Come pensa un chimico?

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Istituto Statale di Istruzione Superiore
“Giulio Natta”
Bergamo
Liceo Scientifico Tecnologico
Come pensa un chimico?
La complessità del reale oltre il laboratorio
Chiara Manenti
classe V sezione A LST
Anno Scolastico 2013/2014
Come pensa un chimico?
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INDICE
Pag
Introduzione
3
La vita di Roald Hoffmann
5
Come pensa un chimico?
6
Sintesi
Sintesi organica
Il Primax
La ferric wheel
Come sarebbe la filosofia della scienza
fatta dai chimici?
11
Filosofia della scienza
I «pilastri» per Hoffman della nuova filosofia
«Should’ve», opera teatrale
17
Bibliografia
18
Come pensa un chimico?
Pagina 2
Introduzione
Il «pensiero» è argomento assai comune in un liceo scientifico. Pensiero è il
modo di vedere il mondo, il significato dell’esistenza umana, il rapporto tra
finito e infinito e molte altre cose ancora.
Durante questi anni si studiano i pensieri di diversi filosofi, autori letterari,
poeti inglesi. La parte umanistica trova quindi numerosi riscontri su questo
tema,
ma
cosa
succede
nell’ambito
scientifico?
Non penso sentiremo facilmente un professore dire: «Il pensiero di Einstein
era…» ma al massimo si potrebbe dire «Einstein ipotizzò che…». In chimica di
certo non si studia il pensiero di Kekulè, se mai la sua teoria sulle strutture del
benzene.
Tuttavia l’uomo è fatto comunque sempre di una parte più razionale e di una
più creativa. L’armonia tra le due parti è necessaria ad esprimere al meglio la
specificità della natura umana.
Ho cercato quindi un argomento che potesse esprimere questo collegamento
tra l’area umanistica e quella scientifica. E nel mio percorso al Natta e in quello
futuro universitario Come pensa un chimico? Sembra essere la domanda giusta
da porsi.
«Come pensa un chimico?» è il titolo del libro di Roald Hoffmann che ho scelto
come oggetto della mia tesina. L’idea sostenuta dall’autore è che la chimica e
in generale la scienza non devono rimanere chiuse all’interno delle mura del
laboratorio ma uscire e farsi conoscere alla «gente normale». Decisioni che
riguardano l’ingegneria genetica o le discariche dei rifiuti, infatti, dovrebbero
essere sottoposte all’opinione pubblica.
Hoffmann sottolinea ancora di più come la chimica non debba essere
considerata solamente un qualcosa a sé, che nessuno conosce. In un intervista
dice: «La chimica non deve essere isolata o ritenerla una scienza poco comune
ma bisogna considerarla per quella che è, ovvero l’attività di esseri umani
curiosi ma fallibili, che cercano di comprendere questo mondo in un modo
complementare e non così diverso da quello in cui gli altri – gli artisti, in
particolare – cercano di capirlo».
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Nell’affresco di Raffaello La scuola di Atene (1509-1510, Musei vaticani),
Platone e Aristotele indicano rispettivamente il cielo e la terra. Il significato e il
messaggio che essi esprimono nel quadro è assolutamente coerente con le loro
rispettive filosofie. Platone solleva il dito verso l'alto a indicare l'iperuranio e
sottintendere la sua filosofia basata sul mondo delle idee trascendenti
(che risiedono appunto nella sfera celeste) e sull'induzione. Nello specifico
della chimica egli concentrava i suoi studi sull’aspetto più geometrico della
chimica. Aristotele invece, mostra che l'Idea non ha esistenza propria e
concreta, ma s'incarna più o meno perfettamente negli individui che la
realizzano. Descriveva con più precisione come avveniva l’estrazione della
porpora di Tiro e proponeva l’idea che le sostanze fossero costituite da una
combinazione di forma e materia. Per questo motivo egli punta il dito verso il
basso, cioè la terra.
Platone cercava gli ideali, mentre Aristotele studiava la natura.
Partendo da questa opera d’arte si potrebbe cercare di collocare la chimica
moderna. Tra un dito alzato verso l’alto e uno verso il basso, dove si colloca il
pensiero di un chimico?
«E’ meglio che i chimici traggano ispirazione dalle ideali forme matematiche. O
ancora, dobbiamo affidarci al caso?»
