metaboliti secondari e proprietà nutraceutiche

A05
50
Carmine Negro Antonio Miceli
METABOLITI SECONDARI
E PROPRIETÀ
NUTRACEUTICHE
caratteristiche nutraceutiche
di alcune specie vegetali salentine
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ARACNE editrice S.r.l.
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via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
isbn 978–88–548–3906–9
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di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: marzo 2011
Indice
7
Presentazione
9
Capitolo I
Definizioni e concetti generali
1.1. Nutraceutico ed alimento funzionale, 9 – 1.2. Alimenti prebiotici, 10 –
1.3. Alimenti probiotici, 12
15
Capitolo II
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo
2.1. Metaboliti secondari o phytochemical, 16 – 2.2. Cenni sulla biosintesi
dei phytochemical, 18
47
Capitolo III
Attività biologica e disponibilità dei phytochemical
3.1. Sostanze fenoliche, 47 – 3.2. Terpenoidi, 57 – 3.3. Composti solforati,
66
71
Capitolo IV
Determinazione delle proprieta dei phytochemical
4.1. Attività antiossidante, 71 – 4.2. Antiossidanti e metodi per il loro
studio, 77 – 4.3. Attività antinfiammatoria, 87 – 4.4. Attività
antiproliferativa, 92
5
6
95
Capitolo V
Ecotipi vegetali salentini: proprieta nutraceutiche
5.1. Melograno, 96 – 5.2. Carota, 110 – 5.3. Pomodoro da serbo, 119 – 5.4.
Cicoria di Galatina, 127 – 5.5. Gelso nero, 130
137
Capitolo VI
Metodi analitici
6.1. Determinazione del pH, contenuto in sostanza secca e ceneri, 137 –
6.2. Determinazione del contenuto in zuccheri semplici, 137 – 6.3.
Determinazione del contenuto in acidi organici, 138 – 6.4. Determinazione
delle sostanze fenoliche totali, 140 – 6.5. Estrazione e determinazione di
luteina, !-carotene e licopene nel pomodoro, 141 – 6.6. Estrazione e
determinazione dei polifenoli nel pomodoro, 141 – 6.7. Estrazione e
determinazione dei carotenoidi nelle carote, 142 – 6.8. Estrazione e
determinazione delle antocianine nelle carote, 143 – 6.9. Estrazione e
determinazione delle antocianine nel melograno, 144 – 6.10.
Determinazione dell’attività antiossidante, 144 – 6.11. Determinazione
dell’attività antinfiammatoria, 148 – 6.12. Analisi statistica dei dati, 151
153
Conclusioni
157
Bibliogra!a
Presentazione
Negli ultimi anni il settore alimentare è stato caratterizzato da una
rivalutazione, alquanto contraddittoria, di: a) prodotti tradizionali e/o
tipici, più o meno garantiti da marchi che ne dimostrano il legame con
il territorio; b) prodotti “plus”, arricchiti con molecole o estratti, in
grado, a torto o a ragione, di favorire un corretto metabolismo,
ritardare l’invecchiamento cellulare etc.; c) prodotti “minus” (o low o
light) nei quali sono stati rimossi o sostituiti alcuni componenti per
soddisfare specifiche esigenze dei consumatori. Tutto ciò ha portato a
dimenticare che molte “vecchie” materie prime o “vecchi” alimenti
sono in grado di soddisfare tutte le esigenze dei consumatori e
contengono naturalmente le sostanze impiegate come additivi nei
prodotti plus; queste sostanze, largamente diffuse nei nostri prodotti
alimentari, in particolare in quelli di origine vegetale, svolgono ruoli
biologici significativi tanto da essere in grado di migliorare lo stato di
benessere e della salute e ridurre il rischio di malattie, e per questo
sono definite “nutraceutiche”.
Gli effetti dei composti di origine vegetale, che nelle piante
svolgono importanti funzioni ecologiche utili per la competizione e la
sopravvivenza delle specie, sono estremamente disomogenei sia in
termini chimici che funzionali, ma sono accomunati dall’avere un
basso peso molecolare e dal non poter essere sintetizzate dall’uomo
sul quale esplicano generalmente un’azione sinergica o
complementare con altre sostanze. Specie vegetali minori o specie e/o
7
8
varietà oramai non più coltivate, perché non apprezzate dal mercato o
perché ritenute poco produttive, rappresentano una riserva naturale di
composti nutraceutici e potrebbero essere adeguatamente valorizzate e
di conseguenza ritrovare la diffusione che avevano, ad esempio nel
Salento, fino a pochi anni fa.
Dalla rilevanza dell’argomento, che ha enormi prospettive
applicative, consegue l’importanza di questo ottimo volume che
rappresenta sia un utile strumento didattico a livello Universitario che
una fonte di aggiornamento per gli operatori del settore
agroalimentare.
