DISPENSA DI FISICA PER IL TRIENNIO DEL LICEO SCIENTIFICO E CLASSICO Carla Cianfagna 1 CAPITOLO 1 LA MECCANICA: PARTE INTRODUTTIVA La fisica è la scienza che studia le proprietà della materia e dell’energia, senza occuparsi dei fenomeni che riguardano le trasformazioni delle sostanze (tranne le trasformazioni nucleari e di tipo radioattivo, che invece ne fanno parte). L’ambiente che ci circonda è costituito da molti fenomeni fisici come il vento, la corrente, la fusione del ghiaccio. Per determinare una legge fisica si fa ricorso al metodo sperimentale, che comprende le seguenti fasi: 1) Osservazione del fenomeno. 2) Riproduzione del fenomeno in laboratorio in varie condizioni e in ripetuti intervalli di tempo. 3) Verifica dei risultati. 4) Formulazione della legge. Qualsiasi fenomeno fisico si verifica solo in determinate condizioni. LE GRANDEZZE FISICHE FONDAMENTALI Dicesi grandezza tutto ciò che può essere misurato, come ad esempio la velocità, l’intervallo di tempo, il peso. Le grandezze si dicono omogenee se è possibile confrontarle fra loro. Misurare una grandezza significa scegliere un’altra grandezza, omogenea alla prima, e vedere quante volte essa è contenuta nella grandezza da misurare; in sostanza la misura di una grandezza è il rapporto tra la stessa e un campione preso come unità. La misurazione di un segmento è diretta, mentre quella di un volume è indiretta, poiché esso è esprimibile attraverso il prodotto di più grandezze. I SISTEMI DI MISURA Un sistema di misura è composto da grandezze fondamentali e grandezze derivate. Tra i più conosciuti sistemi di misura ricordiamo: 2 1) SISTEMA INTERNAZIONALE DI MISURA: esso assume come grandezze fondamentali la lunghezza, la massa, il tempo, l’intensità di corrente elettrica, la temperatura assoluta e l’intensità luminosa. a) Il metro(m) è la lunghezza, alla temperatura di 0o di un regolo di platino – iridio, conservato nel Museo Internazionale dei Pesi e delle Misure a Sevres (Parigi). b) Il chilogrammo–massa (Kgm) è la massa di un cilindro di platino– iridio, conservato nel Museo Internazionale dei Pesi e delle Misure a Sevres (Parigi). c) Il secondo (s) è la 86400a parte del giorno solare medio. 2) SISTEMA MKS (O DEGLI INGEGNERI): contiene tutte le grandezze citate prima, con l’aggiunta del chilogrammo–peso (kgp), che è la forza con la quale la terra attira il Kgm alla latitudine di 45o e al livello del mare. Le grandezze possono essere rappresentate in diversi modi, ma solitamente si ricorre alle funzioni, che stabiliscono la dipendenza tra una o più grandezze. In alternativa si ricorre a diagrammi e tabelle. Le funzioni vengono rappresentate mediante diagrammi cartesiani nel piano oppure nello spazio. I VETTORI Occorre prima fare una differenza tra grandezze scalari e grandezze vettoriali. Le prime si possono definire mediante un numero, come le superfici, la capacità, mentre le seconde devono essere definite mediante tre elementi: 1) Intensità 2) Direzione 3) Verso Alcuni esempi di grandezze vettoriali sono le forze, la velocità e sono rappresentate mediante segmenti orientati detti vettori: P P si dice punto di applicazione del vettore. Un vettore gode delle seguenti due proprietà: 1) Può essere sempre trasportato lungo la retta di azione. 3 2) Può essere sostituito da due o più vettori di somma uguale al vettore dato. SOMMA E DIFFERENZA DI VETTORI Se i vettori sono collineari, cioè giacciono sulla stessa retta, la loro somma è uguale alla somma dei singoli vettori componenti. I vettori devono avere lo stesso punto di applicazione, stessa direzione e verso. Se i vettori hanno verso opposto si esegue la sottrazione del più piccolo dei vettori dal più grande. Nel primo caso si ha Nel secondo caso si ha 1) 2) Se i vettori sono concorrenti, cioè le loro rette di azione si in contrano, si esegue la regola del parallelogramma: 4 Se i vettori sono ortogonali si applica il teorema di Pitagora, nel caso in cui si abbiano più vettori, si applica la regola del poligono. Se i vettori sono applicati in punti diversi, possiamo trasportarli lungo le loro rette d’azione e congiungerli in un unico punto di applicazione, applicando la regola vista sopra. Per quanto riguarda la differenza di vettori concorrenti, vediamo il grafico: ESERCIZI 1) Fornire la definizione di vettore, anche mediante esempio grafico. 2) Due vettori hanno la stessa direzione, lo stesso verso ed intensità rispettivamente di 10 e 25. Supponendo che essi siano applicati in uno stesso punto, si trovi la loro risultante ( anche graficamente). Se le direzioni dei due vettori fossero perpendicolari, quale sarebbe la loro risultante? 5 CAPITOLO 2 MECCANICA DEI SOLIDI IL CONCETTO DI FORZA Una forza è una grandezza vettoriale i cui effetti dipendono dall’intensità, verso, direzione punto di applicazione. La forza può produrre un effetto statico (deformazione del corpo), oppure dinamico (movimento del corpo), oppure entrambi. Possiamo affermare che gli effetti dovuti al peso dei corpi possono essere ottenuti anche mediante applicazione di una forza , come ad esempio una molla. Si può quindi asserire che il peso è una forza con la quale la terra attira i corpi alla latitudine di 45° e al livello del mare. La forza è regolata dalla legge di Hooke, che afferma: Le deformazioni subite da un corpo elastico, sono direttamente proporzionali all’intensità delle forze che le provocano d = kF k = coefficiente di deformazione (allungamento) e 1/k = costante elastica La definizione vista sopra vale anche nel caso degli allungamenti. COMPOSIZIONE DI FORZE Un corpo si dice rigido se, sottoponendolo all’azione di qualunque forza, esso non subisce alcuna deformazione. Ciò va sotto il nome di effetto statico nullo. Dicesi equilibrante una forza applicata nello stesso punto di una forza data , con intensità e direzione uguali, ma con verso opposto. Nel caso in cui si abbiano due forze, l’equilibrante è la risultante. Le proprietà delle forze sono la stesse che abbiamo visto per i vettori: 1) Una forza può essere trasportata lungo la retta di azione, senza che se ne alteri l’effetto. 6 2) Una forza può essere sostituita da due o più forze di somma uguale alla forza data, oppure sostituite con la loro risultante. 3) Se applichiamo ad un corpo rigido una forza con la sua risultante, non si ha effetto. COMPOSIZIONE DI FORZE CONCORRENTI In questo caso vale la ben nota regola del parallelogramma, preventivamente trasportando le forze, che hanno punto di applicazione diverso, lungo le rette d’azione. COMPOSIZIONE DI FORZE PARALLELE CONCORDI In questo caso l’intensità della risultante è uguale alla somma delle intensità delle componenti, la direzione è parallela alle direzioni delle componenti, il verso è concorde con il verso delle componenti. Il punto di applicazione della risultante delle due forze applicate in A e B, dividono il segmento AB in parti inversamente proporzionali alle intensità delle componenti. A Z B F1 : F2 = AZ : BZ 7 COMPOSIZIONE DI FORZE PARALLELE DISCORDI In questo caso l’intensità della risultante è uguale alla differenza delle intensità delle componenti, la direzione parallela alle direzioni delle componenti e verso concorde a quello della componente con maggiore intensità. A B P F2 : F1 = AP : BP Dicesi coppia di forze, l’insieme di due forze parallele discordi di uguale intensità. Dicesi momento della coppia, il prodotto di una delle due forze per il braccio della coppia, dove per braccio si intende la distanza tra le rette di azione delle due forze. b A B Le proprietà del momento sono: 1) Il momento è perpendicolare al piano sul quale giace la coppia di forze. 2) L’intensità è uguale all’intensità del momento della coppia. 3) Il punto di applicazione si trova in qualunque punto dello spazio. 