Questa è la domanda che si pone il chimico premio nobel, Roald Hoffmann, nel
suo libro «Come pensa un chimico?», 2009 Di Renzo Editore
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La vita di Roald Hoffmann
Roald Hoffmann è nato a Zloczów, in Polonia (oggi Zolochiv in
Ucraina) nel 1937, da famiglia ebraica. In seguito all'invasione
della Polonia da parte di Hitler, venne rinchiuso insieme alla
sua famiglia prima in un ghetto e poi in un campo di
concentramento, dal quale riuscì a fuggire insieme alla madre
nel 1942. Il padre naturale fu invece ucciso dai nazisti
durante un successivo tentativo di fuga. Dopo la seconda
guerra mondiale fuggì dalla Polonia comunista con la madre e
il patrigno, spostandosi in Cecoslovacchia, Austria, Germania
e, infine, emigrando definitivamente negli Stati Uniti
d'America nel 1949.
In America Hoffmann frequentò la Columbia University, dove si laureò in chimica,
anche se l’interesse per le materie umanistiche (letteratura e arte) fu sempre molto
alto. In seguito, iniziò la collaborazione con Robert Burns Woodward, con il quale
sviluppò le regole per spiegare alcuni meccanismi di reazione (le regole di WoodwardHoffmann). Queste ricerche gli valsero il Premio Nobel per la chimica nel 1981, e la
medaglia Priestley nel 1990.
«La mia risposta (al Nobel) è stata la mia attività nella scienza e nella letteratura, la
costruzione del mio personale spazio tra la scienza, la poesia e la filosofia».
In seguito rivolse i suoi studi, che prosegue tuttora, alle proprietà e al comportamento
di sostanze organiche, inorganiche e dei materiali, sviluppando il metodo di Hückel
esteso che ha proposto nel 1963. Si ritirò dall'insegnamento nel 2007, dedicandosi
all'attività di divulgatore scientifico.
Oltre ai meriti scientifici, Hoffmann è noto anche per l'impegno nella divulgazione
scientifica e per l'attività di scrittore. Ha infatti pubblicato numerosi articoli sia su
riviste specializzate, sia su periodici rivolti al grande pubblico, come lo statunitense
American Scientist. Ha al suo attivo inoltre alcuni libri di divulgazione scientifica,
anch'essi rivolti a lettori non-specialisti, e due collezioni di poesie: «The Metamict
State» (1987, ) e «Gaps and Verges» (1990). Ha anche scritto una commedia a
quattro mani con Carl Djerassi intitolata «O2 Oxygen» sulla scoperta dell'ossigeno ma
soprattutto su quello che significa essere uno scienziato e l'importanza del processo
della scoperta nella scienza.
Hoffmann ha spesso affermato di considerare l'insegnamento e la diffusione delle
conoscenze scientifiche al pubblico un compito importante tanto quanto l'attività di
ricerca stessa. Con questo scopo, Hoffmann ha esteso la divulgazione scientifica anche
ad altri media come la televisione.
Appassionato di arte, è anche recentemente apparso in un altro show televisivo
americano intitolato «Entertaining Science» nel quale ha analizzato gli elementi di
contatto tra l'arte e la scienza. Un suo libro recente, «The same and not the same»,
tratta del concetto di isomeria in chimica ed esplora le tematiche dell'identità sia da un
punto di vista chimico che artistico e letterario. el 2005 è stato pubblicato in Italia da
Longanesi, con il titolo «La chimica allo specchio».
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Come pensa un chimico?
Per cercare di rispondere a questa domanda, Hoffmann affronta il problema
della dicotomia tra non naturale e naturale. La prima categoria corrisponde
all’insieme delle azioni degli esseri umani, per lo più intenzionali, mentre la
seconda fa riferimento alle azioni degli animali, delle piante e del mondo
inanimato che ci circonda (esempio: un tramonto è naturale, una fabbrica di
acido solforico no).
Ma poiché la chimica è sempre stata la scienza delle trasformazioni, che esse
siano naturali o meno, il prodotto della trasformazione
, è comunque
sempre una nuova sostanza.
«La sintesi chimica che crea le nuove molecole è certamente un atto creativo».
È proprio in questa attività creativa che il concetto di naturale e quello di non
naturale si intrecciano tra di loro. Hoffmann cerca di spiegarlo utilizzando due
esempi, due sostanze di sintesi: il primax e la ferric wheel.
Prima di esporre gli esempi di Hoffmann è opportuno che venga spiegato,
brevemente il concetto di sintesi in generale.
* Sintesi
In chimica, la sintesi è l'esecuzione di una reazione chimica o di una sequenza
di reazioni chimiche consecutive allo scopo di ottenere uno o più composti. Tale
sequenza deve risultare riproducibile, affidabile e, se mirata alla produzione
industriale, scalabile.
