che si sarebbe ottenuto moltiplicando per t volte y0.
Perché passare dai numeri originari e dalle loro moltiplicazioni ai log e alle loro somme?
Perché si ha il vantaggio di lavorare con numeri molto più piccoli rappresentabili con grafici che
possono essere contenuti nelle pagine di un libro.
ESEMPIO 1. Consideriamo il PIL pro-capite di un paese che cresce ogni anno all’astronomico
fattore di 10, cioè ad un tasso proporzionale di 9 o 900% ! Sia più precisamente:
PIL(1) = 20; PIL(2) = 200; PIL(3) = 2.000 e PIL(4) = 20.000 €.
9
Nella figura seguente abbiamo messo sull’asse delle ascisse il tempo, t = 1,2,3 e 4. Sull’asse delle
ordinate abbiamo invece messo, al posto dei suddetti valori, i loro log naturali:
ln PIL(1) = 3,00; ln PIL(2) = 5,30; ln PIL(3) = 7.60 e lnPIL(4) = 9.90
2.000 20.000 PIL (t) 200 20 0 1 2 3 4 t 1 2 3 4 t ln (20.000) = 9,90 ln (2.000) = 7,60 ln (200) = 5,30 ln (20) = 3,00 0 ESEMPIO 2. La figura 3.1 del libro presenta sia l’asse delle ascisse (GDP per worker) sia quello
delle ordinate (Capital per worker) in scale logaritmiche (senza dirlo esplicitamente!). I valori
riportati lungo l’asse delle ordinate sono quelle originari: 100 $(messo nel punto zero per comodità
di disegno), 1.000 $, 10.000$, 100.000$ e 1.000.000 $ (messo solo per completezza). Si nota che i
punti in cui sono messi questi valori sono ugualmente distanziati il che suggerisce che i punti
corrispondono ai logaritmi in base 10, cioè a log 100$ = 2 $; log 1.000$ = 3 $; log 10.000$ = 4 $;
log 100.000$ = 5$ e log 1.000.000$ = 6$. Per l’asse delle ascisse si segue lo stesso procedimento,
partendo per comodità di disegno da 1.000$.
4.3 Una regola del pollice (rule of thumb). In quanti anni raddoppia una grandezza che cresce al
tasso del g% medio annuo?
10
Indicando con Y0 il suo valore nell’anno zero, il numero t di anni richiesti perché essa
raggiunga il livello 2Y0, è dato dalla soluzione della seguente equazione:
2Y0 = (1+g)t Y0 ovvero
2 = (1+g)t
Prendendo i logaritmi naturali di entrambi i membri di quest’ultima si ottiene:
ln 2 = t ln (1+g)
Si può facilmente dimostrare che quando g tende a zero, ln(1+g) si avvicina sempre più a g. Poiché
i nostri g sono si solito numeri vicini a zero, possiamo riscrivere la precedente equazione, come:
0,69 ≈ t g ovvero, arrotondando a 0,70,
t ≈ 0,70/g ovvero t ≈ 70/g%
(v)
Notate che nel vostro libro si sceglie di dare la regola (v) come: t = 72/g% . In pratica la scelta di
72 invece di 70 non fa molta differenza, mentre semplifica le divisioni.
5. I LOGARITMI E LA DISTRIBUZIONE PERSONALE DEL REDDITO [Vedi WEIL, cap.
1, box on Income inequality between and within countries].
Un indice della disuguaglianza personale del reddito è un numero che sintetizza un
fenomeno complesso e che inevitabilmente non può tenere conto di tutte le informazioni fornite dai
dati sulla natura e il grado delle disuguaglianze dei redditi. Un buon indice dovrebbe essere
calcolato tenendo conto, almeno in linea di principio, dei redditi di tutti gli individui che formano la
popolazione in esame. In pratica però si usano spesso indici che tengono conto dei redditi di solo
una parte o parti della popolazione in esame. Si fa così, ad esempio, quando si usa come indice di
disuguaglianza la frazione del reddito totale percepita dal 10% delle persone con i redditi più
elevati; o dal 10% delle persone più povere; e così via. L’impiego di questi indici parziali è
giustificato dalla loro facilità di calcolo e dal fatto che danno comunque una prima utile indicazione,
per quanto di portata limitata, sulla distribuzione del reddito.
