Prevenzione e trattamento dell`infezione da CMV nel trapianto d

Prevenzione e trattamento dell’infezione da CMV
nel trapianto d’organo
David R. Snydman, MD
Professor of Medicine, Tufts University School of Medicine; Chief, Division of Geographic
Medicine and Infectious Diseases, Boston, Massachusetts
L’infezione da CMV è l’infezione più frequente nei trapianti d’organo (SOT).
La maggior parte delle infezioni subite dai trapiantati sono una conseguenza della slatentizzazione
di CMV residente, ma una quota non indifferente proviene dalla slatentizzazione di CMV presente
nell’organo trapiantato in un ricevente negativo per anticorpi anti-CMV [1].
Tabella 1. Profilo del rischio per infezione da CMV nei SOT
(+ = immune , - = non immune)
Categoria del
rischio
alto
Intermedio
basso
Stato immunologico
donatore(D) / ricevente(R)
D+/RD+/R+, D-/R+
D-/R-
Altri fattori di rischio sono la carica virale nell’organo trapiantato, un alto stato di
immunosoppressione (soprattutto con l’uso di agenti che depauperano il comparto delle cellule T
[2] ), età avanzata, ed il tipo di organo trapiantato. Contrariamente a quanto si crede, i trapianti di
polmone, cuore, piccolo intestino, pancreas sono a maggior rischio dei trapianti di rene e fegato [3].
Prevenzione dell’infezione da CMV nel trapianto cardiaco
Senza profilassi oltre il 50% dei trapiantati cardiaci subiscono un’infezione da CMV [4].
La strategia di riduzione del rischio d’infezione e mortalità comprende:
1. trapianto nel ricevente CMV sieronegativo solo di organi di donatore sieronegativo
2. uso di prodotti emotrasfusionali CMV negativi e/o depleti da leucociti
3. profilassi antivirale [5].
Le terapie antivirali sono di 2 tipi: profilattica e preventiva.
La profilattica è indicata per i pazienti ad alto rischio, tab-1, migliorando la sopravvivenza di un
allotrapianto e diminuendo le complicanze cliniche, ma alcuni gruppi di studio la applicano anche
in modo universale.
Le linee guida propongono la terapia profilattica in relazione alla frequenza locale di infezioni da
CMV, riattivazione tardiva postrapianto, frequenza delle ricadute rilevata con la terapia preventiva,
aumento delle infezioni opportunistiche e limitazioni logistiche quali la difficoltà di disporre di
adeguati presidi diagnostici o medicali a costi standards (es. aree rurali) [5].
Viene raccomandato di iniziare la terapia entro 10 gg [6] con una strategia personalizzata al regime
terapeutico di immunosoppressione ed allo stato di immunosoppressione del paziente.
Il gold standard del trattamento è rappresentato da ganciclovir endovena a dosi di 5 mg/kg due
dosi/die ev. adeguate alla funzione renale e contemporanea diminuzione del livello di
immunosoppressione per evitare la neutropenia, ma è preferibile nella gran parte dei casi avvalersi
del trattamento orale che pare avere efficacia analoga.
Ad esempio, la profilassi, nei trapianti cardiaci D+R-, si avvale di valganciclovir o ganciclovir orale
[7], ed in casi più gravi di terapia con immunoglobuline specifiche: il regime consigliato è di 900
mg/die, adattato alla funzionalità renale e la durata è di 3 – 6 mesi a seconda dello stato di
immunosoppressione.
Lo studio IMPACT ha paragonato i risultati della profilassi di 100 gg vs una di 200 gg dimostrando
un decremento della incidenza della malattia dal 36,8% al 16.1% (P<0.0001) nei trapiantati renali
ad alto rischio D+R- trattato con valganciclovir [6].
Doesch et Al. hanno trattato, senza rilevanti effetti collaterali, i trapianti cardiaci per 6 mesi con
valganciclovir [8].
In conclusione una terapia profilattica non mirata (detta “universale”) trova i suoi punti di forza
nella semplicità della terapia orale, nell’efficacia preventiva e nel beneficio indiretto della
prevenzione verso altri virus, mentre gli svantaggi consistono nel rapporto costo/beneficio, negli
effetti tossici (principalmente leucopenia) ed un alto rischio di ricadute tardive, generalmente per
interruzione della profilassi, anche con parametri biomolecolari negativi [9].
La terapia preventiva verrà discussa in un paragrafo successivo.