Il termine «sintesi» nella sua accezione attuale fu impiegato per la prima volta
da Adolph Wilhelm Hermann Kolbe.
Le reazioni della sequenza possono essere seguite da processi fisici di
separazione (precipitazione, distillazione, estrazione, ecc.) atti a purificarne i
prodotti, oppure possono portare direttamente alla formazione del prodotto
finale desiderato tramite una sintesi one-pot eliminando la necessità di
ricorrere a tali processi intermedi.
Ognuno dei passaggi della sintesi è contraddistinto da una resa, che
rappresenta il rapporto tra il prodotto di reazione effettivamente ottenuto e
quello teoricamente previsto dalla stechiometria se la reazione fosse completa.
Le reazioni secondarie sono generalmente indesiderate proprio perché
abbassano la resa del prodotto voluto.
La messa a punto di un'opportuna sequenza di reazioni dipende dalle materie
prime a disposizione, dalle quantità in gioco, dal fatto che la reazione debba
condursi in laboratorio o in un impianto industriale, nonché dalle esigenze di
sicurezza e convenienza economica delle reazioni e dei processi necessari per
isolare i composti intermedi e il prodotto desiderato.
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* Sintesi organica
La sintesi organica è la costruzione di molecole organiche attraverso processi
chimici. Le molecole organiche hanno spesso un grado di complessità superiore
ai composti inorganici, perciò la sintesi di composti organici è via via diventata
uno dei più importanti aspetti della chimica organica. Le due grandi aree in cui
è divisa la sintesi organica sono la sintesi totale e la metodologia.
Sintesi totale
Una sintesi totale è la sintesi chimica completa di molecole organiche
complesse, a partire da precursori facilmente disponibili in commercio. In una
sintesi lineare vengono percorsi una serie di passaggi uno dopo l'altro, fino
all'ottenimento della molecola desiderata. I composti chimici ottenuti prima del
prodotto finale sono detti intermedi di sintesi. Per molecole più complesse, si
preferisce spesso una sintesi convergente. In questo caso, si sintetizzano
separatamente diversi «pezzi» (intermedi chiave) del prodotto finale, che poi
vengono uniti insieme verso la fine della sintesi.
Robert Burns Woodward, che per diversi esempi di sintesi totale (come la
sintesi della stricnina) ha ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 1965, è
unanimemente riconosciuto come il padre della sintesi organica.
Metodologia
Ogni passaggio di una sintesi coinvolge una reazione chimica: per ottenere una
resa e una purezza soddisfacenti con il minore sforzo possibile, è necessario
scegliere accuratamente i reagenti, e trovare le migliori condizioni
sperimentali. Se è disponibile in letteratura un metodo per sintetizzare uno
degli intermedi di una sintesi, si preferisce utilizzarlo, piuttosto che ripartire da
zero: tuttavia, la maggior parte degli intermedi sono composti mai sintetizzati
prima, e per ottenerli vengono usati dei metodi sviluppati seguendo regole
generali, che prendono il nome di metodologia.
Questi metodi devono dare rese alte ed essere disponibili per un gran numero
di substrati. La ricerca sulla metodologia avviene solitamente in tre fasi:
scoperta, ottimizzazione, e lo studio delle applicazioni e limitazioni.
L'ottimizzazione riguarda lo studio di una reazione variando la temperatura, la
durata della reazione, il solvente, ecc. fino alla scoperta delle condizioni
ottimali per ottenere la massima resa e la massima purezza. Nel terzo stadio, il
metodo viene studiato su un'ampia classe di substrati, per verificarne
l'applicabilità e le limitazioni. Talvolta, per dimostrare il valore del nuovo
metodo di sintesi con un'applicazione reale, viene condotta una sintesi totale
Ritorniamo ora alla tesi di Hoffmann e ai due esempi che ci propone: il primax
e la ferric wheel.
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Il Primax.
Questo antibiotico non è formato da una singola molecola ma progettato come
una miscela di due composti, l’imipenem e la cilastatina. Esso è stato
prodotto secondo un processo non naturale che ha cercato di imitare
l’artigianato evolutivo.
Imipenem è un antibiotico valido, ma ha il problema di venire degradato
rapidamente nei reni da un enzima e ciò comporta il suo limitato nel caso delle
infezioni urinarie. Nel 1940, i chimici trovarono un composto che inibiva proprio
quell’enzima. Così l’imipenem venne modificato, è diventò la cilastatina.