8 ESERCIZI 1) Osservando gli allungamenti provocati da determinate forze, applicate successivamente ad una stessa molla, viene compilata la seguente tabella: Forze applicate (Kgp) 0,5 1,5 2,0 3,0 Allungamenti prodotti (in cm) 2 6 8 12 Rappresentare graficamente ed esprimere matematicamente la legge che regola il fenomeno. Calcolare il coefficiente di allungamento della molla e la sua costante di elasticità. [4 cm/Kgp] 2) Il coefficiente di allungamento di una molla di acciaio è 0,3 cm/Kgp. Calcolare l’allungamento provocato dalle forze rappresentate nella figura a lato. [3,81 cm] 3) Scomporre una forza di 20 Kgp in due componenti perpendicolari, sapendo che una di tali componenti forma un angolo di 30° con la forza data. Risolvere il problema sia graficamente che matematicamente. [17,32Kg p ; 10Kgp] 4) Tre forze complanari, ognuna di intensità di 20 Kgp , sono applicate nello stesso punto. Tanto la prima forza con la seconda che la seconda con la terza, formano angoli di 60°. Determinare graficamente e matematicamente la risultante. [40Kgp] 5) Scomporre una forza di 36Kgp in due componenti parallele e concordi, tali che i rispettivi punti di applicazione siano distanti 4m e 20m dal punto di applicazione della forza data. [30Kgp ; 6Kgp] 6) Due forze parallele concordi, di intensità 60Kgp e 90Kgp , hanno le loro rette di azione alla distanza di 2m. Trovare l’intensità della loro risultante e le distanze dei loro punti di applicazione dal punto di applicazione della risultante. [150Kgp ; 1,2m ; 0,8m] 7) Si sa che la risultante di due forze parallele concordi ha un’intensità di 150Kgp ed è applicata in un punto che dista 50cm e 150cm dalle rette 9 d’azione delle componenti. Calcolare le intensità delle componenti. [75 Kgp ; 25 Kgp] 8) Le estremità di un’asta lunga 1,5m poggiano sulle spalle di due persone di uguale altezza. A 50cm da un’estremità dell’asta è attaccato un peso di 120Kgp. Sapendo che l’asta pesa 20Kgp , calcolare la forza agente sulle spalle di ciascuna persona. [50 Kgp ; 90 Kgp] 9) Agli estremi di un’asta rigida lunga 2,4m sono applicate due forze parallele concordi di intensità 8Kgp e 40Kgp . Trovare a quale distanza dal punto di applicazione della forza più grande si deve applicare l’equilibrante. [2m] 10) Sono date due forze parallele discordi di intensità 50Kgp e 150Kgp , con le rette d’azione distanti 150cm. Calcolare l’intensità della risultante e le distanze del suo punti di applicazione dai punti di applicazione delle forze date. [100Kgp ; 75cm ; 25cm] 11) La risultante di due forze parallele discordi ha intensità di 30Kg p e il suo punto di applicazione dista 25cm e 75cm dai punti di applicazione delle due forze. Calcolare l’intensità delle due forze. [45 Kgp ; 15 Kgp] 12) Due forze parallele discordi hanno intensità di 10Kgp e 70Kgp. Il punto di applicazione della loro risultante dita 20cm dalla retta di azione della forza maggiore. Calcolare la distanza tra le rette d’azione delle due forze date. [1,2m] 10 CAPITOLO 3 GLI EQUILIBRI Dicesi baricentro di un corpo rigido, il punto di applicazione della forza peso agente sul corpo. In sostanza si tratta del punto dal quale parte la risultante di tutte le piccole forze di cui sono dotate le particelle di cui è costituito un corpo. La determinazione del baricentro non è molto semplice soprattutto se i corpi non hanno forma regolare. Infatti, nel caso di corpi omogenei, il baricentro coincide con il centro geometrico, come nel caso della sfera, cubo e poliedro regolare. Nel caso di un corpo non omogeneo, la determinazione del baricentro avviene sospendendo il corpo per due punti diversi, disegnando ogni volta la verticale passante per i punti. L’intersezione di queste due verticali rappresenta proprio il baricentro del corpo. Un corpo è libero se può muoversi in qualunque direzione dello spazio e può ruotare su se stesso. Un corpo si dice vincolato se può compiere solo determinati movimenti consentiti dal vincolo stesso. Un vincolo è qualunque causa che impedisca i movimenti di un corpo in certe particolari direzioni. EQUILIBRIO DI UN CORPO LIBERO I movimenti possibili per un corpo libero sono le traslazioni e le rotazioni e diremo che un corpo libero, inizialmente fermo e soggetto all’azione di più forze, si trova in equilibrio se la risultante delle forze applicate e il momento risultante delle eventuali coppie sono ambedue nulle. Devono valere contemporaneamente le due seguenti relazioni: (risultante delle forze applicate nulla) (momento risultante delle coppie applicate nullo) EQUILIBRIO DI UN CORPO RIGIDO SOSPESO PER UN PUNTO FISSO Consideriamo un corpo rigido sospeso per un punto fisso A e supponiamo che la sola forza agente su di esso sia la forza peso, applicata nel baricentro. 11 il corpo si trova allora in una condizione di equilibrio se il punto di sospensione A sta sulla retta d’azione di tale forza. Si possono presentare tre situazioni: 1) Il punto di sospensione A si trova posto sopra il baricentro. Se spostiamo il corpo, esso non è più in equilibrio ma tende dopo un po’ a ritornare nella posizione iniziale. Questo tipo di equilibrio si dice STABILE. A G 2) Il punto di sospensione A si trova posto sotto il baricentro. Se spostiamo il corpo, esso non torna più nella posizione iniziale ma si ribalta, fermandosi nella posizione di equilibrio stabile. Questa condizione viene detta di equilibri INSTABILE. A G G A 3) Il punto di sospensione A si trova nel baricentro. il corpo comunque spostato, si troverà sempre nella posizione di equilibrio analoga a quella iniziale. Si parla in questo caso di equilibrio INDIFFERENTE. G=A 12 EQUILIBRIO DI UN CORPO RIGIDO APPOGGIATO Un corpo rigido appoggiato su un punto di una superficie rigida e soggetto alla sola forza peso, è in equilibrio se la verticale abbassata dal baricentro passa per il punto di appoggio. Se consideriamo un ellissoide appoggiato (ad esempio un uovo), avremo che quello con asse maggiore disposto orizzontalmente si trova in equilibrio stabile, perché se spostato, torna spontaneamente nella posizione iniziale e questo perché il baricentro si trova al più basso livello consentito dal vincolo. L’ellissoide che ha l’asse maggiore disposto verticalmente, si trova in equilibrio instabile e il suo baricentro occupa la posizione più elevata. Se invece abbiamo una sfera appoggiata, il baricentro si trova sempre alla stessa altezza e quindi si ha una condizione di equilibrio indifferente. L’EQUILIBRIO NELLE MACCHINE Una macchina è un dispositivo che permette di far agire una forza in direzioni diverse dalla sua retta d’azione. Con l’aiuto di una macchina, si può equilibrare una forza che ammette risultante, alla quale si da il nome di resistenza, mediante un’altra forza, detta forza motrice. Per definire le caratteristiche delle macchine è utile introdurre il concetto di vantaggio, che è il rapporto tra le intensità della resistenza e della forza motrice: 13 Si possono verificare i seguenti tre casi: 1) Se R > F, allora V > 1 quindi la macchina è vantaggiosa. 2) Se R < F, allora V < 1 quindi la macchina è svantaggiosa. 3) Se R = F, allora V = 1 quindi la macchina è indifferente. LE LEVE Le leve sono macchine semplici costituite da sbarre rigide girevoli attorno ad un punto fisso detto fulcro. A seconda della posizione del fulcro, distinguiamo le leve in primo, secondo e terzo genere. a) Leva di primo genere. Il fulcro può trovarsi in qualsiasi punto della sbarra rigida AB, esclusi gli estremi. I tratti della sbarra AO = a e OB = b, sono detti bracci della leva. In qualunque caso si ha che il momento della resistenza è , mentre la reazione vincolare della forza motrice è una coppia di momento . Per trovare le condizioni di equilibrio, si deve verificare che , cioè . A O a B b Appare evidente che la leva di primo genere risulta vantaggiosa, svantaggiosa o indifferente a seconda della posizione del fulcro. Quindi se: i. ii. iii. a < b allora R > F e V > 1, quindi leva vantaggiosa. a > b allora R < F e V < 1, quindi leva svantaggiosa. a = b allora R = F e V = 1, quindi leva indifferente. Esempi di leve di primo genere sono le forbici, le pinze da meccanico, il piede di porco. b) Leva di secondo genere: il fulcro si trova ad una delle due estremità della sbarra, la forza motrice si trova sull’altra estremità e la resistenza si trova in un qualsiasi punto della sbarra, escluse le estremità. 14 a O b La leva di secondo genere è sempre vantaggiosa perché è sempre b>a. Esempi di leve di questo tipo sono lo schiaccianoci, la carriola dei muratori. a) Leva di terzo genere: il fulcro si trova ad una delle due estremità della sbarra, la resistenza si trova sull’altra estremità e la forza motrice si trova in un qualsiasi punto della sbarra, escluse le estremità. b a La leva di terzo genere è sempre svantaggiosa poiché è sempre b<a. Esempi di leve di terzo genere sono le molle da cucina, le pinzette. Anche il braccio umano può essere visto come una leva di questo tipo, dove il gomito è il fulcro, l’avambraccio è la forza motrice e il peso da sollevare con la mano è la forza motrice. IL PIANO INCLINATO Il piano inclinato è una macchina semplice ed è costituito da un piano rigido inclinato rispetto al piano terra. Sezionando il piano inclinato con un piano verticale, otteniamo un triangolo rettangolo ABC, in cui l’ipotenusa AC si dice lunghezza (l) del piano, CB è l’altezza (h) e AB è al base (b). 15 C O F F1 P B’ F2 A’ A B Se mettiamo sul piano un corpo di peso , questo scivolerà lungo il piano, e per mantenerlo in equilibrio occorrerà una forza che sarà determinata scomponendo la forza peso come nella figura, mediante due forze ed , dove la seconda si annulla per la reazione al piano inclinato. La forza , per equilibrare il corpo, deve essere uguale e contraria ad . I triangoli ABC e OA’B’ sono simili, quindi i lati sono in proporzione, cioè OB’ : OA’ = CB : AC Quindi: : P = h : l. Chiamando la potenza e P la resistenza diciamo che si ha una condizione di equilibrio quando la potenza sta alla resistenza come l’altezza del piano inclinato sta alla lunghezza. Il piano inclinato è sempre vantaggioso poiché la resistenza è sempre più grande della potenza, dato che l > h. Si possono fare analoghe considerazioni se componiamo la forza peso secondo una direzione perpendicolare e una direzione parallela alla base. In questo caso la proporzione vista prima diventa: : P = h : b. Dal momento che h può essere uguale, maggiore o minore di b, si avrà che il piano inclinato può essere vantaggioso, svantaggioso o indifferente. 