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La storia dei viventi
Indice
Lo scenario iniziale della Terra
L’origine della vita: dalle molecole
organiche alle prime cellule
• La sintesi di molecole organiche semplici
• La costruzione delle molecole
• Dagli aggregati di macromolecole
alle cellule
Dagli esseri unicellulari
agli organismi pluricellulari
• Il Paleozoico (“vita antica”):
da 542 a 251 m.a.f.
• Il Mesozoico (“vita di mezzo”):
da 251 a 65 m.a.f.
• Il Cenozoico (“vita recente”):
da 65 m.a.f. a oggi
• Il Periodo Neozoico (“vita nuova”)
o Quaternario: da 2,5 m.a.f. a oggi
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
I fossili e la fossilizzazione
• I fossili guida
I tempi dell’evoluzione
• La datazione relativa
• La datazione assoluta
Approfondimento
La storia dei viventi
Con un veloce viaggio nel tempo ripercorriamo la formazione della Terra e le origini chimiche della vita, gli eventi
geologici e biologici più significativi che si sono succeduti nel corso delle Ere (tabella. 1 nella pagina che segue).
Lo scenario iniziale della Terra
Fig. 1.
Ricostruzione
dell’ambiente
primordiale
della Terra, dove
presumibilmente si
formarono molecole
organiche, che poi
si aggregarono
in cellule capaci
di riprodursi.
Si pensa che la Terra abbia avuto origine, come gli altri pianeti del sistema solare, circa 4,6
miliardi di anni fa, per successiva aggregazione di materiali costituiti da polvere, ghiaccio e gas
che ruotavano intorno al nascente Sole. Durante la sua formazione, la Terra diventò molto calda, soprattutto per effetto del calore prodotto negli impatti frequenti con i meteoriti e di quello liberato dalle sostanze radioattive presenti nella sua massa; di conseguenza, la Terra era
completamente allo stato fuso e iniziò il processo chiamato differenziazione gravitativa: i materiali più pesanti (ferro e nichel) affondarono verso il centro, raccogliendosi nel nucleo;
quelli più leggeri, contenenti silicio, alluminio e magnesio, si portarono in superficie, originando il mantello, mentre il vapor d’acqua e altri gas formarono la primitiva atmosfera. Poi
la Terra iniziò a raffreddarsi e, quando la temperatura scese al di sotto di 1000 °C, cominciò
a formarsi una sottile crosta solida, continuamente lacerata da innumerevoli vulcani.
Le emissioni gassose dei vulcani lasciarono la loro impronta nell’atmosfera (fig. 1), arricchendola di vapor d’acqua, oltre ad azoto, idrogeno, elio, argo, diossido di carbonio, metano,
solfuro di idrogeno e ammoniaca; l’ossigeno, invece era presente in minime tracce. Quando
la temperatura scese sotto i 100 °C, il vapor d’acqua cominciò a condensare originando intense piogge e probabilmente 4 miliardi di anni fa si formarono gli oceani nelle depressioni
della crosta terrestre.
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Tabella 1. I principali eventi nella storia della Terra
Glaciazioni; compare Homo sapiens
Crisi di salinità del Mediterraneo
Orogenesi alpino-himalayana
Radiazione dei Mammiferi
Estinzione di massa
Apertura Atlantico
Prime Angiosperme
Primi Uccelli
Estinzione di massa
Radiazione dei rettili
Primi Mammiferi
Estinzione di massa
Inizio frammentazione della Pangea
Fine glaciazione gondwaniana
Formazione della Pangea
Orogenesi varisica
Primi Rettili
Inizio glaciazione gondwaniana
Prime Gimnosperme
Estinzione di massa
Primi Anfibi
Piante vascolari terrestri
Differenziazione Pesci
Primi placodermi
Estinzione di massa
Glaciazione himantiana
Orogenesi Caledoniana
Primi agnati
Esplosione del Cambriano
Fauna di Ediacara (pluricellulari)
Snowball Earth
Rodinia
Primi eucarioti
Inizio tettonica a placche
O2 nell’atmosfera
Stromatoliti
Primi fossili (procarioti)
Rocce più antiche
Evoluzione prebiotica
Formazione della Terra
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Approfondimento
L’origine della vita: dalle molecole
organiche alle prime cellule
La comparsa delle prime forme di vita presuppone una fase di evoluzione chimica, necessaria perché potessero venire sintetizzati composti organici semplici, come amminoacidi e zuccheri, occorrenti per l’elaborazione delle complesse molecole biologiche prebiotiche (= precedenti alla vita), come in particolare proteine e acidi nucleici, l’indispensabile materiale di costruzione delle prime cellule. I più antichi indizi che suggeriscono la presenza di forme di vita
risalgono a 3,8-3,9 miliardi di anni fa.