Successivamente, essi ottennero la combinazione dell’antibiotico con l’inibitore
dell’enzima, e il composto funzionò.
L’imipenem deriva da un prodotto
naturale,
al
contrario
della
cilastatina. Ambedue sono prodotti
per
sintesi
in
un
processo
industriale.
L’imipenem, sviluppato negli anni
Settanta, è una forma lievemente
modificata di un altro antibiotico,
la tienamicina, prodotta da una
muffa, la Streptomyces cattleya.
La muffa è una vera e propria fabbrica di quel farmaco, poiché produce la
tienamicina e molte altre varietà di antibiotici.
La tienamicina però, non era chimicamente stabile alle alte concentrazioni.
Essa non produceva abbastanza molecole, così i ricercatori decisero di produrre
in laboratorio maggiori quantità di tienamicina.
Questo processo richiese ventuno fasi fondamentali. Tra il materiale di
partenza, un comune aminoacido, 8-acidospartico, e il prodotto finale, la
tienamicina, vennero isolate e purificate altre venti molecole.
La figura della molecola è una figura complessa, ma questa complessità è
essenziale perché secondo Hoffmann «è il contrappunto di laboratorio
della complessità biochimica dei batteri e di noi stessi».
La sintesi della tienamicina è un processo di costruzione che a partire da
semplici strutture, procede verso un risultato più complesso
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La ferric wheel
Il secondo esempio su cui Hoffmann si appoggia, parlando del naturale e del
non naturale è la sintesi della molecola ferric wheel.
Nel 1990, Stephen J.Lippard e Kingsley L. Taft del Massachussetts Institute o f
Technology sintetizzarono la ferric wheel, [Fe(OCH3)2(O2CCH2Cl]10.
I due ricercatori scoprirono questa molecola durante uno studio di molecole
modello per le reazioni inorganiche che avvengono nei sistemi biologici.
Durante la loro vasta indagine su questi composti, Lippard e Taft realizzarono
una reazione solo in apparenza semplice.
Utilizzando la diffrazione a raggi x su cristalli marrone-dorati, Lippard e Taft
determinarono l’organizzazione degli atomi nelle molecole. La struttura
consiste in 10 ioni di ferro in una disposizione quasi circolare.
Ogni atomo di ferro è quindi unito a quelli vicini mediante ponti metossido e
carbossilato, “formando una ferric wheel molecolare”, definita così dai due
ricercatori.
Oggi come oggi la ferric wheel non ha ancora una sua applicazione.
Hoffman però si sofferma non tanto sullo
scopo o sulla funzione di questa molecola,
ma su come essa si sia formata.
Si
potrebbe
infatti
rappresentare
disegnando solamente una freccia che va
dal cloro acetato di ferro e dal nitrato di
ferro, al prodotto.
In questa sintesi «diversa, speciale» il
prodotto si auto-assembla fino alla sua
realizzazione definitiva.
I passaggi di questa sintesi però non sono
così chiari come quelli della tienamicina
che comunque prevede venti fasi, ognuna
ben
distinta
dall’altra.
Così dietro queste due sintesi così diverse da loro, si nascondono due
paradossi.
Il primo è che l’atto di sintesi è specificamente umano e quindi innaturale,
anche se si cerca di trasformarlo in un prodotto della natura.
Il secondo paradosso è che nella sintesi di molecole ideali, dove operare in
modo innaturale può sembrare la cosa giusta da fare, talvolta bisogna lasciare
il campo alla natura.
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Hoffmann ritorna quindi a provare questa tesi utilizzando sempre i due esempi
precedentemente trattati (l’imipenem e la ferric wheel).
L’imipenem è prodotto dalla tienamicina, che è un prodotto naturale ; tuttavia
certe decisioni di tipo economico e chimico hanno imposto che la produzione
commerciale della tienamicina venga realizzata sinteticamente.
In questo caso quindi la molecola naturale ha ispirato il prodotto di sintesi, e
certamente esso non viene realizzato nei laboratori così come lo fa la muffa,
poiché gli organismi hanno i loro caratteristici enzimi che derivano dal prodotto
dell’evoluzione.
Anche se la chimica è avanzata, se i laboratori sono diventati più innovativi ed
efficienti l’enzima della muffa non si può di certo ricreare. I chimici sapevano
benissimo che sarebbero stati in grado di produrre solamente una frazione di
ciò che quella piccola muffa produce. Il loro obiettivo era naturale, il processo
della sua realizzazione invece non lo era.
