CAPITOLO VI ITTIOFAUNA IMPERIESE Inquadramento zoogeografico Diverse sono state le posizioni assunte dagli specialisti circa la collocazione delle ittiofaune italiane nel contesto zoogeografico europeo. Esiste un’interpretazione unitaria del distretto italico (Tortonese, 1970) che sembra oggi piuttosto superata. Già Berg (1932) riconosceva invece, secondo una tesi condivisa anche da Arbocco (1966), una provincia mediterranea, all’interno della quale distingueva un distretto rodano/padano ed un distretto italo/greco. Più di recente Gandolfi e Zerunian (1987) hanno proposto una provincia italica suddivisa in due sottoprovince, quella padano veneta e quella italico/peninsulare. In quella che si ritiene la più esauriente analisi zoogeografica dell’ittiofauna italiana Bianco (1987) ha individuato due principali distretti all’interno della provincia italica: il padano/veneto e il tosco/laziale. Secondo questa interpretazione i corsi d’acqua liguri del versante settentrionale, idrograficamente appartenenti al bacino imbrifero padano, fanno parte del distretto padano/veneto, mentre quelli del versante tirrenico, dal Roja fino al Magra escluso (da questo inizia il distretto tosco/laziale), non sembrano ascrivibili a nessuno dei due citati distretti. I torrenti della Liguria tirrenica, così come quelli della Corsica, dell’Elba, della Sardegna e della Sicilia, non apparterrebbero a nessuno dei due distretti perché in essi non vi sono pesci autoctoni primari o primario-simili. Pesci primari sono quelli confinati nelle acque dolci e incapaci di superare la barriera marina (ad esempio i ciprinidi); secondarie sono invece le specie abitualmente dulcicole ma occasionalmente in grado d’effettuare spostamenti in ambiente marino o salmastro (ad esempio i salmonidi). Vi è anche un terzo gruppo di pesci, detti periferici, a migrazione diadroma; tra questi alcune specie, definite primario-simili, nei loro processi di dispersione antica si sarebbero comportate come quelle primarie ed a queste possono venir assimilate dal punto di vista zoogeografico (Gandolfi, Zerunian, Torricelli, Marconato, 1991). Nei corsi d’acqua liguri-tirrenici, dal Roja all’Entella, secondo Bianco non esisterebbero ittiofaune propriamente autoctone in quanto “ nonostante vengano date per autoctone specie come Barbus meridionalis e Leuciscus souffia (Arbocco, 1966), non sembra possibile ricondurre la loro presenza ad eventi naturali. Infatti in caso di captazioni avvenute tra questi e bracci di tributari del Po avremmo dovuto riscontrare forme termofile fredde come Phoxinus e Cottus. L’assenza di comunità riproduttive di lamprede di ruscello e di fiume e la loro presenza in bacini attigui della Francia e dell’Italia suggeriscono una costituzione molto recente dei bacini, o processi d’estinzione di fauna per eventi catastrofici (essiccamento, ricaduta di ceneri vulcaniche o altro). Come avvenuto per Leuciscus cephalus e Barbus plebejus (Arbocco, 1966) anche il vairone ed il barbo canino potrebbero essere specie alloctone nei bacini in oggetto “. Per ciò che più specificamente attiene alle acque imperiesi occorre pertanto operare la seguente distinzione: il Tanaro e i suoi tributari, appartenenti al bacino del Po, sono da attribuire al distretto padano/veneto, del quale presentano effettivamente due specie caratteristiche (Cottus gobio e Salmo marmoratus); i tributari tirrenici non sono assegnabili ad alcun distretto zoogeografico non ospitando popolamento ittico propriamente autoctono. Distribuzione delle specie ittiche Famiglia CYPRINIDAE Il carattere nettamente torrentizio dei corsi d’acqua imperiesi, nei quali mancano sostanzialmente tipologie di habitat riconducibili alla zona dei ciprinidi potamofili/limnofili (d’acqua lenta o ferma e a ovodeposizione fitofila), fa si che il popolamento ciprinicolo esistente sia composto esclusivamente da specie reofile (d’acqua corrente e a deposizione litofila). - Leuciscus cephalus = Cavedano Secondo Arbocco (1966) l’introduzione del cavedano nei corsi d’acqua liguri tirrenici, a ponente del Magra, risalirebbe a circa un secolo fa. Pesce estremamente versatile, il cavedano ha colonizzato tutte le acque ciprinicole, esercitando assai probabilmente una certa