Prof. Luigi De Bellis
Università del Salento
Capitolo I
Definizioni e Concetti Generali
1.1 Nutraceutico e alimento funzionale
Studi effettuati da numerose multinazionali hanno evidenziato un
incremento nella domanda di alimenti capaci di migliorare lo stato di
salute o di diminuire il rischio di patologie croniche,
contemporaneamente alla crescente domanda di integratori derivati
proprio da questo tipo di alimenti (Menrad, 2003). In risposta a questo
fenomeno, recentemente, sono stati commercializzati sotto forma di
prodotti “simil farmaceutici” (pillole, capsule, polveri solubili, ecc.)
gli estratti contenenti i principi attivi di molti alimenti ma, siccome
questi prodotti non possono essere considerati né cibo né farmaci, è
stato coniato appositamente il termine di nutraceutici (De Felice,
1989) ciò proprio per descriverne la loro natura “ibrida”. Un
nutraceutico può essere definito come un “alimento-farmaco” ovvero
un prodotto che associa a componenti nutrizionali selezionati per
alcune caratteristiche, quali l’alta digeribilità e l’ipoallergenicità, le
proprietà curative di principi attivi naturali ottenuti spesso da piante
(phytochemical) di comprovata e riconosciuta efficacia oppure
sostanze ad attività prebiotica o microrganismi in grado di giungere
vivi nell’intestino (probiotici). In particolare, quindi, i nutraceutici,
utilizzati allo scopo di migliorare o preservare lo stato di salute, sono
prodotti che contengono in forma concentrata i composti bioattivi
naturalmente presenti negli alimenti in dosi spesso superiori a quelle
ottenibili con la normale alimentazione, commercializzati spesso in
9
Capitolo I
10
una matrice non alimentare (Zeisel, 1999). Questi prodotti sono
regolamentati dalla Food and Drug Administration (FDA)
Statunitense, mentre l’UE non ha ancora regole specifiche in questo
campo.
Un altro aspetto dell’utilizzo di queste sostanze sono gli alimenti
funzionali; un alimento può essere considerato funzionale se dimostra
in maniera soddisfacente di avere effetti positivi su una o più funzioni
specifiche dell’organismo, che vadano oltre gli effetti nutrizionali
normali, in modo tale che sia rilevante per il miglioramento dello stato
di salute e di benessere e/o per la riduzione del rischio di malattia
(International Life Sciences Institute, Ilsi.org). La normativa europea
(REG. CE n. 1924 del 20.12.2006) pienamente in vigore dal luglio
2009, obbliga i produttori di questi alimenti a provarne
scientificamente le presunte caratteristiche benefiche sulla salute
(claims).
Schematicamente si possono distinguere tre tipologie principali di
alimenti funzionali: prebiotici, probiotici e basati sui phytochemical.
1.2
Alimenti prebiotici
Un alimento può essere definito prebiotico quando contiene almeno
un ingrediente alimentare non digeribile dall’organismo umano in
grado di arrecare effetti favorevoli alla salute, grazie alla capacità di
stimolare selettivamente la crescita di uno o più microrganismi
benefici. Principali caratteristiche di un prebiotico sono: (a) non essere
né idrolizzato né assorbito nella parte superiore del tratto
gastrointestinale; (b) essere in grado di modificare la flora microbica
del colon a favore di una composizione più salutare; (c) indurre effetti
a livello del lume intestinale o effetti sistemici che siano di beneficio
per la salute dell’ospite. Alcuni esempi di prebiotici sono: inulina (da
radici di cicoria), xiloligosaccaridi (dall’idrolisi di xilani di cereali),
oligosaccaridi della soia (SOS) (da soia), galatto-oligosaccaridi (GOS)
(dalla galattosilazione del lattosio), condensati di palatinosio (PC) (dal
riarrangiamento enzimatico di saccarosio), isomaltoligosaccaridi
(IMO) (dalla transglucosilazione del maltosio), fruttoligosaccaridi
Definizioni e concetti generali 11
(FOS) (da cereali, vegetali, idrolisi inulina, transfruttosilazione del
saccarosio), lattitolo e lattulosio (da sintesi chimica)
Ingredienti con attività prebiotica possono essere aggiunti ad una
vasta gamma di prodotti alimentari: bevande, latti fermentati, prodotti
da forno, formule per lattanti e per lo svezzamento, cereali, biscotti,
dessert, in quanto, a differenza dei microrganismi probiotici vivi, i
prebiotici sono stabili al calore e l’esposizione all’aria non rappresenta
un problema. E’ possibile assumere normalmente prebiotici con la
dieta quotidiana consumando frutta, verdura e, in particolare, cereali,
cipolle, banane, asparagi, porri, carciofi, grano, segale e aglio che
contengono oligosaccaridi ad attività prebiotica soprattutto sottoforma
di fruttoligosaccaridi (FOS) a catena corta. I FOS a catena corta
appartengono alla classe delle fibre solubili e sono un gruppo di
polimeri lineari di glucosio-fruttosio. Questi composti resistono
all’attività degli enzimi digestivi nel tratto superiore dell’apparato
digerente, perciò raggiungono intatti il colon dove, a differenza di altri
zuccheri non digeribili come il lattitolo e lattulosio che vengono
idrolizzati da una grande quantità di batteri, vengono totalmente
fermentati stimolando soprattutto la crescita dei Bifidobatteri. Oltre al
fruttosio, i principali prodotti che si formano dal processo di
fermentazione dei FOS ad opera della microflora sono acidi grassi a
catena corta come acido acetico, propionico e butirrico i quali
sembrano svolgere un’azione preventiva nell’eziologia del cancro al
colon.
Sulla base di evidenze sperimentali su modelli animali, i fruttani
inulino-simili sono in grado di aumentare l’assorbimento di minerali
attraverso un’azione osmotica che, richiamando acqua nell’intestino,
determina l’aumento del volume di fluido nel quale i minerali possono
solubilizzarsi. Questi carboidrati inoltre, attraverso la fermentazione,
acidificano l’ambiente intestinale determinando un aumento delle
concentrazioni di minerali in forma ionizzata, in particolare Ca2+ e
Mg2+, oltre ad instaurare condizioni favorevoli alla diffusione passiva;
mostrano anche effetti sul metabolismo dei lipidi, tra i quali la
riduzione dei livelli sierici di trigliceridi. Per spiegare questo effetto
sono stati ipotizzati due possibili meccanismi: 1) effetti metabolici
degli acidi grassi a catena corta; 2) abbassamento dei livelli plasmatici
di insulina e glicemia. Non esistono invece evidenze sperimentali sulla
Capitolo I
12
capacità ipocolesterolemizzante dei prebiotici (Venturani et al., 2001;
Roberfroid, 2002; Manning e Gibson, 2004; MacFarlane et al., 2006;
Biscuolo 2008; Wang 2009).