16 ESERCIZI 1) Con una leva di primo genere lunga 1m si vuole equilibrare una resistenza di 720Kgp. sapendo che il fulcro dista 10cm dalla retta d’azione della resistenza, calcolare la forza motrice che si deve applicare all’altra estremità della leva. Calcolare inoltre il vantaggio di questa macchina. [30 Kgp ; 9] 2) Calcolare il vantaggio di una leva di primo genere lunga 1,5m, sapendo che il fulcro è posto a 10cm dall’estremità alla quale viene applicata la resistenza. [14] 3) Si dispone di una leva di primo genere lunga 1,2m e di una forza motrice di 70Kgp. Sapendo che il fulcro della leva dista 8cm dall’estremità alla quale viene applicata la resistenza, calcolare l’intensità di quest’ultima. [980 Kgp] 4) Una leva di secondo genere è lunga 1m. Sapendo che a 25cm dal fulcro è applicata una resistenza di 50Kgp, calcolare la forza motrice necessarie per ottenere l’equilibrio. Calcolare inoltre il vantaggio della macchina. [12,5 Kgp ;4] 5) Una leva di secondo genere ha un vantaggio uguale a 7. Sapendo che la resistenza è 0,749Kgp, calcolare la forza motrice necessaria per ottenere l’equilibrio. [0,107 Kgp] 6) Per equilibrare una resistenza di 50Kgp è necessario applicare ad una leva di secondo genere una forza motrice di 1Kgp . Sapendo che la retta d’azione della resistenza dista 20cm dal fulcro, calcolare la lunghezza della leva. [10m] 7) A 20cm dal fulcro di una leva di terzo genere, lunga 50cm, è applicata una forza motrice di 1Kgp . Calcolare l’intensità della resistenza all’equilibrio. [0,4 Kgp] 8) Un corpo del peso di 200Kgp è appoggiato su un piano inclinato lungo 6m ed alto 1,2m. Calcolare l’intensità della forza motrice, applicata parallelamente al piano inclinato, necessaria per ottenere l’equilibrio. Calcolare inoltre il vantaggio della macchina. [40 Kgp ; 5] 9) Il vantaggio di un piano inclinato, usato con forza motrice parallela alla sua lunghezza, è uguale a 10. Calcolare la resistenza che può essere equilibrata con una forza motrice di 50Kgp. [500 Kgp] 17 10) Un corpo di 200Kgp è appoggiato su un piano inclinato alto 3m e lungo 5m. Calcolare il vantaggio della macchina, sia nel caso che la forza motrice agisca parallelamente al piano, sia nel caso che agisca parallelamente alla base. Determinare inoltre l’intensità della forza motrice necessaria per ottenere l’equilibrio nei suddetti casi. [1,66 ; 1,33 ; 150 Kgp ; 120 Kgp] 11) Calcolare l’allungamento della molla, sapendo che il suo coefficiente di allungamento è k = 0,4cm/ Kgp . [8cm] 13) Si sa che il raggio a dell’asse misura 5cm e quello b della ruota misura 20cm. Quale peso deve avere la sfera S, affinché il sistema sia in equilibrio? [250 Kgp] 14) Calcolare le intensità delle forze F1 ed F2, sapendo che AO = 2m e OB = 6m. [475 Kgp ; 325 Kgp] 15) Si sa che l’allungamento della molla è 2cm e che k=0,01cm/Kgp . Calcolare l’altezza h del piano inclinato. [0,8m] 18 16) Le molle in figura hanno lo stesso coefficiente di allungamento k. Quale delle due è più deformata? 17) Calcolare le lunghezze dei bracci AO ed OB. [3dm ; 5dm] 18) Il coefficiente di allungamento è per ambedue le molle k = 0,03. Calcolare gli allungamenti delle molle. [3cm ; 1,2cm] 19 CAPITOLO 4 IL MOVIMENTO Studieremo il moto di un punto materiale, cioè di un corpo le cui dimensioni possono essere considerate trascurabili rispetto a quelle di altre grandezze prese in considerazione. I concetti di quiete e moto sono relativi, nel senso che devono essere valutati in determinati sistemi di riferimento che consideriamo fissi. Ad esempio una persona seduta in uno scompartimento appare ferma a chi sta seduto di fronte, però appare in movimento per un osservatore che sta a terra in stazione. Il sistema di riferimento comunemente adottato è la Terra e con questa ipotesi diciamo che un corpo è in quiete se la sua posizione rispetto ad un punto fisso della Terra non cambia al passare del tempo, viceversa avremo un corpo in movimento. Se il punto si muove su un piano, possiamo rappresentare il suo moto in ogni istante su un sistema di assi cartesiani, anche se non possiamo stabilire che tipo di traiettoria abbia percorso (ad esempio rettilinea oppure curvilinea). Se il punto si muove nello spazio, avremo bisogno, invece, di un sistema di assi tridimensionali. CINEMATICA E DINAMICA La cinematica è quella parte della meccanica che studia il moto dei corpi, senza occuparsi delle cause che lo provocano o che ne modificano i caratteri. La dinamica studia invece le relazioni tra i caratteri del moto e le cause che lo provocano. 20 Per conoscere un moto, è necessario individuarne la traiettoria, il verso, la legge del moto. a) Dicesi traiettoria la linea formata dall’insieme delle posizioni occupate dal corpo in movimento. Essa può essere rettilinea e la direzione è data da una retta, oppure curvilinea, e in questo caso la direzione del punto materiale varia in ogni momento ed è data dalla tangente in ogni punto alla curva che si forma. b) Il verso del moto coincide con il verso dello spostamento del punto materiale. c) La legge del moto è un’espressione matematica che mette in relazione gli spazi percorsi dal punto in movimento con i tempi impiegati a percorrerli. Tale legge è la seguente: S = f(t) cioè lo spazio è in funzione del tempo. LA VELOCITÀ La velocità di un punto materiale in movimento è lo spazio percorso da esso nel tempo di un secondo. Traducendo la definizione in formula si ha: à Da cui, sostituendo i rispettivi simboli, si ha: L’unità di misura della velocità è il metro al secondo (m/s). Nella pratica però, accade spesso che le velocità siano misurate in chilometri all’ora (Km/h), e quindi ricordiamo che 1Km = 1000m e 1h = 3600 s. Quindi 1Km/h = 1/3,6m/s e 1m/s = 3,6 Km/h. La velocità è una grandezza vettoriale, perciò se un punto materiale si muove lungo una retta r , nel senso indicato dalla freccia in figura sottostante, percorrendo lo spazio AB = S nel tempo t, avremo che: 21 1) L’intensità v del vettore velocità è il rapporto S/t. 2) La direzione di è la retta r. 3) Il verso di va da sinistra a destra. A B S La velocità, però, non è sempre la stessa nel tratto AB, a causa di svariate cause esterne, come ad esempio, nel caso di un’automobile che percorre un certo tratto di strada, possono essere le curve oppure la presenza di un ostacolo. Per questo motivo, spesso parliamo di velocità media, mentre parleremo di velocità istantanea se calcoliamo la velocità media in un intervallo di tempo infinitamente piccolo (velocità vera ed effettiva in un dato istante). L’ACCELERAZIONE L’accelerazione è la variazione di velocità che si verifica nel tempo di 1s. Sostanzialmente si tratta della modifica di uno o più caratteri del vettore velocità, e questo può avvenire con aumenti ma anche con diminuzioni di intensità. La formula dell’accelerazione è la seguente: Dove al numeratore troviamo la variazione complessiva di velocità. L’unità di misura dell’accelerazione è il metro al secondo quadrato (m/s2). Come abbiamo visto per la velocità, anche in questo caso possiamo parlare di accelerazione media. Esistono diversi tipi di accelerazione, di cui elenchiamo di seguito i più noti: 1) Accelerazione tangenziale: variazione di intensità della velocità che si verifica in un secondo. Questo tipo di accelerazione si divide in: 22 a) Accelerazione tangenziale positiva, se la velocità aumenta di intensità. b) Accelerazione tangenziale negativa o decelerazione, se la velocità diminuisce di intensità ( ne è un esempio classico la frenata di un automobilista che percorre un rettilineo. 2) Accelerazione centripeta: variazione di direzione della velocità nel tempo di un secondo. Questo tipo di accelerazione si verifica nel caso in cui un punto mobile stia percorrendo una traiettoria curvilinea. In questo caso il vettore accelerazione è sempre orientato verso il centro di curvatura della traiettoria. LEGGE FONDAMENTALE DELLA DINAMICA Le grandezze fisiche come forza e accelerazione sono legate da un rapporto di causa – effetto. Questa relazione viene espressa dalla legge fondamentale della dinamica, che afferma: Applicando una forza ad un corpo libero, esso acquista un’accelerazione che ha direzione e verso uguali a quelli della forza, e intensità direttamente proporzionale all’intensità della forza. Volendo esprimere tale legge mediante una formula, questa sarà: A questa costante scalare si dà il nome di massa inerziale del corpo e la si indica con il simbolo mi. Quindi la precedente formula diventa: o anche F = mi a. Se un corpo libero è soggetto alla sola forza peso , allora per la legge vista prima, essa imprimerà una certa accelerazione detta di gravità . Avremo quindi che la formula precedente, diventa: 23 Ma cosa rappresenta fisicamente la massa inerziale di un corpo? Essa non è altro che la resistenza che il corpo oppone alle azioni tenenti a far variare la sua velocità. Spesso si tende a fare confusione tra massa inerziale (detta spesso semplicemente inerzia) e il peso di un corpo, in realtà la massa è uno scalare, mentre il peso è una forza di intensità variabile. L’unità di misura della forza è il newton, che è la forza che, applicata a una massa inerziale di 1Kgm, le imprime un’accelerazione di 1m/s2. 