Un buon indice della disuguaglianza dovrebbe rispettare certi requisiti logici, come:
(i)
il principio di trasferimento: il trasferimento di un dollaro da un reddito più alto ad
uno più basso dovrebbe comportare una riduzione dell’indice di disuguaglianza.
(ii)
l’invarianza a cambiamenti nella scala dei redditi: ad esempio, se tutti i redditi
raddoppiassero, per una qualsiasi causa reale o puramente nominale, il valore dell’indice
non dovrebbe cambiare. In altre parole la disuguaglianza è solo una questione di
rapporti tra i redditi dei vari individui e non dei divari assoluti tra quei redditi;
(iii)
l’additività de-compositiva: ad esempio, la disuguaglianza tra i redditi degli abitanti
del mondo può essere calcolata (1) considerandoli nel loro insieme; oppure (2)
“decomponendoli” prima in paesi per calcolare la disuguaglianza all’interno di ciascun
paese (within) e poi quella tra paesi (between). In entrambi i casi si dovrebbe arrivare
allo stesso risultato.
Un indice di disuguaglianza, meno noto del famoso indice di concentrazione del Gini, ma
che, a differenza di questo, si presta a decomporre l’indice di disuguaglianza per una popolazione
tra gruppi della stessa (mondo tra paesi; o paese tra regioni; o paese tra maschi e femmine; e così
via) è quello usato nel libro di Weil nella box di pagg. 38-39.
Si tratta della deviazione logaritmica media, DLM, calcolata come:
!
DLM = !
!
!
!!! 𝑙𝑛 !
!
(5.1)
dove n è un generico abitante; N è il numero totale degli abitanti o popolazione che si considera (ad
esempio, la popolazione mondiale, per la quale N = 7.000.000.000 e più); xn è il reddito
dell’abitante n; e π‘₯ è la media aritmetica di tutti i redditi della popolazione.
11
Si noti che se tutti gli individui avessero lo stesso reddito, allora xn = π‘₯, per ogni n; e nella
(5.1) si avrebbe per ogni n ln 1 = 0; cioè DLM = 0. Con una distribuzione perfettamente egualitaria
dei redditi, l’indice di disuguaglianza DLM assumerebbe valore zero.
!
!
Se invece vi fossero redditi bassi, con xn < π‘₯ , allora si avrebbe ! > 1 ovvero ln! > 0; e
!
!
l’opposto avverrebbe per redditi alti. L’indice però è sempre positivo (senza un limite superiore) e
un suo aumento segnale un aumento della disuguaglianza.
ESEMPIO. La popolazione di Freedonia è formata da due abitanti: uno con un reddito di 8€ e
l’altro di 12€. Calcolate l’indice DLM. Ripetete il calcolo per la popolazione di Sylvania, dove il
primo abitante ha un reddito di 2 $ ed il secondo ha un reddito di 18 $.
Rifate l’esercizio per il caso in cui tutti i redditi sono triplicati.
Risposta:
In entrambi i casi si trova: DLM(Freedonia) = 0.0158 e DLM(Sylvania) = 0,51. La disuguaglianza
è maggiore in Sylvania, come sembrerebbe ovvio nel nostro caso con due dati. Ma resta il fatto che
l’indice misura anche l’ovvio!
6. DUE CASI PARTICOLARI DI FUNZIONE D’UTILITA’: LINEARE E LOGARITMICA
[vedi TODARO e SMITH, p. 48]. Uno dei tre elementi dello sviluppo umano è “un decoroso
standard di vita” (“a decent standard of living”) inteso come una funzione crescente del RNL procapite (GNI per capita). La scelta della forma di questa funzione è il passaggio fondamentale per
ottenere un indice di quello standard. Qui useremo il termine di utilità come sinonimo di standard di
vita.
Una scelta particolarmente semplice per la forma della funzione di utilità del RNL procapite è quella lineare: l’utilità cresce in proporzione a RNL. Si pone quindi:
U=mz
(6.4)
dove m è un parametro positivo; e z è il valore del RNL pro-capite. Poiché ciò che conta non è tanto
il livello dell’utilità ma l’ipotesi della sua proporzionalità con z, si può sempre scegliere per
semplicità m = 1. La (5.4) diventa così una funzione identità:
U = z (6.5)
L’utilità marginale può essere definita come l’incremento di U quando z aumenta di
un’unità, analogamente a quanto si è fatto per il prodotto marginale di un fattore produttivo nel cap.