1.3
Alimenti probiotici
Per alimenti probiotici si intendono quegli alimenti, generalmente
fermentati, che contengono un numero sufficientemente elevato di
microrganismi vivi ed attivi, in grado di raggiungere l’intestino ed
esercitare un’azione di equilibrio sulla microflora intestinale mediante
colonizzazione diretta (Isolauri et al., 2004). Il termine probiotico è
quindi riferito ai microrganismi vivi e/o loro componenti o prodotti
metabolici che, se assunti in quantità adeguate, proteggono oppure
favoriscono le difese dell’ospite sia direttamente sia in modo indiretto
stimolandone i meccanismi di difesa.
I batteri lattici (LAB) comprendono un ampio spettro di generi che,
a loro volta, includono un numero considerevole di specie.
Generalmente i LAB vengono considerati come batteri Gram Positivi
(Gram +) asporigeni, capaci di crescere in condizioni da scarsamente
aerobiche a strettamente anaerobiche.
In generale i microrganismi probiotici devono essere assolutamente
sicuri sull’uomo, non presentare alcun rischio per i soggetti
immunodepressi oltre che essere non invasivi, non cancerogeni, non
patogeni. Spesso sono di provenienza intestinale, normali costituenti
della microflora dell’intestino ed è preferibile che presentino
resistenza all’ambiente acido/neutro e alle azioni proteolitiche degli
enzimi del tratto gastrointestinale. Inoltre, devono possedere dei
requisiti funzionali quali la colonizzazione intestinale (persistenza e
riproduzione), la capacità di aderire all’epitelio intestinale con
funzione di barriera, l’azione di inibizione sui batteri patogeni (con
produzione di acidi organici, perossido d’idrogeno, batteriocine).
I batteri probiotici possono avere diverse attività nell’ambito
intestinale: influenzare positivamente il decorso di patologie
infiammatorie ed infettive dell’intestino, riequilibrare la barriera
intestinale compromessa da cure antibiotiche e condizionare l’assetto
immunitario di questo apparato. Il meccanismo d’azione attraverso cui
Definizioni e concetti generali 13
operano implica: 1) riduzione del pH intestinale attraverso la
stimolazione della produzione di acido lattico da parte della
microflora intestinale; 2) effetti diretti di antagonismo su
microrganismi patogeni e immunostimolazione. I batteri lattici,
inoltre, producono sostanze ad attività antibiotico-simile (lantibiotici e
sostanze tossiche come acido lattico e perossido di idrogeno), che in
vitro hanno mostrato attività verso i microrganismi patogeni.
I batteri lattici presentano un’elevata attività !-galattosidasica
responsabile della scissione del lattosio a glucosio e galattosio
riducendo così la sintomatologia provocata dall’intolleranza al
lattosio, una patologia che colpisce circa il 70% della popolazione
mondiale, dovuta ad un bassa attività dell’enzima !-galattosidasi a
livello della mucosa intestinale che rende il lattosio non digeribile.
E’ stata anche studiata la possibile attività antitumorale di questi
microrganismi rispetto al cancro al colon. Una possibile spiegazione è
data dalla capacità dei lattobacilli di sopprimere la crescita di specie
batteriche che convertono i pro-cancerogeni in cancerogeni riducendo
così la concentrazione di sostanze cancerogene nell’intestino. Inoltre, i
lattobacilli possono sequestrare a livello intestinale composti
potenzialmente mutageni evitando il loro assorbimento.
Dal momento che i probiotici sono prodotti di rapida degradabilità,
contenenti microrganismi vivi, sono importanti le modalità di
conservazione e di assunzione per garantire la massima
concentrazione di batteri vitali. Dovrebbero essere consumati il più
possibile freschi di produzione ed appena tolti dal frigorifero. Per
ovviare a questi inconvenienti sono a disposizione formulati
commerciali rappresentati da un singolo ceppo o da una miscela di
ceppi batterici incorporati in formulazioni quali capsule o compresse.
Attualmente, queste preparazioni sono ottenute tramite essiccamento
per nebulizzazione o liofilizzazione; quest’ultima viene preferita
perché con l’essiccamento si raggiungono temperature relativamente
alte che alcuni lattobacilli non tollerano. In ogni caso si preferisce
usare agenti protettori (lattosio, sucrosio, glutammato monosodico e
ascorbato) per ridurre al minimo i danni alle cellule.
Inoltre, i lattobacilli possono essere incapsulati nell’amido allo
scopo principale di stabilizzare i LAB e formulare nuovi tipi di
alimenti, fortificati con batteri probiotici microincapsulati che
14
Capitolo I
vengono rilasciati solo dopo aver raggiunto l’intestino umano. In
particolare, grandi granuli di amido di patata trattati enzimaticamente
vengono impiegati come carrier per ottenere una struttura porosa su
cui verranno adesi i batteri; alla fine l’intero prodotto, insieme con il
mezzo di coltura, viene liofilizzato e ridotto in polvere (Zubillaga, et
al., 2001; Kaur et al., 2002; Morelli, 2002; Jonkers e Stockbrugger,
2007; Biscuolo 2008; Reid, 2008).
Attualmente, quindi, la ricerca procede verso la realizzazione di
alimenti “sinbiotici integrati” ossia che riuniscano le proprietà di
quelli prebiotici e di quelli probiotici in un’unica formulazione che sia
in grado di attivare una sinergia tra i due componenti attraverso, ad
esempio, l’incapsulazione della componente probiotica in quella
prebiotica che viene, in un primo tempo, utilizzata come veicolo per
veicolare i microrganismi intatti nell’intestino superando la barriera
gastrica e poi come substrato per la loro crescita (Klayraung et al.,
2009; Heidebach et al.; 2009 Saulnier et al., 2009).
Capitolo II
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo
Studi epidemiologici sulla relazione tra abitudini alimentari e
rischio di malattia indicano come l’alimentazione abbia un diretto
impatto sullo stato di salute. E’ generalmente accettato che gli
alimenti di origine vegetale quali frutta, verdura, cereali, legumi, frutta
secca esercitino benefici effetti sulla salute in particolar modo nel
ritardare le malattie legate all’età. In relazione all’aumento dell’età
media della popolazione dei paesi sviluppati sono in continuo
aumento le malattie cardiovascolari (CVD), quelle neurodegenerative,
il diabete di tipo II ed alcuni tipi di cancro (specie quelli che
interessano l’apparato gastrointestinale). Questi problemi hanno spinto
l’OMS a raccomandare l’incremento dell’intake di alimenti di origine
vegetale per migliorare lo stato di salute e ritardare gli effetti
dell’invecchiamento. Tuttavia questo consiglio è basato su studi che
focalizzano la loro attenzione solo su un numero esiguo di sostanze
vegetali; inoltre, il beneficio è spesso associato ad un uso prolungato
di queste sostanze.
La capacità di alcuni alimenti vegetali di ridurre il rischio di
patologie croniche è stata associata, almeno in parte, alla presenza di
metaboliti secondari generalmente definiti come phytochemical che
mostrano possedere molteplici attività biologiche. Queste sostanze
possiedono un’attività modesta se confrontata con quella dei farmaci
ma, siccome sono ingeriti frequentemente in elevate quantità, possono
esercitare un certo effetto biologico. I phytochemical presenti nella
dieta ed associati ai benefici effetti sulla salute sono rappresentati dai
15
16
Capitolo II
glucosinolati, dai composti solforati, dai terpenoidi e in particolare
monoterpeni, carotenoidi e fitosteroli, da diverse sostanze fenoliche
come le antocianine, i flavoli, i flavan-3-oli, gli isoflavoni, gli
stilbenoidi, l’acido ellagico e derivati e, in misura minore da saponine
e betaine. Le loro proprietà benefiche sono state, almeno in parte,
legate alle loro capacità antiossidanti in grado di limitare i radicali
liberi spesso responsabili dell’inizio dello sviluppo di molte patologie
degenerative ossidazione delle LDL, del DNA, infiammazioni
croniche ecc.
Al momento sono disponibili sul mercato un’ampia varietà di
preparazioni contenenti questi principi, ad esempio vi sono compresse
contenenti composti solforati delle Alliaceae (alliina ed allicina),
estratti purificati delle Brassicaceae (glucosilonati), fitosteroli, ma i
phytochemical più comuni presenti in questi preparati sono
antocianine, proantocianidine, flavonoli, stilbeni, cumarine, acidi
idrossicinnamici, acido ellagico, ellagitannini ed isoflavoni.
2.1
Metaboliti secondari o phytochemical
Oltre al normale metabolismo primario le piante svolgono
un’intensa sintesi di composti definiti “metaboliti secondari”, oggi
noti come “phytochemical”. È stato stimato che esistono
approssimativamente 100.000 composti derivati dalle piante con un
alto numero di nuovi aggiunti alla lista ogni anno. Con l’attributo
secondario fino a qualche tempo fa erano convenzionalmente indicati
quei prodotti che non partecipano “direttamente” ai processi
metabolici essenziali al mantenimento della vita in un organismo
vegetale quali divisione cellulare, crescita, respirazione, riproduzione;
per questo e per molto tempo è stata loro attribuita una funzione di
scarto, detossificazione, accumulo o eccesso di produzione di vie
metaboliche primarie. Oggi sappiamo, invece, che molti di questi
componenti sono estremamente importanti per le piante perché
coinvolti in complesse interazioni biotiche e abiotiche e, avendo
nell’ecosistema la “funzione” di molecole segnale che funzionano
come mediatori chimici, sono indispensabili per la sopravvivenza
delle specie vegetali. Le piante, infatti, interagiscono continuamente
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo 17
con l’ambiente circostante e non avendo, a differenza degli animali,
capacità di movimento non possono sfuggire agli stress biotici (dovuti
alla presenza e/o attacco di animali e/o microrganismi patogeni e non)
e abiotici (dovuti a fattori ambientali: temperatura, salinità, radiazioni
UV, umidità, presenza di inquinanti); per tale motivo hanno evoluto
dei sistemi di difesa chimica che permettono di affrontare i diversi
pericoli e incrementare la loro fitness. Molti metaboliti agiscono,
infatti, da deterrenti, specifici o aspecifici, nei confronti di animali
erbivori, microrganismi e virus. Alcune piante sono in grado di
produrre composti con funzione antibiotica, antimicotica, antivirale o
di costruire barriere contro l’ingresso di patogeni e parassiti; al fine di
indurre una risposta anti-invasiva, altre producono segnali di pericolo
in seguito ad un attacco che può essere percepito negli altri organi
della pianta e anche dalle piante circostanti; alcune piante, invece,
possono produrre composti anti-germinativi, anti-digestivi o tossici
verso animali o piante in competizione con loro. Molte specie
vegetali, però, necessitano di insetti per l’impollinazione e producono
anche dei composti “attrattori”: si assiste così ad un complicato gioco
di deterrenza e attrazione tra piante e animali in cui sono coinvolte
svariate classi di metaboliti secondari. Oltre alla colorazione dei fiori,
le piante sintetizzano composti volatili aromatici che attraggono
particolari insetti i quali garantiscono così l’impollinazione
entomofila. E’ curioso notare come le piante, per difendersi da
predatori che le attaccano, siano in grado di produrre specifici
metaboliti secondari che attraggono i nemici naturali dei loro
predatori. Sempre grazie a una comunicazione basata sulla sintesi di
questi composti, le piante sono in grado di instaurare simbiosi con i
microrganismi del suolo e infine di difendersi da stress abiotici quali
eccessive temperature fogliari e radiazioni UV.
Negli ultimi trent’anni, il numero dei metaboliti secondari
caratterizzati si è enormemente ampliato e l’interesse per le piante è
aumentato nel tentativo di trovare rimedio a diverse patologie. Anche
nell’industria della cosmesi questi metaboliti stanno riscontrando un
crescente successo; basti pensare, ad esempio, all’uso sempre più
frequente dei carotenodi, noti antiossidanti, per realizzare creme solari
per la protezione dalle radiazioni UV o alle creme
“antiinvecchiamento”. Infine, vi è grande interesse per l’impiego di
Capitolo II
18
organismi vegetali per produrre “bioinsetticidi” e per le possibili
utilizzazioni dei metaboliti secondari in campo alimentare per fornire
aromi e coloranti naturali ma soprattutto molecole con attività
antiossidante (Maffei, 1999; Taiz e Zeiger, 2009).
2.2
Cenni sulla biosintesi dei phytochemical
I phytochemical sono sintetizzati dalle piante in maniera costitutiva
oppure come risposta a stress biotici o abiotici; ad esempio, alla prima
categoria appartengono i carotenoidi, alla seconda gli stilbeni. Questi
composti sono molto eterogenei ed estremamente numerosi e l’uomo
li ha sempre utilizzati, ma solo con lo sviluppo delle conoscenze
scientifiche dell’ultimo secolo ha cominciato a conoscerne struttura e
biosintesi. Di seguito sono riportate le tappe biosintetiche dei
principali phytochemical e la loro importanza per la pianta e il suo
ecosistema.
2.2.1 Sostanze fenoliche
Acidi fenolici
La molecola di base per la costruzione di svariate strutture
fenoliche è un acido aromatico, il trans-cinnammico, che deriva dalla
deaminazione della fenilalanina, tramite l'azione della fenilalanina
ammoniaca liasi (PAL). Una reazione molto simile trasforma la
tirosina in acido p-idrossicinnammico ed è catalizzata dalla tirosina
ammoniaca liasi (TAL). La via metabolica responsabile della sintesi
degli amminoacidi aromatici prende il nome di via dell'acido
scichimico, da uno dei composti intermedi più importanti. Le reazioni
iniziano con la condensazione di una molecola di eritrosio-4-fostato
con una di fosfoenolpiruvato per formare il composto 3-idrossi-Darabino-eptulosonato-7-fosfato
(DAHP),
reazione
catalizzata
dall'enzima plastidiale DAHP sintasi (Fig. 1). L'anello eterociclico del
DAHP è trasformato nel cicloesano variamente sostituito, acido 3deidrochinico, per opera dell'enzima 3-deidrochinato sintasi (SHKC)
che catalizza l'eliminazione del gruppo fosforico.
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo 19
DAHP sintasi
H2 O
Pi
Fosfoenolpiruvato
Eritrosio 4 fosfato
DAHP
Figura 1: Reazione di condensazione del DAHP, prima tappa della
biosintesi delle sostanze fenoliche.
Nel passaggio successivo, così come mostrato dalla Fig. 2, la 3deidrochinato deidratasi (SHKD) rimuove una molecola d'acqua
dall'acido 3-deidrochinico e forma l'acido 3-deidroscichimico
trasformato infine nell'intermedio acido scichimico dalla scichimato
deidrogenasi (SHKE), che utilizza come cofattore il NADP ridotto.
SHK
SHKD
Pi
DAHP
Acido
3-deidrochinico
SHKE
H2O
Acido
Acido
3-deidroscichimico scichimico
Figura 2: Ulteriore tappa della biosintesi delle sostanze fenoliche,
tappe metaboliche della sintesi dell’acido scichimico.
Capitolo II
20
L'acido scichimico viene fosforilato dalla scichimato chinasi
(SHKF) ad acido 3-fosfoscichimico a sua volta trasformato dalla
EPSP sintasi in 5-enolpiruvilscichimato 3-fosfato (EPSP), che lega
nella posizione 5 un residuo enolpiruvilico derivante da una molecola
di fosfoenolpiruvato. L'EPSP subisce la defosforilazione del gruppo
fosfato in posizione 3 per opera della corismato sintasi (SHKH) che lo
trasforma in acido corismico (Fig. 3).
Il termine corismico è riferito alla “biforcazione” metabolica che
porta da una parte alla sintesi di acido prefenico (e quindi degli
amminoacidi fenilalanina e tirosina) e dall’altra a quella dell'acido
antranilico (precursore del triptofano). Nella via che porta alla
fenilalanina e alla tirosina l'acido corismico viene trasformato in acido
prefenico dalla corismato mutasi (CM), mentre la prefenato
amminotrasferasi (PA) porta alla formazione dell'acido arogenico.
SHKF
ATP
Acido scichimico
EPSPs
ADP
PEP
Acido
3 fosfoscichimico
SHKH
Pi
Pi
EPSP
Acido corismico
Figura 3: Sintesi dell’acido corismico, tappa chiave del metabolismo
delle sostanze fenoliche.
A questo punto l'intervento della arogenato deidrogenasi (ArOH)
catalizza la decarbossilazione e l'ossidazione dell'acido arogenico per
formare la tirosina, mentre la arogenato deidratasi (ArD) rimuove sia
il gruppo ossidrilico in posizione 4 sia il gruppo -COOH in posizione
1, formando la fenilalanina (Fig. 4). In una via parallela l'acido
corismico viene trasformato in acido antranilico dall'enzima
antranilato sintasi e successivamente un trasferimento di fosforibosio
crea i presupposti metabolici per la formazione dell'anello indolico del
triptofano.
La transamminazione degli amminoacidi fenilalanina e tirosina
forma rispettivamente acido trans-cinnammico e il suo idrossi
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo 21
derivato, definiti fenilpropani per la presenza di un gruppo propenico
legato ad un anello aromatico.
O
O
O
O
O
CM
O
PA
O
N
ArDH
NH3
O
O
Tirosina
O
O
O
O
O
Acido corismico Acido prefenico
Acido
arogenico
ArD
Fenilalanina
Figura 4: Biosintesi degli amminoacidi fenilalanina e tirosina.
I fenilpropani variamente sostituiti che troviamo nelle piante
prendono origine da questa via metabolica e sono presenti sia come
depositi vacuolari sia come componenti di parete. Fra i fenilpropani
più diffusi troviamo l'acido cumarico, l'acido coniferico e l'acido
sinapico che sono ridotti ad alcoli dall'enzima cinnamil-CoA-NADPH
ossidoreduttasi responsabile della formazione rispettivamente degli
alcoli cumarilico, coniferilico e sinapilico (Fig. 5), i costituenti
principali del polimero vegetale lignina.
Alcol cumarilico
Alcol coniferilico
Alcol sinapilico
Figura 5: Principali alcoli fenolici costituenti la lignina.
Molto diffusi nel regno vegetale sono gli acidi benzoici (Fig. 6). La
via biosintetica per la loro produzione origina sia dai prodotti di
transamminazione degli enzimi PAL e TAL, sia dall'ossidazione
Capitolo II
22
dell'intermedio metabolico acido scichimico. Nella via che parte dagli
acidi trans-cinnammico e cumarico, il primo passaggio è catalizzato
da un'idratasi che lega un gruppo ossidrilico nel carbonio in posizione
7 del fenilpropano. La deacetilazione di questo composto porta alla
formazione dell'aldeide benzoica che è successivamente ossidata ad
acido benzoico.
Nella via che utilizza come precursore l'acido scichimico, si ha una
prima trasformazione catalizzata dalla scichimato deidrogenasi (SDH)
che forma acido deidroscichimico e la successiva ossidazione
catalizzata dalla 3-deidroscichimato deidratasi (3DD) che forma acido
protocatechico, un acido diidrossibenzoico (Fig. 6).
O
O
O
O
O
O
O
O
Acido
t-cinnamico
Acido
Benzaldeide
! -idrossifenilpropionico
O
O
O
3DD
SDH
O
O
O
Acido
scichimico
Acido
benzoico
O
O
O
Acido
deidroscichimico
O
O
Acido
protocatechico
Figura 6: Biosintesi dei principali acidi benzoici.
Importanti derivati dell'acido trans-cinnammico sono le cumarine.
Si tratta di sostanze fisiologicamente attive presenti in varie famiglie,
sopratutto nelle Umbelliferae e nelle Rutaceae, anche se le
Leguminosae e le Moraceae possiedono numerosi generi capaci di
accumularle in quantità consistenti. La biosintesi di questi composti
richiede una idrossilazione dell'acido 4-idrossi-trans-cinnammico in
posizione 2 per formare l'acido 4-idrossi-p-cumarico. La
glucosilazione del gruppo ossidrilico in posizione 2 è il presupposto
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo 23
per la reazione successiva di lattonizzazione che forma l'eterociclo
lattonizzato generando la cumarina (Fig. 7). Importanti derivati delle
cumarine sono le furanocumarine, composti con particolari proprietà
fotochimiche che si formano dalla condensazione di un nucleo
cumarinico con un anello del furano. Fra gli isomeri più frequenti
troviamo gli psoraleni e le angelicine, ampiamente diffusi nelle
Leguminosae, nelle Umbelliferae e nelle Rutaceae. Queste molecole
sono usate da tempi remoti dalle popolazioni indiane ed egiziane per
la cura delle malattie della pelle e ciò è dovuto al potere
fotosensibilizzatore che hanno queste molecole.
Glucosio
Tirosina
Acido 4-idrossi
p-cumarico
Glu
Glucosio
O-cumaril glucoside
Cumarina
Figura 7: Alcune tappe della biosintesi delle cumarine.