azione competitiva nei confronti del vairone, rispetto al quale è molto più aggressivo e resistente al degrado ambientale. Nelle acque imperiesi esso è presente e comune in tutti i principali bacini, ad esclusione di quello del Tanaro, del quale soltanto la porzione superiore, totalmente troticola, ricade nel territorio d’Imperia. - Leuciscus souffia = Vairone E’ la specie ancora più diffusa nelle acque imperiesi e liguri. In ambienti prettamente ciprinicoli il vairone sembra in regresso a vantaggio del cavedano ma, diversamente da quest’ultimo, è in grado di prosperare anche nelle parti inferiori delle zone troticole, occupando così un areale di distribuzione più esteso. Nell’imperiese è assente soltanto nel bacino del Tanaro. - Phoxinus phoxinus = Sanguinerola 2 Specie tipica del distretto padano/veneto; in Liguria è però poco comune anche nei corsi d’acqua del bacino padano. In provincia d’Imperia è presente solamente nell’intero torrente Bevera e nella parte terminale del Roja, in quantità significativa. La sua diffusione locale, senz’altro recente, origina da popolazioni insediatesi in bacini lacustri in territorio francese. Da questi le sanguinerole si sono poi irraggiate a valle, in seguito anche a svasi. La costituzione di popolazioni di sanguinerola in bacini lacustri montani, artificiali e naturali, anche a quote elevate, è un fenomeno piuttosto frequente, particolarmente nelle Alpi Marittime, derivante dal rilascio di pesci vivi da esca. - Barbus plebejus = Barbo Il barbo comune, dopo il vairone e il cavedano, è la terza specie ciprinicola a maggior diffusione ed abbondanza nelle acque imperiesi (assente solo nel Tanaro) nelle quali, così come in tutta la Liguria a ponente del Magra, è stato introdotto circa un secolo fa. - Barbus meridionalis = Canino Questo pesce, il più reofilo tra i ciprinidi, predilige i corsi d’acqua con caratteristiche di transizione tra zona troticola e zona ciprinicola. E’ meno comune e diffuso del suo congenere, nel confronto del quale risulta assai più sensibile verso gli inquinamenti e le alterazioni dell’ habitat. Nell’imperiese è presente nei bacini del Roja (soprattutto nell’alto Bevera, dove appare in netto aumento rispetto ai campionamenti del 1994), dell’Argentina e dell’Arroscia. Famiglia SALMONIDAE La sistematica delle trote presenti sul territorio italiano è tuttora in discussione, soprattutto per quanto riguarda le forme autoctone, trota marmorata Salmo marmoratus e cosiddetta trota di ceppo mediterraneo Salmo macrostigma (trutta?). Per l’imperiese queste due forme interessano esclusivamente il bacino del Tanaro. - Salmo trutta = Trota fario La trota comunemente chiamata fario (termine privo di alcun valore tassonomico ma accettabile, per consuetudine, se riferito alle comuni trote di torrente, con tipica livrea a punti rossi e neri) è ampiamente distribuita in tutte le acque italiane, quindi anche imperiesi, aventi caratteristiche ecologiche (soprattutto temperatura e ossigenazione dell’acqua) ad essa confacenti. Tale diffusione è ovunque dovuta alle sistematiche immissioni su larga scala. Le popolazioni di questo pesce, il più importante dal punto di vista alieutico e quindi sottoposto ad intensissima pressione di pesca, sono infatti da considerarsi semi-naturali, in quanto raramente risultano strutturate e in grado di mantenersi con la sola riproduzione naturale ma devono essere sostenute con regolari immissioni di novellame proveniente da allevamenti (vedere capitolo sui ripopolamenti). 3 Queste trote, cosiddette di ceppo atlantico, appartengono alla forma nominale Salmo trutta, non autoctona in Italia ma originaria dei paesi nord europei (importata soprattutto dalla Danimarca), introdotta nelle troticolture italiane e quindi diffusa nelle acque pubbliche ormai da quasi un secolo. Queste trote hanno in gran parte soppiantato, per competizione diretta o, più frequentemente, per introgressione genetica le trote autoctone. - Salmo marmoratus = Trota marmorata E’ la trota autoctona del bacino padano. Questo importante taxon endemico, in precedenza ritenuto sottospecie di Salmo trutta, attualmente viene prevalentemente considerato buona specie. Si tratta di un’entità faunistica in grave crisi, soprattutto