3 del libro di Weil. Facendo variare z in maniera continua, si può definire l’utilità marginale come
la velocità istantanea di crescita di U o la derivata di U rispetto z, indicata con la notazione
dU/dt; e non sorprendentemente si ottiene:
dU/dz = 1
(6.6)
cioè un’utilità marginale costante. Geometricamente questa derivata coincide con la pendenza
della tangente al grafico della funzione d’utilità, che nel nostro caso è effettivamente costante. Nella
figura sono disegnati i grafici delle funzioni (6.5) e (6.6).
Un inconveniente della funzione lineare di utilità è che, ad esempio, un incremento di
reddito di 500$ da 600 a 1.100$ comporta lo stesso incremento di utilità (500) che si otterrebbe con
un incremento da 40.000 a 40.500. E’ assai ragionevole pensare, al contrario, che nel primo caso
l’incremento di utilità sia molto maggiore che nel secondo. Ciò porta a sostituire la (6.5) con una
funzione sempre crescente ma caratterizzata da un’utilità marginale decrescente (esattamente
come si è ipotizzato per il prodotto marginale di un fattore della produzione). Nel continuo ciò
significa che l’utilità cresce a una velocità istantanea decrescente: la derivata o pendenza della retta
tangente al grafico della funzione d’utilità, in un qualsiasi punto z, decresce all’aumentare di z.
Tra le infinite funzioni che hanno questa proprietà gli autori dello HDI hanno scelto la
funzione del logaritmo naturale, cioè:
U = ln z
(6.7)
12
dove z ≥ 1
Si dimostra che l’utilità marginale per la (6.7) è
dU/dz = 1/z
(6.8)
Dalla (6.8) si vede che l’utilità marginale è 1 quando z = 1; e scende verso zero per z che tende
all’infinito.
I grafici delle (6.7) e (6.8) sono disegnati nella seguente figura.
Funzioni di utilità a) Funzione lineare d’identità: π‘ˆ = 𝑧; dπ‘ˆ d𝑧 = 1 e 𝑧 ≥ 0 U 45° U0 = z0 1 0 dU / dz 1 z z0 1 0 1 z0 z !
b) Funzione logaritmica: π‘ˆ = ln𝑧; dπ‘ˆ d𝑧 = e 𝑧 ≥ 1 !
13
U U0 = lnz0 1 0 1 e z0 z dU / dz 1 1 / z0 0 1 z0 z ESEMPIO. In HDR 2011 (p.168) l’indice del reddito, IIncome, per il Vietnam viene calcolato
usando i seguenti dati:
RNL pro-capite max (Qatar 2011) = 107.721$;
RNL pro-capite min (prefissato) = 100$
RNL pro-capite del Vietnam = 2.805
Con questi dati si ottiene:
!" !.!"# !!" (!"")
IIncome (con utilità logaritmica) = !" !"#.!"# !!"(!"") = 0,478
(Si noti che si sarebbe ottenuto lo stesso risultato, se si fossero usati i logaritmi in base 10 o in
qualsiasi altra base. Perché?)
Vediamo che valore avremmo ottenuto per l’indice del reddito se avessimo usato una funzione
d’utilità lineare invece della precedente funzione logaritmica:
!.!"#!!""
IIncome (con utilità lineare) = !"#.!"#!!"" = 0,025
Commentate voi questi risultati.
7. EQUILIBRI: NEL PREZZO E NELLA QUANTITA’, STATICI E DINAMICI [Questa
sezione inquadra in un contesto concettuale più ampio il modello di Harrod-Domar esposto
nel cap. 3 del testo di Todaro-Smith].
14
Un equilibrio statico nel prezzo: il modello della “croce” marshalliana. Un mercato di
concorrenza perfetta è in equilibrio quando il prezzo, p, in vigore è tale da uguagliare la quantità
che gli acquirenti desiderano comprare o domanda desiderata, xD, a quella che i venditori
desiderano vendere o offerta desiderata, xS. La prima è una funzione decrescente del prezzo:
xD = f(p), mentre la seconda è una funzione crescente dello stesso, xS = g(p). Disegnando i grafici
di queste due funzioni con la variabile indipendente, p, sull’asse delle ordinate invece che, come si
fa di solito, su quella delle ascisse, si ottengono delle curve note come curva di domanda e curva
d’offerta. Nella seguente figura sono disegnati due esempi di queste curve (curva DD e curva SS):
si tratta di curve continue e tali che la domanda desiderata è maggiore della corrispondente offerta
quando il prezzo è vicino a zero. In questo caso, come si vede, esiste un prezzo d’equilibrio, pE,
dato dal punto in cui le due curve s’incontrano. A questo prezzo corrisponde una quantità
d’equilibrio, xE.