Un’altra categoria di composti fenolici è quella degli stilbeni,
molecole formate da due anelli benzenici separati da un ponte di etano
o di etene. Queste molecole sono particolarmente diffuse in alcune
piante primitive, le Epatiche, ma sono anche presenti nelle piante
superiori. Il ruolo fisiologico è legato soprattutto alla loro funzione
come regolatori di crescita e come molecole di risposta all'attacco da
patogeni. Nel caso di stilbeni con un ponte etenico la configurazione
più diffusa è quella in trans e la molecola più rappresentativa è la
pinosilvina. La via biosintetica per la produzione degli stilbenoidi
parte dall'acido trans-cinnammico (o dal suo idrossiderivato acido
cumarico) sul quale intervengono una serie di enzimi che portano alle
varie strutture conosciute. Nel caso degli stilbeni come la pinosilvina
(Fig. 8), la sintesi avviene a partire dal 4-cumaril CoA sul quale viene
trasferito un residuo di acido malonico, fornito sotto forma di malonil
24
Capitolo II
CoA. La catalisi operata dall'enzima stilbene sintasi (SS) libera una
molecola di anidride carbonica e porta alla chiusura dell'anello
aromatico (Alpi et al., 1992; Maffei, 1999; Taiz e Zeiger, 2009).
Pinosilvina
Figura 8: Pinosilvina, un tipico stilbene.
Flavonoidi
Tutti i flavonoidi, normalmente, possiedono uno scheletro base C6C3-C6, (Fig. 9) composto da un’unità C6 (anello A) e da un’unità C6C3 (anello B ed atomi di carbonio 2, 3 e 4). Gli atomi di carbonio
all’interno dello scheletro base sono originati da due distinte vie
metabiliche. L’anello B, con gli atomi di carbonio 2, 3, e 4, viene
fornito da un derivato dell’acido cinnamico, mentre l’anello A è il
risultato della condensazione testa-coda di 3 unità acetato.
B
A
C
Figura 9: Struttura fondamentale dei flavonoidi.
Alcune classi di flavonoidi (calconi, diidrocalconi ed auroni)
differiscono strutturalmente da questo scheletro base, ma, da un punto
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo 25
di vista biosintetico, sono strettamente correlate alle altre classi di
flavonoidi. I precursori di queste molecole derivano entrambi dalla
biosintesi degli acidi grassi: il malonil-CoA si forma da acetil-CoA e
CO2, mediante una reazione catalizzata dall’enzima acetil-CoA
carbossilasi (ACC), il p-cumaroil-CoA e gli analoghi esteri
idrossicinnamici del CoA vengono forniti dal metabolismo
fenilpropanoico.
A seconda del grado di ossidazione, i flavonoidi sono suddivisi in
sottoclassi: flavoni, flavanoni, flavonoli, flavanoli, isoflavoni e
antocianine. Gli atomi di carbonio degli anelli aromatici possono, poi,
essere variamente sostituiti con gruppi ossidrilici, metossilici, acilici e
inoltre sui gruppi ossidrilici possono avvenire reazioni di
glucosilazione o ramnosilazione.
La molecola di base dalla quale prendono origine le varie
sottoclassi di flavonoidi è la naringenina (un flavanone), che si forma
dal calcone per opera dell'enzima calcone isomerasi (CHI). A sua
volta il calcone è formato a partire, come già accennato, dal 4-cumaril
CoA per aggiunta di tre molecole di malonil CoA, reazione catalizzata
dalla calcone sintasi (CHS) (Fig. 10). Dalla naringenina si giunge ai
flavonoli tramite l'intervento di due enzimi: il primo, la flavanone 3!idrossilasi (F3H), un enzima dipendente dal citocromo P450, catalizza
l'idrossilazione della molecola nella posizione 3, mentre il secondo, la
flavonolo sintasi (FLS) porta alla formazione del doppio legame fra
gli atomi di carbonio in posizione 2 e 3 (Fig. 11).
CoAS
O
O
O
O
O
O
CHS
CHS
3x Malonil-CoA
O
O
O
O
O
O
4-cumaril CoA
Calcone
Naringenina
Figura 10: Biosintesi della naringenina ad opera della Calcone Sintasi
(CHS) e della Calcone Isomerasi (CHI).
Capitolo II
26
O
O
O
O
IFS
O
O
O
O
O
FLS
O
O
O
O
Naringenina
O
O
O
Diidroflavonolo
O
Flavonolo
Figura 11: Intervento della flavanone 3b-idrossilasi (F3H) e flavonolo
sintasi (FLS) nella biosintesi dei flavonoli.
Sempre dalla naringenina prendono origine gli isoflavonoidi,
formati per azione dell'enzima isoflavonoide sintasi (IFS). Sulla
struttura di base dell'isoflavanone, così come riportato nella Fig. 12,
avvengono le sostituzioni e le desaturazioni che portano alla
formazione degli isoflavoni, isoflavonoli e isoflavanoni.
O
O
O
O
O
Isoflavoni
IFS
O
O
O
O
O
O
O
O
Naringenina
O
O
O
Isoflavonoli
O
O
O
O
O
Isoflavanoni
Figura 12: Biosintesi di alcuni isoflavonoli.
Derivante invece dal diidroflavonolo è la sottoclasse delle
antocianine (Fig. 13), che si forma per catalisi dell'enzima
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo 27
diidroflavonolo 4-reduttasi (DFR), che trasforma il diidroflavonolo in
leuco-antocianina, la quale, a seguito della catalisi della antocianina
sintasi (AS) e della UDP-glucosio-flavonoide 3-O-glucosiltrasferasi
(UF3GT), forma il glucoside dell'antocianidina (antocianina).
DFR
Diidroflavonolo
FL UF3G
T
Leuco-antocianidina
GLUC
Cianidina-3-O-glucoside
Figura 13: Principali tappe della biosintesi delle antocianine.