1N = 1 Kgm 1m/s2 Ricordiamo che 1 Kgp = 9,8 N. LEGGE D’INERZIA Un caso particolare della legge fondamentale della dinamica è la legge di inerzia. Se ad un corpo non viene applicata alcuna forza, allora anche l’accelerazione sarà nulla, visto che non lo può essere la massa. La legge di inerzia può essere quindi formulata nel seguente modo: Un corpo conserva il suo stato di quiete, oppure si mantiene in movimento con velocità costante, se la risultante delle forze ad esso applicate è nulla; tali stati possono essere modificati solo per l’intervento di una forza. CLASSIFICAZIONE DEI MOVIMENTI I movimenti di un corpo rigido possono essere solo di due tipi: 1) Traslatorio 2) Rotatorio Un corpo rigido esteso si muove di moto traslatorio, se non si verifica mai che un suo punto, in qualunque momento si compia l’osservazione, possegga velocità diversa da quella di qualsiasi altro punto del corpo stesso. Un corpo rigido esteso si muove di moto rotatorio se tutti i suoi punti ruotano attorno ad un suo asse ideale fisso. Un corpo rigido esteso si muove di moto rototraslatorio se è contemporaneamente soggetto ad una rotazione e ad una traslazione. 24 I diversi tipi di movimento sono di seguito schematizzati: Moti traslatori Moti rotatori MOTO RETTILINEO UNIFORME Un moto si definisce rettilineo uniforme se si muove con velocità costante e ciò si verifica se la risultante delle forze applicate al corpo in moto è nulla, infatti in questo caso l’accelerazione è nulla. La traiettoria è sempre rettilinea perché se così non fosse, l’accelerazione centripeta non sarebbe nulla. Il verso è sempre lo stesso, poiché una inversione provocherebbe comunque un arresto ed una successiva ripartenza, modificando così l’accelerazione. La velocità istantanea coincide con quella media. La rappresentazione grafica di tale moto è una retta, cioè una funzione lineare. 25 MOTO UNIFORMEMENTE ACCELERATO Un moto uniformemente accelerato è originato dall’azione di una forza costante su un corpo libero inizialmente fermo, oppure dall’azione della stessa forza nella direzione della velocità iniziale costante di un corpo già in movimento. Essendo la forza una grandezza vettoriale, essa può definirsi costante se sono costanti la sua intensità, il suo verso e al sua direzione, quindi, secondo la legge fondamentale della dinamica, il corpo a cui è applicata la forza acquista un’accelerazione costante, secondo la seguente formula: Per questo motivo la traiettoria non può essere curvilinea, altrimenti cambierebbe la direzione. Dunque il moto è rettilineo e la velocità varia in maniera uniforme. Se il corpo non è inizialmente fermo, ma possiede una certa velocità v0 non nulla e applichiamo ad esso una forza F con direzione uguale a quella di v0, il corpo acquista una accelerazione costante , che ha stessa intensità , verso e direzione dell’accelerazione che la stesa forza F imprime al corpo quando esso è inizialmente fermo. Quindi anche in questo caso il moto del corpo risulta rettilineo e la sua velocità varia in maniera uniforme. Per quanto riguarda il calcolo della velocità, consideriamo un corpo con velocità iniziale ed applichiamogli una forza costante F, che gli fa acquistare una certa accelerazione , facendo passare la velocità da un valore v0 ad un valore v. Se la traiettoria percorsa nell’intervallo di tempo t è il segmento AB, avremo la seguente formula: Dalla formula avremo che v = v0 + at. (1) Per il calcolo dello spazio percorso, avremo che la velocità media nel tratto AB si può calcolare facendo la media tra v0 e v, cioè : Sostituendo a v la formula (1) avremo: 26 Siccome è anche : , allora: MOTO PERIODICO Un punto materiale si muove di moto periodico, se ad intervalli di tempo costanti, passa per una stessa posizione con la stessa velocità e la stessa accelerazione. Ne sono esempi il moto del pendolo, oppure il movimento di una lancetta dell’orologio. In questo tipo di moto vengono introdotti alcuni concetti fondamentali, come: 1) Periodo: tempo impiegato dal moto del punto a riprendere gli stessi caratteri. Il periodo si indica con T e si misura in secondi. 2) Frequenza: numero di volte in cui il moto riprende gli stessi caratteri nel tempo di un secondo. La frequenza si indica con f e si misura in Hertz (Hz). Esiste una relazione tra periodo e frequenza e in particolare affermiamo che il periodo è l’inverso della frequenza e viceversa. MOTO CIRCOLARE UNIFORME Un punto materiale si muove di moto circolare uniforme se percorre una circonferenza mantenendo costante l’intensità della velocità. Il moto circolare uniforme si realizza applicando ad un corpo che si muove di moto rettilineo uniforme, una forza diretta perpendicolarmente alla sua traiettoria, agente in un tempo infinitamente piccolo. In questo modo, il corpo devia dalla sua traiettoria, non subendo variazioni di velocità e la forza provoca un’accelerazione centripeta, facendo descrivere al corpo una traiettoria circolare. La velocità con la quale il corpo percorre la 27 circonferenza si dice velocità periferica, con direzione sempre tangente alla circonferenza, verso orario e intensità costanti. A Fc B o La forza Fc applicata al corpo si dice forza centripeta, sempre diretta secondo il raggio della circonferenza e diretta verso il centro. Per il calcolo della velocità periferica, si ha che . Quando il punto materiale compie un giro completo, lo spazio percorso sarà 2π, e il tempo sarà T, per cui avremo: Nel moto circolare uniforme, viene introdotta una nuova velocità, detta velocità angolare. Essa non è altro che l’angolo al centro descritto dal raggio nel tempo di un secondo. Infatti mentre il corpo si muove lungo l’arco AB, il raggio OA descrive un angolo al centro α. La formula per la velocità angolare è la seguente: Per quanto riguarda la formula dell’accelerazione centripeta, essa è la seguente: Infine, dovendo calcolare l’intensità della forza centripeta, possiamo applicare la solita legge della dinamica, ed avere quindi: 28 MOTO ARMONICO Dicesi moto armonico il moto periodico che si ottiene proiettando il moto circolare uniforme su diametro della circonferenza. La traiettoria del moto è quindi un qualunque diametro della circonferenza AL. Dalla figura sottostante si nota che, nel tempo in cui il punto materiale si muove lungo l’arco AB, la sua proiezione percorre il segmento AB1, e così vale per l’arco BC e la proiezione B1C1. Quando il punto oltrepassa la posizione L e ritorna in A, la sua proiezione percorre il diametro in senso contrario. Il moto armonico è, dunque, un moto di andata e ritorno tra le estremità del diametro. C B L A B1 L’intensità della forza che origina il moto armonico è direttamente proporzionale al valore dello spostamento, la direzione è costante e il verso è sempre opposto al verso dello spostamento. La formula è la seguente: dove x è lo spostamento del punto. Per quanto riguarda l’accelerazione si ha che essa possiede in ogni punto della traiettoria, intensità direttamente proporzionale all’intensità dello 29 spostamento. Il calcolo è molto semplice e riprende il concetto di forza. Infatti si ha: Per il calcolo del periodo ricordiamo che , quindi basta sostituire il valore di ω nella formula dell’accelerazione del moto armonico. La formula della velocità è la seguente: dove v1 è la proiezione della velocità del punto materiale e x lo spostamento. Le curve che rappresentano graficamente le velocità e le accelerazioni in un moto armonico, sono delle sinusoidi. MOTO ROTATORIO UNIFORME Dicesi moto rotatorio uniforme, il moto di un corpo rigido esteso , girevole intorno ad un suo asse fisso. Se consideriamo una lamina e un punto P su di essa che si muove di moto circolare uniforme e con velocità angolare , anche tutti gli altri punti si muoveranno dello stesso moto e con la stessa velocità, poiché il corpo è rigido e ogni punto deve mantenere la stessa posizione rispetto agli altri punti. 