Il prezzo d’equilibrio si può determinare anche algebricamente risolvendo la seguente
equazione con cui si eguagliano domanda e offerta desiderate:
f(p) = g(p)
(7.1)
p
S
D
p'
pE
S
0
D
xE
xD, xS
π‘₯ ! = π‘₯! 𝑝! = π‘₯! 𝑝!
La figura precedente suggerisce che se il prezzo fosse, p’, maggiore di quello d’equilibrio, vi
sarebbe un eccesso di offerta desiderata rispetto alla corrispondente domanda e, in una tale
situazione, si può pensare che il prezzo scenda verso il suo livello d’equilibrio, come indicato dalla
freccetta. L’opposto avverrebbe se il prezzo fosse minore del suo valore d’equilibrio. La flessibilità
del prezzo è così il meccanismo (la “mano invisibile” di A.Smith) che riporta il mercato in
equilibrio quando esso si trova in una situazione di disequilibrio.
Un equilibrio statico nella quantità: il modello del moltiplicatore keynesiano. Nel più semplice
dei modelli ricavati dall’opera di J.M.Keynes, il cosiddetto modello del moltiplicatore, i prezzi
sono completamente fissi e l’equilibrio tra l’offerta del PIL o Y e la sua domanda è ottenuto
quando il livello di Y assume un ben preciso valore che indicheremo con YE. Per capire come si
determina questo valore si consideri che l’offerta aggregata, AS, è decisa dalle imprese e si
assuma che queste scelgano di offrire un Y sulla base di aspettative, basate su come sono andate le
cose in passato e/o su come si aspettano che vadano in futuro, ma nel merito delle quali il modello
non entra. Abbiamo quindi
15
AS = Y
Per trovare la domanda aggregata, AD, si ricordi che, per definizione, il PIL è uguale al
reddito interno lordo delle famiglie residenti e si faccia l’ipotesi che una proporzione costante di
questo, c, sia consumata. Abbiamo con ciò la funzione keynesiana del consumo delle famiglie, C:
C = cY
con 0 < c < 1
La seconda componente della domanda aggregata è data dall’investimento lordo delle imprese, IL,
che nel modello del moltiplicatore è assunto come esogeno:
IL = 𝐼!
Ricordiamo che l’investimento lordo è definito come somma di quello per rimpiazzi e
dall’investimento netto. Il primo, assumendo che il capitale esistente si logori al tasso annuo 𝛿, è
dato da 𝛿K. Il secondo è la conseguente variazione dello stock di capitale, K, indicata con βˆ†K≡ I.
Si ha quindi:
IL ≡ 𝛿K + βˆ†K ≡ 𝛿K + 𝐼
(*)
Sommando consumo e investimento lordo si ottiene la funzione della domanda aggregata:
AD = cY + 𝐼!
Uguagliando AS e AD si ottiene l’equazione che determina il livello del PIL d’equilibrio, YE:
Y = cY + 𝐼!
(7.2)
Dalla quale si ricava immediatamente:
!
YE = !!! 𝐼!
(7.3)
La frazione 1/(1-c) è il celebre moltiplicatore keynesiano o, dando il dovuto credito al suo
scopritore, Lord R. Kahn, il moltiplicatore di Kahn-Keynes: un numero maggiore di 1 (ad
esempio, se c = 0,7, il valore di quella frazione è 3,33) che ci dice di quanto deve essere
moltiplicato l’investimento lordo per ottenere il reddito d’equilibrio.
La seguente figura illustra la soluzione dell’equazione (7.2).