Si consideri quindi l’innaturalissima ferric wheel: prodotta semplicemente
facendo reagire due molecole sintetiche, il monocloroacetato di ferro e il nitrato
ferrico, nel metanolo, un solvente naturale, che è stato prodotto probabilmente
per via sintetica.
L’innovazione finale è costituita dal metodo di assemblaggio.
Ecco come una molecola innaturale si crei nel modo più naturale del mondo:
«lo svilupparsi delle cose spontaneamente, arrendendosi alle forti regole
dell’entropia».
Ancora una volta il chimico ribadisce il concetto che nell’innaturale processo di
produzione della molecola naturale della tienamicina o dell’innaturale molecola
della ferric wheel, i reattivi, naturali e sintetici, e i solventi sono impiegati in
quel teatro complesso e interconnesso che vede le cose lasciate andare per il
loro corso, incoraggiate in tale processo.
«L’unica costante di tutto questo è rappresentata dal cambiamento,
dalla trasformazione».
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Come potrebbe essere una filosofia della scienza realizzata dai
chimici?
Abbiamo parlato di Hoffmann, non come un chimico chiuso nel suo laboratorio,
ma come uno che non rinuncia ad utilizzare un linguaggio più comune e
accessibile -scrivendo poesie e opere teatrali- pur di far arrivare la chimica alla
popolazione.
Come si è potuto notare Hoffmann non vede la chimica solamente come una
materia che sia prettamente legata al campo scientifico, ma anche come una
disciplina che è molto vicina alla società e che è molto simile ad essa.
Nel libro, l’autore dedica inoltre un intero capitolo a riflettere su come sarebbe
stata la filosofia della scienza fatta dai chimici.
Secondo Hoffmann infatti i filosofi della scienza che hanno scelto questo
percorso culturale dopo un’iniziale carriera scientifica, provengono soprattutto
dalla fisica o dalla biologia.
Ma prima di parlare di questa «nuova» filosofia, cerchiamo di capire che cosa è
e su cosa si basa la filosofia della scienza.
_ La filosofia della scienza
La filosofia della scienza viene per lo più intesa come una disciplina di natura
scientifica essa stessa, avente per scopo:
a) la determinazione dei fondamenti su cui poggiano le varie scienze
particolari;
b) l’analisi della struttura logica dell’inferenza scientifico-sperimentale;
c) la descrizione degli aspetti strutturali del discorso scientifico e la discussione
dei problemi della crescita della conoscenza scientifica e della portata
conoscitiva delle teorie scientifiche.
Da questo punto di vista, una distinzione spesso tracciata è quella fra le
scienze cosiddette «formali» ( la logica e le varie branche della matematica) e
le scienze empiriche o «reali», a loro volta distinte in scienze della natura
(fisica, chimica, biologia, ecc.) e scienze dell’uomo o della cultura (psicologia,
sociologia, linguistica, ecc.).
Secondo la visione più ingenua e tradizionale del metodo scientifico si
dovrebbe dire che mentre le scienze formali procedono per deduzione, le
scienze empiriche sarebbero caratterizzate dal metodo dell’induzione. Ma
questa caratterizzazione del metodo delle scienze empiriche pone diversi
problemi circa la sua stessa legittimità, soprattutto dopo la critica di Hume alla
nozione di causa ( causa ed effetto) ed al principio induttivo.
Sempre a questa caratterizzazione del procedimento scientifico è legata la
distinzione fra «contesto della scoperta», relativo alla genesi storica delle
ipotesi scientifiche, e «contesto della giustificazione», riguardante le procedure
logico-sperimentali connesse al controllo della validità di tali costruzioni
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teoriche. Infine, una più attenta considerazione della logica induttiva e del
calcolo delle probabilità, sembra mostrare che una teoria adeguata della
conferma induttiva dovrebbe prendere in considerazione non soltanto
l’induzione per enumerazione, ma anche altre regole intuitive come per
esempio:
- La varietà dei casi positivi: l’aumento di casi positivi di uno stesso genere
dovrebbe contare meno dell’aumento dei casi positivi di differente
specie;
- L’induzione eliminativa: la conferma di un ipotesi può essere aumentata
dalla confutazione osservativa di un numero crescente di ipotesi rivali;
- La semplicità: date due ipotesi sostenute dall’evidenza disponibile, si
dovrebbe considerare come maggiormente confermata da tale evidenza
l’ipotesi che è la più semplice delle due.
Quindi il filosofo della scienza ha lo scopo di chiarire le nozioni fondamentali del
discorso scientifico.
