Determinazione del tasso di cambio e crisi valutarie

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Un semplice modello di determinazione del tasso di cambio
Il tasso di cambio nominale è il prezzo a cui la valuta estera può essere comprata o venduta.
Se ci sono n paesi e ogni paese ha una propria moneta, allora ci saranno n-1 tassi di cambio
bilaterali. Qui ci interessa, tuttavia, il tasso di cambio medio di un dato paese, a volte chiamato
anche tasso di cambio multilaterale o effettivo. Questo tasso di cambio può essere pensato come il
tasso di cambio che si realizzerebbe se tutti gli altri paesi del mondo fossero agglomerati insieme e
considerati come una singola unità. Si mostrerà in seguito che tale tasso di cambio medio sarà
determinato dalla domanda e dall’offerta di valuta estera, cosicché rifletterà la situazione della
bilancia dei pagamenti di ciascun paese. Ciascun tasso di cambio bilaterale, quindi, emergerà come
conseguenza della posizione relativa della bilancia dei pagamenti dei paesi coinvolti.
Il tasso di cambio è determinato sui mercati dei cambi in modo competitivo. Il suo valore
dipende dalla domanda e dall’offerta di valuta estera e può cambiare di giorno in giorno (o anche
istante per istante) se la domanda e/o l'offerta variano. In quel che segue, al fine di descrivere le
schede della domanda e dell'offerta con le loro proprietà abituali, definiremo il tasso di cambio
come il prezzo (o valore) della valuta estera, vale a dire come il numero di unità di valuta nazionale
che devono essere pagate per ottenere una unità di valuta estera. Ovviamente se il tasso di cambio è
definito al contrario (come ad esempio oggi in Europa per quanto riguarda il valore dell'euro), lo
schema generale può essere mantenuto a condizione di fare riferimento all’opposto del tasso di
cambio individuato in questo modo. questi ultimi.
La determinazione del tasso di cambio di equilibrio sulla base della consueta legge della
domanda e dell'offerta è mostrato nella figura 1.
La domanda di valuta estera è costituita da due componenti: le importazioni (Q) e le uscite
di capitali (KU); in effetti acquisti di beni e servizi dall'estero implicano la necessità di effettuare il
loro pagamento in valuta estera, mentre un deflusso di capitali implica la volontà dei residenti
domestici di detenere attività in valuta estera. Allo stesso modo, l'offerta di valuta estera è costituita
da due componenti: le esportazioni (X) e le entrate di capitale (KE); in effette le vendite di beni e
servizi all'estero implicano l'acquisizione di valuta estera, mentre un afflusso di capitali implica la
volontà da parte dei residenti stranieri di detenere attività espresse nella valuta domestica e una
corrispondente offerta di valuta estera.
La scheda di domanda è inclinata negativamente, perché se il tasso di cambio è alto (cioè la
valuta nazionale è deprezzata) la domanda di valuta estera sarà bassa e viceversa. Infatti un tasso di
cambio deprezzato da un lato renderà le merci nazionali meno costose e quindi le importazioni
meno convenienti; e dall'altro renderà più probabile un futuro apprezzamento, inducendo così i
proprietari di ricchezza a detenere attività domestiche, con un effetto negativo sui deflussi di
capitale . Al contrario se il tasso di cambio è basso (cioè la valuta nazionale è troppo apprezzata) la
domanda di valuta estera sarà elevata, in quanto da un lato i beni nazionali saranno più costosi, per
cui le importazioni saranno convenienti; e dall'altro mano sarà più probabile un deprezzamento in
futuro, inducendo i proprietari di ricchezza a detenere attività estere per proteggersi da una
svalutazione, generando così deflussi di capitale di grandi dimensioni.
E
S
A
E0
D
qe
Fig. 1. Determinazione del tasso di cambio di equilibrio
La scheda di offerta è inclinata positivamente, perché se il tasso di cambio è basso l'offerta
di valuta estera sarà bassa e viceversa. Infatti un tasso di cambio apprezzato da un lato renderà i
beni nazionali più costosi, e quindi le esportazioni meno redditizie; e dall'altro renderà più probabile
l’attesa di un deprezzamento futuro, inducendo così i proprietari di ricchezza stranieri a detenere
attività domestiche proprie, con un impatto negativo sugli afflussi di capitale. Al contrario se il
tasso di cambio è alto, l'offerta di valuta estera sarà elevata, in quanto da un lato i beni nazionali
saranno più conveniente, per cui le esportazioni saranno stimolate; e dall'altro si riterrà più
probabile un apprezzamento futuro del cambio, inducendo i proprietari stranieri di ricchezza a
proteggersi dalla svalutazione della loro valuta, mobilitando ingenti afflussi di capitali all’estero.