AD = cY + 𝐼LΜ…
45°
𝐼 LΜ… + cY
YE = cYE + 𝐼 LΜ…
𝐼 LΜ…
0
Y
AS = Y
E
Poiché la quota del PIL non consumata è per definizione risparmiata, possiamo definire il
risparmio lordo3 dell’economia come:
SL ≡ Y – C (7.4)
Usando questa definizione si ottiene una versione della (7.2) che definisce l’equilibrio uguagliando
il risparmio desiderato all’investimento esogeno:
SL = 𝐼!
(7.2)’
Naturalmente, definendo la propensione al risparmio lorda,
3
Con questa terminologia si allude al risparmio che finanzia l’investimento lordo: gli acquisti di tutti i nuovi beni,
inclusi quelli che rimpiazzano i beni capitali andati fuori uso.
16
!!!
sL = SL/Y (= ! = 1 – c)
si può riscrivere la (7.3) come:
!
Y = ! 𝐼!
!
(**)
(7.3)’
E’ essenziale infine tenere presente che il modello del moltiplicatore funziona se la domanda
di lavoro richiesto per produrre Y è inferiore alla disponibilità di lavoro nell’economia. Si tratta di
un modello che definisce solo l’equilibrio tra domanda e offerta aggregate, dando per scontata la
disoccupazione di una quota di lavoratori.
Un equilibrio dinamico nella quantità: il modello di crescita di Harrod4. Partendo dal precedente
modello del moltiplicatore, Harrod si propose di rendere endogeno l’investimento lordo che appare
nell’equazione (7.2). Le ipotesi del suo modello possono essere enunciate come segue:
(i) coefficienti fissi di produzione:
K=vY e L=lY
(7.5)
dove v è la quantità di capitale per unità di prodotto e l è la quantità di lavoro per unità di prodotto.
(ii) all’inizio del processo di crescita il capitale, K0, è pienamente utilizzato. Ciò significa che il
PIL è al livello: Y0 = K0/v e che la domanda di lavoro e, quindi, l’occupazione è:
!
L0 = l Y0 = ! K0
(7.6)
S
(iii) la disponibilità di lavoro nel periodo iniziale, L0 , è maggiore della sua domanda, per cui vi è
una disoccupazione pari a L0S - L0 (> 0);
(iv) la piena utilizzazione di K0 significa anche che un aumento del PIL tra l’anno zero e l’anno 1
richiede un aumento di K nella proporzione v:
βˆ†K = v βˆ†Y
(7.7)
(v) definito il risparmio netto5, come:
S = SL – 𝛿K
(***)
si assume che la propensione al risparmio netto, s, sia costante:
S=sY
(7.8)
Si noti che
! !! !"
s = S/Y = ! ! = sL – 𝛿v
(*v)
Nel modello di Harrod, come in quello del moltiplicatore, l’equilibrio è dato dall’uguaglianza della
domanda e dell’offerta aggregate, con la differenza che ora l’investimento è una variabile endogena.
Più precisamente l’investimento netto svolge un duplice ruolo nel modello: da un lato è
determinato dell’aumento atteso della domanda tra il periodo corrente e quello successivo, dall’altro
è una componente della domanda nel periodo corrente, insieme all’investimento per rimpiazzi e al
consumo. L’equazione d’equilibrio del modello di Harrod (lasciando cadere il pedice dell’anno per
semplicità di notazione) è quindi:
Y = C + I + 𝛿K
(7.9) ;
cioè: Y – C – 𝛿K = I ≡ βˆ†K e, tenendo conto delle (7.4) e (**); e della (7.7)
sLY – 𝛿K = v βˆ†Y
Dividendo per Y e tenendo conto della (7.5) si ottiene:
βˆ†!
sL – 𝛿v = v ! ; da cui
βˆ†!
o, tenendo conto della (*v):
!
=
!!
!
-𝛿
4
(7.10)
Dal nome dell’economista inglese Roy Forbes Harrod, che formulò la prima versione del modello nel 1939.
Il risparmio netto va inteso come quello che finanzia l’investimento netto ovvero il risparmio in eccesso a quello
necessario a finanziare gli acquisti di beni capitali a scopo di rimpiazzi. Il risparmio netto è negativo quando lo è
l’investimento netto. In questo caso i consumi delle famiglie attivano una produzione di beni di consumo a scapito della
produzione di beni capitali per rimpiazzi.
5
17
βˆ†!
!
!
=!
(7.11)
!
!