Diagnosi e trattamento della infezione da CMV
L’infezione da CMV si verifica generalmente durante il primo anno postrapianto o dopo la
cessazione della profilassi [10].
L’andamento clinico include conseguenze principali (dalla viremia asintomatica sino alla malattia
manifesta con febbre, malessere, mialgia, leuco / trombo-citopenia e nei casi gravi la invasione
organica con gastroenterite, nefrite, miocardite, polmonite, epatite, pancreatite e corioretinite) e
conseguenze secondarie, quali aterosclerosi, miocardiopatie, infezioni opportunistiche ed in ultima
analisi, rigetto acuto/cronico del trapianto.
Parametri di definizione di infezione e malattia da CMV [11]
Infezione da CMV: isolamento del virus o rilevamento di proteine o acidi nucleici nei tessuti e
liquidi organici.
Viremia: isolamento di CMV in cultura con tecnica standard o shell vials
Antigenemia: rilevamento della proteina pp65 nei leucociti
Infezione primaria da CMV: rilevamento di CMV in soggetto precedentemente sieronegativo
Infezione ricorrente: osservazione di nuova infezione in un paziente con assenza di carica virale per
almeno 4 settimane dopo una precedente infezione.
Reinfezione: rilevamento di un ceppo CMV diverso da quello della precedente infezione.
Malattia gastrointestinale da CMV : sintomi clinici di disturbi gastrointestinali con osservazione
endoscopica di lesioni mucosali e rilevamento nelle stesse di CMV (identificazione
istopatologica/immunoistochimica, da cultura, da ibridazione in situ nel prelievo bioptico)
epatite da CMV: elevazione della bilirubina e degli enzimi in assenza di cause iatrogene o di altra
natura infettiva e rilevamento di CMV (identificazione istopatologica/immunoistochimica, da
cultura, da ibridazione in situ nel prelievo bioptico)
La peggiore complicanza della profilassi è lo sviluppo di una infezione tardiva (almeno 6 mesi dopo
il trapianto) [3,9].
I tests in uso per la diagnosi di infezione sono:
1. l’antigenemia ossia l’identificazione nel campione della fosfoproteina pp65, test
semiquantitativo, facile da eseguire, ma poco standardizzato per instabilità dell’antigene e
meno sensibile.
2. DNA-PCR quantitativa oramai ritenuta fondamentale per la decisione clinico-terapeutica.
Poco rilevanti, rispetto ad altri metodi, i limiti della tecnica (variabilità inter/intralaboratorio, limiti di rilevazione della carica in alcuni tipi di tests) [12].
E’ fondamentale durante la terapia antivirale ridurre la concomitante terapia immunosoppressiva; la
scelta della via di somministrazione del farmaco antiCMV prevede l’intravenosa come gold
standard con risultati validi anche per quella orale soprattutto nei casi con infezione lieve o
moderata.
La terapia orale si avvale soprattutto del valganciclovir che è ben assorbito dal tratto
gastrointestinale e rapidamente metabolizzato a ganciclovir nella parete intestinale e nel fegato.
La biodisponibilità del farmaco a dose unica/die assunta durante il pasto è del 60%, circa 10 volte la
biodisponibilità del ganciclovir ed i parametri farmacocinetici sono sovrapponibili nei pazienti
adulti con una lieve variabilità in relazione alla funzione renale o alla massa corporea [13].
Il controllo della carica virale
Bisogna tener conto che la causa più frequente di rigetto è legata ad insufficienza del controllo
diagnostico terapeutico [14].
In assenza di controllo cadenzato della carica virale, può mancare l’intervento tempestivo per la
correzione di una risposta clinica debole alla terapia, per sottodosaggio o per resistenza al farmaco,
evenienza tipica di terapie prolungate con persistenza della carica a bassa concentrazione o di un
alto stato di immunosoppressione.
La resistenza al Ganciclovir è causata dalla mutazione virale UL97 in più del 90% dei casi . La
mutazione puntiforme UL97 nel gene della proteinkinasi impedisce la fosforilazione del farmaco e
quindi abbatte la sua attività [15] [16].
Il farmaco sostitutivo del ganciclovir è il foscarnet (piena dose: 60 mg/kg ogni 8 h, riducibile alla
dose di mantenimento 90-120 mg/kg die).
La terapia preventiva
Obiettivo della terapia preventiva è il gruppo di pazienti a massimo rischio d’infezione.
