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Economia degli intermediari finanziari 2e
Loris Nadotti, Claudio Porzio, Daniele Previati
Copyright © 2013 – McGraw-Hill Education (Italy) srl
Approfondimento 2.1w - Le tendenze evolutive di lungo periodo dei sistemi finanziari
In un suo famoso lavoro Goldsmith (1969) sottopone a un’attenta analisi la morfologia del sistema finanziario di
numerosi Paesi per cercare di rispondere ad alcune domande fondamentali quali: è possibile identificare tendenze
comuni e, in particolare, una relazione stabile fra le caratteristiche strutturali e funzionali di un sistema finanziario e
lo sviluppo economico del Paese in cui esso opera? Si possono individuare tendenze omogenee nell’evoluzione di
lungo periodo dei sistemi finanziari? In base a quali criteri si possono confrontare strutture morfologiche diverse?
E, infine, esistono morfologie di intermediazione astrattamente ottimali?
Goldsmith ha così elaborato un ampio progetto di ricerca disegnato, nella seconda metà degli anni trenta, dallo
statunitense National Bureau of Economic Research per fornire una verifica empirica a favore di un’impostazione
teorica alternativa a quella tradizionale, che non riusciva a “giustificare” l’esistenza degli intermediari in una
visione marginalista del funzionamento dell’economia di mercato. Applicando la propria strumentazione
all’enorme massa dei dati raccolti su numerosi sistemi in tempi storici diversi, Goldsmith ha ritenuto di poter
fornire un’interpretazione scientificamente attendibile dello sviluppo della struttura finanziaria.
Gli indicatori di sintesi relativi alla struttura finanziaria di un Paese elaborati da Goldsmith sono:
(a) rapporto fra volume complessivo degli strumenti finanziari esistenti e ricchezza finanziaria e reale (FIR,
Financial Interrelation Ratio), definito anche “grado di intensità finanziaria”, il quale misura l’incidenza delle
grandezze finanziarie rispetto a quelle reali;
(b) rapporto fra emissioni totali (flussi di passività di tutti i settori) e PIL (ANIR, Aggregate New Issue Ratio), altro
indicatore di intensità finanziaria basato sui flussi e non sugli stock, il cui utilizzo consente di evitare i problemi
connessi alla stima della ricchezza nazionale (e alla sua comparabilità nel tempo e nello spazio);
(c) rapporto (in termini di stock o di flussi) fra le attività finanziarie di tutti gli intermediari e le passività
complessive dei settori utilizzatori finali (FIN, Financial Intermediation Ratio), definito anche “indice
dell’intensità finanziaria”, il quale misura l’importanza degli intermediari in un determinato sistema;
(d) rapporto (in termini di stock o di flussi) fra le attività finanziarie acquisite dalle banche e quelle complessive
degli intermediari (numeratore del rapporto (c)), il quale definisce il grado di intermediazione bancaria.
Nello specifico, la ricerca ha evidenziato:
• la tendenza alla crescita del rapporto fra ricchezza finanziaria e ricchezza reale, particolarmente intensa in
coincidenza con il processo di industrializzazione. Successivamente, la crescita di tale rapporto tende a
stabilizzarsi, fino al raggiungimento di un limite superiore (indicativamente 1,50) quando la struttura economica
sottostante quella finanziaria raggiunge un livello che si può definire di maturità;
• la proporzionalmente maggiore crescita delle attività finanziarie emesse dagli intermediari, poiché nella fase di
decollo economico sono questi, e soprattutto le banche, ad assumere il peso prevalente del finanziamento
dell’economia;
• l’ampliarsi delle dimensioni del sistema finanziario e la diversificazione dei fabbisogni dell’economia (sia dal
lato delle unità in surplus sia dal lato delle unità in deficit) che rendono possibile la differenziazione delle
funzioni e il sorgere di intermediari specializzati provocando una progressiva estensione della gamma di
strumenti e di intermediari finanziari.
Questa graduale erosione del monopolio bancario a favore degli altri intermediari comporta un ampliamento della
struttura finanziaria del Paese, una crescita del FIR e una diminuzione dei differenziali nei tassi di interesse tra
settori e aree all’interno di un Paese.
L’articolazione del sistema finanziario per tipologie di intermediari (per esempio, la relazione fra mercati e
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intermediari) non è esplicitamente al centro della ricerca di Goldsmith, anche se la sua analisi confuta la validità
della contrapposizione tra sistemi orientati ai mercati (tipicamente, quelli anglo-americani) e sistemi orientati agli
intermediari (tipicamente, quelli dell’Europa continentale, in particolare la Germania) e la conseguente “teoria
evoluzionistica” secondo la quale i mercati sarebbero un allocatore ottimale di risorse e in tutti i Paesi dovrebbe
esserci una tendenza di lungo periodo al progressivo loro rafforzamento a scapito degli intermediari. Non vi è
quindi una sorta di evoluzione darwiniana verso un modello “geneticamente superiore” (quello anglo-americano)
basato sui circuiti diretti, la quale è invece smentita dai fatti.
Prescindendo da ulteriori approfondimenti, ai fini della migliore comprensione del tema dell’esistenza degli
intermediari sembra opportuno ribadire che:
• il modello finanziario dominante in una determinata situazione storica è elemento fondamentale di un equilibrio
più generale dal quale non può essere separato, e perciò non ne esiste uno astrattamente superiore che possa
essere pedissequamente trapiantato da un Paese all’altro;
• anche nei sistemi “orientati ai mercati” non sempre le imprese ottengono la quota prevalente del finanziamento
esterno dal mercato finanziario, le cui imperfezioni sono ancora tali da far prevalere strutture finanziarie basate
sull’autofinanziamento rispetto al finanziamento esterno (con un peso rilevante assunto, in questo caso, dalle
banche).
Senza pretesa di completezza e sistematicità, alcuni degli elementi che hanno contribuito all’evoluzione degli ultimi
decenni (la quale ha ulteriormente messo in evidenza i nessi di complementarità, non di concorrenza, fra banca e
mercato) possono essere individuati in:
• crescente necessità delle banche di emettere non più solo titoli obbligazionari ma anche titoli azionari per
assolvere ai nuovi obblighi di regolamentazione del capitale, con il conseguente progressivo spostamento verso
il modello della public company quotata; pertanto, anche le banche devono sottostare alle regole e alla corporate
governance del mercato, come tutte le altre imprese che emettono titoli diffusi presso il pubblico;
• espansione dei mercati dovuta all’innovazione tecnologica e finanziaria, la quale ha rafforzato l’importanza degli
intermediari che assistono le unità in surplus e le unità in deficit nello scambio diretto (perciò definito “scambio
diretto assistito”): dunque banche e investitori istituzionali sono stati insieme protagonisti, nel bene e nel male,
dell’evoluzione finanziaria più recente.
Si è quindi trattato di un’evoluzione dell’attività bancaria elementare (prestiti-depositi), non della scomparsa tout
court della banca, con la progressiva affermazione del modello di intermediazione, oggi prevalente e accolto dalla
regolamentazione comunitaria, basato sulla banca universale e quindi sulla complementarità fra banca e mercato.