Da questo punto di vista alcuni dei principali argomenti di una descrizione
strutturale del discorso scientifico possono essere così elencati:
- la natura delle ipotesi e delle leggi scientifiche;
- la struttura logica della spiegazione e della previsione;
- formazione dei concetti e delle teorie nella scienza empirica;
- la questione del riduzionismo.
Esponenti di questa filosofia sono:
Feyerabend (1924-1994): convinto che non ci sia un
metodo unico e fisso alla base della ricerca scientifica, ha
considerato le varie teorie inconfrontabili e isolate tra
loro. La scienza secondo lui, deve far uso di una pluralità
di metodi e deve continuamente violarli per cercare
soluzioni nuove. A questa pluralità metodologica si
accompagna il progetto di una società libera a cui
accedono tutti gli individui e tutte le tradizioni culturali.
Kuhn (1922-1996): secondo Kuhn la storia della
conoscenza scientifica deve studiare il comportamento
sociale, intellettuale e psicologico degli scienziati. In
questo comportamento sono riconoscibili periodi di
scienza cosiddetta «normale»
durante i quali gli
scienziati obbediscono, nella ricerca, a ben precisi
«paradigmi» -insieme di risultati scientifici- che per i
loro caratteri di novità e apertura, diventano la base
comune a partire dalla quale si estendono e si rendono
sistematiche le conoscenze scientifiche. Solo per
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mezzo di anomalie insolubili da parte del paradigma accettato si verificano
transizioni dalla scienza normale alla scienza straordinaria, ovvero le crisi della
scienza, che conducono alla nascita di un nuovo paradigma.
Il passaggio da un paradigma all’altro secondo metodi psicologici e sociologici
spiega così per Kuhn la dinamica della struttura delle rivoluzioni teoriche della
scienza.
Popper (1902-1994): per lui fu decisivo l’incontro con il
circolo di Vienna.
Nelle tesi della filosofia della scienza di Popper, si può
riconoscere la critica originale al neopositivismo, fondato
sulla definizione teorica e sull’uso costante del «criterio
di significanza». Ad esso Popper oppone il criterio di
falsicabilità, come il solo che debba essere fatto valere
per distinguere una teoria scientifica. Nello stesso tempo
conduce una serrata critica alla validità del metodo
dell’induzione, nelle due accezioni di induzione per
enumerazione e di
induzione per eliminazione. Nel
primo caso, l’osservazione ripetuta di una molteplicità di
singoli casi non può fondare la validità universale della conclusione , nel
secondo caso la confutazione e l’eliminazione delle ipotesi false non comporta
l’emergere di una teoria risolutiva. La concezione della conoscenza in Popper si
delinea quindi come ricerca, a partire dalla costatazione di problemi, di ipotesi
di soluzione.
Nel
caso
in
cui
tutte
queste
ultime
risultino
provate
,
l’
ipotesi
di
soluzione
precedentemente
immaginata
si
dimostra
momentaneamente confermata dall’esperienza; nell’eventualità invece in cui
anche una sola di esse non risulti confermata dai fatti, l’ipotesi iniziale deve
essere sostituita con altre che si dimostrino più adeguate mediante il confronto
con l’esperienza. Una teoria scientifica si contraddistingue quindi per la sua
possibilità di essere controllata, e quindi falsificata empiricamente
(Falsificazionismo). Ciò comporta una concezione «fallibilistica» del sapere che
è valida per Popper, non soltanto nelle scienze naturali, ma anche in quelle
storico-sociali.
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Ritorniamo ora alla tesi di Hoffmann, ovvero: Come potrebbe essere una
filosofia della scienza realizzata dai chimici?
L’autore propone, alcuni “pilastri” per questa nuova filosofia.
Che cosa è la chimica?
La prima domanda a cui bisogna dare una risposta è proprio questa: trovare
una possibile definizione.
Per Hoffmann la chimica ha sempre rappresentato l’arte, l’abilità e il
commercio delle sostanze e delle loro trasformazioni. La chimica rimane lo
studio (e l’impiego) della materia macroscopica e dei prodotti dalle sue
trasformazioni.
Con il passare del tempo la chimica non ha solo guardato al mondo
macroscopico ma è arrivata fino all’osservazioni di molecole e di atomi.
Così, la chimica è anche l’arte, l’abilità, il commercio e la scienza delle molecole
e delle loro trasformazioni.
Essa può essere espressa simbolicamente da:
La conoscenza affidabile, ottenuta dal mondo delle molecole è derivata dalle
sensazioni provate dalle mani dei chimici e dalla attività delle loro menti .