Le tappe che hanno portato all’assemblaggio del complesso congegno cellulare procariote
sarebbero state, secondo le vedute più diffuse, le seguenti:
molecole organIche
semplIcI
macromolecole
aggregaTI precellularI
(proTocellule)
cellule procarIoTI
La sintesi di molecole organiche semplici
La dotazione di piccole molecole organiche (come amminoacidi e zuccheri semplici) necessarie per la costruzione delle macromolecole biologiche (come proteine, carboidrati complessi e acidi nucleici) potrebbe essersi costituita sia in seguito a processi “locali” sulla superficie terrestre (nell’atmosfera e sul fondo degli oceani) sia in seguito all’apporto dallo spazio esterno (caduta di comete e meteoriti).
Molecole dall’atmosfera
Secondo un’ipotesi, la formazione di composti organici semplici sarebbe avvenuta in seguito a reazioni tra i gas presenti nell’atmosfera, a quell’epoca priva di ossigeno e composta essenzialmente da: vapor d’acqua (H2O), diossido di carbonio (CO2, molto abbondante), azoto
(N2), ammoniaca (NH3), e solfuro di idrogeno (H2S); la presenza di metano (CH4), prima
della comparsa della vita, era invece molto scarsa.
Circa i gas vanno fatte due considerazioni.
L’ossigeno cominciò a diventare abbondante nell’atmosfera in seguito alla diffusione degli
organismi fotosintetici a partire da circa 2,2 miliardi di anni fa; se all’inizio fosse stato presente ossigeno, avrebbe demolito per ossidazione le molecole organiche che si fossero formate, impedendone l’esistenza.
Il metano raggiunse concentrazioni rilevanti nell’atmosfera tra 3,5 e 2,5 miliardi di anni fa,
in quanto era prodotto da batteri metanogeni che ebbero grande diffusione tra le più antiche
forme viventi: questi batteri utilizzavano CO2 come fonte di carbonio e il metano era un prodotto del loro metabolismo.
L’energia richiesta per le reazioni chimiche proveniva da varie fonti, in particolare dalle radiazioni ultraviolette del Sole (allora non schermate dallo strato di ozono), dai fulmini e dal
calore localmente liberato nelle eruzioni vulcaniche.
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Il “brodo primordiale”
Le sostanze organiche, una volta formate, si sarebbero disciolte negli oceani primitivi, trascinatevi dalle piogge, formando il cosiddetto “brodo primordiale”; partendo da questa miscela di composti semplici del carbonio, è ragionevole prevedere la successiva formazione di
macromolecole biologiche. Questa ricostruzione “tradizionale” prende le mosse da un’ipotesi avanzata negli anni Venti del secolo scorso dal biochimico russo A.I. Oparin (1894-1980) e
dal biologo inglese J.B.S. Haldane (1892-1964).
Nel 1953 il chimico statunitense Stanley Miller condusse il primo esperimento per verificare questa ipotesi, simulando un’atmosfera primordiale ritenuta probabile costituita da vapor d’acqua, metano, idrogeno e ammoniaca. In un’apparecchiatura da lui ideata, il vapor d’acqua, prodotto da acqua mantenuta in ebollizione, era unito agli altri gas e la miscela gassosa
era sottoposta all’azione di scariche elettriche (che simulavano i fulmini) e fatta continuamente passare in una zona raffreddata; qui il vapor d’acqua condensava, trascinando in soluzione le sostanze organiche eventualmente formatesi, che si sarebbero accumulate nella porzione inferiore dell’apparecchiatura. Dopo pochi giorni l’analisi del liquido raccolto rivelò la
presenza di composti organici derivati dalla trasformazione del metano: tra questi amminoacidi e altre sostanze (quali acido formico e urea) che sono tipici “mattoni” della materia
vivente.
Il modello di atmosfera utilizzato da Miller non è più accettato (la fonte di carbonio è considerato il CO2 e non il metano), tuttavia la validità del suo esperimento è recuperabile assumendo una composizione dell’atmosfera differente. In particolare, si privilegiano attualmente come “culle della vita” gli ambienti in prossimità dei vulcani, dove si producono concentrazioni elevate, oltre che di CO2, di altri gas e di particelle di sostanze solide, che appaiono
candidati più probabili per la sintesi di composti organici (compresi i precursori dei nucleotidi). Vari altri esperimenti confermano che in queste condizioni era possibile la formazione
di molecole base che avrebbero potuto aggregarsi in molecole organiche complesse.
Molecole dal fondo degli oceani
Taluni scienziati indicano come principali fonti di molecole organiche le sorgenti idrotermali sottomarine, note anche come camini idrotermali sottomarini.