Le (7.10) e (7.11) sono due varianti della stessa equazione (dato che ! = !! - 𝛿) che determina il
tasso di crescita del PIL d’equilibrio, che Harrod chiamò “warranted rate of growth” e indicò
con gw = s/v6. Questo tasso garantisce l’equilibrio non solo nel passaggio dal periodo zero al
periodo uno ma anche in tutti quelli successivi. Il sentiero di crescita d’equilibrio è infatti
determinato come segue:
(i)
nel periodo zero le imprese si aspettano che il PIL cresca al tasso gw = s/v e, così
facendo, investiranno in modo che l’investimento netto contribuisca a generare una
domanda uguale all’offerta aggregata;
(ii)
nello stesso tempo l’investimento netto determina un aumento dello stock di capitale allo
stesso tasso di crescita del reddito, per cui nel periodo 1 si avrà non solo Y1 = (1+gw) Y0,
ma anche K1 = (1+gw) K0 7ed il capitale risulterà pienamente utilizzato anche nel periodo
uno;
(iii)
ma allora nel periodo uno le imprese si aspetteranno per il periodo 2 lo stesso tasso di
crescita per il periodo che si erano attese nel periodo zero per il periodo 1, proprio
perché quest’ultimo si è realizzato in un contesto di equilibrio;
(iv)
lo stesso meccanismo di attese realizzate porterà ad una crescita d’equilibrio nei periodi
successivi. Si avrà quindi: Yt = (1+gw)t Y0 e Kt = (1+gw)t K0
Per l’ipotesi di un coefficiente fisso del lavoro [vedi (7.5)] anche l’occupazione crescerà al
tasso garantito gW per cui nell’anno t si avrà: Lt = (1+gw)t L0. E’ chiaro che se l’offerta iniziale di
lavoro, L0S, restasse costante nel tempo, la disoccupazione iniziale, L0S - L0, verrebbe assorbita in
un tempo finito. Se l’offerta di lavoro crescesse invece ad un tasso n > 0, che Harrod chiamava il
tasso naturale di crescita, l’assorbimento della disoccupazione iniziale verrebbe a dipendere dalla
grandezza relativa di gW e n: con gW = n, la disoccupazione crescerebbe al tasso n ma il rapporto
disoccupati/occupati resterebbe costante; con gW < n, sia il totale dei disoccupati sia quel rapporto
crescerebbero; mentre con gW > n, si otterrebbe lo stesso risultato ottenuto con un’offerta di lavoro
costante (n = 0), ma in un periodo di tempo più lungo.
Infine, ricordiamo che Harrod presentò una versione del suo modello in cui era presente un caso
particolare, ma importante, di progresso tecnico: il progresso tecnico risparmiatore di lavoro
(labour saving). Infatti, egli fece l’ipotesi che col passare del tempo la produttività del lavoro nella
!
!
produzione del PIL (per la (7.5) data da ! = ! ) aumentasse ogni anno ad un tasso costante m. Poiché
nel suo modello, come in quello di Solow, il PIL era inteso come il prodotto di un unico bene, la sua
ipotesi equivaleva all’assunzione che gli aumenti di produttività fossero trasversali tra beni di
consumo e beni capitali. Inoltre, Harrod ipotizzò che il progresso tecnico non determinasse alcun
!
!
incremento nella produttività del capitale (per la (7.5) data da ! = !) o che il rapporto
capitale/prodotto (K/Y = v) restasse costante.
E’ evidente che il progresso puramente labour saving di Harrod equivale ad un aumento
dell’impiego di lavoro: se è vero che dopo il progresso tecnico L lavoratori producono (1+m)Y
invece dell’Y che avrebbero prodotto in assenza di quel progresso, è anche vero che, in assenza di
progresso tecnico, ci sarebbero voluti L(1+m) lavoratori per ottenere un output di (1+m)Y. In altre
parole, il progresso tecnico equivale ad un aumento del lavoro misurato non in unità fisiche (nel
nostro esempio restano L) ma in unità di efficienza o efficiency units [nel nostro esempio
aumentano da L a (1+m)L].
Una conseguenza importante del progresso tecnico nel modello di Harrod è che esso comporta un
aumento della domanda di lavoro, in unità naturali, a un tasso minore del tasso garantito, gW, cioè
6
Harrod consideravo il suo modello dinamico proprio perché l’equilibrio era garantito da un valore specifico del tasso
di crescita piuttosto che del livello di una grandezza.
