Filosofia dell`educazione - Filosofia e Scienze umane

Pedagogia
Filosofia dell’educazione
Scuola e società
di Gianluca Caputo
Esiste una filosofia dell’educazione che parte dai principi e formula teorie con l’intento di
regolare le pratiche pedagogiche.
I NTRODUZIONE
Se è vero che una teoria è presente in ogni pratica di insegnamento, ovunque esista una pratica di
insegnamento trova posto una formulazione teorica possibile di quell’insegnamento. Ma esiste, di
contro, una filosofia dell’educazione che parte invece dai principi e formula teorie con l’intento di
regolare le pratiche pedagogiche.
Se accettiamo questa definizione di “filosofia dell’educazione” si può parlare di essa già a partire da
Platone e la Pedagogia può dirsi in questo caso una sorta di “filosofia applicata”. Solo, e
gradatamente, con lo sviluppo della modernità anche la pedagogia si è venuta regolando in forma
nuova, attraverso molti saperi e molte prassi vincolati ad un sapere unico unitario. Sottolinea
Reboul nel 1985 come la filosofia dell’educazione è “la disciplina base, che dà alle scienze
dell’educazione il loro reale significato”, che le integra e le orienta, raccordandole ai fini1.
Se dunque in un primo tempo la pedagogia nasceva modellata dal modello filosofico esistente (la
sua applicazione, appunto), la nascita di una filosofia dell’educazione cosciente di sé, al contrario,
interviene sulle pedagogie esistenti e le commisura al loro ideale e così facendo le rivede, le
corregge, le integra.
Sull’altro fronte abbiamo le scelte educative dettate dai bisogni che di volta in volta, nella storia,
sono nate in seno a paradigmi culturali e politici diversi, dall’abitudine e dal costume.
C ONGRUENZE E INCONGRUENZE
C’è una connessione diretta tra la scuola e la società che la propugna. Essa può tuttavia dimostrarsi
congruente o incongruente.
Nel primo caso l’educazione formale delle istituzioni educative è conforme all’educazione informale
diffusa nel più vasto sistema di trasmissione sociale e culturale. I modelli di vita sono, in questo
caso, funzionali alla conservazione dell’assetto societario e la scuola rafforza il sistema
socieconomico e culturale esistente, instradando le nuove generazioni e confermando quelle adulte
1
Mialaret G. (a cura di), Introduzione alle scienze dell’educazione, Roma-Bari, Laterza
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nei ruoli e nelle funzioni stabilite. La scuola offre in tale sistema un preciso bagaglio di saperi che
troverà perfetta collocazione nella stessa società dalla quale l’ha ricevuto.
Si ha invece incongruenza quando uno dei due sistemi, di solito l’assetto sociale, si modifica
rispetto all’altro. Ne consegue che non sono più tra loro funzionali e non si rafforzano
reciprocamente; la scuola diventa oltretutto fattore di scompenso sociale che a sua volta non riesce
a incanalare i suoi bisogni di sviluppo nel sistema formativo (provocando tra l’altro quella acentricità di valori delle società moderne, per cui i valori di ogni sottosistema della società
differisce da quelli degli altri).
Aggiungo un terzo caso in cui non vi è una incongruenza, ma essa viene creata (a partire in questo
caso dall’educazione sociale) con lo scopo di muovere il suddetto macrosistema in direzioni
preventivamente decise dal gestore del sistema formativo.
In tutti i casi, in ogni tempo, partendo da principi fondativi volti alla costruzione di sistemi
pedagogici oppure da pratiche didattiche dalle quali risalire a schemi di teorie, scopo ultimo della
pedagogia è l’influenza dell’assetto societario sia come perpetrazione dell’esistente (con
mantenimento della pratica esistente o, se non esiste, della teorizzazione ad hoc) sia come sua
progressiva ma decisa modifica di esso.
Nessuno formulò, credo, meglio di Platone il principio che una società è stabilmente organizzata
quando ogni individuo fa ciò a cui è adatto per la sua natura in modo da essere utile agli altri e il
compito dell’educatore sarà appunto scoprire quali sono queste attitudini utile al gruppo di
appartenenza. Solo la conoscenza del fine ultimo dell’esistenza può fornire la base per una
organizzazione della società e quindi dell’educazione atta a perpetrarla. Non l’abitudine, quindi, ma
l’intelligenza razionale, e solo quella. Se non conosciamo questo fine, il “bene”, non possiamo avere
nessun criterio per decidere razionalmente quali sono le possibilità da favorire e quale ordine dare
alla società.
Quello che colpisce è l’enorme riconoscimento dato da Platone al significato educativo
dell’ordinamento sociale, e dall’altra della dipendenza di questo dai mezzi usati per educare i
giovani. Difficile trovare, anche dopo di lui, un senso più palese alla funzione dell’educazione atta a
prima a scoprire, quindi a sviluppare le capacità e le tendenze personali in modo che possano essere
compatibili con le capacità altrui. Nonostante questo la società che Platone disegnò nel tentativo di
rispettare questi principi da lui cercati era ben poco democratica. Mentre da una parte affermava
con vigore che il posto dell’individuo nella società non deve esser determinato dalla nascita o dalla
ricchezza né da alcuna condizione convenzionale, ma dalla sua natura quale si rivela nel processo
dell’educazione (benché ne La Repubblica non sempre è chiaro di come questo processo avvenga per
tutte le classi) non aveva nessuna percezione dell’unicità degli individui. L’educazione quindi era
destinata a raggiungere presto un limite statico in ogni classe, poiché “solo la varietà crea il
cambiamento e il progresso”2. Benché la sua filosofia dell’educazione fosse rivoluzionaria essa era
tuttavia dominata da ideali statici. Lo scopo finale della vita è fisso; dato uno stato organizzato a
questo fine non verranno cambiati nemmeno i più piccoli dettagli. Il fallimento della sua filosofia
sta, come sostiene Dewey, nel fatto che per Platone erano inutile i graduali miglioramenti
all’educazione che portassero ad una società capace di perfezionare quest’ultima e così via. Solo
2
Dewey J., Democrazia ed educazione, La Nuova Italia, 1990
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uno stato perfetto era capace di programmare un’educazione che porti al fine della vita, e questa
doveva perpetuare l’esistenza e l’immobilità di questo stato.
Nella filosofia del XVIII secolo abbiamo ancora il concetto di “natura” come qualcosa di antitetico
all’organizzazione sociale esistente e infatti Platone esercita una grande influenza su Rousseau, ma
la voce della natura parla ora a favore della diversità del talento individuale e del bisogno del libero
sviluppo dell’individualità in tutta la sua varietà. L’educazione conforme alla natura fornisce la meta
e il metodo dell’istruzione e della disciplina. Se quindi Platone è colui che assegna il compito di
guidare gli avvenimenti all’intelligenza razionale, così Rousseau, agli occhi di Dewey, ne elimina la
capacità costruttiva di prevedere ed escogitare, ipotizzando un’azione spontanea della natura. Il
nuovo ideale è l’umanità, ed in funzione di questo ideale si liberano ed accentuano le capacità
dell’uomo in quanto tale. Nelle organizzazioni politiche esistenti (l’ancien régime nell’esempio di
Rousseau) le sue facoltà erano al contrario ostacolate, strumentalizzate e deformate per far fronte
alle esigenze e agli interessi dei governanti dello stato e delle loro politiche. Un’educazione più
conforme alla natura era considerata un primo passo verso questa nuova società. Non le pratiche
didattiche o le esigenze di stato modificano quindi la teoria di Rousseau, ma al contrario si cerca
una filosofia che possa, una volta messa in pratica, creare quell’incongruenza di cui sopra allo scopo
di modificare il sociale. Seppur con tutte le modifiche del caso, questo è quello che cercò
“disperatamente” di compiere la nuova classe politica francese durante il decennio rivoluzionario. I
rivoluzionari avevano speranze di vincere la loro battaglia in modo duraturo solo se fossero riusciti
ad educare il pubblico, perciò le varie assemblee elaborarono progetti ambiziosi di ristrutturazione
di tutti i livelli dell’istruzione.
Forte era però, anche per le influenze idealiste, l’ideale della cultura come sviluppo completo della
personalità, per cui si cercò di conciliare questi due punti di vista, l’educazione per l’uomo e per il
cittadino. La “soluzione” trovata fu che l’individuo nel suo isolamento non è niente, ma solo
assimilando gli scopi e il significato delle istituzioni organizzate egli attinge una vera personalità;
ciò che si presenta come subordinazione all’autorità politica in realtà non è che il solo modo il cui
egli può divenire razionale, ovvero uomo.
Nel suo trattato di Pedagogia, Kant definisce l’educazione come il processo col quale l’uomo diventa
appunto uomo. L’umanità agli inizi della sua storia è immersa nella natura; non c’è ancora l’Uomo,
che è creatura della ragione. La natura offre i germi che solo l’educazione razionale può sviluppare.