Queste sorgenti emettono acqua surriscaldata contenente in soluzione diossido di carbonio
e altre sostanze, tra cui solfuro di idrogeno (fig. 2). Tutt’intorno vivono, nel buio totale, particolari batteri capaci di ricavare composti organici e quindi energia facendo combinare il diossido di carbonio con il solfuro di idrogeno. La presenza di questi batteri (solfobatteri) ha permesso lo sviluppo di una ricca comunità comprendente granchi, molluschi, vermi a forma di
tubo lunghi fino a 3 metri e pesci. Molti studiosi attualmente ritengono che ambienti simili a
quelli delle sorgenti idrotermali possano avere favorito negli oceani reazioni chimiche in grado di produrre composti organici comprendenti molecole prebiotiche.
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Fig. 2.
Un camino idrotermale
sottomarino.
L’acqua emessa
appare scura perché
in essa si trovano
in sospensione minerali
dello zolfo.
Alla sua base si vede
una comunità di vermi
Vestimentiferi.
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Approfondimento
Molecole dallo spazio
Le nubi protostellari, come quella dove si originò il Sole, contengono in genere quantità rilevabili di varie molecole organiche semplici. Le comete e i meteoriti più antichi si sono formati nella nube protosolare: questi corpi minori, che contribuirono alla formazione della Terra, possono trasportare con sé tali molecole e disseminarle sui pianeti dove vanno a precipitare.
Tracce forse riconducibili a composti organici sono state trovate su meteoriti giunti sulla
Terra, anche se permangono dubbi su questa interpretazione. L’attenzione di alcuni studiosi si
è focalizzata soprattutto sulle comete che, in base a recenti analisi compiute a distanza ravvicinata, risultano possedere un carico piuttosto ragguardevole di composti organici semplici.
La Terra ha subito nel lontano passato numerosi impatti di comete e meteoriti che potrebbero averle portato in dote una non trascurabile quantità di materiale organico: questo poteva finire sulle terre emerse e negli oceani, mescolandosi con quello prodotto localmente e seguendone il medesimo destino.
La costruzione delle macromolecole
Una volta confermata la possibilità di formazione di molecole organiche di base nelle condizioni ambientali della giovane Terra, il problema successivo è stato quello di stabilire in che
modo tali molecole si sono unite per formare molecole organiche complesse. Esperimenti
compiuti negli anni Sessanta del secolo scorso hanno dimostrato che la formazione di macromolecole può avvenire spontaneamente se i monomeri di partenza, presenti in soluzione
acquosa, vengono a contatto, a caldo, con la superficie di sostanze minerali, come argilla o
sabbia, e in seguito subiscono essiccamento (cioè l’allontanamento dell’acqua per evaporazione), come accade nelle pozze di marea. Per esempio, riscaldando amminoacidi nelle condizioni descritte ed essiccando il tutto, si è osservata la formazione di molecole per certi versi simili alle proteine, chiamate proteinoidi.
Dagli aggregati di macromolecole alle cellule
È noto che certe molecole biologiche medie e grandi, come i lipidi e le proteine, che possiedono porzioni idrofobiche, tendono spontaneamente ad aggregarsi tra loro quando sono disperse in acqua. È così che si sono potuti formare aggregati organici precellulari di vario tipo; ma in che modo, e questo è il problema cruciale, è avvenuto il passaggio da aggregati di
macromolecole a cellule vere e proprie: a. dotate di enzimi (proteine in grado di promuovere reazioni chimiche vitali), b. delimitate da una membrana e c. capaci di duplicarsi?
Attualmente sono discussi in particolare tre tipi di aggregati che precedettero la cellula, le
microsfere di proteinoidi, i liposomi e i ribozimi, sui quali si imperniano altrettante ipotesi che
privilegiano, in termini di priorità di comparsa: le proteine, cioè il metabolismo; i lipidi, cioè
la delimitazione mediante membrana; l’RNA, cioè la duplicazione.
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Microsfere di proteinoidi
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In una serie di esperimenti, il chimico statunitense Sidney Fox
evidenziò che i proteinoidi, se sono agitati in presenza di acqua,
si riuniscono in microsfere (fig. 3), che sono “vescichette” dotate di talune proprietà enzimatiche e quindi in grado di promuovere reazioni chimiche che permettono loro di svolgere
un sia pur rudimentale metabolismo. Incorporando alla loro
superficie molecole di lipidi, queste microsfere avrebbero in
seguito potuto sviluppare una membrana simile alla membrana cellulare. In un secondo tempo, alcune di queste protocellule
sarebbero riuscite a elaborare al proprio interno molecole di acidi
nucleici acquisendo in tal modo la capacità di duplicarsi.
Fig. 3.
Microsfere costituite
da proteinoidi: si formano quando questi sono agitati con acqua.