per problemi d’introgressione genetica con le trote fario d’immissione e per le gravi condizioni di degrado e manomissione in cui diffusamente versano i suoi habitat. Questo pesce, assolutamente meritevole della massima protezione, sopravvive ancora, per quanto pesantemente minacciato, nell’alto Tanaro e Tanarello (nel 1994 e nel 2002 osservati solo soggetti ibridi). Negli anni passati la marmorata era stata anche introdotta nel Roja (campionamenti 1994), dove però non sembra essersi ambientata. - Salmo macrostigma? = Trota mediterranea Anche questa trota, oggetto ancora di controversie tassonomiche, è ritenuta da alcuni una forma di Salmo trutta, mentre altri tendono ad attribuirla a Salmo macrostigma. E’ una forma presente, con livree piuttosto eterogenee, in diverse zone dell’area nord-mediterranea, tra le quali l’arco alpino occidentale e l’Appennino ligure. Essa si rinviene ancora frequentemente nel cuneese (soprattutto alto bacino dello Stura di Demonte, tributario del Tanaro) e nel torinese (alto Chisone e alta Dora Riparia). La carta ittica regionale piemontese la indica come probabile anche nell’alto Tanaro. Popolazioni liguri sono segnalate nell’alto Vara e nel rio Baracca (tributario dell’Orba). La presenza di questo pesce nel Tanaro/Tanarello, non evidenziata (almeno a livello di livrea) nel corso dei campionamenti 2002 andrebbe più approfonditamente indagata, nel contesto di un fiorire di studi sulla specie, anche col supporto di tecniche genetiche (elettroforesi delle proteine, DNA mitocondriale, microsatelliti). - Oncorhynchus mykiss = Trota iridea E’ la comune trota d’allevamento, originaria del versante pacifico del nord America ma introdotta in Italia da più di un secolo. Essa molto difficilmente è in grado di riprodursi naturalmente nei nostri ambienti ma viene diffusamente immessa in acque pubbliche, con soggetti di taglia pescabile, soprattutto per manifestazioni agonistiche. Questi soggetti vengono 4 rapidamente prelevati e pochissimi di loro riescono a sopravvivere in natura per qualche tempo. La specie non può pertanto neppure essere considerata facente parte della nostra ittiofauna. Famiglia THYMALLIDAE - Thymallus thymallus = Temolo Questa pregiata specie non faceva parte dell’ittiofauna ligure, popolando originariamente soltanto i corsi d’acqua padano/veneti del versante alpino. A partire dagli anni sessanta se ne è tentata a più riprese l’introduzione in Liguria, ottenendo dei risultati solo nell’Aveto e nel Roja. In quest’ultimo ne era stata riscontrato la presenza (con riproduzione naturale) anche nel corso dei campionamenti del 1994. Nel 2002 la specie non è stata più rinvenuta nel Roja. Famiglia COTTIDAE - Cottus gobio = Scazzone E’ una piccola specie bentonica d’acqua fredda tipica del distretto padano/veneto, frequentatrice della zona a trote. Lo scazzone è però segnalato, con relevamenti a macchia di leopardo, anche in alcune zone dell’Appenino centro-settentrionale. Si tratta di un pesce di scarso rilievo per la pesca ma di grande significato ecologico. Nell’imperiese è presente soltanto nell’alto bacino del Tanaro. Famiglia BLENNIDAE - Salaria fluviatilis = Cagnetta Questo piccolo pesce bentonico, di nessuna importanza per la pesca ma di interesse naturalistico, è l’unico blennide d’acqua dolce, stretto parente delle bavose di mare. Un tempo era comune nei tratti terminali dei principali corsi d’acqua liguri-tirrenici. Nel 1994 era stato ancora rinvenuto nel Roja, mentre nel 2002 sembra ormai estinto, così come in precedenza è già successo quasi ovunque (probabilmente è ancora presente solo nel basso Magra). Unica causa della sua scomparsa sono gli interventi idraulici di disalveo susseguitisi negli ultimi anni, devastanti dal punto di vista ambientale. Famiglia GASTEROSTEIDAE - Gasterosteus aculeatus = Spinarello Questo piccolo pesce è assai noto per la corazza di placche ossee e per le spine dorsali e pettorali che lo proteggono, nonché per la rutilante livrea riproduttiva del maschio e per le cure parentali da questo esercitate ( costruzione e difesa di un vero e proprio nido). Lo spinarello era un tempo presente nei tratti terminali dei principali corsi d’acqua liguritirrenici. Ormai sembra ovunque