Realismo dei chimici
Hoffmann sostiene che nella comunità dei chimici è difficile trovare qualcuno
che dubiti del realismo o che sia scettico a ogni livello.
Per l’autore questo forte senso di realismo deriva dal rinforzo delle loro
percezione
sensoriale
prodotta
dall’esperienza
delle
trasformazioni
caratteristiche della chimica.
La consapevolezza che la materia è materia si è rinforzata grazie alla
comprensione delle specificità degli eventi chimici e biologici. Le differenze che
si riscontrano nel comportamento biologico di sostanze fisicamente uguali tra
di loro, costituiscono una continua lezione di realismo.
Anche le trasformazioni sono un notevole elemento su cui rinforzare la visone
realistica.
Hoffmann , sempre sul realismo dei chimici, segue dicendo che il filosofo della
scienza Ian Hacking sostiene che il lavoro sperimentale fornisce la più forte
delle evidenze al realismo scientifico. Tutto ciò perché le entità che osservano i
chimici e che per principio non posso essere osservate, sono regolarmente
manipolate per produrre nuovi fenomeni e per indagare altri aspetti della
natura.
Riduzionismo
Il concetto di riduzionismo, pur avendo perso molto terreno nella comunità dei
filosofi, è ancora vivo in quello della scienza.
Infatti esistono ancora chimici teorici che pensano che tutti i concetti della
chimica possano essere chiariti mediante rigorose definizioni, basate
ovviamente sulla fisica.
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Hoffmann sostiene che esistono due comprensioni del riduzionismo: una
verticale classica e una orizzontale, che si esprime nei concetti, nelle definizioni
e nelle strutture simboliche dello stesso livello di complessità degli oggetti
studiati.
Le spiegazioni orizzontali, per esempio le definizioni dei dizionari, sono quasi
circolari.
La comprensione verticale, invece, riguarda la sequenza dell’accensione dei
neuroni, le reazioni chimiche collegate, nella mente dell’autore e del lettore.
Hoffmann sostiene che per ogni scienza, proprio per il periodo in cui sta
vivendo, debba essere compresa sia in senso orizzontale che in quello
verticale.
I riduzionisti affermano che essi lavorano per arrivare alle radici dei fenomeni,
e una volta comprese per esempio le particelle elementari e tutte le forze in
gioco, si potrà comprendere anche il mondo macroscopico.
Per l’autore però la chimica si muove verso l’alto, sale i gradini della
complessità, nella produzione di nuove molecole e nella conoscenza dei
fenomeni emergenti, alternando piccole analisi riduzionisti che a un molteplice
pensiero induttivo, costruendo così la storia della scienza mentre vengono
prodotte nuove molecole.
Analisi e sintesi, creazione e scoperta
Goethe, in un suo famoso romanzo del 1806 dal titolo Le affinità elettive,
costruito sulla metafora di una teoria in via di abbandono , e in un periodo in
cui l’analisi era al centro della chimici , descrive una scena tra i due
protagonisti così come segue:
“Le affinità diventano interessanti solo quando portano al divorzio.”
“ Accade, questo triste fenomeno, di cui sfortunatamente sentiamo parlare così spesso in
società in questi giorni, anche nelle scienze naturali?”
“Sicuramente – replicò Edoardo. I chimici usano persino come titolo d’onore, descrivere se
stessi come artisti nel divorziare una cosa dall’altra.”
“Non lo sarà ancora a lungo – disse Carlotta – e sarà un evento positivo. Unire è un’arte
più grande e un ancor più grande merito. Un artista che riesca a unire qualsiasi argomento
sarà il benvenuto in tutto il mondo.”
Molti chimici riconosco l’importanza della sintesi, ma questo concetto non
dominò fino alla seconda metà de XIX secolo.
Hoffmann sostiene che le interpretazioni dominanti circa la natura della scienza
da parte dei filosofi della metà del secolo scorso si incentrassero
essenzialmente intorno al concetto di scoperta.
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Se queste interpretazioni si fossero invece basate sull’aspetto centrale della
chimica, ovvero sul concetto di sintesi, le conclusioni sarebbero state
diverse. Ribadisce ancora una volta che tutta la discussione filosofica intorno
ai concetti di falsificabilità e di conferma di una teoria non tocca quasi per nulla
la pratica chimica.
I chimici, per il nostro chimico , realizzano composti e molecole. Questo
avvicina la loro opera all’arte ed essi agli artisti.