Liposomi
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Alcuni sostengono la possibilità che la membrana lipidica si sia formata per prima e che la
protocellula si sia sviluppata in seguito. In presenza di acqua, i fosfolipidi si organizzano
spontaneamente in membrane chiuse su se stesse: queste strutture, chiamate liposomi (fig. 4),
possono essere formate da vari tipi di lipidi. Taluni liposomi, nel chiudersi su se stessi, potrebbero avere incorporato molecole proteiche con capacità enzimatiche e in tal modo si sarebbero sviluppate protocellule.
Fig. 4.
Liposomi che si formano spontaneamente quando molecole di fosfolipidi
sono poste a contatto con l’acqua.
Ribozimi
L’ipotesi secondo cui i primi aggregati precellulari potrebbero essere state molecole di
RNA (acido ribonucleico) si basa su osservazioni compiute negli anni Ottanta del Novecento, che hanno smentito la convinzione precedente che gli acidi nucleici non possedessero capacità enzimatiche e che quindi richiedessero l’ausilio di proteine per esplicare le proprie
funzioni di duplicazione e controllo cellulare. Si è scoperto che certi tipi di RNA, chiamati
ribozimi (unione dei termini “ribonucleico” ed “enzima”), si comportano come enzimi e
quindi sono in grado di fabbricare da sé le proteine necessarie.
Si ritiene che, in certe condizioni, questi ribozimi siano stati in grado di duplicarsi e quindi
possano avere preceduto il DNA in una fase di evoluzione delle prime cellule.
Le tre ipotesi citate, che finora nessuno è stato in grado di dimostrare, hanno comunque un
elemento in comune: tutte assumono che la struttura molecolare di partenza, qualunque possa essere stata, abbia favorito la comparsa delle altre strutture molecolari e delle funzioni
considerate tipiche di una cellula.
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Approfondimento
Dagli esseri unicellulari
agli organismi pluricellulari
I resti fossili più antichi di organismi viventi sono databili a 3,5 miliardi di anni fa: si tratta
di forme simili a batteri, dotati di cellula priva di nucleo (procariote) e in grado di vivere in
assenza di ossigeno (batteri anaerobi); presumibilmente eterotrofi.
Da circa 3 miliardi di anni fa, cominciarono a svilupparsi batteri autotrofi, simili ai cianobatteri, in grado di fabbricarsi in proprio le sostanze organiche necessarie attraverso la fotosintesi, liberando contemporaneamente ossigeno come sottoprodotto. Per oltre 2 miliardi di
anni i cianobatteri e i batteri autotrofi furono i dominatori incontrastati dei mari; le acque si
arricchirono di ossigeno e ciò contribuì a determinare:
– lo sviluppo di organismi aerobici, capaci di utilizzare ossigeno per i propri processi vitali (che divennero più efficienti);
– la comparsa, circa 1,5 miliardi di anni fa, delle prime cellule eucarioti, che ebbero grande diffusione da circa 1,2 miliardi di anni fa;
– il graduale arricchimento dell’atmosfera in ossigeno che andava liberandosi dalle acque
marine. Quest’ultimo fatto ebbe a sua volta un’importantissima conseguenza: la formazione di uno strato di ozono nell’alta atmosfera, in grado di schermare i micidiali raggi ultravioletti; ciò permise per la prima volta ad alcuni organismi di vivere fuori dall’acqua e
di iniziare la conquista delle terre emerse.
Circa 1 miliardo di anni fa comparvero gli organismi pluricellulari, formati dall’unione di
più cellule eucarioti, di piccole dimensioni, che ci hanno lasciato resti fossili evidenti. I più antichi fossili di organismi pluricellulari di dimensioni cospicue sono rappresentati dalla cosiddetta fauna di Ediacara (dal nome di una collina nell’Australia meridionale) e sono costituiti soprattutto da impronte di animali marini, come meduse e vermi (fig. 5), vissuti tra 600 e
570 milioni di anni fa (m.a.f.).
5
a
Fig. 5.
Impronte fossili di due rappresentanti
della fauna di Ediacara:
Dickinsonia costata (a) e Spriggina (b).
b
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Il Paleozoico (“vita antica”):
da 542 a 251 m.a.f.
All’inizio dell’Era Paleozoica (periodo Cambriano) le masse continentali erano suddivise
in quattro blocchi continentali: nell’emisfero settentrionale il continente asiatico, quello europeo e quello nordamericano; nell’emisfero meridionale era già delineato il supercontinente Gondwana (formato da Sudamerica, Africa, India, Australia e Antartide); i blocchi continentali in seguito entrarono più volte in collisione, determinando due successivi importanti
processi di orogenesi.
L’inizio del Paleozoico coincide con la comparsa “improvvisa” di organismi dotati di guscio,
come i trilobiti, i molluschi, le spugne, i foraminiferi e gli echinodermi.
