L`osservazione del Cielo stellato come esperienza del sublime

L’osservazione del Cielo stellato come esperienza del sublime.
(autore F. Piperno)
Questo corso universitario, a differenza di molti altri, comporta una dimensione propriamente
sensuale perché si svolge esercitando la visione, soprattutto quella a grande angolo e distanza. Per
definirlo per analogia, è come un corso di musica dove non ci si limiti ad insegnare a leggere il
pentagramma ma si richiede anche l’esercizio necessario per suonare un qualche strumento.
Normalmente lo studio dell’Astronomia
è svolto in una maniera libresca,
si studiano
esclusivamente delle nozioni, ma non si osservano le stelle.
Il corso è finalizzato alla formazione degli insegnanti: si punta a fornire loro un’adeguata
preparazione durante il curriculum universitario, in modo che essi possano poi insegnare
l’Astronomia agli scolari. Coloro che studiano per formarsi come educatori nella scuola primaria
devono anche tener conto di una certa manualità che l’Astronomia comporta: costruzione di
gnomoni, focalizzazione di strumenti, riproduzione di mappe celesti,disegni di costellazioni e così
via; queste attività, del resto, riscuotono grande successo presso gli scolari perché richiedono la
loro partecipazione attiva. L’alunno non può essere considerato come un vaso da riempire, ma
piuttosto come un fuoco da accendere; è importante suscitare l’entusiasmo, che è poi il metodo
pedagogico più antico.
Nel nostro caso,il modo per provocare la voluttà di capire è quello di vivere l’osservazione del
Cielo stellato come esperienza del sublime; esperienza che apre la via della conoscenza empatica; e
pone così le condizioni di possibilità del sentimento tragico, ovvero dell’apparire del destino.
E’ questa una idea assai antica; Empedocle e poi, a distanza di circa quattro secoli, Lucrezio
pongono l’esperire il sublime come la piccola porta che schiude la conoscenza, come iniziazione
all’esercizio e all’appropriazione della intelligenza, questa facoltà umana comune.
Il sublime è quindi una categoria estetico-gnoseologica, oggetto di studio nell’antichità classica, e
poi di nuovo a partire dal ‘700. Shelling dà una definizione del sublime secondo la quale si tratta di
qualcosa di immensamente più grande del nostro corpo e della nostra energia, ma che tuttavia
riusciamo a comprendere, a dominare intellettualmente.
Il sublime, infatti, prima d’essere un genere letterario è un “genus vivendi”, più che un criterio
formale è una tonalità dell’anima, un comportamento; avvertire il sublime è equivalente a praticare
la grandezza dell’anima, la coscienza enorme.
Il sublime non porta l’osservatore alla persuasione bensì punta ad esaltarlo. Si comprende davvero
la natura di questo sentimento se si tiene presente che il suo luogo d’azione non è il Cielo o lo
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scenario osservato ma la mente dell’osservatore; in questo senso gli antichi solevano notare che il
sublime è l’eco della grandezza interiore.
L’osservatore di uno spettacolo sublime diviene lui stesso sublime; e cioè soggetto percettivo e
creatore egli stesso del simbolismo attraverso il quale riconosce il sublime che è nelle cose
osservate. Lo spettacolo icastico di Empedocle che contempla con i suoi discepoli l’eruzione
dell’Etna ci rammenta che spesso il sublime si accompagna al pericolo ed alla catastrofe. Sono
spettacoli sublimi i terremoti, i maremoti, le tempeste tropicali ma anche le leggere ed enigmatiche
aurore boreali che le popolazioni native del Canada, dove il fenomeno è particolarmente
frequente,chiamano luci di “Manitù”, il loro dio celeste.
Nel nostro caso, l’osservazione del cielo notturno è una esperienza fatta insieme da tutti gli studenti
del corso in assenza di qualsiasi rischio, che non sia un raffreddore. Quando gli osservatori
risuonano sull’onda del sublime risultano fusi insieme, tra loro e con il mondo osservato, in una
sorta di legame sopra-individuale molto simile alla commozione collettiva.
La funzione didascalica, svolta dal docente-animatore, ha, nella contemplazione del Cielo,
il
compito di generare, fin dall’inizio, pathos, cioè eccedenza di sentimenti; e questo lo fa servendosi
dell’esempio vivo e concreto per mettere sotto gli occhi dello studente-spettatore le cose celesti;
rese tali che, nella eccitazione della passione, sembri proprio di vederle.
Accanto al pathos, il docente suscita la spinta alla rappresentazione mimetica, alla fantasia che sa
trasformare in evidenze le suggestioni delle cose percepite; sicché, quando la rappresentazione
mimetica tocca
il suo culmine, raggiunge una intensità visionaria che trasporta l’osservatore nel
regno del sublime.
La rappresentazione-fantasia è quello stato della coscienza in cui si dà spontaneo assenso
all’apparire che rivestono le cose, si dice di sì al cosmo, lo si accetta com’è; come posseduti da una
sorta di materialismo sensistico. Ed è proprio la fantasia quella particolare energia mentale che
viene impiegata nell’appercezione del sublime; in modo che la realtà rappresentata divenga quasi
obiettiva, il fantasticato assuma la chiara evidenza di ciò che è sensualmente dato. L’appercezione
risulta così né calcolata né costruita con sforzo; ma piuttosto come venisse offerta allo studentespettatore. Il Cielo appare allora come una natura grandiosa e sublime; e una volta che il docente
avrà mostrato le leggi nascoste, funzionerà come uno specchio che rifletta l’animo di chi lo
contempla, divenendo una forma concettuale che agisce sulla coscienza di colui che guarda e
provoca un reale scambio d’informazioni tra l’osservatore ed il Cosmo.