Il collegamento, quindi, della chimica con le arti, maggiori o minori, avrebbe
potuto suggerire ai filosofi l’adozione di un approccio estetico nei confronti
della scienza; un tale atteggiamento avrebbe facilitato non solo la
comprensione dell’ovvia influenza di fattori estetici, come la simmetria e
l’ordine, ma anche l’importanza di una buona esposizione letteraria di alcune
teorie.
«La disinteressata contemplazione è sempre stato l’elemento centrale delle
teorie estetiche, la conformità a scopi senza scopo di Kant. Io sono però del
parere che il non accettare il concetto di utilità come un valido determinante
nella definizione di arte e di bellezza rappresenti un’omissione dell’estetica
classica».
Cambiamento
Eraclito sosteneva che l’equilibrio dà origine a uno stabile e apparentemente
assopito centro, in chimica invece la norma è il cambiamento. I prodotti
sono diversi dai reagenti.
Hoffmann si pone il dubbio che la famosa freccia
suggerito la costruzione di filosofie di cambiamento.
non possa aver
Per l’autore gli esseri umani desiderano il cambiamento e, nello stesso tempo
gli
resistono,
come
fa
per
lo
più
la
nostra
società.
L’uomo ha bisogno di superare i limiti che ci sono, ha bisogno di uscire dagli
schemi, di «infrangere» le regole che gli sono imposte. Ecco perché la studiosa
di storia della chimica Bernadette Bensaude-Vincent descrive la nostra scienza
continuamente trasgressiva.
L’uomo è sempre stato affascinato dal cambiamento altrimenti non sarebbe
arrivato mai fin dove è. Non si sarebbe evoluto, non avrebbe migliorato le sue
condizioni di via e tutta la società che sta attorno a lui.
In conclusione, Hoffman sostiene che la filosofia dovrebbe prendere spunto da
questa sua concezione di scienza antropica, quella che ha al suo centro la
sintesi. Questa scienza sta in mezzo, sia per gli esseri umani sia per le
molecole, non è mai statica.
«Le cose cambiano. Se quiescenti, possono essere invogliate a
cambiare. Sono queste che noi dobbiamo cambiare».
Come pensa un chimico?
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SHOULD’VE
Hoffmann, besides working as a chemist, he also writes poetry, novels and plays.
In this way, he argues, chemistry and science may become of public use; as a
result “normal people” are becoming more and more aware of what's going on in
those scientific labs.
In this play Hoffmann, once again, underlines the scientists’ ethical and
moral responsibilities; they can’t get rid of them or look for a way out.
As “Should’ve” opens, Friedrich Wertheim, a German-born chemist, has just
committed suicide, blaming himself for putting neurotoxin into the hands of
terrorists in a too easy way
The circumstances and reasons for his death disturb profoundly the lives of three
people connected to Wertheim – his daughter Katie, a scientist herself, a
molecular biologist, but with very different ideas about a scientist social
responsibility, Katie’s lover Stefan, a conceptual artist, and Wertheim’s estranged
second wife, Julia.
In 26 fast-moving scenes, these people’s lives are fractured by the suicide. The
motive for Wertheim’s action aren’t as simple as they seem; there emerges a
remarkable set of circumstances about his parents’ survival in Nazi Germany. The
ethical conflict between Katie and her father is very, very deep.
Questions arise on the duty of any artists in society as well, since they
handle the same power and can affect people’s thinking and there is more
than one skeleton in Stefan’s closet.
A play about the social commitment of scientists and artists on one level,
“Should’ve” is also about three people trying to halt the transforming power of
death. They are unable to do so, sundered as they are by the memories and a
past that emerges from that death. And, eventually, the consequences shape a
different bond among the three.
In conclusion Hoffmann says in an interview:
" The play is not an atonement, that is a way to
make amends. It is, among other things, an
attempt to let us see to what extremes one
may get, to realize the good reasoning and
perhaps the potential tragedy behind them.
As I say , I don’t think that I succeed yet in showing that in Katie’s path; I have to
work more at it.
I would like to tell people coming to the play not to look for any answers
as to what to do, but with the clear feeling that “the social responsibility of
scientist” is worth agonizing about.”
Come pensa un chimico?
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BIBLIOGRAFIA




Roald Hoffmann, Come pensa un chimico?, Di Renzo Editore, 2009
Wikipedia “The free encyclopedia”
L’enciclopedia, la biblioteca di Repubblica, 2003
Sito ufficiale di Roald Hoffmann, www.roaldhoffmann.com
Come pensa un chimico?
Pagina 18
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