7
Dato che βˆ†K/K = vβˆ†Y/vY = βˆ†Y/Y = gW.
18
al tasso: gW – m. Alternativamente si potrebbe dire che a fronte del tasso di aumento della domanda
di lavoro, che si avrebbe senza progresso tecnico, cioè gW, sta un aumento dell’offerta di lavoro in
unità efficienti pari a (m+n). In entrambi i casi, ovviamente, si conclude che la disoccupazione
iniziale verrà assorbita ad un tasso pari a gW – (m + n) > 0.
ESEMPIO 1. In un’economia conforme al modello di Harrod, nell’anno zero, il capitale è K0 =
300, il prodotto, Y0 = 100 e l’occupazione L0 = 200. L’offerta di lavoro è L0S = 600 destinata a
restare invariata nel futuro. La propensione al risparmio netto è del 6%. Lo sviluppo porterà alla
piena occupazione? E se si, entro quanti anni (arrotondate se non trovate un numero intero)?
ESEMPIO 2. Come l’Esempio 1, ma con un’offerta di lavoro che aumenta al tasso dell’1% annuo.
ESEMPIO 3. Come l’Esempio 1, ma con un progresso tecnico puramente labour saving al tasso del
2% annuo.
Come ricorda il libro di Todaro-Smith (pp. 516-519) il modello di Harrod8 o l’idea che ne sta alla
base fu ampiamente utilizzato negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso come schema di
programmazione aggregata dello sviluppo. Ad esempio, l’idea che la disoccupazione poteva essere
riassorbita attraverso lo sviluppo economico fu alla base del celebre Piano del lavoro, proposto a
cavallo del 1949 e 1950, ma non attuato dal governo italiano, dal segretario della CGIL Giuseppe
Di Vittorio.
ESEMPIO 4. Se foste un consigliere economico di un governo, che avesse come obiettivo
preminente la piena occupazione, ma nello stesso tempo ritenesse che i risparmi non dovrebbero
essere spinti oltre un livello che comportasse un’inaccettabile compressione dei consumi, che
proposte di politica della crescita avanzereste nel caso di un’economia come quella dell’Esempio 1?
E del 2? E del 3?
8. IL MODELLO MALTHUSIANO [Un’analisi intuitiva con figure alternative alle figg. 4.3,
4.4 e 4.5 del testo di WEIL, per chi ama i modelli dinamici]
Sappiamo che il modello malthusiano si base su due ipotesi:
(i) l’esistenza di un meccanismo malthusiano: il tasso di crescita della popolazione (=lavoratori),
N, dipende positivamente dalla differenza tra il livello effettivo del prodotto (o reddito) per
lavoratore, y = Y/N, ed un livello naturale, 𝑦, in corrispondenza del quale quel tasso è zero e la
popolazione è costante; e
(ii) le risorse di terra, T, sono limitate: T = 𝑇. Di conseguenza un aumento della popolazione
comporta una riduzione del prodotto per lavoratore.
L’ipotesi (i) implica, come sappiamo, che nel modello malthusiano la popolazione sia una
variabile endogena.
8
Molto spesso, soprattutto in tema di pianificazione dello sviluppo, si parla di modello di Harrod – Domar. Il secondo
nome è quello di Evsey Domar, economista russo (ma nato nel 1914 a Lodz, ora in Polonia) emigrato negli Stati Uniti,
che formulò nel 1946 un modello di crescita del tutto analogo a quello di Harrod, pur muovendo da una problematica
diversa. Domar invece di chiedersi, come fece Harrod, a quali condizioni si ottiene una crescita con domanda e offerta
aggregate in equilibrio, si chiese a quali condizioni la crescita garantisce la piena utilizzazione del capitale. Le risposte a
entrambe le domande portano alla (7.11).
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Il vostro libro formalizza il funzionamento del modello con una coppia di figure. Qui lo
facciamo invece in semplici termini analitici. L’ipotesi (i) può essere espressa dalla seguente
equazione:
ΔNt/Nt-1 = m (yt-1 - 𝑦)
(8.1)
dove m > 0, è un parametro che misura la forza del meccanismo malthusiano. L’ipotesi (ii) può
essere formalizzata ipotizzando una funzione di produzione a rendimenti di scala costanti
(RSCOST) e prodotti marginali positivi e decrescenti, proprio come quella del modello di Solow
ma con la differenza che invece del capitale (K) qui abbiamo la terra (T):
Y = F(N,T)
L’ipotesi di RSCOST ci consente di scrivere la precedente in termini di grandezze per lavoratore:
Y/N = y = f(T/N)
(8.1)’
dove, per le ipotesi su F, si ha che y è una funzione crescente di T/N.