30 Per quanto riguarda l’accelerazione, abbiamo che essa è centripeta ed è direttamente proporzionale alla distanza dall’asse di rotazione. Nel caso del moto rotatorio accelerato, la forza sarà tangenziale e di conseguenza anche l’accelerazione . LEGGE DI AZIONE E REAZIONE La legge fu formulata per la prima volta da Newton e afferma: L’azione di una forza è sempre accompagnata da una reazione di uguale intensità, uguale direzione ma verso contrario. ESERCIZI 1) Esprimere in m/s le seguenti velocità: 72 Km/h, 108 Km/h, 180 Km/h. [20 ; 30 ; 50] 2) Esprimere in Km/h le seguenti velocità: 22 m/s, 10 m/s, 78 m/s. [79,2 ; 36 ; 280,8] 3) Calcolare la velocità media (in m/s ed in Km/h) di un veicolo che percorre 30,5 Km in 20 minuti e 20 secondi. [25m/s ; 90Km/h] 4) Calcolare la velocità media (in m/s ed in Km/h) di un veicolo che percorre 30,25 Km in 18 minuti e 20 secondi. [25m/s ; 90Km/h] 5) Un’automobile parte da una certa località e, dopo 40 minuti, sosta per 5 minuti. Poi essa riparte, e dopo altre due ore di marcia, sosta nuovamente per 20 minuti. Infine si rimette ancora in moto e dopo 23 minuti e 20 secondi, arriva a destinazione. Sapendo che l’automobilista ha percorso complessivamente 40Km, si calcoli la velocità media e si calcoli inoltre quale sarebbe stata la velocità media se l’automobile non si fosse mai fermata. [115,2Km/h ; 130,9Km/h] 6) Un ‘automobile ha viaggiato per 21 minuti e 12 secondi alla velocità media di 72Km/h. Quale spazio ha percorso? [25,44Km] 7) Calcolare l’accelerazione tangenziale media in un certo tratto AB della traiettoria di un corpo in movimento, sapendo che nel punto A la velocità era 30m/s, mentre nel punto B è 50m/s, e sapendo inoltre 31 che il tempo impiegato dal corpo per andare da A a B è stato 5s. [4m/s2] 8) Un’automobile corre su un’autostrada a 180 Km/h e improvvisamente il guidatore, scorgendo un ostacolo, frena fino a ridurre la velocità a 20m/s nel tempo di 1,5s. Calcolare l’accelerazione tangenziale media dell’automobile durante la frenata. [– 20m/s2 ] 9) Calcolare la forza necessaria per imprimere ad un corpo di massa inerziale 12Kgm l’accelerazione di 8m/s2. [96N] 10) Calcolare la massa inerziale di un corpo che, soggetto all’azione di una forza di 300N, acquista l’accelerazione di 12m/s2. [25Kgm] 11) Calcolare l’intensità della forza necessaria per imprimere ad un corpo di massa inerziale 2Kgm un’accelerazione di 5m/s2 diretta verticalmente verso l’alto. [29,6N] 12) Sapendo che un’automobile ha viaggiato per 5 minuti con velocità di 102Km/h, calcolare lo spazio percorso. [8,5Km] 13) Un corpo si muove di moto rettilineo uniforme alla velocità di 144 Km/h. Calcolare il tempo che esso impiega a percorrere una distanza di 6400m. [2’ 40’’] 14) Da uno stesso punto P partono due automobili, l’una 40 minuti dopo l’altra. Sapendo che la prima automobile viaggia alla velocità di 72Km/h e la seconda 108Km/h, calcolare dopo quanto tempo e a quale distanza dal punto P la seconda automobile raggiunge la prima. Si suppongano i due moti rettilinei uniformi. [1h 20’ ; 144Km] 15) Da due punti A e B partono contemporaneamente due automobili, muovendosi l’una incontro all’altra. Sapendo che la distanza tra i due punti è 67,5Km e che le due automobili viaggiano a 90Km/h e 72Km/h, calcolare dopo quanto tempo e in quale punto del percorso esse si incontrano. Si suppongano i due moti rettilinei uniformi. [25’ ; a 37,5Km dal punto A] 16) Calcolare il tempo impiegato da un’automobile per superare un autotreno, sapendo che quest’ultimo è lungo 20m e si muove alla velocità di 72Km/h, mentre l’automobile è lunga 4m e si muove alla velocità di 144Km/h. Si suppongano i due moti rettilinei uniformi. [1,2s] 32 17) Un corpo, inizialmente fermo, raggiunge in 5s la velocità di 72Km/h. Supponendo che l’accelerazione sia costante, calcolarne il valore. Calcolare inoltre lo spazio percorso dal corpo nei 5s. [4m/s2 ; 50m] 18) Un corpo percorre 100m di moto uniformemente accelerato, con accelerazione pari a 2m/s2. Calcolare il tempo impiegato, supponendo nulla la velocità iniziale. [10s] 19) Applicando la forza di 0,2N ad un corpo di massa inerziale di 6Kgm, esso acquista una velocità di 18m/s. calcolare il tempo necessario. [9 min] 20) Un corpo di massa inerziale 10Kgm, inizialmente fermo, viene sottoposto per 15s all’azione di una forza costante di 20N. Calcolare l’accelerazione, lo spazio percorso e la velocità finale. [2m/s2 ; 225m ; 30m/s] 21) Un’automobile viaggia alla velocità di 20m/s. Ad un certo punto accelera, con accelerazione costante di 2m/s2. Calcolare la velocità e lo spazio percorso dopo 10s. [40m/s ; 300m] 22) Ad un corpo di massa inerziale 1000 Kgm, che si muove di moto rettilineo uniforme alla velocità di 20m/s, viene applicata una forza costante di 2000N, diretta nello stesso senso del moto. Calcolare la velocità del corpo dopo 15s e lo spazio percorso in tale tempo. [50m/s ; 525m] 23) Ad un corpo di massa inerziale 1500 Kgm, inizialmente fermo, viene applicata una forza costante di 300N. Per quanto tempo deve agire la forza, affinché il corpo raggiunga la velocità di 33m/s. [2’ 45’’] 24) Un veicolo, inizialmente in moto alla velocità di 108Km/h, ad un certo punto frena, acquistando una decelerazione di 3m/s2. Calcolare il tempo necessario per fermarsi e lo spazio che viene percorso dall’inizio della frenata. [10s ; 150m] 25) La velocità di un veicolo, sotto l’azione di una certa forza, passa in 10s da 20m/s a 35m/s. Supponendo che l’accelerazione sia costante, calcolare lo spazio percorso nei 10s. [275m] 26) Un’automobile di massa inerziale 800 Kgm viaggia alla velocità di 108 Km/h. L’automobile, sotto l’azione di una forza costante, diretta in senso contrario a quello del moto, si ferma in 15s. Calcolare l’intensità 33 della forza e lo spazio percorso dall’istante in cui essa viene applicata all’istante in cui l’automobile si ferma. [1600N ; 225m] 27) Un’automobile, inizialmente ferma, percorre 200m di moto uniformemente accelerato, con accelerazione uguale a 4m/s2. Calcolare il tempo impiegato e la velocità iniziale. [10s ; 40m/s] 28) Un veicolo, muovendosi per 20s di moto rettilineo uniforme, percorre 460m. Il veicolo accelera per 10s, con accelerazione di 0,5m/s2 , e poi mantiene costante per altri 10s la nuova velocità. Infine il veicolo frena, con decelerazione costante di 2m/s2, fino a fermarsi. Calcolare: a) Per quanto tempo il veicolo resta in movimento. b) Lo spazio percorso. c) La velocità 2s prima della fermata. [54s ; 1191m; 4m/s] 29) Un veicolo in movimento raggiunge in 10s la velocità di 40m/s. Sapendo che esso ha subito un’accelerazione costante di 1,5m/s2, calcolare la sua velocità iniziale. [25m/s] 30) Una ruota di raggio 6cm compie 300 giri al minuto. Supponendo che il moto sia circolare uniforme, calcolare: 1) il periodo; 2) la frequenza; 3) la velocità angolare; 4) l’accelerazione centripeta di un punto posto alla periferia della ruota. [0,2s ; 5Hz ; 4rad/s ; 59,16m/s2] 31) Una ruota di raggio 10cm gira con velocità angolare costante di 50rad/s. Calcolare: 1) il periodo; 2) la frequenza; 3) l’accelerazione centripeta di un punto posto alla periferia della ruota. [0,125s ; 8Hz; 250 m/s2] 32) Calcolare la forza centripeta agente su un corpo di massa inerziale 2Kgm, che si muove di moto uniforme su una circonferenza di raggio 0,5m con una frequenza di 3Hz. [355,3N] 33) Le ruote di un veicolo hanno il raggio di 35cm. Calcolare la velocità del veicolo, sapendo che le sue ruote girano con la frequenza di 15Hz. [32,97 m/s] 34) Una ruota gira con la frequenza di 10Hz e la sua velocità periferica è 9,42m/s. Calcolare: 1) il raggio della ruota; 2) la velocità angolare ; 3) la velocità periferica di un punto della ruota distante 5cm dal centro. [15cm ; 62,8rad/s ; 3,14m/s] 35) Su un corpo di massa inerziale 0,1 Kgm agisce una forza centripeta avente un’intensità costante di 100N. Sapendo che il raggio della 34 circonferenza descritta dal corpo in moto è 10cm, calcolare la velocità angolare e il periodo. [100rad/s ; 0,0628s] 36) Calcolare l’accelerazione di un moto armonico nel punto di spostamento +10cm, sapendo che la velocità angolare del moto circolare uniforme che lo ha generato è di 10rad/s. Supposto poi che lo spostamento massimo raggiunga il valore di 25cm, calcolare l’accelerazione massima. [10m/s2 ; 25m/s2] In un moto circolare uniforme la velocità periferica è 3,14m/s e la frequenza è 5Hz. Calcolare la velocità e l’accelerazione massima del moto armonico che si ottiene proiettando il moto circolare uniforme sul diametro della circonferenza. [3,14m/s ; 98,6m/s2] 37) Ad un corpo di massa inerziale 2Kgm, che si muove di moto armonico, risulta applicata, in un certo punto P della sua traiettoria, una forza di 1440N. Sapendo che la velocità massima è 30m/s e lo spostamento massimo è 1m, calcolare lo spostamento di P e la velocità del punto in tale corpo. [0,8m ; 18m/s] Lo spostamento massimo di un corpo che si muove di moto armonico è 20cm. Si sa che la massa inerziale del corpo è 0,1Kgm e che, nel punto di massimo spostamento, il corpo subisce un’accelerazione di 10m/s2. Calcolare la forza che agisce sul corpo nel punto di spostamento–7cm. [0,35N] 38) Calcolare l’accelerazione angolare di un corpo di massa 0,5Kgm, che percorre una traiettoria circolare di raggio 0,4m, sapendo che su di esso agisce una forza tangenziale di 5N. [25rad/s2] 39) Un passeggero cammina nel corridoio di una carrozza ferroviaria, nello stesso senso del