estinto, salvo che nel Magra. Nel Roja, dove la sua presenza era storicamente documentata (Arbocco, 1966), risultava scomparso già in occasione dei 5 campionamenti del 1994. Anche in questo caso l’estinzione è dovuta alla distruzione del particolare habitat della specie (pozze nelle zone di esondazione). Famiglia ANGUILLIDAE - Anguilla anguilla = Anguilla L’anguilla, migratore catadromo, risale in quantità sempre minore i corsi d’acqua imperiesi, dove trascorre la sua lunga fase trofica per poi ridiscendere in mare a compiere il proprio ciclo riproduttivo. La sua risalita risulta ancora significativa soprattutto nel Roja e nell’Arroscia. Famiglia MUGILIDAE - Liza saliens = Muggine musino Tra i pesci marini eurialini in grado di compiere periodiche risalite trofiche nei corsi d’acqua tirrenici con significativa portata idrica fino al mare sono stati rinvenuti nel basso Roja, nel corso dei campionamenti sia del 1994 che del 2002, numerosi soggetti di muggine musino. Non è escluso che qualche altro muggine, ad esempio il muggine calamita (Liza ramada), possa compiere occasionali risalite nel Roja o, quando esistano idonee condizioni di portata idrica,in qualche altro torrente imperiese. Fattori di modificazione dell’ittiofauna Rispetto a quanto osservato nei campionamenti del 1994 la recente indagine ittiologica ha confermato, nella sostanza, le caratteristiche generali dell’ittiofauna dulcicola imperiese, contraddistinta da: a) predominanza nettissima di buone comunità a ciprinidi di corrente nei tratti medio-bassi dei corsi d’acqua (salvo nelle degradate aste terminali), b) comunità ittiche miste ciprinicolo/troticole nelle poco estese zone di transizione, c) popolazioni di trota fario nelle parti alte dei bacini; in genere queste non sono abbondantissime e, per lo più, risultano solo parzialmente strutturate. La sopravvivenza di queste popolazioni di trote sembra per lo più dipendere dalle regolari immissioni di novellame. In tal senso pare significativa la sostanziale scomparsa delle trote (relativamente abbondanti nei campionamenti del 1994) dall’alto Bevera imperiese, con il corrispondente netto incremento della comunità ciprinicola reofila, evidentemente per sua natura più consona a quell’habitat. Rispetto ad altre zone della Liguria in provincia d’Imperia sembrano meno vistose le alterazioni fisiche dei corsi d’acqua derivanti dal ripetersi di alluvioni rovinose e dai successivi interventi di disalveo. Tuttavia non mancano esempi assai negativi. Il più clamoroso riguarda il Roja, dove il 6 completo azzeramento dell’habitat naturale nell’asta terminale del fiume ha portato, nel volgere di meno di un decennio, alla scomparsa di due specie (temolo e cagnetta), mentre una terza (spinarello) risulta scomparsa da più tempo, sempre per la distruzione del suo habitat. Altri esempi di degrado ambientale rilevante, con severa rarefazione del popolamento ittico, per eventi alluvionali e interventi di sistemazione idraulica sono rappresentati dal basso Oxentina e dal medio Armea. Invece l’artificializzazione dell’alveo e gli apporti inquinanti costituiscono purtroppo, nei tratti terminali dei corsi d’acqua scorrenti nella fascia d’intensa antropizzazione costiera, un dato ormai storico, aggravato dalla cronica penuria d’acqua. Anche per questo motivo appare in progressiva riduzione la risalita di anguille dal mare. Una nuova minaccia per il precario equilibrio biologico degli ecosistemi torrentizi imperiesi è rappresentata dall’insendiamento di nuove centraline idroelettriche, incentivate dalla vigente normativa sulle fonti energetiche rinnovabili (in Italia, di fatto, costituite quasi esclusivamente dalla risorsa idrica). Queste centraline esercitano prelievi proporzionalmente rilevantissimi su piccoli corsi d’acqua dalle modeste portate, completando il quadro già preesistente di enormi prelievi sui corpi idrici più importanti, per scopi idropotabili, irrigui e idroelettrici maggiori. Appare comunque fuori di dubbio che la priorità assoluta per la salvaguardia dell’ittiofauna è la tutela degli ambienti acquatici; infatti in un habitat degradato non potranno essere le immissioni di pesci a preservare i popolamenti ittici e la pesca. Le immissioni possono