Essendo fissa la quantità di terra, la precedente può essere sostituita da:
y = f(𝑇/N)
(8.2)
Dalla (8.2) si vede che se N aumenta (𝑇/N) diminuisce (le terre sono sempre più affollate di
lavoratori o c’è meno terra per lavoratore) e quindi y diminuisce. Con la (8.2) abbiamo ottenuto una
funzione che ci dice che il prodotto per lavoratore è una funzione decrescente della popolazione.
Questa é la seconda ipotesi di Malthus, che scriviamo come:
y = g(N)
(8.3)
Nella seguente figura 1 sono disegnati i grafici delle funzioni in (8.2) e (8.3):
Figura 1 a) Il grafico della funzione 𝑦 = 𝑓(𝑇 𝑁) y 0 T/N b) Il grafico della funzione 𝑦 = 𝑔(𝑁) 20
y 0 N Nota: Il grafico è disegnato per un valore 𝑇 (vedi equazione (8.2). Sostituendo la (8.3) nella (8.1) si ottiene la seguente equazione alle differenze finite che determina
l’andamento nel tempo o la dinamica della popolazione, una volta noto il suo valore iniziale, N0: ΔNt/Nt-1 = m [g(Nt-1) - 𝑦]
(8.4)
La figura 2 da un’idea della dinamica della popolazione, nel caso in cui il tempo e la popolazione
variano in maniera continua piuttosto che per valori discreti9.
Figura 2 a) Il grafico della funzione !" !"
!
dN⁄dT
N
= π‘š 𝑔 𝑁 − 𝐲 G 0 N0 NSS N0' N b) Effetto del progresso tecnico: per ogni 𝑁 , 𝑔(𝑁) è più elevato e la curva G si sposta verso l’alto 9
Il passaggio al limite quando l’intervallo di tempo può assumere valori diversi da βˆ†t = 1 e che tendono a zero, porta a
!"/!"
!"/!"
sostituire la (8.4) con la seguente:
= m [g(N) - 𝑦]. In questa formulazione il tasso proporzionale di crescita,
,
!
!
è inteso come la velocità istantanea di crescita di Y (misurata dal numeratore e nota come la derivata di Y rispetto al
tempo, t) in proporzione al valore di Y nello stesso istante.
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dN⁄dT
N
G' G 0 NSS
' SS
N N b) Effetto del “malthusian check”: y aumenta e la curva G si sposta verso il basso dN⁄dT
N
G G' 0 NSS
' NSS N Nella parte a) di questa figura, NSS è la popolazione nell’equilibrio stazionario (analogo
all’equilibrio stazionario nel modello di Solow senza progresso tecnico e con popolazione costante,
presentato nel cap. 4 del libro di Weil). Nel nostro caso il concetto di equilibrio è importante per
studiare gli effetti di variazioni delle variabili esogene sulla popolazione. Le variabili esogene sono
(i) la tecnologia, data dalla forma di f e, quindi, di g; (ii) il livello naturale del PIL pro-capite, 𝑦 ; e
(iii) l’estenione delle terre.
Con l’ausilio delle precedenti figure è facile verificare che un miglioramento tecnologico si traduce
in uno spostamento verso l’alto delle curve f(N) e g(N) nella figura 1 e, quindi, anche della curva G
nella parte b) della figura 2, il che provoca un aumento della popolazione da NSS a NSS’. Viceversa,
un maggiore controllo delle nascite (un rafforzamento dei “preventive checks” di Malthus) significa
che la popolazione rimane costante con un livello del PIL pro-capite più alto: un aumento di 𝑦 si
traduce in uno spostamento verso il basso della curva G nella parte c) della figura 2 e quindi in una
popolazione NSS’ più bassa.
ESERCIZIO Usando le figure 1,b) e 2,a) mostrate che un aumento delle terre disponibili ad una
popolazione nel suo stato stazionario determina un aumento di quella popolazione.
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