moto del treno. Supponendo che i due moti siano rettilinei uniformi e che le rispettive velocità siano 2m/s e 30m/s, calcolare lo spazio percorso dal passeggero rispetto al binario, nel tempo di 1s. [160m] 40) Una grossa nave si muove verso Sud con moto rettilineo uniforme, alla velocità di 10m/s. Un carrello si muove sul ponte della nave, verso Est, con velocità costante di 6m/s. Un uomo cammina sul carrello, verso Nord, con velocità costante di 2m/s. Calcolare la velocità dell’uomo rispetto alla terraferma. [10m/s] 35 CAPITOLO 5 LA GRAVITAZIONE Newton scoprì che ogni corpo, oltre alla capacità di resistere alle variazioni di velocità (inerzia), presenta anche la proprietà di attirare altri corpi ed esserne attirato a sua volta con la stessa forza. La responsabile di tali forze attrattive è una particolare proprietà, comune a tutta la materia e che si chiama massa gravitazionale (mg), misurata in Kg – massa (Kgm). Newton formulò una legge che regola la forza di attrazione, la quale afferma: Due corpi qualunque si attraggono con una forza di intensità direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse gravitazionali ed inversamente proporzionale al quadrato delle distanza dei loro baricentri. La direzione della forza è proprio la retta passante per i baricentri. La formula esprimente tale legge, cioè l’intensità della forza di attrazione (forza Newtoniana) è la seguente: dove Mg ed mg sono le masse gravitazionali dei due corpi e G viene detta costante di gravitazione universale, ed esprime la forza che si esercita tra due masse gravitazionali unitarie di 1Kgm poste a distanza unitaria di 1m. Il valore di tale costante è 6,67*10–11N. IL CAMPO GRAVITAZIONALE Consideriamo un corpo di massa gravitazionale Mg, situato in qualunque punto A dello spazio. Per la legge di Newton, qualunque altro corpo posto a distanza non infinita da A, subisce ed esercita una certa azione attrattiva. In questo modo lo spazio intorno al corpo, diventa sede di forze di natura gravitazionale. A questa regione dello spazio si da il nome di campo gravitazionale. Se poniamo un altro corpo di mass mg in un punto B, e d è la distanza tra i due punti, possiamo applicare la legge di Newton vista nel paragrafo precedente. Il campo gravitazionale possiederà una certa intensità, che in un determinato punto dello spazio, è la forza che agisce sulla massa 36 gravitazionale unitaria posta in tale punto. Questa intensità si indica con K, e la formula è: B F d F mg A Mg LA FORZA PESO E L’ACCELERAZIONE DI GRAVITÀ Se consideriamo un corpo posto in un punto A della superficie terrestre, esso è soggetto contemporaneamente all’azione di due forze: 1) La forza centrifuga dovuta alla rotazione della terra e che è l’opposto della forza centripeta. 2) La forza Newtoniana dovuta all’attrazione gravitazionale della terra. L’intensità della forza centrifuga è: . la risultante della somma vettoriale delle due forze applicate al corpo, ottenuta con la regola del parallelogramma, viene detta forza peso o semplicemente peso del corpo, ed è indicata con . Quindi: (2) È molto importante notare che il peso coincide con la forza Newtoniana solo se esso si trova sui poli terrestri. Infatti, in questo caso, essendo nulla la distanza del corpo dall’asse di rotazione terrestre, è evidentemente nulla anche la forza centrifuga. 37 Per calcolare l’accelerazione di gravità, ovvero l’accelerazione che la forza peso imprime ad un corpo libero, consideriamo sempre il corpo posto in un punto A, però sospeso ad una certa altezza dal suolo o comunque libero di cadere (ad esempio un corpo su un ramo di un albero). Siccome, in base alla dinamica è anche : Avremo che la (2) diventa: dove: R = distanza del punto A dal baricentro della terra MT = massa gravitazionale della terra mg = massa gravitazionale del corpo posto nel punto A mi = massa inerziale del corpo posto nel punto A Dividendo tutto per mi, la precedente formula diventa: Il peso e l’accelerazione di gravità variano con l’altitudine, in particolare entrambe diminuiscono all’aumentare dell’altitudine. È utile ricordare le definizioni di massa inerziale e massa gravitazionale. a) La massa inerziale di un corpo è la resistenza che esso oppone alle azioni tendenti ad imprimergli un’accelerazione. b) La massa gravitazionale di un corpo è la misura di quella proprietà, comune a tutta la materia, per la quale il corpo esercita azioni attrattive su altri corpi e ne è a sua volta attratto con uguale forza. MOTO DI CADUTA LIBERA DEI GRAVI Un corpo cade liberamente se la sola forza agente su di esso è la forza peso, anche se a questo proposito dobbiamo precisare che in realtà, la caduta non è proprio libera, a causa anche di una forza di senso contrario alla forza peso, e dovuta alla resistenza all’aria. In generale un corpo di massa m posto ad una certa altezza h dal suolo e abbandonato a se stesso, si muoverà di moto uniformemente accelerato, che in questo caso sarà chiamato moto 38 naturalmente accelerato. Se lasciamo cadere dalla stessa altezza un frammento di piombo e una piuma, osserveremo che essi arriveranno al suolo in tempi diversi, cioè la piuma arriverà molto più tardi rispetto al frammento. Ma se mettiamo i due corpi in un tubo e aspiriamo l’aria, rovesciando nel contempo lo stesso, osserveremo che , in assenza di resistenze, essi arriveranno al suolo con la stessa velocità. Il concetto di peso di un corpo è molto relativo, poiché è necessario specificare prima il sistema di riferimento rispetto al quale si intende misurarlo. Una definizione di peso che implicitamente contiene il concetto di sistema di riferimento è la seguente Il peso di un corpo è una forza opposta a quella con la quale il mezzo materiale su cui è appoggiato il corpo, reagisce sullo stesso. a) Se il corpo si trova appoggiato alla Terra, il suo peso è una forza di uguale intensità, uguale direzione ma verso contrario rispetto alla forza con la quale la Terra reagisce sul corpo. b) Se il corpo si trova dentro un aereo in volo, il suo peso è una forza opposta a quella con la quale il pavimento dell’aereo reagisce sul corpo. c) Se il corpo si trova sospeso, per esempio attaccato ad un filo fissato per un’estremità ad un supporto rigido, il suo peso è la forza di tensione del filo. Possiamo affermare che: a) Rispetto ad un sistema di riferimento accelerato che si muove verso il basso secondo la verticale, con accelerazione uguale all’accelerazione di gravità (ad esempio un ascensore), i corpi sono privi di peso. b) Se l’accelerazione è minore dell’accelerazione di gravità (a < g), i corpi hanno, rispetto a sistema di riferimento, un peso di intensità m(g – a), cioè un peso inferiore a quello che avrebbero rispetto ad un sistema di riferimento solidale con la Terra, oppure in moto rettilineo uniforme rispetto alla Terra. c) Se l’accelerazione del sistema ha intensità a = 2g, i corpi, rispetto ad esso avranno un peso , cioè opposto a quello che essi hanno rispetto ad un sistema di riferimento solidale con la Terra, oppure in moto rettilineo uniforme rispetto alla Terra. d) In un sistema di riferimento accelerato, che si allontana dalla Terra lungo la verticale, con accelerazione , i corpi hanno un peso doppio di quello che avrebbero in un sistema di riferimento terrestre. 39 MOTO DI UN CORPO LANCIATO VERSO L’ALTO Supponiamo che un corpo venga lanciato verticalmente in alto, con velocità iniziale v0. Se si trascura la resistenza dell’aria, la sola forza agente su di esso è la forza peso, applicata in senso contrario a quello del moto ascensionale. La forza peso ha un effetto frenante, poiché imprime al corpo un’accelerazione di intensità g negativa, perché di verso contrario a quella del moto. Il corpo, quindi si muoverà di moto uniformemente ritardato, con velocità che diminuisce ogni secondo di 9,81 m/s. il corpo raggiunge una certa altezza h, per poi ricadere, con (3), dove t è l’intervallo di tempo trascorso dall’istante nel quale il corpo viene lanciato all’istante in cui si ferma. Il valore di h può anche essere trovato senza conoscere t, infatti essendo il moto uniformemente ritardato, il tempo di fermata si può calcolare anche così: Sostituendo tale valore nella (3), si ha: di conseguenza , da cui si vede chiaramente che la velocità con la quale il corpo giunge al suolo è la stessa con la quale esso era stato lanciato verso l’alto. MOTO DI UN CORPO LANCIATO OBLIQUAMENTE Questo è il tipico moto di un proiettile sparato da un cannone, inclinato rispetto al piano orizzontale. Lo studio di tale moto può essere facilmente eseguito se si trascura la resistenza dell’aria. Infatti, in tali condizioni, il moto del proiettile non è altro che la risultante di un moto rettilineo uniforme, nella direzione del cannone, e di un moto naturalmente accelerato, dovuto al peso del proiettile. La composizione di questi due movimenti dà luogo ad un moto parabolico. La distanza alla quale giunge il proiettile si dice gittata, e dal calcolo risulta che essa è massima quando il cannone è inclinato di 45o. 40 MOTO DI UN CORPO SU UN PIANO INCLINATO Supponiamo un piano inclinato, come quello visto a pag.15, di lunghezza l e altezza h, e supponiamo che un corpo T sia appoggiato nella parte più alta, trascurando l’attrito tra il piano e il corpo. Se P è il peso del corpo, esso si moverà verso il basso, a causa di una forza F espressa dalla seguente relazione: dalla quale, sostituendo i valori F = ma e P = mg , si ottiene: cioè . Il corpo si muove di moto uniformemente accelerato e la velocità con la quale esso arriva alla base del piano, dopo aver percorso tutto l, sarà: Sostituendo ad a il valore trovato prima, si ha: Questo risultato ci dice che: la velocità con la quale il corpo giunge al suolo, dopo aver percorso l’intero piano inclinato, è la stessa che avrebbe se cadesse liberamente al suolo dall’altezza h. MOTO PENDOLARE Il pendolo semplice è costituito da un punto materiale appeso ad una estremità di un filo flessibile ed inestensibile. L’altra estremità del filo è fissata ad un punto O detto centro di sospensione. In pratica un pendolo semplice si realizza legando una pallina metallica all’estremità di un filo molto sottile e flessibile. 