Di recente, in un trial preliminare, Reischig e colleghi hanno dimostrato, nel trapianto di rene, una
migliore sopravvivenza del gruppo sottoposto alla terapia preventiva rispetto alla profilassi
universale (92% vs 74%; P=.049) a quattro anni dal trapianto, nonostante che la frequenza delle
ricadute fosse sostanzialmente uguale nei due gruppi [18].
La terapia preventiva ha il suo fondamento nel controllo cadenzato della viremia e nella precocità
dell’intervento terapeutico a seguito del rilevamento della carica al contrario della profilassi che è
avulsa dal controllo periodico.
Troviamo una rigorosa definizione del protocollo da seguire nello studio retrospettivo di Greiner e
coll., laddove si raccomanda di monitorare il paziente settimanalmente, per 3 mesi dal trapianto con
la CMV-PCR o perlomeno con l’antigenemia, con uno studio approfondito (collegato al sistema
diagnostico in uso e le modalità di misurazione) della soglia di intervento per la terapia preventiva
[19] [5].
L’altro innegabile vantaggio della terapia preventiva è la possibilità di avviare una terapia antivirale
mirata, limitata alla evidenza clinica di guarigione con abbattimento dei costi, dei rischi legati alla
tossicità e minore incidenza di riattivazione tardiva.
Gli svantaggi si riassumono nel costo diagnostico eccessivo e nella possibilità di un’infezione acuta
ed aggressiva durante l’intervallo fra successive misurazioni [5].
Complicanze dell’infezione da CMV
I rischi legati all’infezione da CMV sono molteplici e di diversa gravità, a partire dall’aumento delle
infezioni opportunistiche e da disordini linfoproliferativi sino all’infezione massiva dell’organismo
con perdita dell’organo e la morte del paziente [20].
Spesso le complicanze avvengono in individui classificati come pazienti a rischio moderato, perchè
in tali pazienti è più facile l’instaurazione di una viremia asintomatica caratterizzata da una bassa
viremia che esplode successivamente in una malattia acuta.
Trattamento
Lo studio VICTOR ha dimostrato la pari efficacia della somministrazione orale di Valganciclovir
rispetto a quella parenterale nei pazienti con malattia non grave ossia non a rischio di morte [21].
In casi di funzione renale conservata, la dose standard è la duplice somministrazione giornaliera
(Tab 2), per almeno 2 settimane consecutive e comunque fino a dimostrazione di assenza di viremia
in due misurazioni successive [5].
La dose e la via di somministrazione è in diretta proporzione alla gravità del caso ed alla necessità
di evitare lo sviluppo di resistenza mentre la determinazione della viremia è settimanale.
Tabella 2. Dosaggio* di Valganciclovir orale in pazienti adulti
Cretinina Clearance, mL/min
Induzione
Mantenimento o preventiva
≥60
900 mg 2/die
900 mg 1/die
40-59
450 mg 2/die
450 mg 1/die
25-39
450 mg 1/die
450 mg ogni 2 gg
10-24
450 mg ogni 2 gg
450 mg 2/settimana
<10 (paziente in emodialisi)
Non somministrabile Non somministrabile
*compresse da 450-mg
Posologia orientativa modificabile in relazione al preparato farmaceutico [6]
CMV e rigetto
Il rapporto fra la terapia immunosoppressiva ed il rischio di infezione da CMV è bidirezionale, nel
senso che la terapia aumenta il rischio di infezione e a sua volta il CMV può aumentare il rischio di
rigetto acuto [14].
Questa osservazione è uno dei cardini della profilassi non mirata.
Conclusioni
L’insorgenza di una infezione da CMV in un trapiantato include uno ampio spettro di situazioni
cliniche, dalla semplice viremia asintomatica al danneggiamento dell’organo trapiantato sino al
rigetto, passando per patologie opportunistiche, anche mortali, e disordini linfoproliferativi.
La migliore strategia da adottare è tuttora argomento di dibattito, perché sia la profilassi non mirata
che la terapia preventiva sono utilizzabili in relazione alla situazione clinica ed al sentimento di
rischio del caso specifico.
Le opzioni terapeutiche più utilizzate sono il ganciclovir e valganciclovir, associati ad alto costo e
notevole tossicità (non esclusi effetti carcinogeni e teratogeni) da sottoporre a controllo.
Si auspica che il cumulo delle esperienze presenti e future possa condurre alla elaborazione di
nuove strategie terapeutiche più efficaci e meno rischiose.
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