Come mostra la Figura 1 il mercato dei cambi sarà in equilibrio quando l'offerta di valuta
estera è uguale alla domanda: ciò accadrà nel punto A, dove il cambio di equilibrio è E0. Si noti che,
poiché l’equilibrio implica D = S, e poiché, per definizione, D = Q + KU mentre S = X + KE, in
equilibrio, abbiamo necessariamente Q + KU = X + KE. Riorganizzando i termini dell'uguaglianza
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precedente, possiamo scrivere (X-Q)+(KE-KU) = 0. Poiché X-Q sono le esportazioni nette (NX),
mentre KE-KU sono gli afflussi netti di capitale (NKE), l’equilibrio sul mercato dei cambi implica
NX + NKE = 0, cioè che la bilancia dei pagamenti complessiva (BP) è in equilibrio (BP = 0). È
appena il caso di osservare che l’uguaglianza precedente, essendo NKE=-NKO, può anche essere
scritta NX = NKO, per cui l’equilibrio complessivo della bilancia dei pagamenti implica che un
surplus delle esportazioni nette sia compensato da un corrispondente deficit (deflusso netto) di
movimenti di capitale; e viceversa nel caso contrario.
Vediamo ora cosa accade nel nostro schema se la scheda di domanda o quella di offerta si
spostano. La domanda di valuta estera, ad esempio, può aumentare se il reddito aumenta, se la
competitività domestica si deteriora (rendendo le importazioni più convenienti), se il prezzo del
petrolio sale (dato che il petrolio deve essere importato in ogni caso), se le attività estere diventano
più convenienti perché i tassi di interesse stranieri vengono aumentati o ci si aspetta che i prezzi
delle azioni salgano o si teme un deprezzamento della valuta domestica, cosicché deflussi di
capitale aumentano. L'offerta di valuta estera può aumentare se il commercio mondiale cresce o se
migliora la competitività (rendendo le esportazioni più convenienti), se le attività domestiche
diventano più appetibili in quanto i tassi di interesse interni vengono aumentati o ci si attende che i
prezzi delle azioni salgano o si prevede un apprezzamento della valuta domestica, cosicché
aumentano gli afflussi di capitali.
Supponiamo, ad esempio, che la domanda di valuta estera aumenti, come nella figura 2.
E
S
C
E1
E0
A
B
D’
D
qe
Fig. 2. Traslazioni della domanda (o dell’offerta) e tasso di cambio di equilibrio in regime di
cambi fissi o flessibili
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La scheda di domanda si sposta verso l'alto, da D a D'. Al vecchio tasso di cambio di
equilibrio E0 vi è ora un eccesso di domanda di valuta estera, pari a AB. Che cosa succede al tasso
di cambio dipende dal comportamento della Banca centrale e dal sistema monetario internazionale
di riferimento. Se la banca centrale vuole o è costretto a mantenere il tasso di cambio fisso al suo
valore iniziale, allora deve fornire al mercato dei cambi la valuta estera supplementare richiesta
facendo ricorso alle sue riserve di valuta. In questo caso l'offerta di mercato spontanea aumenta di
un importo pari ad AB e il tasso di cambio può rimanere al suo vecchio livello E0. Poiché tuttavia le
riserve di valuta estera non sono illimitate, questa situazione non può durare per sempre: o la
domanda tornerà nella sua posizione originale (ad esempio perché lo spostamento iniziale era
temporaneo e quindi reversibile) oppure la Banca centrale (o il Governo) dovranno prendere misure
di politica economica in grado di spostare all’indietro la scheda di domanda e ripristinare così
l'equilibrio originario. Tali misure consistono in una politica monetaria restrittiva (tassi di interesse
più elevati al fine di rendere più convenienti le attività domestiche) o una politica fiscale restrittiva
(la spesa pubblica si riduce o le tasse vengono aumentate, in modo da ridurre il prodotto interno
lordo (PIL) domestico e quindi le importazioni). Ne consegue che il mantenimento di un tasso di
cambio fisso costringe la banca centrale a mantenere riserve adeguate di valuta estera e a sacrificare
la crescita interna, al fine di mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti.
La Banca Centrale, tuttavia, può scegliere di adottare un tasso di cambio flessibile, ovvero
liberamente fluttuante sui mercati. In questo caso l'eccesso di domanda AB in figura 2 genererà un
deprezzamento della valuta, da E0 a E1, che ripristinerà un nuovo equilibrio della bilancia dei
pagamenti nel punto C. Con un tasso di cambio liberamente fluttuante la Banca Centrale non ha
bisogno di tenere alcuna riserva di valuta estera, così che può essere libera di perseguire l’obiettivo
di ottenere un livello desiderato del PIL senza alcuna costrizione esterna. Il tasso di cambio,
tuttavia, in tale contesto può variare continuamente, secondo gli spostamenti della domanda e
dell'offerta, per cui il suo andamento può diventare molto volatile e soggetto ad attese irrazionali e
alla speculazione. Inoltre, con un tasso di cambio flessibile, i prezzi relativi internazionali e i
termini di pagamento saranno molto incerti; inoltre, dato che le variazioni dei tassi di cambio hanno
un impatto notevole sull'inflazione interna, i governi vorrebbero evitare una instabilità molto elevata
(e tendenziali svalutazioni) nel mercato dei cambi. Questo spiega perché un tasso di cambio
pienamente flessibile è un’eventualità meramente teorica, mentre in realtà saranno più probabili una
fluttuazioni controllate.
La conclusione generale della discussione precedente però è sempre valida. Se un paese è
interessato ad evitare incertezza nelle transazioni internazionali e variazioni indesiderate anche
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frequenti nel valore della sua moneta, allora opterà per un sistema di tassi di cambio fissi, il quale
ha però lo svantaggio di subordinare la crescita interna alle necessità dell’equilibrio della bilancia
dei pagamenti. Se il paese invece vuole mantenere un pieno controllo dei suoi strumenti di politica
economica per stimolare la crescita o stabilizzare le fluttuazioni, si dovranno adottare tassi di
cambio fluttuanti ed accettare la possibilità di un andamento erratico della sua moneta. In effetti il
ben noto “principio del terzetto inconsistente” spiega come sia impossibile mantenere insieme le tre
singolarmente desiderabili condizioni di cambi fissi, libertà valutaria e politiche nazionali
indipendenti. Poiché oggi nessuno più pensa di introdurre controlli sui movimenti di capitale (se
non in circostanze eccezionali e per periodi di tempo limitati), il terzetto incoerente spiega perché i
tassi di cambio a livello mondiale sono in generale fluttuanti (i governi vogliono adottare le
politiche interne che desiderano), mentre a livello regionale (Europa, Asia, ecc.) i tassi di cambio
sono fissi (i governi pensano che la stabilità dei prezzi e del tasso di cambio sia più preziosa e meno
dannosa nelle relazioni commerciali e finanziarie all’interno dell’area valutaria).
Profezie che si autorealizzano e crisi valutarie
Sappiamo che il valore di equilibrio del tasso di cambio è determinato dalla domanda e
dall’offerta di valuta estera, le quali corrispondono, rispettivamente, al totale dei flussi in uscita e in
entrata della bilancia dei pagamenti. Sappiamo inoltre che, mentre il conto corrente fa riferimento a
flussi che tendono a ripetersi nel tempo, e quindi potenzialmente stabili, i movimenti di capitale,
invece, riflettono i cambiamenti nel possesso di attività internazionali e sono quindi altamente
instabili e volatili. In effetti, i movimenti di capitale dipendono, tra l’altro, dal differenziale di
rendimento atteso tra attività denominate in valuta nazionale ed estera, e uno dei componenti di tale
differenziale è costituito dalle aspettative degli operatori finanziari sulle variazioni future del tasso
di cambio. Dato che tali aspettative sono molto soggettive, sono anche soggette a repentini
cambiamenti; questi cambiamenti, data la dimensione effettiva dei movimenti internazionali dei
capitali, può portare a improvvise, ampie e profonde crisi valutarie.
Per vedere come possa svilupparsi una crisi valutaria, e come questa abbia spesso la natura
di una profezia che si autorealizza, utilizziamo (come nella figura 3) il tradizionale grafico di
determinazione del tasso di cambio (in cui al solito il tasso di cambio E è definito come quantità di
valuta domestica che occorre dare per avere una unità di valuta estera).