41 Rv Rv O l l D O1 B F A O1 P P fig. 1 F1 fig. 2 Il sistema si trova in equilibrio quando la pallina si trova in O1, detto centro di oscillazione e che coincide con il baricentro della pallina ed è posto sulla verticale abbassata dal punto O (fig.1). Se portiamo la pallina nella posizione A (fig.2), la forza peso P si scomporrà nelle due forze F1 ed F. La forza F1 viene annullata dalla reazione vincolare Rv, per cui il suo effetto si limita alla semplice trazione del filo, mentre la forza F produrrà un effetto dinamico, facendo muovere la pallina verso la posizione di equilibrio stabile O 1. Portando la pallina in A e lasciandola libera, essa si muoverà quindi verso O 1, supera per inerzia tale punto e si porta nella posizione B opposta ad A; quindi inverte il senso del movimento e si porta di novo in prossimità del punto A. la pallina compie in questo modo delle oscillazioni intorno alla posizione di equilibrio O1. Detto x il segmento DA, si dimostra che i due triangoli AOD e APF sono simili, per cui vale la proporzione: AF: DA = AP : AO, cioè F : x = P : l , da cui si ricava: (4) 42 Il moto pendolare, per piccole oscillazioni, può essere definito un moto armonico. Per il calcolo del periodo, definiamo oscillazione semplice del pendolo, il moto della pallina solo da A a B (oppure da B ad A). Dicesi invece oscillazione completa, il moto di andata e ritorno tra tali punti. Il periodo di oscillazione è il tempo impiegato dalla pallina per compiere appunto un’oscillazione completa. Useremo la formula del moto armonico, applicata al moto pendolare: La formula (4) può anche essere scritta , cioè Sostituendo tale valore di a nella formula del periodo T e facendo opportuni calcoli e semplificazioni, si avrà: ESERCIZI 1) Calcolare l’intensità della forza con la quale si attraggono due corpi di massa gravitazionale di 108 Kgm e 3*108 Kgm, sapendo che la distanza tra i loro baricentri è di 1Km. Si assuma per la costante di gravitazione universale il valore di 6,67*10–11. [2,001N] 2) Calcolare l’intensità del campo gravitazionale generato da un corpo di massa gravitazionale di 6*109Kgm in un punto posto a 500m dal suo baricentro. [1,6*10–6N/Kgm] 3) Calcolare il peso di un corpo avente la massa di 10Kgm. Calcolare inoltre la velocità con la quale il corpo giunge al suolo, cadendo liberamente da un’altezza di 78,4m. [98N ; 39,2m/s] 4) Un turista lascia cadere una moneta dalla sommità di una torre, ed osserva che essa giunge al suolo dopo 3s. Quanto è alta la torre? [44,1m] 43 5) Un ascensore parte verso l’alto con accelerazione di 4,9m/s2. Qual è il peso, rispetto all’ascensore, di un uomo di massa 70Kgm, nel momento in cui l’ascensore accelera? [105Kgp] 6) Dalla sommità di una torre alta 58,8m viene lanciata verso l’alto una pallina metallica. La pallina sale, rispetto al punto in cui è stata lanciata, fino a 19,6m. Calcolare: 1) la velocità iniziale della pallina; 2)dopo quanto tempo la pallina passa di nuovo per la posizione iniziale e con quale velocità; 3) dopo quanto tempo la pallina giunge al suolo e con quale velocità. [19,6m/s ; 4s ; 19,6m/s ; 39,2m/s] 7) Un corpo di massa 20Kgm viene posto in cima ad un piano inclinato 4m. lasciando libero il corpo, esso percorre tutta la lunghezza del piano, alla fine, la sua velocità risulta uguale a 1,4m/s. calcolare l’intensità della forza motrice che ha agito sul corpo e il tempo impiegato a percorrere tutta la lunghezza del piano inclinato. [4,9N ; 5,7s] 8) Calcolare la lunghezza di un pendolo semplice sapendo che il suo periodo è 3,14s. [2,45m] 9) Calcolare il periodo di un pendolo semplice sapendo che la sua lunghezza è 1,568m. [2,51s] 10) Una massa puntiforme di 5Kgm è appesa ad un filo inestensibile lungo 2,5m. La massa viene spostata di 10cm dalla sua posizione di equilibrio e pio viene lasciata libera. Calcolare il periodo di oscillazione, l’intensità massima della forza motrice, l’intensità massima dell’accelerazione. Si assuma per l’accelerazione di gravità il valore 10m/s2. [3,14s ; 2N ; 0,4m/s2] 11) Da un’arma da fuoco, disposta orizzontalmente a 1,8m dal suolo, esce un proiettile alla velocità di 720m/s. Calcolare: 1) dopo quanto tempo il proiettile giunge al suolo; 2) a quale distanza dal piede della perpendicolare abbassata dalla bocca dell’arma il proiettile tocca terra. Si supponga l’accelerazione di gravità uguale a 10m/s2. [0,6s ; 432m] 12) Un’automobile percorre un rettilineo alla velocità di 108Km/h. Una persona getta dal finestrino un oggetto, perpendicolarmente al moto dell’auto, lanciandolo con una velocità di 22,5m/s. Calcolare in m/s e in Km/h la velocità dell’oggetto rispetto alla strada nel momento del lancio. [37,5m/s ; 135Km/h] 44 CAPITOLO 6 LAVORO – POTENZA – ENERGIA Enunciamo di seguito il concetto di lavoro: Una forza fa lavoro quando sposta il proprio punto di applicazione in una direzione non perpendicolare alla sua retta d’azione. Il lavoro è una grandezza scalare e per una sua corretta comprensione, dobbiamo distinguere quattro diversi casi: 1) Forza costante che si sposta lungo la propria retta d’azione. In questo caso il lavoro fatto dalla forza è dato dal prodotto della sua intensità per lo spostamento del suo punto di applicazione. L = F*S 2) Forza costante con retta d’azione non parallela alla direzione dello spostamento. In questo caso la retta d’azione della forza forma un certo angolo α con la direzione dello spostamento e si ha che il lavoro fatto dalla forza è il prodotto dello spostamento per la proiezione della forza nella direzione dello spostamento. r F2 F P F1 Q z La forza F2 non fa lavoro, poiché non può spostare il punto P lungo la retta z, quindi la sola forza che compie lavoro è la F1, che è la proiezione di F sulla retta z. Il lavoro viene quindi espresso dalla seguente formula : L = F1S. 3) Forza non costante che si muove lungo la propria retta d’azione. In questo caso, essendo l’intensità della forza variabile, è necessario 45 suddividere lo spostamento in intervalli molto piccoli, entro i quali la forza possa essere considerata costante ed abbia un valore espresso dalla media aritmetica dei valori da essa assunti agli estremi dell’intervallo considerato. Il lavoro complessivo sarà dato dalla somma dei lavori fatti nei singoli intervalli: L = L1 + L2 + L3 + ….. 4) Forza perpendicolare alla direzione dello spostamento. Come abbiamo visto nel caso 2, è facile affermare che una forza con queste caratteristiche non compie lavoro. L’unità di misura del lavoro è il joule con J=1N* 1m. Nel sistema pratico si parla invece di chilogrammetro, dove 1Kgm = 1Kgp*1m. Se ricordiamo che 1Kgp = 9,8N, possiamo scrivere che 1Kgm = 9,8 *1m, e siccome 1N*1m = 9,8 J, si avrà 1Kgm = 9,8 J. POTENZA La potenza è il rapporto tra il lavoro fatto e il tempo impiegato a compierlo. La potenza, come il lavoro, è una grandezza scalare. L’unità di misura della potenza è il watt, dove: Diremo che una macchina ha la potenza di 1W se può fare il lavoro di 1J nel tempo di 1s. nel sistema pratico, tuttavia, si preferisce utilizzare un’unità diversa, che è il cavallo vapore, e si indica con le iniziali italiane Cv oppure inglesi HP. Una macchina ha la potenza di 1CV se può fare il lavoro di 75 Kg m nel tempo di 1s. 1 Cv equivale a 735 W. Infatti: 46 , , , , ENERGIA Un corpo possiede energia se può fare lavoro. Appare evidente che le unità di misura dell’energia sono le stesse di quelle del lavoro. In natura esistono molte forme di energia: Energia animale, che deriva in sostanza dagli alimenti ingeriti. Energia termica, se un corpo si trova ad una temperatura superiore allo zero assoluto (ad esempio una macchina a vapore che compie lavoro in virtù del calore fornito alla caldaia). Energia chimica, che si manifesta conseguentemente a determinate