Ma ogni generazione, storicamente, è portata ad educare i suoi giovani in modo che possano
adattarsi al mondo presente, attuale, ed invece di mirare al vero fine dell’educazione che consiste
nel promuovere la migliore realizzazione possibile dell’umanità come umanità. I governanti
mostrano sempre più l’interesse a fornire quell’addestramento che renderà i loro sudditi docili
strumenti per i loro fini.
L’esempio della Rivoluzione francese, abbiamo visto, era l’esempio limite di una nazione nuova alla
disperata ricerca di una nuova cultura fondata attraverso l’educazione veloce ed ex-abrupto in tutti
gli strati della popolazione, ricerca data da contingenze avvertite dai suoi rappresentanti.
Educazione che ha prodotti effetti molto più profondi a lunga scadenza, che non nell’immediato
come sperato. Allo stesso modo le contingenze politiche del dopo rivoluzione imponevano un nuovo
tipo di cittadino nelle vecchie monarchie restaurate e questo era raggiungibile solo con una
profondo sforzo educativo, sia diretto che indiretto.
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L A SCUOLA ATTIVA DI D EWEY
Nel dibattito del ‘900 un contributo fondamentale sull’argomento è stato fornito dall’americano
John Dewey e si colloca nel quadro di una concezione che affidava all’educazione il compito
fondamentale di costruire una società democratica che valorizzasse la partecipazione personale e
estendesse le relazioni fra i gruppi sociali.
Il ruolo fondamentale che Dewey attibuiva all’organizzazione del sapere nel promuovere lo sviluppo
richiedeva che l’argomento di studio fosse adattato in modo da poter divenire oggetto di
esperienza degli allievi. Per far questo nel 1894 Dewey, all’università di Chicago, dà vita a una scuola
sperimentale, annessa al Dipartimento di filosofia, psicologia e pedagogia da lui diretto, nella quale
mette in pratica le teorie pragmatistiche. Degli esperimenti dà conto in Scuola e società, del 1900, in
cui ribadisce la propria impostazione iniziale con — fra l’altro — il rifiuto della "dipendenza di una
mente da un’altra mente" e dell’"attitudine ad ascoltare" in quanto implicano "passività, assorbimento".
Già dagli anni in cui Dewey si dedicava alle sue prime opere sull’educazione, vari riformatori,
desiderosi di modificare la società attraverso la scuola e tutti influenzati dall’una o dall’altra delle
componenti del pensiero progressista ottocentesco, compivano esperimenti educativi. In questo
periodo nasce pure la PEA, l’American Progressive Education Association, che, con la diffusione della
rivista Progressive Education, contribuisce allo scambio di esperienze con analoghi movimenti
europei.
Nel 1916 Dewey pubblica l’opera di maggior successo, Democrazia e educazione, che dichiara essere
"un tentativo di scoprire ed esporre le idee implicite in una società democratica, e di applicare
queste idee ai problemi del compito educativo". Tale concetto, parafrasabile in "non una democrazia
a misura d’uomo, ma un uomo funzionale alla democrazia", è la perfetta inversione della missione
educativa, secondo cui bisogna educare l’uomo ai valori che, da sempre, hanno costituito la
condizione della sua felicità e che tendono a perfezionare la persona nel mutare degli eventi e delle
situazioni sociali, divenendo insieme condizione di una "società a misura di uomo".
Riassumendo, Dewey crede che l’individuo che deve essere educato è un individuo sociale e che la
società è un’unione organica di individui. L’educazione deve iniziarsi con una penetrazione
psicologica delle capacità del fanciullo, dei suoi interessi e delle sue abitudini che devono essere
continuamente interpretate per essere tradotte nei loro equivalenti sociali e mostrare la loro
capacità come organi di servizio sociale.
Il termine scuola nuova o attiva, comincia ad essere usato dai primi anni del 1900 per indicare
polemicamente il superamento della scuola tradizionale e negarne il valore educativo. La scuola
tradizionale è una scuola passiva dove tutto è indice di questa passività: il banco scolastico; gli orari
e i programmi; i libri di testo, conformi a un enciclopedismo di bassa lega; il modo di condurre la
lezione da parte dell'insegnante; l'interrogazione basata sulla pedantesca ripetizione di quanto ha
detto l'insegnante o quanto è scritto sul libro.
Nella scuola tradizionale domina la figura dell'insegnante, mentre la scolaresca non deve far altro
che ripetere quanto ascoltato: è una scuola dove prevale l'eteroeducazione. Inoltre, la scuola
tradizionale è individualistica, perché si basa sul metodo della competizione e dell'emulazione,
limitando così lo spirito di collaborazione e il lavoro in comune. Piuttosto che servire alla
formazione di un uomo sociale, serve soltanto a plasmare individui ubbidienti all'autorità, acritici e
passivi.
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La scuola nuova invece vuole essere innanzitutto una scuola “attiva”, una scuola dove l'ordine non
risulti dalla disciplina esteriore, ma dal concorso della volontà degli alunni che attivamente
prendono parte alla formazione, impegnandosi in attività che li interessano. La nuova scuola è
puerocentrica, cioè si pone dal punto di vista del fanciullo e non dell' adulto; è il fanciullo che educa
se stesso, mentre l'adulto gli porge l'aiuto necessario per quella che deve essere una
autoeducazione. Ciò non significa che l'insegnante sia assente o poco partecipe: al contrario egli
assume un ruolo centrale, dovendo convogliare gli interessi, esaltare le doti individuali, promuovere
attività diversificate, collaborare con le autonome scelte di ricerca degli allievi. La scuola attiva
accoglie tutte le indicazioni provenienti dalle correnti della filosofia contemporanea, in special
modo quelle che esaltano la spontaneità e la creatività (neoidealismo e spiritualismo) e che
pongono l'accento sul valore pratico e sociale dell'educazione (pragmatismo anglo-americano e
neopositivismo marxista).
C ONCLUSIONI
Ovviamente con Dewey il dibattito non si conclude (ma anzi, troverà nuove e feconde strade
proprio a partire dai suoi testi), ma è sufficiente come conclusione per questa breve esposizione.
Siamo partiti affermando che ovunque, sia partendo da principi fondativi volti alla costruzione di
sistemi pedagogici oppure da pratiche didattiche dalle quali risalire a schemi di teorie, scopo ultimo
della pedagogia sempre è l’influenza dell’assetto societario sia come perpetrazione dell’esistente
(con mantenimento della pratica esistente o, se non esiste, della teorizzazione ad hoc) sia come
sua progressiva ma decisa modifica. A tal proposito abbiamo visto esempi di quelli che ritengo tre
tipologie interessanti di congruenze e incongruenze tra società ed educazione.
Del primo caso, quello in cui l’educazione formale delle istituzioni educative è conforme
all’educazione informale diffusa nel più vasto sistema di trasmissione sociale e culturale, l’esempio
teorico “perfetto” di Platone e quello pratico degli stati nazionali del XIX° secolo. Del secondo
(quando uno dei due sistemi, di solito l’assetto sociale, è si modifica rispetto all’altro) abbiamo il
caso “limite” delle riforme della Rivoluzione Francese. Del terzo, quello in cui non vi è una vera e
propria incongruenza, ma essa viene creata (a partire in questo caso dall’educazione sociale) con lo
scopo di muovere il suddetto macrosistema in direzioni preventivamente decise dal gestore del
sistema formativo. Un esempio è la teoria di Rousseau (che difatti avrà come conseguenza pratica
la Rivoluzione, ovvero lo spostamento del sociale fino alla creazione dell’incongruenza) ma anche
Dewey ora esaminato.
Attualmente nel nostro non si fa che un gran parlare di una scuola che non risponde più dei bisogni
della società in continua evoluzione (economica), che non è in grado di incanalare i suoi sforzi alla
creazione di cittadini socialmente utili e funzionali al sostentamento o al miglioramento (a seconda
dei punti di vista) della società stessa. Prima di prendere posizione in un tale dibattito (tra l’altro
strutturale alla filosofia dell’educazione in quanto tale) credo dobbiamo rispondere a questa
domanda: se oggi, nel nostro paese, esiste davvero una tale incongruenza, oppure se siamo in un
caso in cui qualcuno sta cercando, partendo dall’educazione, oltre che di far accettare di accelerare
certi mutamenti dell’assetto sociale, partendo dalla stessa riorganizzazione della Scuola.
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B IBLIOGRAFIA
F. Cambi. Filosofia dell’educazione: struttura, funzione, modelli, in “I saperi dell’educazione, La Nuova
Italia, Firenze 2000
J. Dewey. L’educazione di oggi, La nuova Italia, Firenze 1950
J. Dewey. My Pedagogic Creed, School Journal vol.54 1897
J. Dewey. Democrazia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1990
L. Hunt, La Rivoluzione francese – Politica, cultura, classi sociali, Il Mulino
P. Orefice. Pedagogia Sociale. La dimensione sociale della scuola e dell’educazione degli adulti nell’Italia
contemporanea, in “I saperi dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 2000
Platone. La Repubblica, Laterza, Bari
J.J. Rousseau. Emilio, Laterza, Bari
G. Tassinari. Teoria e storia della didattica, in “I saperi dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 2000
S. Ulivieri. Storia della pedagogia, in “I saperi dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 2000
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