Agli enzimi finora citati vanno aggiunti numerosi altri, i quali
catalizzano delle reazioni che portano ad una modificazione dello
scheletro base dei flavonoidi, come reazioni di idrossilazione,
glicosilazione, acilazione, importanti nel conferire caratteristiche di
stabilità ed idrofilicità alle molecole, mentre reazioni di metilazione e
prenilazione, conferiscono ai flavonoidi caratteristiche di lipofilicità
ed attività antimicrobica (Maffei, 1999, Dewik, 2000, Buchanan et al.,
2003).
2.2.2
Terpenoidi
I terpenoidi costituiscono una vasta famiglia di sostanze naturali
strutturalmente diverse tra loro, derivanti da unità isopreniche C5
unite in modo testa-coda.
Tipiche strutture contengono scheletri carboniosi costituiti da unità
(C5)n e sono classificate come emiterpeni (C5), monoterpeni (C10),
sesquiterpeni (C15), diterpeni (C20), sesterterpeni (C25), triterpeni
(C30) e tetraterpeni (C40) così come indicato nella Figura 14 in cui è
anche riportato lo schema fondamentale della sintesi dei terpenoidi.
Polimeri superiori si ritrovano in materiali come la gomma.
L'isoprene come tale è stato identificato come prodotto di
decomposizione di numerosi idrocarburi naturali ciclici ed è stato,
quindi, indicato come l'unità base costitutiva di questi composti che
28
Capitolo II
vengono anche definiti "isoprenoidi". L'isoprene viene prodotto
naturalmente, tuttavia non è coinvolto nella biogenesi di questi
composti; sono state, invece, identificate, come unità isopreniche
biologicamente attive, gli esteri difosfato (pirofosfato) dimetilallil
difosfato (DMAPP) e isopentenil difosfato (IPP). Relativamente pochi
sono i terpenoidi naturali che concordano esattamente con il semplice
concetto di una combinazione lineare testa-coda delle unità
isopreniche, così come si vede nel geraniolo (C10), farnesolo (C15) e
geranilgeraniolo (C20). Squalene (C30) e fitene (C40), sebbene
formati interamente da unità isopreniche, presentano un legame codacoda al centro delle molecole (Fig. 15). La maggior parte dei
terpenoidi presentano ulteriori modificazioni in seguito a reazioni di
ciclizzazione; tuttavia l'arrangiamento testa-coda delle unità base può
generalmente essere ancora riconosciuto, come ad es. nel mentolo, nel
bisabolene e nel taxadiene. La combinazione lineare delle unità
isopreniche può essere più difficile da individuare in molte altre
strutture in cui sono avvenute reazioni di riarrangiamento; un esempio
tipico è rappresentato dagli steroidi che, in aggiunta a reazioni di
riarrangiamento, subiscono anche la perdita di alcuni atomi di
carbonio. In ogni caso, tali composti derivano dai normali precursori
terpenoici.
Molte altre sostanze naturali presentano nelle loro molecole
frammenti terpenoici legati a scheletri carboniosi che derivano da altre
vie biogenetiche, come la via dell'acetato e dello shichimato. Molti
alcaloidi, composti fenolici e vitamine sono esempi di questo tipo. Un
frammento terpenoico particolarmente comune in tali casi è una
singola unità C5 generalmente un sostituente dimetilallilico, e
molecole contenenti queste unità isopreniche isolate sono talvolta
riportate come "meroterpenoidi". Alcuni esempi sono le
furanocumarine, i rotenoidi e gli alcaloidi della segale cornuta. E da
notare, inoltre, che viene generalmente usato il termine "prenile" per
indicare il sostituente dimetilallilico.
Anche macromolecole come le proteine possono essere modificate
mediante legami con catene terpenoidiche. Residui di cisteina possono
essere alchilati con gruppi farnesile e geranilgeranile; in questo modo
aumenta la lipofilicità della proteina e la sua capacità di legarsi alle
membrane.
Aspetti generali dei phytochemical e loro utilizzo 29
Le unità isopreniche derivano dal metabolismo dell'acetato,
attraverso la formazione di acido mevalonico (MVA).
Acido mevalonico
Emiterpeni
C10
Monoterpeni
C15
Sesquiterpeni
C20
Diterpeni
C25
Sesterterpeni
IPP
IPP
x2
x2
C30
C40
IPP
Triterpeni - Steroidi
Tetraterpeni - Carotenoidi
Figura 14: Schema della biosintesi dei terpenoidi.
L'acido mevalonico è stato individuato come il precursore del
colesterolo e gli stadi che portano alla biosintesi dell'acido mevalonico
Capitolo II
30
e che partono da esso, sono stati gradualmente definiti in dettaglio.
Successivamente, è stato accertato che i primi stadi di questa via
biogenetica sono comuni all'intera gamma di derivati naturali
terpenoidici. Nella biosintesi dell'acido mevalonico vengono utilizzate
tre molecole di acetil-CoA. Due si combinano inizialmente per dare
acetoacetil-CoA, e una terza molecola è incorporata attraverso
un'addizione aldolica stereospecifica che porta alla formazione
dell'estere a catena ramificata !-idrossi-!-metilglutaril-CoA (HMGCoA). Questa terza molecola di acetil-CoA sembra essere legata
all'enzima attraverso un gruppo tiolico e questo legame è
successivamente idrolizzato per formare il gruppo carbossilico libero
dell'HMG-CoA.
Geraniolo
Farnesolo
Geranilgeraniolo
Squalene
Fitoene
Mentolo
Figura 15: Principali strutture dei terpenoidi.
Bisabolene