reazioni chimiche . Energia elettrica, prodotta da macchine elettriche. Energia nucleare, che tiene unite le particelle costituenti il nucleo dell’atomo e si libera quando avviene la separazione o disintegrazione delle stesse. Energia meccanica, se il corpo che la possiede può compiere lavoro in virtù della sua posizione (energia potenziale gravitazionale), oppure possiede una certa velocità (energia cinetica). ENERGIA CINETICA Un corpo possiede energia cinetica se si trova in movimento. Tale energia è pari al lavoro che può fare il corpo, riducendo a zero la sua velocità. È evidente, infatti, che un corpo in movimento, fermandosi, compie un certo lavoro. Se l’arresto è brusco, urtando ad esempio contro un ostacolo, il lavoro fatto risulta dai danni provocati sia dal corpo sia dall’ostacolo; se l’arresto è lento, il corpo farà lavoro per vincere le resistenze che incontra nel tratto percorso, dopo essersi fermato. Consideriamo un corpo di massa m che si muove di moto rettilineo uniforme con velocità . Ad un cero punto applichiamo una forza , avente uguale direzione ma verso contrario a quello del moto. Il corpo da quel momento in poi si muoverà di moto uniformemente ritardato, finché ad un certo punto si 47 ferma. Se lo spazio percorso, dal momento in cui si applica la forza al momento in cui si ferma è S, il lavoro fatto per vincere l’azione di tale forza è L = F S. Siccome questo lavoro è fatto a spese della velocità del corpo, esso misurerà l’energia cinetica prima dell’intervento della forza, per cui possiamo scrivere: Dato che il corpo si muove di moto uniformemente ritardato, lo spazio percorso sarà dato dalla nota formula: Quindi ENERGIA POTENZIALE GRAVITAZIONALE Un corpo possiede energia potenziale gravitazionale se il lavoro che esso può compiere è dovuto alla posizione che esso occupa. Un corpo di peso P, sospeso ad una certa altezza h dal suolo, possiede energia potenziale gravitazionale; infatti, cadendo a terra, esso compie lavoro L = Ph, fatto a spese dell’energia che esso possedeva per il fatto di trovarsi ad una certa altezza dal suolo. Vale la relazione: PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA In un sistema isolato, cioè un sistema che non può ricevere energia all’esterno né può cederla, l’energia non si crea né si distrugge, ma può solo trasformarsi, rimanendo sempre complessivamente costante. Esistono infatti molti esempi in natura di trasformazioni di energia in altre forme di energia spesso anche non più utilizzabili, ma che non vanno comunque distrutte (ad esempio la trasformazione di energia cinetica prima in elettrica e poi in termica nei bacini idrici). 48 ESERCIZI 1) Calcolare il lavoro fatto da una forza costante di 500N, sapendo che la sua retta d’azione forma con la direzione dello spostamento un angolo di 60° e che lo spostamento è di 50m. [12500 J] 2) Calcolare il lavoro fatto da un atleta che solleva 200Kgp all’altezza di 2,1m. [420Kgm] 3) Un corpo di massa 150Kgm, inizialmente fermo, viene spinto da una forza costante di 300N, acquistando un’accelerazione di 1,8m/s2. Calcolare il lavoro fatto dalle resistenze passive nei primi 10s. [– 2700 J] 4) Un corpo, inizialmente fermo, sotto l’azione di una forza costante acquista un’energia cinetica di 4000 J. Sapendo che la massa del corpo è 20Kgm e che la forza ha agito su di esso per 5s, calcolare il valore dell’accelerazione impressa al corpo e quello della forza. [4m/s2 ; 80N] 5) Un’automobile di 1000Kgm si muove alla velocità di 144Km/h. Applicandole una forza costante, l’automobile rallenta e si ferma in 20s. Calcolare l’intensità della forza e il lavoro fatto per fermare l’automobile. [2000N ; 8*105 J] 6) Una sfera di 2Kgm, sollevata a 10m dal suolo, viene lasciata libera. Calcolare la sua energia cinetica nell’attimo in cui tocca terra. [196 J] 7) Per mantenere un automobile in moto rettilineo uniforme, alla velocità di 144Km/h, è necessaria l’azione di una forza costante di 1500N. Calcolare l’energia assorbita dalle resistenze passive nel tempo di 20s. [12*105 J] 8) Un ciclista ha una massa di 70Kgm e la sua bicicletta di 8Kgm. Quale lavoro fa il ciclista per superare un dislivello di 500m, percorrendo una strada di montagna lunga 6Km? [382200 J] 9) La sferetta di un pendolo semplice, nell’attimo in cui passa per il centro di oscillazione, ha velocità di 1m/s. A quale altezza, rispetto al piano orizzontale passante per il centro di oscillazione, giungerà la sferetta? [5,1cm] 49 10) Un ciclista, giunto all’inizio di una salita con velocità di 36Km/h, smette di pedalare. Calcolare l’altezza, rispetto alla pianura, alla quale giunge il ciclista. [5,1m] 11) Un’automobile di 1200Kgm si muove, nell’istante iniziale dell’osservazione, alla velocità di 144Km/h. Premendo al massimo l’acceleratore, in 5s l’automobile raggiunge la velocità di 216Km/h. Calcolare il lavoro fatto dal motore durante questo intervallo di tempo e la potenza da esso sviluppata. [12*105 J ; 2,4*105 W] 12) Un atleta solleva 150Kgp all’altezza di 2,2m nel tempo di 3s. Calcolare la potenza dell’atleta in W e in CV. [1078W ; 1,465CV] 50 CAPITOLO 7 PRESSIONE E GRANDEZZE SPECIFICHE Supponiamo che una forza di intensità F agisca su un punto di una lastra rigida di area S, perpendicolarmente alle sue facce. Se la lastra è perfettamente rigida e poggiata su un piano A, la forza viene trasmessa al piano ed uniformemente distribuita sulla superficie di contatto di area S, per cui ogni unità di superficie di quest’ultima è soggetta ad una forza di intensità p, che si ottiene dalla seguente formula: Questa forza p viene detta pressione. La pressione è il rapporto tra la forza agente perpendicolarmente su di una superficie e l’area della superficie stessa. A S F L’unità di misura della pressione è l’atmosfera fisica: , Di solito si preferisce usare l’atmosfera tecnica, detta semplicemente atmosfera (atm), dove: Quando, per esempio, diciamo che una gomma di automobile è gonfiata alla pressione di 2atm, significa che su ogni cm2 della superficie interna agisce una forza perpendicolare alla superficie, di 2Kgp. 51 Nel sistema CGS, la pressione si misura in barie, di cui il sottomultiplo bar, è molto utilizzato in meteorologia e 1 bar = 106 barie. Citiamo infine il torr, che è un’altra unità di misura della pressione ed è equivalente a 1mm di mercurio. In sostanza il torr è la pressione esercitata da una colonnetta di mercurio alta 1mm. GRANDEZZE SPECIFICHE Tra le grandezze specifiche, citiamo la densità assoluta, la densità relativa, il peso specifico assoluto e il peso specifico relativo. La densità assoluta (δ) di una sostanza è il rapporto tra la sua massa e il suo volume. L’unità di misura della densità assoluta è il Kgm/m3. La densità relativa di una sostanza è il rapporto tra la sua massa e la massa di un volume di acqua distillata, alla temperatura di 4oC, uguale a quello della sostanza. dove m è la massa della sostanza ed m1 la massa dell’acqua. Il peso specifico assoluto (γ) di una sostanza è il rapporto fra il suo peso e il suo volume. L’unità di misura è il N/m3, mentre nel sistema pratico è il Kgp/m3. Il peso specifico relativo di una sostanza è il rapporto tra il suo peso e il peso di un volume di acqua distillata, alla temperatura di 4oC, uguale a quello della sostanza. dove P è il peso della sostanza ed P1 il peso dell’acqua. 52 Esistono relazioni matematiche tra queste quattro grandezze, cioè: , con g accelerazione di gravità e r. Viene data di seguito una tabella con i valori delle quattro grandezze appena viste, per le principali sostanze. ESERCIZI 1) Ognuna delle scarpe calzate da un uomo di 75Kgp ha una superficie di 250cm2. Dire se il peso dell’uomo può essere sopportato da un materiale capace di resistere ad una pressione di 0,3Kgp/cm2. [SI] 2) Calcolare la forza premente su una superficie di 0,3m2, soggetta alla pressione di 0,2Kgp/cm2. [5880N] 3) Un cilindro di ferro, con densità relativa = 7,8, ha una superficie di base di 314cm2 ed un’altezza di 0,5m. Calcolare il suo peso e la sua massa. [1200,11N ; 122,46Kgm] 53 4) Un corpo omogeneo ha un volume di 0,5m 3 e pesa 49000N. Calcolare la sua densità relativa. [10] 5) La densità relativa del platino è uguale a 21; quanto pesa un filo di platino di lunghezza 1m e di sezione 1mm2. [21g] 6) Il lato della base quadrata di un prisma di vetro misura 20cm. Sapendo che il prisma pesa 529,2N e che la densità relativa del vetro è 2,7,calcolare l’altezza del prisma. [0,5m] 54 CAPITOLO 8 MECCANICA DEI FLUIDI FLUIDI IN EQUILIBRIO Parleremo di fluidi, indipendentemente dal fatto che si tratti di liquidi oppure di aeriformi. Un liquido perfetto è assolutamente incompressibile mentre un aeriforme è perfettamente elastico, cioè in grado di esercitare reazioni tali da equilibrare le azioni di forze agenti dall’esterno. Si può quindi affermare rigorosamente che : Un fluido è in equilibrio quando le forze agenti su di esso dall’esterno risultano equilibrate dalle reazioni del fluido stesso. