Anteprima - L`Impresa

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Giampaolo Colletti, Andrea Materia
SOCIAL TV
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Sommario
7 Cos’è la Social tv
9 1. Identikit e modelli di business della Social tv
67 2. I format usa/uk
109 3. La Social tv in Italia
162 4. Le regole d’oro della Social tv
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Cos’è la Social tv
Convenzionalmente per Social tv si intende l’insieme di azioni
e interazioni generate sui social network il cui tema è la programmazione televisiva. Questo aspetto afferisce prettamente
al mondo dei broadcaster e fa riferimento a tutto ciò che va in
onda e che viene ripreso, commentato, rielaborato ed espanso
su Facebook, Twitter e sugli innumerevoli social network, sulla blogosfera, nelle applicazioni di secondo schermo e in qualsiasi forma di community e micro community online.
In questo modo la vecchia tv, fatta di appuntamenti lineari e di
fruizione passiva, diventa una Social tv, ovvero una tv di condivisione e partecipazione.
L’evoluzione della tv tradizionale in Social tv perennemente
Internet-connessa non incide solo sulle abitudini dei telespettatori, ma sull’intera industria dei media ad ogni livello, a partire dalla valutazione degli ascolti e dalla scrittura dei format. In
questa rivoluzione digitale che passa attraverso i social network
e la pluralità di schermi e piattaforme, vengono coinvolti sia i
professionisti della tv (vecchia e nuova) sia i fruitori di questa
nuova offerta, un tempo telespettatori e oggi user.
Per gli operatori anglosassoni il concetto di Social tv è molto
più definito: presuppone necessariamente l’adozione da parte
di un broadcaster di una modalità di fruizione dell’offerta televisiva anche sul web, con una condivisione “plurale”, che oggi
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COS’è LA SOCIAL TV
più che mai si esplicita attraverso i social network. Così oltreoceano i telespettatori e gli user partecipano a un’esperienza
televisiva che si declina sulle varie piattaforme e si amplifica, in
un crescendo di coinvolgimento.
In Italia – ma più in generale in Europa, soprattutto in quella
continentale – i confini sono molto più sfumati e la Social tv
acquista sembianze e modalità di sviluppo differenti. Pertanto
in questo libro, pur partendo dalla visione ortodossa del concetto di Social tv del mercato audiovisivo americano, sfumeremo i toni nell’esposizione di ciò che avviene in Italia, consapevoli che esista una via nostrana alla Social tv, solo in parte fino
a oggi adottata dagli operatori. Questo percorso è dettato sia
da una maturità differente del digitale e della rete nel nostro
paese, sia da una centralità della cosiddetta tv sofà, che ancora oggi vede nel “telecomando” una killer application tutt’altro
che lontana dal tramontare.
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IdenTIkIT e MOdeLLI dI buSIneSS deLLA SOCIAL TV
La pubblicità diventa social
advertising
L’epoca degli spot lineari, 30 secondi auto-conclusivi da far
ingurgitare passivamente a uno spettatore-spugna inchiodato alla poltrona, sta volgendo al termine. Ma nel groviglio di
alternative ed evoluzioni possibili – tra pre-roll cliccabili in
streaming,7 applicazioni pubblicitarie per smart tv che si sovrimprimono a film e telefilm cambiando merce in esposizione a seconda dei gusti dell’utente, marketing virale e campagne interattive sui social network – siamo ancora lontani
dall’individuare uno standard che raccolga l’eredità dell’advertising tradizionale.
L’assenza di metriche consolidate, come abbiamo appena visto, è già di per sé un ostacolo non indifferente. L’unica certezza per gli inserzionisti è che la fruizione dei contenuti si è
estesa da un’esperienza di acuta concentrazione su un singolo
schermo con una manciata di canali selezionabili a un andirivieni instancabile tra tutti gli schermi di tutti i device internetconnessi, domestici e non, con una selva gremita all’inverosimile di soluzioni a disposizione per informarsi o divertirsi.
Gli spot spariscono nel grigiore, saltati a piè pari con un pulsante del MySky o ignorati bellamente per girare lo sguardo
sullo smartphone, in attesa che riprendano le trasmissioni. Il
telespettatore cambia abitudini, e la pubblicità deve corrergli
appresso, se vuole recuperarlo.
In questo contesto, l’imporsi della Social tv è stato salutato
dai marketer come una rivelazione messianica: coinvolgere
“emotivamente” il pubblico distratto permette di riagguanPer esempio, gli spot in testa ai video su YouTube, che spesso invitano a cliccare
su un’area dello schermo, onde aprire in una seconda finestra del browser il canale
YouTube o la fanpage Facebook del prodotto reclamizzato e partecipare a concorsi a
premi, o iscriversi a newsletter e altre forme di aggiornamenti fidelizzanti.
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tarlo agli sponsor, talora persino di
Il coinvolgimento
tramutarlo in un entusiasta disceemotivo del pubblico
polo di un grande marchio, pronconsente agli sponsor
to a sua volta a fare proselitismo –
di riagganciarlo
consapevolmente o meno – tra gli
amici di web.
Come sottolinea Lindsey Clay di Thinkbox: «Ogni tecnologia
innovativa che andiamo ad affiancare ai consigli per gli acquisti
rende il messaggio più attraente per gli spettatori e più efficace
per le aziende».
Budweiser – 30 milioni di Mi Piace all’attivo su Facebook – ha
scoperto che il key driver dietro l’incremento del 4,6% nei ricavi
durante il 2011 è stato la varietà di iniziative sui social media.
Tra cui un reality brandizzato, Budweiser: The Big Time, dove i
concorrenti venivano reclutati rigorosamente online.
Per il 2012 e 2013 Chris Burggraeve, decisore di spesa supremo per la comunicazione di Stella Artois e Budweiser, ha rotto gli indugi. Con una decisione storica, il cosiddetto “primo
dollaro” nei suoi investimenti marketing non andrà più alla
televisione tradizionale, andrà ai fan su Facebook e Twitter.
E forse anche i secondi e terzi dollari. Una strategia ribattezzata Fans First, precedenza assoluta agli iscritti ai canali social:
«Già adesso il 18% del budget viene allocato lì», ha specificato
Burggraeve, «ma in paesi come la Cina siamo saliti al 30%, e
cresceremo ancora. Non significa che ci tireremo fuori in via
definitiva dalla tv, ma nella sua antica definizione di interruzione pubblicitaria in mezzo ai programmi la tv degraderà per
noi a media secondario».
Altri marchi globali stanno ridisegnando i propri approcci promozionali scommettendo sulla combinazione break televisivi+
applicazioni per mobile+giveaways.
Pepsi ha regalato bottiglie di Pepsi Max agli utenti che taggavano il suo spot su IntoNow nei minuti successivi al suo
passaggio in onda. IntoNow è un’applicazione per iPhone e
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dispositivi Android; poche settimane dopo il debutto era già
entrata a suon di milioni di dollari in orbita Yahoo!
L’ultima campagna della catena di abbigliamento low cost Old
Navy invitava chi la seguisse in tv, su Facebook o su YouTube
a taggarla tramite Shazam – altra app per smartphone e tablet
– promettendo in cambio contenuti bonus, consigli di moda e
soprattutto offerte speciali a prezzi stracciati. Pur crescendo al
ritmo di un milione di utenti a settimana, la reach di Shazam
non è di sicuro equivalente a quella di un’emittente generalista, tuttavia, a costo di perdere una
bonus, suggerimenti
significativa fetta di popolazione
e offerte speciali
televisiva, Old Navy ha preferito
sui social in cambio
spendere qui i suoi soldi, relegando
di fedeltà televisiva
in cantina i metodi convenzionali.
Heineken è andata oltre, si è costruita in casa la sua mobile app. Si chiama Star Player e si
rivolge alla più classica delle platee catodiche: i tifosi di calcio, nello specifico quelli dei tornei uefa. Star Player “vive” in
simbiosi con le partite, è una gara nella gara. Mentre il match
va in onda, il software chiede a cadenza regolare di prevedere cosa avverrà da lì a 30 secondi o giù di lì. Chi segnerà?
Chi farà l’assist vincente? Chi finirà nel taccuino degli ammoniti dall’arbitro?
YouTube gioca un ruolo null’affatto marginale nella rivoluzione in fieri. Nel 2011 oltre 500 iniziative di branded video
hanno superato, grazie al video sharing, la soglia psicologica
del milione di spettatori user-avviati, ovvero generati da embed, parodie, remix, re-post, re-tweet e via dicendo.8 In media
765.000 visualizzazioni per singola campagna; due anni fa la
linea mediana era di 460.000 visualizzazioni.
Agli inizi del 2012 matthew’s Day Off della Honda, ironico sequel
del classicissimo di John Hughes una pazza giornata di vacanza,
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Visible Measures, 2011 Social Video advertising Report.
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ci ha restituito un invecchiato Matthew Broderick nei panni del
leggendario Ferris Bueller. Sulle ali delle condivisioni degli internauti, lo spot – presentato in un’anteprima di 30 secondi durante
il Super Bowl da nbc, ma riproposto in versione integrale (2 minuti e mezzo) su YouTube – ha strappato 15 milioni di views, che
sommate al martellante cancan sui social network si traducono in
2,3 milioni di dollari di pubblicità gratuita per la casa giapponese.
Ma il furore partecipativo del moderno telemaniaco viene studiato e sfruttato anche, e soprattutto, per re-indirizzare e ottimizzare le campagne tv, scegliendo network e format da sponsorizzare attraverso un’inedita chiave di lettura.
Al riguardo, è doverosa una premessa. Il costo degli intervalli
pubblicitari è sempre stato legato alla profilazione di chi guarda
uno show, in particolare in Nord America, dove il numero totale di ascoltatori ha un valore minore rispetto alla composizione
demografica degli stessi. Negli anni Novanta, apparire nei commercials di Friends costava il triplo di un inserimento in La signora in giallo. Eppure i due serial avevano share identici. Era però
diversa l’età, smaccatamente più giovane in chi seguiva Friends.
Nel 2008 per uno spot dentro
La Social tv include
Grey’s anatomy bisognava panel calcolo dello spot
gare 419.000 dollari, contro i
l’affinità ai relativi
248.000 di csi, sebbene csi avesse
brand sul Web 2.0
cinque milioni di spettatori in più
(ma più anziani). Nel 2011 Glee e
The Office hanno procurato alle rispettive emittenti 272.000 e
213.000 dollari per ciascuno spot venduto contro i 150.000 di
ncis, nonostante entrambe le sitcom abbiano assai meno della
metà degli ascolti complessivi di ncis. Ma nella fascia 18-49
anni sono alla pari e in quella 15-34 vincono nettamente.
La Social tv raffina queste equazioni, incorporando nel calcolo
l’affinità ai brand sul Web 2.0. Lo Show Index di Bluefin Labs,
normalizzato a base 100, rivela che ESPNews ha un indice pari
a 234 per i golosi di Coke. In buona sostanza, i fan sui social
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Gli eventi che hanno generato più tweet-al-secondo (da Statista.com)
network della Coca-Cola twittano, commentano e registrano
check-in sul notiziario sportivo di espn il 234% più di quanto fanno in media per gli altri programmi. Nella Top 10 delle
trasmissioni più affini alla bevanda gassata simbolo degli Stati
Uniti ce ne sono tre di espn.
Ad Atlanta, nel quartier generale della Coca-Cola, devono
adesso chiedersi se continuare a investire in format di audience vasta, ma scarsamente interessata, o stornare dollari verso
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espn.
Quale che sia l’orientamento finale, è pressoché impossibile che il marketing mix rimarrà immutato.
Gli Show Index segmentano anche le categorie di consumatori,
con risultati prevedibili – chi beve birra discute online di programmi di football, hockey e baseball; chi beve vino si orienta sui
format di moda e dating – e risultati meno intuitivi, per esempio
quelli sull’amore/odio verso un determinato prodotto.
«Non è solo questione di computare quanto si parla sui social
network di show e di spot» afferma Tom Thai, vicepresidente di Bluefin, «conta altrettanto sapere cosa si dice». È facile
intuire che i tweet di chi compra quintali di birra pendano
verso lo sport; del resto, è su quel genere di programmazione
che i produttori di lattine investono di più. Non così immediato è capire quando i tweet esprimano un “sentimento”
positivo e dunque una propensione al consumo. Su queste
statistiche si fonderà una ragguardevole porzione dei nuovi
Auditel in arrivo.
La pillola dell’esperto
Interattività e networking modificano significativamente gli attrezzi del pubblicitario, ancora troppo
legatoalfascinodellospot.Chenonsparisceaffatto,masmettedicostituireilpernodellatecnicaregina,lapubblicitàtelevisiva,perdiventareunadelletantissimeapplicazionidausare(semprepiùinformaintegrata)per
veicolarealmegliounchiaroebencostruitoconcept.
LaconfermaladàproprioGoogle,cheaquattroautoridigrandi
campagnedelpassatohachiesto“Comel’avrestefattaconle
nuovetecnologie?”(www.projectrebrief.com).Tuttihannosviluppatobrillantementeilvecchioesemprevalidoconcepttenendo
conto del nuovo contesto tecnologico e sociale. Parlare delle
marche alle persone, e farne parlare le persone: non è forse
questo–dasempre–ilcompitodellapubblicità?
AlbertoContri,presidenteFondazionePubblicitàProgresso
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