In questo corso, la via maestra per produrre il pathos e scatenare la fantasia mimetica tra gli
studenti-spettatori,è l’esperienza, ripetuta decine di volte di dare ordine al Cielo, cioè di riconoscere
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le principali stelle e costellazioni della astronomia greco-babilonese; e di ricostruirne gli antichi
miti.
Le sedute osservative devono svolgersi in luoghi non troppo esposti ai riverberi delle luci cittadine
e tali da non avere l’orizzonte ostruito da edifici o alberi. Bisogna,inoltre, attendere almeno cinque
minuti prima che l’occhio si abitui alle condizioni di parziale oscurità. Il principale ed unico
strumento che viene impiegato è un raggio laser di luce verde—il colore notturno al quale i nostri
occhi sono più sensibili- per individuare i luoghi degli oggetti luminosi nel Cielo; e nello stesso
tempo che si ricostruisce la forma della costellazione se ne evoca il mito.
Gli esempi sono tratti dai grandi poemi astronomici, in particolare Arato,Ovidio,Lucrezio e
Manilio; e sono scelti in modo che abbiano tutta la dimestichezza della vita vissuta. Il metodo è
quello dell’induzione che mira all’evidenza, e, al di là di quella, intravede la causa fisica come
legge di natura—un metodo nettamente diverso di quello logico-matematico della tradizione
platonica.
Una volta che lo stato di pathos è stato raggiunto e la fantasia mimetica è stata dispiegata, il
docente-animatore porterà gli studenti-spettatori a misurarsi con l’appercezione delle distanze tra gli
oggetti del Cosmo, distanze immani, astrali appunto. E’ questa la fase più critica della seduta
osservativa dove pathos e fantasia possono congiungersi per dar luogo all’esperienza del sublime.
Una prima valutazione delle distanze viene effettuata a partire dallo scintillio degli oggetti celesti.
Come si sa dai tempi più remoti( nota su Leopardi) una sorgente luminosa, per quanto estesa sia la
sua superficie e potente la sua emissione, posta ad una distanza sufficientemente grande
dall’osservatore, verrà percepita come puntiforme; di conseguenza l’occhio la vede scintillante per
via che la turbolenza dell’atmosfera, ed in particolare la presenza a livello del suolo di polveri
pesanti che si interpongono tra l’occhio e il punto luminoso, nasconde e poi di nuovo permette la
visione,nel giro di qualche frazione di secondo, provocando il caratteristico effetto per cui si vedono
oggetti luminosi che brillano.
Del resto, non è questa una proprietà esclusiva del Cielo. Anche se guardiamo ad un paesaggio
lontano dove si intravedono le luci dell’illuminazione stradale di borghi e città tra loro distanti, ci
accorgiamo che mentre i lampioni vicini emanano una luce costante, quelli lontani scintillano tanto
di più quanto maggiore è la lontananza. Per altro, sia detto per inciso, noi a differenza dei nostri
antenati abbiamo un modo empirico d’accertarci che lo scintillio degli oggetti celesti sia dovuto
all’atmosfera: basterà, viaggiando di notte in aereo, aspettare che sia stata raggiunta la velocità di
crociera a circa dieci chilometri d’altezza, dove l’aria è praticamente rarefatta, e guardare dal
finestrino le stelle per accorgersi che non presentano alcun brillio, ma sono piccole luci spettrali
nella loro fissità. Per concludere su questo punto, possiamo affermare che il grado di scintillio degli
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oggetti astrali è una misura semiquantitativa della loro distanza dalla Terra; così, la Luna, il corpo
celeste
a
noi
più
prossimo
illumina
senza
brillare;
analogamente
può
dirsi
di
Venere,Marte,Giove,Mercurio, che sono i pianeti vicini, non presentano alcun scintillio e possono
essere facilmente riconosciuti proprio per questo; Saturno, che è il pianeta più lontano tra quelli
visibili, si trova nella condizione limite: quando è basso,vicino all’orizzonte, brilla mentre quando è
alto nel Cielo la sua luce è distintamente fissa. Quanto alle stelle, invece esse brillano tutte; mentre i
lontanissimi ammassi stellari,come le nebulose e le galassie, quando sono visibili, appaiono
rispettivamente come macchie o punti lattiginosi.
Introdotta, così, la valutazione delle distanze in termini d’esperienza visiva, si può procedere ad
acquisire un criterio più quantitativo.Anche qui sono decisivi gli esempi concreti e la similitudine:
come possiamo misurare le distanze tra città ricorrendo al tempo di volo di un aeroplano di linea
e.g. Milano dista un’ora di volo da Roma; allo stesso modo possiamo valutare le distanze astrali
ricorrendo al tempo di volo di un raggio di luce e.g. la Luna dista un secondo-luce dalla Terra, il
Sole otto minuti, Sirio otto anni, la galassia Andromeda due milioni di anni e così via. Questi sono
dati di fatto che vanno solo enunciati non dimostrati; perché il docente non mira alla persuasione ma
all’esaltazione
Lo studente-spettatore è posto davanti alla immane grandezza delle distanze astrali; e la sua mente
prima si sgomenta, arretra e rifiuta la rappresentazione; poi, quasi sempre, si lascia andare alla
fantasia e ricostruisce mentalmente quelle distanze di cui non ha alcuna esperienza; e così facendo
sperimenta il sublime. Il disagio dell’osservatore contrapposto alla grandiosità fuori scala della
Natura, generando in lui un senso d’inquietudine lo predispone, in un misto di sentimenti fatti di
“horror” e “divina voluptas”, a un processo mentale al cui epilogo c’è la conquista di un nuovo
rapporto con la maestà e la santità della ordine naturale delle cose. Allo stesso tempo, la mente dello
spettatore diviene ricettiva alle spiegazioni razionali, le sole che possono salvarla dallo sgomento
misto ad esaltazione che prova ogni volta che immagina sia di comprendere la grandezza- sublime
statico- sia quando resta sconvolta davanti alla violenza gigantesca della natura- sublime dinamico.
L’esperienza del sublime apre la via alla percezione emotiva del necessario, il grandioso ed
indifferente necessario della Natura—necesse est scrive ossessivamente Lucrezio. Il necessario
naturale, le enormi distanze come i moti regolari degli astri, viene avvertito dallo spettatore come
sentimento del tragico ovvero solleva la questione del destino—solo il destino può spiegare questa
consapevolezza sorda d’essere stati gettati, così minuti, fragili e soli, in questa parte di Cosmo.
Il sublime opera in modo che, mediante il grandioso, sia dato, allo spettatore che mena una vita
ordinaria, la possibilità di misurarsi con esperienze grandi che evocano sentimenti adeguati
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Il sublime diviene così l’ epifania di un progetto che fa dell’esperienza osservativa una esortazione
pratica a cogliere tutta la grandiosità delle segrete regole cosmiche che reggono tanto la vita umana
quanto l’intero universo.
L’esperienza del sublime opera in modo che ,mediante il grandioso, sia dato allo spettatore
l’occasione di partecipare alla lotta umana incessante contro la passività e l’acedia dei sentimenti
meschini. Il sublime funziona come stimolo a misurarsi con l’esperienza difficile; e abbandonare
l’indolenza della sentimentalità mediocre per far propria l’attitudine agonistica.
La mente dello spettatore prima si perde e si spaura; poi, rassicurata dalla ragione, quasi supera la
potenza smisurata della Natura quando ne comprende le condotte segrete.
Nell’esperienza del sublime non v’è niente della retorica del “mirabile” con la quale, per pochezza
d’animo, viene addomesticata, solitamente, la visione del grandioso; piuttosto, è la retorica del
“necessario”, che è di fatto il contrario del miracoloso; e questa non può che produrre un processo
d’individuazione che esalta la consapevolezza intellettuale, questa dote comune agli spettatori in
quanto individui sociali che si rapportano al cosmo, in quanto universali concreti.
Abbiamo già sottolineato come la maestà della Natura attragga e respinga ad un tempo; il sublime
eleva, con un scatto sentimentale, la mente al di sopra della mediocrità della vita vissuta
nell’inconsapevolezza delle nostre origini cosmiche; e sviluppa nell’osservatore la coscienza di
una sproporzione che richiede adeguamento. Lo spettatore sublime sente che diviene consapevole
del limite della sua natura superando il disagio dell’inferiorità assoluta e tentando di adeguare la
propria coscienza a una grandezza che trascenda la mera ripetizione della vita passiva. La povertà
dell’esperienza ordinaria non illuminata dal sublime, espone la mente al dubbio depressivo e
all’autodisprezzo; e lascia che il terrore degli dei e della morte sia l’esito facile di ignoranza e
debolezza.
Per consolare gli uomini, massimamente i giovani, del loro destino di finitezza bisogna renderli
grandi, capaci di confrontarsi con la natura. Gli “uomini dolenti”, per dirla con Lucrezio, sono
coloro che se ne stanno chiusi nel loro destino di morte: il sublime funziona per loro, più che come
pratica consolatoria, come promozione della grandezza d’animo.
L’appercezione del sublime diviene, in questo modo, riconoscimento di una verità che lo studentespettatore trova in se stesso; quasi emersione di una sensazione profonda che ha fatto nido
nell’anima e che giace addormentata in attesa d’essere evocata.
Lo spettatore sublime riconosce nello scenario che osserva i suoi pensieri “più grandi”, rimossi
perché troppo grandi rispetto alla vita passiva; essi tornano indietro verso chi osserva,ammantati
della maestà della natura; come se quel che l’osservatore vede l’avesse creato lui stesso. Più che una
parte del Cosmo ci si sente una sua forma manifesta; sta qui, forse, il vero segreto del sublime.
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Per altro, giova notare a questo punto, lungo tutta l’era classica ed almeno fino al Rinascimento, è
stata proprio l’astrologia, madre rinnegata dell’astronomia, a costruire le condizioni per
l’appercezione del sublime. V’è nel sapere astrologico affermata una corrispondenza biunivoca tra
l’uomo ed il cosmo tradotta dal tema natale: in qualche modo, siamo tutti figli delle stelle; ed i
nostri corpi vengono dalle officine astrali. Il tempo ciclico ed il determinismo più o meno assoluto
sono condizioni collettive e non riguardano certo nessuna singolarità individuale. Lo stesso tema
natale comporta lo stesso destino. L’amor fati o le Moire antiche accentuano questa inclinazione
collettiva. Il principio d’individuazione non affonda “dentro di me”, nelle differenze senza concetto
delle svariate particolarità ma opera per lo più “sull’altro da me”, non esclude l’universo ma lo
include.
Non a caso la tradizione pagana mette capo ad una sentimentalità soddisfatta, appagata del mondo
—mentre quella moderna è inquieta e drammatica; e quando è soddisfatta di sé risulta volgare.
L’accettazione della finitezza, del mondo così com’è, la sottomissione tragica alle immani influenze
esterne, la consapevolezza irreversibile del carattere impermanente delle cose; tutto questo rende
lecito il godere qui e ora di quello che ci è dato vivere.
Mentre la mentalità moderna rinvia drammaticamente al domani,al futuro, all’innovazione il
superamento delle difficoltà e la guarigione dalle sofferenze; la sentimentalità tragica si impegna a
vivere problemi e dolori giorno per giorno, senza illudersi di risolverli una volta per tutte, ma solo
lenirli attraverso la cura.
In questo quadro, ha del grottesco costatare che l’abitudine, relativamente diffusa e qualche po’
superstiziosa, di consultare l’oroscopo sulla stampa quotidiana sia l’unico relitto che testimoni il
naufragio dell’antico sentimento tragico, alimentato, un tempo, da una attività sacerdotale specifica.
Fino all’avvento della modernità, infatti, la relazione tra Cosmo ed individuo era assai intensa. La
conoscenza delle principali stelle e costellazioni era un patrimonio comune; e se gli oroscopi
venivano redatti solo per i potenti, ciò era dovuto alla circostanza che a questi ultimi erano riservati
orologi a sabbia e clessidre in grado di determinare l’ora della nascita con una certa precisione.
Del resto, l’astrologia non aveva solo la funzione di determinare, attraverso il tema natale, il
carattere o, nei casi più spregiudicati che rasentavano la cialtroneria, di avanzare predizioni sugli
eventi futuri e.g. matrimoni,battaglie, eredità etc.; essa svolgeva anche una funzione ordinatrice
della vita quotidiana. Si consideri,infatti, il rapporto tra la professione del medico e le influenze
astrali, rapporto istituito già in epoca arcaica e conservato fino al ‘600 circa, fino a Galilei almeno
che appunto studiò l’astrologia come corso preparatorio ai suoi giovanili studi di medicina.
Nella dottrina astrologica, segnatamente nell’opera di Tolomeo, i diversi organi del corpo e.g.
fegato, cuore, bile, stomaco, gambe, testa etc. erano ognuno sotto la protezione specifica di un dio. I
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legamenti del ginocchio, ad esempio, rientravano sotto l’influenza di Saturno e questi a sua volta
aveva il suo domicilio elettivo nel Capricorno, che era il segno zodiacale dove si trovava il Sole nel
periodo compreso tra l’ultima decade di dicembre e le prime due di gennaio; l’insieme di queste
circostanze determinava il “kairos”, il tempo proprio per l’intervento chirurgico ai legamenti del
ginocchio: l’operazione poteva essere eseguita, con ottime probabilità di successo, quando Saturno
transitava nel Capricorno; o in subordine, se occorreva aspettare troppo tempo per quel transito,
l’intervento aveva luogo, con aspettative di successo più modeste, all’inizio dell’inverno, sotto il
segno del Capricorno.
A pensarci bene, questo criterio astrale per determinare il periodo più propizio per le attività
medicali non è certo più peregrino di quello utilizzato oggi dalla sanità pubblica che fissa gli
appuntamenti in funzione del bilancio nonché
dei vincoli sindacal-corporativi contratti con i
dipendenti.
Per concludere, la contemplazione del Cielo come esperienza del sublime consegue il duplice
obiettivo di confrontare lo studente-spettatore con il sentimento del tragico e, ad un tempo, di
riguardare il cielo come se su di esso fossero state scritte delle storie, dei racconti, dei miti appunto
nel senso originario del termine. Storie che, provocando emozioni, permettono allo spettatore di
riconoscere, da qualsiasi altro luogo anche lontano e diverso da quello dove si sono svolte le sedute
osservative, costellazioni e stelle come si riconoscono le forme a noi familiari, con quella segreta
gratificazione che sempre comporta l’atto del riconoscere, quasi si trattasse di riconoscere degli
amici.
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Laboratorio-da inserire
Nel seguito, appaiono le riproduzioni delle più importanti costellazioni e delle stelle visibili ad
occhio nudo,alle nostre latitudini—tra 35° e 45° Nord.
Sarà bene che lo studente-spettatore osservi con pazienza le diverse forme, fino a trovare una certa
dimestichezza con esse. Così, una volta che la figura della costellazione è divenuta familiare, sarà
possibile riconoscerla nel Cielo anche quando è solo parzialmente visibile, a causa di ostruzioni
dell’orizzonte o più frequentemente di nuvole.
Accade con le stelle quel che succede con gli amici—si è in grado di riconoscere il loro viso anche
quando è parzialmente coperto da una sciarpa.
Nelle carte, le stelle sono rappresentate con sei simboli (allegare) che indicano il grado di
luminosità o magnitudine apparente all’osservatore terrestre: più bassa è la magnitudine più alta la
luminosità; qui il numero ha una funzione ordinale. In conseguenza diciamo che una stella è
1°,2°,3° etc. magnitudine, secondo una classificazione inventata da Ipparco(nota).
In verità oggi gli astronomi usano classificare le stelle con la loro magnitudine assoluta ovvero
valutandone la luminosità che avrebbero se fossero tutte poste alla stessa distanza dalla Terra—ma
questo è un argomento che affronteremo nella seconda parte del testo.
Quando parliamo di una certa magnitudine apparente, ordinata secondo numeri interi, bisogna
ricordare che si tratta di una approssimazione. Infatti, le stelle della stessa magnitudine non sono
obbligate ad essere ugualmente brillanti: quando effettuiamo con uno strumento la misura del flusso
luminoso constatiamo che le magnitudini non vanno come numeri interi e.g. Castore nei Gemelli ha
una magnitudine misurata di 1,58 mentre per la Polare il valore corrispondente è 2,12, e tuttavia
entrambe sono classificate come oggetti astrali di 2° grandezza.
Secondo lo schema di Ipparco, una stella di magnitudine 1,0 è 2,5 volte più luminosa di una di
magnitudine 2,0; quest’ultima è 2,5 volte più luminosa di una stella di magnitudine 3,0; e così via.
Questo significa che una stella di magnitudine 1,0 è cento volte più luminosa che una di
magnitudine 6,0. In generale, più debole è il segnale luminoso maggiore è il numero di stelle che lo
inviano.
Le stelle di magnitudine 1,0 sono venti nell’intero Cielo; non è difficile riconoscerle e apprendere i
loro nomi; esse sono talmente brillanti che si impongono alla vista appena guardiamo la volta
celeste, ancor prima che l’occhio si sia adattato alla relativa oscurità del posto d’osservazione.
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Gli astri di 2° grandezza sono nettamente meno luminosi e più numerosi,circa cinquanta in tutto.
Alcuni di essi verranno identificati con il loro nome, come è già accaduto per la Polare che è,
appunto, una stella di 2° grandezza.
Nella terza e quarta magnitudine si trovano, rispettivamente, 150 e 600 stelle; assai più tenui come
brillio sono tuttavia ben visibili nelle notti chiare. Abbiamo,poi, che nella 5° magnitudine si
raggruppano circa 1500 stelle; ma meno di un centinaio appaiono nelle nostre carte—esse non
figurano mai isolate ma come parti,insieme agli altri astri più luminosi, delle figure delle
costellazioni che così risultano meglio definite.
Vi sono infine le stelle di 6° grandezza:nessuna di esse appare sulle nostre carte giacché, ad occhio
nudo, solo le aquile,forse, sono capaci di distinguerle. Per tutte le altre di magnitudine crescente è
necessario il binocolo o il telescopio.
Gli astri non solo differiscono in luminosità ma possiedono anche colori diversi. Al primo sguardo,
possono apparire tutti come bianche argentate ma una osservazione appena più attenta rivela che
molte di esse sono colorate: blu, rosse, gialle e perfino grigie. Qualche volta si tratta di una tonalità
cromatica appena accennata ma più si osserva e più la colorazione diviene netta. Un buon esempio
sono: Vega che è blu, e Arturo che è rossa; quando esse sono osservabili insieme nel cielo il
contrasto cromatico si percepisce nettamente.
Per l’astronomo il colore di una stelle è un indizio delle sue condizioni fisiche e della temperatura;
per noi è solo un modo di identificare la stella e di essere affascinati dalla sua luce.
Le mappe del testo compaiono con una caratteristica che potrebbe apparire paradossale: l’Est è a
sinistra e l’Ovest è a destra, contrariamente a quel che avviene per le carte terrestri. La ragione è
dovuta al fatto che la carta geografica si legge stando di fronte ad essa mentre la carta celeste mostra
lo spazio sopra la testa dell’osservatore. Infatti, si tratta di una rotazione di 180° che scambia la
destra con la sinistra; prova ne sia che se poniamo la mappa del cielo sopra la nostra testa ogni cosa
torna al suo posto: l’Est è a destra e l’Ovest è a sinistra.
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IL CIELO PER TUTTO L’ANNO.
Le Dodici Mappe del Cielo, da pag.? a pag.? , mostrano dove guardare per trovare stelle e
costellazioni, ogni mese nelle prime ore della serata, alle Latitudini comprese tra 35° e 45° Nord.
Non è possibile rappresentare la volta stellata con una sola mappa, perché il Cielo muta lentamente
ma continuamente, pur restando costante il suo movimento antiorario attorno alla Polare.
Del resto, questa affermazione è agevolmente verificabile con l’esperienza: si osservi il Cielo
notturno in due occasioni successive, a distanza di qualche ora, ed il cambiamento apparirà in modo
evidente. Le stelle che, durante la prima osservazione, si trovavano ad Ovest saranno belle e
tramontate qualche ora dopo; quelle che erano alte nel centro ora si sono abbassate verso Ovest; e
quelle che erano basse sull’orizzonte Est ora sono salite ruotando verso Ovest; infine, a Levante,
sono apparsi nuovi astri. Tutto questo accade, necessariamente e senza sosta.
A vero dire, il Cielo non cambia solo di ora in ora ma anche di settimana in settimana, di mese in
mese, di stagione in stagione. Il Cielo di ottobre si mostra differente da quello di gennaio o maggio
o luglio. Perché? A causa di pochi minuti, i fatali quattro minuti circa.
Infatti, la rivoluzione delle stelle attorno alla Polare non si compie in 24 ore ma in 23 ore e 56
minuti circa, quattro minuti meno che la durata di un giorno. Di conseguenza, le stelle sorgono ogni
sera quattro minuti prima che la sera precedente. Nota:(Qui ci limitiamo a costatare un fatto che può
essere provato empiricamente dall’osservatore. La spiegazione relativa è rinviata alla seconda parte
del testo)
Se non fosse per questi pochi minuti, se le stelle impiegassero 24 ore a completare il loro giro, noi
vedremmo le stelle esattamente nella stessa posizione alla stessa ora ogni notte—e fare il mestiere
dell’astrofilo sarebbe assai semplice.
Quattro minuti al giorno sembran pochi; ma essi si addizionano; in un mese fanno due ore circa;
sicché, tra un mese da oggi, le stelle sorgeranno due ore prima di oggi. Un mese dopo, due ore
prima: è questa la semplice formula che governa l’astronomia visiva.
Due ore al mese vuol dire ventiquattro ore in un anno; di conseguenza, dopo un anno da oggi il
Cielo assumerà l’aspetto che ha oggi. Così, il ? di luglio a mezzanotte di quest’anno le stelle hanno
l’identica posizione che avevano il ? luglio dell’anno scorso alla stessa ora, e che avranno di nuovo
i ? luglio dell’anno prossimo, sempre a mezzanotte.
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Per chiarire le conseguenze dei fatali quattro minuti, proviamo a seguire una stella lungo il corso
dell’anno e.g. l’astro sorge il 5 gennaio alle nove di sera; dopo due mesi si leva alle cinque del
pomeriggio e diviene così inosservabile; ci vorrà dicembre perché essa sorga alle undici di sera e sia
di nuovo osservabile in un orario comodo.
In altri termini, le stelle, come le attrici, si esibiscono al meglio in certe stagioni, l’esempio
precedente ha mostrato una tipica stella invernale. Ci sono così stelle per tutte le stagioni; con
l’avvertenza che una stella d’inverno, ad esempio, non comporta che essa sia visibile solo d’inverno
ma solo che se la si vuol osservare d’autunno bisogna stare in piedi in ore antelucane.
Val la pena aggiungere che, nel clima mediterraneo ed alle nostre latitudini, la stagione più felice
per osservare è l’inverno. E questo per due ragioni: l’aria invernale è più fredda e secca cioè più
chiara che quella più calda delle altre stagioni; inoltre e soprattutto, d’inverno la regione del Cielo
più ricca di stelle si mostra alla vista, in direzione Sud-- non bisogna dimenticare che le stelle
visibili sono ripartite in modo ineguale nelle diverse porzioni di Cielo, dove relativamente poche e
dove molte.
COME USARE LE MAPPE CELESTI.
Le Mappe riportate da pag.? a pag.? sono doppie: a sinistra è rappresentato il Cielo così come lo
studente spettatore lo vede osservando dalle nostre latitudini tra le 9 e le 11 di sera il quindicesimo
giorno del mese indicato; a destra v’è lo stesso Cielo ma, questa volta, le stelle che lo punteggiano
sono collegate da linee che evidenziano le costellazioni alle quali esse appartengono.
E’ consigliabile studiare queste mappe qualche ora prima della seduta osservativa; in particolare, la
Mappa sinistra dovrebbe precedere, nella lettura, quella di destra nel tentativo di riconoscere le
stelle più luminose e di intravedere le possibili forme delle costellazioni. Il Cielo sulla Mappa
sinistra può sembrare all’inizio come un “puzzle” ma è questo un eccellente modo di familiarizzarsi
con la volta celeste,quella vera; inoltre, v’è un elemento ludico, come appunto nei “puzzle”, che è
indifferente alle reali condizioni atmosferiche.
Quali e quante siano le stelle davvero osservabili dipende,oltre che dalla data, anche dalla latitudine
del luogo d’osservazione. In conseguenza, le Mappe presentano tre orizzonti che si sovrappongono:
a 30°, 40° e 50° Nord. Lo studente-spettatore dovrà riferirsi all’orizzonte più vicino alla latitudine
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del luogo d’osservazione; all’interno di questo orizzonte si trovano tutte e sole le stelle visibili a
quella data da quel luogo, mentre all’esterno si colloca la parte invisibile del Cielo.
Ad un primo sguardo, si nota subito che gran parte del Cielo è del tutto identico per le tre latitudini;
la differenza, infatti, riguarda solo l’estremo Nord e l’estremo Sud celesti; in altri termini,
l’osservatore all’estremo Nord terrestre vede stelle la cui vista è invece preclusa ad un osservatore
all’estremo Sud, e viceversa.
Si prenda, a mo’ d’esempio, la 5° Mappa : la stella di prima grandezza Canopo, nel Sud del Cielo è
ben visibile a 30° , ma non a 40° e tanto meno a 50°; mentre, d’altro canto, Deneb, anch’essa di
prima grandezza, nel Nord, è facilmente riconoscibile a 50° mentre è invisibile a 40° ed,
ovviamente, a 30°.
Nella stessa Mappa possiamo notare come la Polare sia bassa sull’orizzonte Nord a 30° mentre è
più alta a 40° ed ancor più a 50° -- in generale, più si sposta verso il Nord terrestre il sito
d’osservazione e più la Polare monta nel Cielo verso lo Zenith; più si procede verso Sud e più la
Polare si abbassa sull’orizzonte.
Come già notato, ogni Mappa è redatta per il quindicesimo giorno del mese indicato tra le 9 e le 11
di sera; ma poiché il Cielo ruota, alle ore 2, del mattino successivo, la Mappa avrà perduto di
fedeltà nella rappresentazione. E’ questa una difficoltà che si presenta quando la seduta osservativa
dura più di due ore; o anche quando, più semplicemente, l’osservatore è un astrofilo caparbio ed
appassionato. Per far fronte alla difficoltà, in questo testo, la successione delle carte celesti è
concepita in modo tale che, per ritrovare la Mappa corrispondente dopo due ore, basterà passare a
quella del mese successivo, dopo quattro ore due mesi dopo e così via.
ALCUNE REGOLE ELEMENTARI PER OSSERVARE IL CIELO NOTTURNO.
Poniamoci ora nelle condizioni materiali dell’osservazione notturna. Scelto il luogo con il crtiterio
di minimizzare la luce artificiale e le ostruzioni dell’orizzonte, bisogna aspettare cinque minuti circa
per permettere all’occhio di situarsi nello stato di visione notturna—l’occhio, infatti, utilizza
ricettori cerebrali diversi per la visione diurna e per quella notturna; rispettivamente “coni” e
“bastoncelli”.
Una volta l’occhio adattato, conviene subito cercare il Nord celeste cioè la stella Polare; per questo,
può essere d’aiuto, la forma dell’Asterisma del Piccolo Carro dal momento che la Polare è proprio
l’ultima stella del Timone. Le stelle nella parte Nord del Cielo, attorno alla Polare, sono le stesse
tutto l’anno; e lo studente-spettatore imparerà a riconoscerle al primo sguardo.
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Trovato il Nord, bisognerà rivolgersi subito dopo ad Ovest, perché è la che le stelle tramontano,
sicchè; se ci rivolge a Ponente dopo aver scrutato le altre regioni del Cielo, molte stelle risulteranno
invisibili per via che saranno già tramontate.
Dopo il Nord e l’Ovest, si osservi il Sud e quindi l’Est. Durante questa rotazione della visione a
360° si abbia cura di disporre della Mappa corrispondente alla data dell’osservazione collocandola
rovesciata sopra la testa, in modo che le direzioni cardinali della mappa e quelle del Cielo siano tra
loro conformi—in altri termini, le costellazioni sulla Mappa appariranno con le stesse posizioni
relative che nel Cielo.
Lo sforzo osservativo va investito, prima di tutto, nell’individuare le stelle più luminose, quelle di
prima grandezza, che sono elencate, per nome,nel bordo inferiore della Mappa; subito dopo si
cerchi di riconoscere le forme delle costellazioni, da quelle più nette a quelle più pallide.
Si ricordi che guardare il Cielo verso il suo centro o Zenith corrisponde ad uno sforzo cervicale
notevole, dal momento che corrisponde a vedere sopra la testa, visione per la quale il nostro corpo
non è, antropologicamente, adattato— sicché, se si vogliono guardare le stelle in quella regione ed
evitare dei mal di capo il mattino seguente, è preferibile usare una sedia o anche sdraiarsi su una
coperta per terra.
Inoltre, non bisogna dimenticare che è inutile sforzarsi di riconoscere le costellazioni quando si
trovano sull’orizzonte:la luce delle stelle, giungendo lungo la direzione orizzontale, deve
attraversare uno strato atmosferico assai più esteso che nella direzione obliqua o verticale (fare
disegno!!!! O nota ); inoltre,l’aria densa e qualche po’ inquinata , vicina alla superficie terrestre,
produce un alone nebbioso che riduce drasticamente la luminosità apparente delle stelle.
Alcune altre avvertenze possono risultare utili allo studente-spettatore.
Prima di tutto conviene ricordare il fenomeno detto “illusione della Luna”. La Luna sembra molto
più grande sull’orizzonte che quando si trova alta nel Cielo; e questo è vero anche per il Sole e tutte
le costellazioni. Queste ultime sembrano rannicchiarsi via via che si alzano sulla volta celeste.
Si prenda, ad esempio, Orione, di prima sera, a gennaio, basso sull’orizzonte Est: la sua estensione
spaziale è decisamente grande; ma, già dopo due ore si è rimpicciolito, e ancor più dopo quattro
quando è arrivato quasi al Centro del Cielo, sulla testa dell’osservatore. Solo dopo aver culminato,
cioè aver attraversato il Meridiano del luogo, ricomincia a crescere fino ad avere le dimensioni
iniziali quando tramonta sull’orizzonte Ovest.
La stessa “illusione” è all’opera quando si osservano le stelle sull’orizzonte: esse sembrano più alte
di quello che realmente sono, dove realmente vuol dire effettuare la misura dell’altezza con uno
strumento. Si consideri, ad esempio, la Polare: alla nostra latitudine cioè a 40° circa dovrebbe
trovarsi sotto il punto mediano tra orizzonte e Zenith; è invece essa appare nettamente più alta.
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Si tratta di illusione in senso proprio; infatti, se misuriamo o fotografiamo la Luna nelle due
posizioni, rispettivamente orizzonte e punto di culminazione, costatiamo che ha la stessa grandezza;
ed anche se fotografiamo la stella Polare tenendo l’orizzonte come scenario, ci accorgiamo che ha
esattamente la stessa altezza che la latitudine del luogo, e non quella,nettamente maggiore, che
l’occhio aveva visto.
L’animale uomo ha molta più esperienza nel valutare le distanze dei corpi posti davanti in
orizzontale che di quelli posti in alto in verticale; sicché un oggetto qualunque, e non solo quelli
celesti, sembrerà più piccolo se si trova sulla testa di quanto sembri se è posto orizzontalmente alla
stessa distanza. Si tratta di una capacità che mescola la visione parallaticca dei nostri occhi con
l’abilità acquisita con l’esperienza.
Lo studente–spettatore può, all’inizio dell’esperienza osservativi, sorprendersi per le acrobazie che
le Costellazioni compiono nel Cielo. Accade così che la Vergine,per dirne una, osservata sulle
Mappe, monta verso il centro della volta con la testa all’insù, per poi sdraiarsi sulla schiena ed
infine tramontare con i piedi in aria; i Gemelli, per dirne un’altra, disegnano un movimento analogo.
Questi movimenti grotteschi delle costellazioni sono dovuti alla rotazione della volta celeste attorno
alla Polare; una volta che questa constatazione è interiorizzata lo stravolgimento delle figure non
crea nessuna confusione.
Ancora un altro avvertimento: la grandezza delle stelle non cambia se le guardiamo ad occhio nudo,
con un binocolo e perfino con un telescopio; la loro immane distanza fa sì che esse ci appaiano
sempre puntiformi, e presentino differenze solo per la luminosità,alcune più brillanti altre meno.
Sulle nostre Mappe, tuttavia, la diversa luminosità delle stelle è rappresentata come differente
estensione sulla pagina; sicché anche il più piccolo simbolo finisce con l’avere, in proporzione, una
estensione più grande di qualunque stella, fosse anche la più brillante nel Cielo.
L’effetto complessivo è che le stelle sulla Mappa sembrano essere assai più vicine tra di loro di
quanto avvenga, comparativamente, sulla volta celeste; e.g. si confrontino le distanze tra le stelle
della cintura d’Orione sulla Mappa e nel Cielo.
Ancora un avviso per lo studente spettatore: può capitare di osservare un oggetto celeste assai
luminoso che non compare nella Mappa; con buona probabilità, si tratta di un pianeta.
I pianeti, infatti, non figurano sulle carte celesti perché non hanno, dirò così, una residenza fissa:
essi,come vuole l’etimo della parola, errano tra le costellazioni.
I pianeti, ufficialmente recensiti, del sistema solare sono nove, compresa la Terra. Solo cinque sono
però quelli visibili ad occhio nudo—e noi ci occuperemo solo di questi cioè di Mercurio, Venere,
Marte, Giove, Saturno.
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Mercurio, per cominciare, è talmente vicino al Sole da risultare di difficile osservazione. Degli altri
quattro, però, almeno uno, di solito, è in giro per il Cielo; spesso ve ne sono due, qualche volta tre
ed,occasionalmente, quattro—anche non necessariamente alla stessa ora.
Fortunatamente, i pianeti viaggiano tutti lungo una stessa fascia di Cielo, quella individuata dalle
costellazioni dello Zodiaco, mai molto lontane dall’ecclittica. Per questa ragione, l’ecclittica è
mostrata sulle Mappe come una linea bianca punteggiata; quando v’è là vicino un astro brillante
vuol dire che è un pianeta.
Venere è il pianeta nonché l’oggetto celeste più luminoso, a prescindere, va da sé, dalla Luna e dal
Sole. Di conseguenza, Venere è facile da riconoscere, anche perché dimora, per così dire, solo in
due regioni del Cielo: sull’orizzonte di Levante, immediatamente prima dell’alba, come “stella del
mattino”; o, in alternativa, sull’orizzonte di Ponente, al tramonto, come “stella della sera”; sicché,
fino al secolo scorso, nei grandi pascoli della Sila, i pastori solevano usare l’apparizione dell’astro
come segnatempo per l’uscita o il rientro del gregge.
Inutilmente l’osservatore cercherebbe Venere nel Cielo di mezzanotte.
Mette conto ricordare che, per secoli, tanto i Greci quanto i Latini pensarono che si trattasse di due
diverse stelle, chiamate rispettivamente Lucifero e Vespero. Secondo Diogene Laertio, fu
Parmenide di Elea, (piccola città situata a Salerno,cioè qua vicino), il primo poeta-scienziato che
scoperse trattarsi, in realtà, di un solo oggetto luminoso e precisamente un solo pianeta.
Non così brillante come Venere ma certo più luminoso che qualsiasi stella ci appare Giove nel
Cielo notturno: alto o basso sull’orizzonte, ad Est o a Sud o ad Ovest, ad ogni ora della notte, ma
sempre dentro una costellazione zodiacale e sempre vicino alla linea dell’ecclittica.
Accade lo stesso per gli altri due pianeti, Marte e Saturno. Quest’ultimo non è mai brillante come
Giove, pur presentandosi sempre come una stella di prima grandezza.
La luce di Marte, invece, muta considerevolmente secondo la distanza dalla Terra—questa distanza,
infatti, varia assai di più che quella degli altri pianeti: da 34 milioni di chilometri quando è più
vicino alla Terra, cioè al perigeo, a 247 milioni quando si trova alla massima distanza, cioè
all’apogeo; si tratta quindi di un fattore di variazione maggiore di sette, da confrontare con quello di
Giove e Saturno entrambi inferiori a due.
Questo comporta che Marte sia, qualche rara volta luminoso come Giove, frequentemente superiore
o pari a Saturno; e ancor più spesso ci appaia solo come una stella di seconda grandezza—ma,
brillante o tenue che sia la sua luce, è possibile riconoscerla, oltre che per l’assenza di scintillio
tipico di tutti i pianeti, anche e soprattutto per quello specifico color vermiglio che valse, nella
tradizione greco-babilonese, l’identificazione con il dio della guerra.
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L’errare dei pianeti nel Cielo notturno può sembrare introdurre una qualche difficoltà per
l’osservatore—ed invece, dopo le prime esperienze, stabilire la costellazione dove è in corso di
transito un determinato pianeta, si rivela un esercizio altamente gratificante.
Una penultima avvertenza: nelle Mappe la nostra galassia, cioè la Via lattea, è riportata come una
striscia irregolare punteggiata di bianco; si sconsiglia lo studente-spettatore di cercala nel Cielo
notturno salvo che si tratti di una notte dolce e chiara; la sola presenza della Luna o anche il
riverbero delle luci pubbliche rende impossibile il riconoscimento della Via lattea –sicché è inutile
cercarla da siti vicino a grandi città; vale la pena, però, trovare un sito, di tanto in tanto, dove sia
possibile osservarla: è allora che il firmamento, colto come una sola cosa, appare in tutto il suo
splendore; e si realizza completamente il principio d’individuazione, la coscienza enorme, sorda ed
ineffabile, d’appartenere al cosmo, abbandonati e annientati dall’enormità materiale ma consapevoli
di questo stesso abbandono.
Infine, per rassicurare i nostri quattro lettori, le Mappe possono essere usate in qualsiasi luogo della
Terra a condizione che sia compreso tra le latitudini indicate. A Napoli come ad Istambul, a
Whashington come a Tokio il Cielo ci appare popolato dalle stesse stelle alla stessa ora locale dello
stesso giorno.
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