anzi costituire, a loro volta, una non trascurabile causa di modificazione dell’ittiofauna naturale. Predazione da uccelli ittiofagi. Tra le ragioni di diminuzione della fauna ittica sempre più frequentemente viene messa in prima fila la predazione esercitata dagli uccelli ittiofagi, in particolare dal cormorano e da alcuni ardeidi. Sicuramente negli ultimi anni è andato crescendo in maniera vistosa il numero di questi predatori non solo in Liguria, ma in tutta Italia. Tra gli ardeidi il più comune è l’airone cinerino (Ardea cinerea), presente in permanenza nei nostri territori con picchi di maggior frequenza nei periodi invernale e primaverile, mentre l’airone bianco maggiore (Egretta alba), la cui presenza sembra in aumento, è di passo invernale. La predazione degli aironi si esercita, da parte di soggetti isolati, preferibilmente sui pesci di taglia media (50/200 grammi). L’airone non s’immerge nell’acqua, pertanto il raggio d’azione della sua caccia d’attesa è limitato ad ambienti con acqua poco profonda (al massimo una 7 trentina di centimetri), come i raschi dei torrenti, nei quali però risulta micidiale, particolarmente per le trote. Molto più vistosa e, invece, la predazione dei cormorani ( Phalacrocorax carbo sinensis), che nei nostri territori sono svernanti. Essi sono infatti abilissimi tuffatori e nuotatori subacquei che cacciano in gruppo, anche in acque profonde qualche metro e predano pesci fino ad oltre mezzo chilo di taglia, prediligendo soprattutto le specie gregarie, come i ciprinidi. Si è calcolato che il loro fabbisogno alimentare giornaliero sia di circa mezzo chilo di pesce pro capite (nel calcolo del danno da loro arrecato va però anche inclusa una certa quantità di pesce ferito, destinato a morte successiva). La ragione per cui il numero di cormorani è andata crescendo esponenzialmente negli ultimi anni è la seguente. Il cormorano, soprattutto la sottospecie continentale “sinensis”, è stato sempre cacciato in tutta Europa in quanto dannoso per la pesca e la piscicoltura, tanto che negli anni settanta in Danimarca (attualmente zona di maggiore densità di popolazione nidificante) erano sopravvissute poche colonie nidificanti. La Direttiva CEE 409/79 ha imposto la sua protezione come specie minacciata. Questo provvedimento ha prodotto un incremento rapidissimo della popolazione europa continentale, che sembra attualmente ammontare a oltre 500.000 individui svernanti (le colonie nidificanti in Danimarca sono salite da 2.000 nel 1980 a 29.000 nel 1991). Si è calcolato che in Italia la popolazione svernante sia passata da meno di 3.000 individui nei primi anni ottanta a oltre diecimila nel 1987, a 60.000 nel 2000! E’ dunque indiscutibile che la proliferazione incontrollata di questo predatore ponga effettivamente seri problemi di tutela ittiofaunistica, oltre che di danno alle attività di piscicoltura; infatti nel 1997 il cormorano della sottospecie continentale sinensis è stato escluso dall’elenco europeo delle specie i cui habitat devono costituire oggetto di misure speciali di conservazione e ora si attende il suo probabile inserimento tra le specie cacciabili. E’ stato poi avviato un progetto europeo di monitoraggio denominato REDCAFE, che intende censire la consistenza delle popolazioni nidificanti e svernanti nel continente e valutare l’entità del loro impatto sulla fauna ittica naturale e allevata. Da questa ricerca dovrebbero derivare linee guida europee per una gestione continentale del problema; infatti interventi puntiformi e sporadici, come le campagne di abbattimento effettuate localmente, pare non sortiscano effetti risolutivi, in quanto le perdite vengono ben presto reintegrate da soggetti provenienti da zone limitrofe, che vanno ad occupare i nuovi areali disponibili. L’impatto della predazione da uccelli ittiofagi risulta comunque amplificato dove i pesci non abbiano a disposizione un adeguato numero di ricoveri per rifugiarsi. Gli incalzanti interventi di artificializzazione, spianamento e uniformazione degli alvei, con rimozione dei massi e 8 banalizzazione del substrato di fondo e delle sponde, vengono perciò a costituire, anche sotto questo aspetto, un gravissimo fattore di destabilizzazione dell’ecosistema. 9