Di grande interesse si è rivelata la fauna fossile rinvenuta in Canada, a Burgess (circa 530 milioni di anni fa), costituita da organismi pluricellulari molto differenziati e complessi (fig. 6).
Fig. 6.
Ricostruzione di un ambiente dell’era Paleozoica: si basa sui fossili trovati
in una formazione di 530 milioni di anni fa a Burgess, in Canada.
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La
storia dei viventi
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Approfondimento
a
Nel periodo Ordoviciano comparvero anche i primi
vertebrati, rappresentati da pesci primitivi corazzati
(fig. 7a), da cui si differenziarono in seguito (periodo
Devoniano) pesci dallo scheletro cartilagineo (antenati
degli squali) e pesci a scheletro osseo, antenati di tutti
gli altri pesci attuali.
Nel frattempo, la maggiore quantità di ossigeno nell’atmosfera consentì dalla fine del periodo Siluriano (410
milioni di anni fa) la prima colonizzazione delle terre
emerse da parte di alghe e successivamente di piante
terrestri, come muschi e felci, e da parte dei primi animali terrestri (scorpioni, miriapodi e insetti).
Nel successivo periodo Devoniano da alcuni pesci si differenziarono i primi anfibi (fig. 7b).
Fig. 7.
a. Ricostruzione di un pesce corazzato, Dinichtys, vissuto
nel periodo Devoniano. Aveva dimensioni gigantesche.
b. Ricostruzione di Ichtyostega, che si ritiene l’antenato
degli odierni anfibi
b
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Verso la fine dell’era Paleozoica (periodo Carbonifero) si svilupparono grandi foreste di felci
arboree, oltre che di piante più complesse come le conifere, dalla cui fossilizzazione si originarono imponenti depositi di carbone; nello stesso periodo comparvero i primi rettili.
Il Paleozoico si concluse con l’estinzione di circa il 95% delle forme di vita presenti sul pianeta. L’evento scatenante più plausibile è un’attività vulcanica molto intensa in Siberia, che
causò un rapido e catastrofico riscaldamento globale tramite emissione di gas serra (diossido
di carbonio e metano) nell’atmosfera, distruggendo la maggior parte delle forme di vita nei
mari e sulle terre emerse.
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Il Mesozoico (“vita di mezzo”):
da 251 a 65 m.a.f.
All’inizio dell’Era (periodo Triassico) la Pangea inizia a frammentarsi nelle due masse continentali, Laurasia a nord e Gondwana a sud, con la graduale apertura dell’oceano Atlantico (lo
smembramento completo della Pangea culminerà al termine dell’Era, nel periodo Cretaceo).
Durante il Mesozoico, il mondo biologico si riprese dalla crisi precedente. Negli oceani si registrò un grande sviluppo di molluschi, tra cui le
ammoniti (fossili guida del Mesozoico, fig. 8).
Nell’ambiente terrestre dominarono i rettili, a partire dal periodo Triassico, con la comparsa di alcuni di dimensioni imponenti, i dinosauri (fig. 9), altri in grado di volare (pterosauri). Alla fine del
Triassico, da un gruppo di rettili (terapsidi) si
differenziarono i primi mammiferi.
Nel periodo Giurassico dai rettili si differenziarono i primi uccelli (fig. 10) e sulle terre emerse cominciarono a diffondersi le angiosperme.
Al termine del periodo Cretaceo si verificò
Fig. 8.
un’imponente estinzione che comportò la scomUn blocco di roccia con alcune ammoniti fossili.
parsa di circa il 50% delle specie allora viventi;
ne furono vittima in particolare i dinosauri, i rettili marini e volanti e le ammoniti. Sembra ormai accertato che questo evento coincise con l’impatto di un meteorite di notevoli dimensioni avvenuto nel Mar dei Caraibi, al largo della penisola dello Yucatan (Messico), che provocò un drammatico sconvolgimento climatico.
10
8
Fig. 10.
A lato, fossile
di Archeopterix.
In basso, sua ipotetica
ricostruzione.
Archaeopterix
è considerato
il precursore
degli uccelli, perché
conservava alcune
caratteristiche tipiche
dei rettili.
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Fig. 9.
Ricostruzione
di Carcharodontosaurus,
un dinosauro che raggiungeva
la lunghezza di 9 m.
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Approfondimento
Il Cenozoico (“vita recente”):
da 65 m.a.f. a oggi
Durante questa era i continenti arrivarono ad assumere la posizione attuale e ciò corrispose
a un’imponente attività orogenetica.
Si assiste alla comparsa e allo sviluppo di specie animali e vegetali (fig. 11) che oggi popolano la superficie terrestre. Dopo l’estinzione dei grandi rettili, si ebbe un grande sviluppo degli
uccelli e soprattutto l’“esplosione” evolutiva dei mammiferi, caratterizzata dallo sviluppo del
cervello, che in alcuni gruppi, come quello dei primati, raggiunse dimensioni notevoli.
Gli antenati della specie umana, i primi ominidi, comparvero circa 5 milioni di anni fa.
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Fig. 11.
Impronta fossile di un rametto di 49 milioni di anni fa (Eocene).
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Il Periodo Neozoico (“vita nuova”)
o Quaternario: da 2,5 m.a.f. a oggi
Ciò che caratterizza questo Periodo è l’instabilità climatica, per cui si alternarono più volte
fasi climatiche fredde con estese glaciazioni e fasi di maggiore riscaldamento (periodi interglaciali). Per l’area alpina sono state individuate almeno sei glaciazioni intervallate da periodi interglaciali. Durante le glaciazioni il livello del mare si abbassa sensibilmente (regressione marina) mentre l’opposto accade durante la fusione dei ghiacci, nei periodi interglaciali (trasgressione marina); di ciò risentirono soprattutto le basse linee di costa, che subirono forti spostamenti in intervalli di tempo relativamente brevi. L’alternanza di fasi glaciali e interglaciali ha
influenzato la distribuzione degli organismi, determinando in conseguenza grandi spostamenti di specie animali (fig. 12).
Si completa l’evoluzione dell’uomo; il suo inizio, fissato intorno a 2 milioni di anni fa, si riferisce alla comparsa nel Pleistocene dei resti fossili più antichi che si possono attribuire al genere Homo, dal cui ceppo evolverà, a partire da circa 200 000 anni fa l’Homo sapiens, da cui discende tutta l’umanità che ora popola la Terra.
L’Olocene segna l’inizio dell’epoca storica della civiltà umana.
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Fig. 12.
Ricostruzione di mammut lanoso (Mammuthus primigenius).
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La
storia dei viventi
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Approfondimento
I fossili e la fossilizzazione
Quando un organismo muore (un albero, una farfalla, un pesce, un topo, un elefante) di
regola scompare subito perché viene divorato, oppure si decompone nell’arco di poche
settimane o pochi mesi, attaccato da miliardi di batteri o di muffe.
Spesso la decomposizione è completa, e allora non resta più alcuna traccia dell’organismo morto, ma a volte non lo è. Le parti dure di un corpo, quali la conchiglia, le ossa e soprattutto i denti, non si decompongono facilmente e, in condizioni opportune, possono
fossilizzare rimanendo riconoscibili per sempre.
Più raramente fossilizzano anche le parti molli del corpo: foglie, pelle di dinosauro, ali di
insetto e perfino vermi marini e meduse possono lasciare nel sedimento ormai pietrificato la propria impronta.
Affinché un corpo fossilizzi è necessario che, appena morto, venga isolato dai predatori
e, possibilmente, dall’ossigeno e dai batteri. Ciò è possibile, di solito, se il corpo viene a trovarsi sul fondo di una palude, di un lago o del mare in cui sia in atto (a causa della torbidità dell’acqua) un’intensa sedimentazione (fig. 13). Le particelle di sabbia, di argilla e di
vario detrito che si depositano continuamente sui fondali ricoprono il cadavere a volte anche prima che le sue parti molli possano andare in decomposizione.
13
1
2
Fig. 13.
Schema di un processo
di fossilizzazione.
1. Un organismo dotato di conchiglia
mineralizzata muore e si deposita sul
fondo del bacino marino in cui viveva.
2. Il corpo viene sepolto da una coltre
di sedimenti. Durante il seppellimento
4
3
avviene la decomposizione delle parti
molli ed eventualmente la mineralizzazione della conchiglia, mentre contemporaneamente avviene la litificazione
del sedimento che lo contiene (diventa
roccia): si ha quindi la fossilizzazione del
resto organico.
3. La successione sedimentaria contenente il fossile viene poi portata in condizioni subaeree per regressione marina
o per processi tettonici.
4. L’erosione superficiale porta alla luce
il fossile.
14
A poco a poco l’organismo morto viene completamente inglobato
nella fanghiglia del fondale. In questo modo viene a trovarsi in un
ambiente praticamente privo di ossigeno, dove i batteri decompositori sono pressoché inattivi. Se la sedimentazione continua, la sabbia
o l’argilla si compattano e, dopo molti anni, finiscono per trasformarsi in roccia (processo chiamato diagenesi).
Nel contempo, a livello dell’organismo morto, avvengono complessi fenomeni fisici e chimici di incrostazione o impregnazione con carbonato di calcio, di riempimento (entrata di sedimento nelle cavità
corporee), di mineralizzazione (la composizione chimica dell’organismo viene cambiata dai sali minerali presenti nell’acqua; fig. 14), di
carbonificazione (foglie e legni vengono trasformati in carbone).
Fig. 14.
Tronco fossile silicilizzato nel deserto del New Mexico (USA).
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La
storia dei viventi
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Tutti questi, e altri ancora, sono fenomeni che causano la fossilizzazione degli organismi o di alcune delle loro parti. Alla fine, al posto dell’organismo morto si trova un materiale solido, chimicamente diverso, ma che riflette stabilmente la forma originaria. I fossili,
quindi, sono resti (ma anche le tracce o le impronte) degli organismi vissuti nel lontano
passato, che si sono conservati entro rocce sedimentarie.
Lo studio dei fossili si chiama paleontologia (letteralmente: studio degli esseri antichi).
Per completezza va detto che esistono anche meccanismi di fossilizzazione che avvengono senza l’intervento dell’acqua.
È il caso dei processi di mummificazione (fig. 15), come quelli avvenuti per quei dinosauri, trovati negli Stati Uniti, in cui la pelle si è pietrificata. Evidentemente tali dinosauri
sono stati ricoperti, appena morti, da sabbie portate dal vento rimanendo così isolati dall’acqua e dall’umidità.
Nel corso di molti anni, le sostanze minerali contenute nella sabbia hanno permesso la
fossilizzazione della pelle.
©Photo: Francis Lattreille/National Geographic.
15
Fig. 15.
Il corpo mummificato
di un piccolo mammut,
rimasto per 37 000 anni
nel terreno congelato
(permafrost) della tundra
artica.
Un altro tipo ben noto di fossilizzazione “a secco” è l’inglobamento di insetti e di altri
piccoli animali nella resina degli alberi. Nel tempo la resina fossilizza diventando dura e
compatta (ambra) conservando intatti gli animaletti che contiene (fig. 16). Si tratta di animali di piccole dimensioni, ma anche il loro studio (micropaleontologia) fornisce informazioni importanti sull’evoluzione dei viventi e sulla storia geografica e geologica di ogni
regione del nostro pianeta.
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Fig. 16.
Due insetti rimasti intrappolati nell’ambra.
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Approfondimento
I fossili guida
Dato che le rocce sedimentarie (calcari, arenarie, argilliti ecc.) si formano sui fondali da
materiale fine depositato nel corso dei millenni, è ovvio che gli strati sedimentari più
profondi sono anche i più antichi. Perciò è possibile sapere se una specie fossile (contenuta in un certo strato) è più antica o più recente di un’altra, semplicemente valutando la
profondità (quindi l’età) della roccia in cui si trova.
Particolarmente indicative a questo riguardo sono le ammoniti, animali le cui specie sono vissute in media per 1-3 milioni di anni. Una volta accertata l’antichità delle varie specie in una sequenza che va dalle più antiche (400 milioni di anni fa) alle più recenti (65 milioni di anni fa), è possibile datare qualsiasi roccia contenente ammoniti identificandone i
fossili presenti nella roccia stessa. Le ammoniti (come molti altri fossili ben studiati) vengono perciò chiamati fossili guida e sono molto utili per lo studio della geologia di una regione (fig. 17).
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Fig. 17.
Ammonite nella roccia.
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La
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I tempi dell’evoluzione
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220 milioni di anni fa
Si ritiene che circa il 99,9% delle specie viventi apparse sulla
Terra, dalle origini a oggi, si siano estinte. Le loro innumerevoli
vicende seguono le tappe di una storia che dura da alcuni miliardi di anni e che si intreccia con la storia geologica della Terra. Dobbiamo, infatti, rammentare che la crosta terrestre è suddivisa in blocchi o placche che si muovono sul mantello sottostante: a causa di questi movimenti di “deriva” i continenti si sono trovati più volte riuniti insieme e in seguito separati tra loro:
circa 240 milioni di anni fa tutti i continenti erano riuniti in un
unico supercontinente, la Pangea, che si è poi fratturato in varie
porzioni distanziatesi progressivamente tra loro fino ad assumere la posizione attuale (fig. 18).
Gli animali e le piante hanno seguito il destino delle placche su
cui venivano a trovarsi, spostandosi insieme a esse e variando la
propria distribuzione geografica. Oltre agli effetti della deriva dei
continenti, dobbiamo considerare quelli connessi alle variazioni
climatiche (come le glaciazioni) e a eventi catastrofici (come la
caduta di grosse meteoriti) che hanno provocato in più occasioni l’estinzione di gran parte degli organismi viventi: tutti questi
fenomeni hanno profondamente segnato la storia della vita sulla Terra e la loro comprensione è fondamentale per ricostruire
sempre più fedelmente il corso dell’evoluzione.