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S’
E
E1
E0
B
S
A
D’
D
qe
Fig. 3. Profezie che si autorealizzano
Supponiamo che, a partire da una situazione di equilibrio, rappresentata dal punto A nel
grafico, improvvisamente si generi una aspettativa di svalutazione della moneta nazionale. Questo
evento può essere determinato da diversi motivi: per esempio, nell'estate del 1992, in Italia, essa era
dovuta al fatto che il risultato negativo di un referendum svoltosi in Danimarca circa la volontà di
tale Paese di aderire alla futura Unione Monetaria Europea (UME) aveva generato dubbi circa
l'effettiva realizzazione dell'intero progetto: in sua assenza la lira sarebbe stata svalutata per
ripristinare la competitività perduta negli anni immediatamente precedenti la crisi. Alla fine del
2001, in Argentina, una prospettiva analoga di svalutazione del peso è stata innescata dalle
incertezze sul fatto che il Fondo Monetario Internazionale potesse continuare a fornire prestiti al
paese, nonostante la riluttanza del governo argentino ad
attuare le rigorose politiche fiscali
richieste.
Se si prevede una svalutazione della moneta nazionale, sarà conveniente detenere attività
estere: quindi si verificheranno dei deflussi di capitale, per cui la curva di domanda di valuta estera
si sposterà a destra, da D a D'. Per le stesse ragioni, gli investitori stranieri saranno più riluttanti a
mantenere le loro attività in un paese la cui moneta sta per deprezzarsi; inoltre, coloro che hanno
bisogno di prestiti non saranno disposti a contrarre debiti in valuta estera (che sta per apprezzarsi);
infine chi ha venduto beni e servizi al resto del mondo (vale a dire gli esportatori) cercherà di
convincere gli importatori a pagare le forniture con un certo ritardo, al fine di guadagnare una
plusvalenza sulla valuta estera concordata: per tutte queste ragioni, quindi, anche la scheda di
offerta di valuta estera si sposterà verso sinistra, come da S a S' nel grafico. Il risultato dello
spostamento congiunto delle due curve è quello di produrre una tendenziale svalutazione della
moneta nazionale.
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La Banca centrale può cercare di contrastare questa tendenza, lanciando le sue riserve sul
mercato dei cambi. Se tale strategia, tuttavia, non riesce ad invertire rapidamente le aspettative di
svalutazione, e i deflussi netti di capitale persistono, non c'è alternativa al fatto di consentire alle
forze di mercato di agire: l'equilibrio si sposterà quindi dal punto A al punto B e la svalutazione
ipotizzata inevitabilmente avverrà. Una crisi valutaria, quindi, ha spesso il carattere di una profezia
che si autorealizza: l'aspettativa di una svalutazione finisce per causarla davvero. Questo risultato è
molto più probabile nel mondo contemporaneo, in cui le riserve ufficiali delle banche centrali sono
ridotte, in confronto alla massa enorme di flussi internazionali di capitali. Nella realtà recente
questo è stato il risultato finale delle crisi valutarie registratesi in Italia nel 1992, nei paesi del SudEst asiatico nel 1996-97 e in Argentina nel 2001 (e in molti altri paesi): la lira è stata svalutata di
circa il 40%, le valute dei paesi asiatici di circa il 60% ed il peso argentino di oltre il 300%.
Il verificarsi di una crisi valutaria è ovviamente molto più probabile se un paese si trova ad
essere fortemente dipendente da afflussi netti di capitale per compensare una situazione di squilibrio
strutturale del conto corrente della bilancia dei pagamenti. Questo è stato effettivamente il caso per
l'Italia nel 1992, per i paesi asiatici nel 1996-97 e per l’Argentina nel 2001. Per evitare crisi
valutarie, quindi, è fondamentale conseguire e mantenere un sostanziale equilibrio del conto
corrente della bilancia dei pagamenti, al fine di ridurre l'importanza di afflussi di capitali
compensativi di squilibri correnti e ridurre il rischio di attacchi speculativi contro la moneta
nazionale, motivati da una sua possibile svalutazione, ritenuta necessaria per aumentare la
competitività delle merci nazionali ed eliminare un deficit strutturale di conto corrente.
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