180 milioni di anni fa
65 milioni di anni fa
oggi
Fig. 18.
Ricostruzione delle diverse posizioni assunte in varie epoche geologiche
dalle masse continentali in seguito al movimento di deriva, a partire
dal periodo in cui si trovavano tutte riunite nella Pangea
(circa 220-200 milioni di anni fa).
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Approfondimento
La datazione relativa
Un aiuto straordinario per iniziare a ordinare in senso temporale le testimonianze della
lunga storia trascorsa della Terra, è venuto dallo studio dei fossili, di cui si occupa la paleontologia.
Avvolti dai fanghi del fondale fangoso, questi non sono distrutti né rovinati dall’azione dell’ossigeno disciolto in acqua.
Le rocce sedimentarie entro cui sono conservati i fossili si presentano spesso in strati che
si sono depositati gli uni sugli altri in periodi successivi. Gli ultimi a depositarsi, cioè gli strati più recenti, sono quelli più vicini alla superficie, che si accumulano al disopra degli altri che
sono via via più antichi; i fossili che si trovano nei vari strati possono così essere ordinati cronologicamente, dai più recenti ai più antichi (fig. 19).
Questo criterio di datazione relativa è detto metodo stratigrafico e permise di individuare la sequenza con cui determinate forme di vita si sono succedute nel tempo.
Alcuni fossili sono più utili di altri per datare uno strato roccioso: sono i fossili guida, come per esempio le ammoniti e i trilobiti. Un fossile guida è un organismo vissuto in un ristretto periodo geologico, estinguendosi al termine di questo: medesimi fossili guida permettono di correlare tra loro strati rocciosi presenti in aree geograficamente distanti. Attraverso l’analisi e il confronto di un gran numero di fossili e di rocce, i paleontologi poterono
così stabilire una scala relativa dei tempi geologici.
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Fig. 19.
Lo schema rappresenta come i fossili
più antichi vengano via via ricoperti
da strati di sedimenti
che contengono fossili sempre più recenti.
In questo modo è possibile stabilire
“chi viene prima e chi viene dopo”.
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La datazione assoluta
La datazione secondo il criterio stratigrafico lasciava aperto un problema fondamentale:
non era in grado di assegnare ai vari strati e quindi ai vari fossili un’età espressa in anni. Questo ostacolo fu superato grazie alla scoperta del fenomeno della radioattività (1896), e alla
possibilità di applicare i radioisotopi (1913) allo studio dell’età delle rocce.
La radioattività è dovuta all’esistenza di isotopi di elementi con nuclei atomici instabili detti
radioisotopi. Questi elementi radioattivi presentano tre tipi di emissioni (alfa, beta o gamma)
trasformandosi in elementi differenti stabili. Tale processo, chiamato decadimento radioattivo, si verifica, per ogni radioisotopo, con una velocità costante che è possibile prevedere in
base al cosiddetto tempo di dimezzamento: questo è definito come il tempo necessario perché metà dei suoi nuclei subiscano la trasformazione in atomi di un diverso elemento stabile
(fig. 20).
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Fig. 20.
Utilizzando l’uranio-235 radioattivo, presente in molte rocce, che si trasforma in piombo-207 con tempo
di dimezzamento di 713 milioni di anni, si è potuto stabilire che la Terra si è formata circa 4,6 miliardi
di anni fa.
Se una roccia contiene un radioisotopo, si può ricavare la sua età misurando il rapporto tra
la quantità di radioisotopo ancora presente e la quantità di elemento stabile prodottosi nel decadimento: noto il tempo di dimezzamento e applicando una formula opportuna, si può risalire al tempo in cui la roccia si è formata e quindi stabilirne la datazione assoluta.
Questa tecnica basata sulla misura della radioattività residua è chiamata metodo di datazione radiometrica.
Esistono vari isotopi utilizzabili per datazioni radiometriche; tra queste tecniche, particolarmente nota è quella al radiocarbonio. Si tratta del radioisotopo carbonio-14 che si forma
in piccole quantità nell’atmosfera e lo si ritrova in molecole di diossido di carbonio: questo,
insieme al diossido di carbonio normale (contenente carbonio-12) entra nella rete vivente attraverso la fotosintesi. Finché un organismo è in vita, il rapporto carbonio-12/carbonio-14
nei suoi tessuti rimane costante; dopo la morte la quantità di carbonio-14, che ha un tempo
di dimezzamento di 5370 anni, diminuisce progressivamente nel tempo (il metodo è valido
solo fino a periodi risalenti al massimo a circa 80 000 anni fa).
Altri metodi di datazione assoluta si basano sull’analisi degli strati di ghiaccio e degli anelli di
accrescimento delle piante (dendrocronologia).
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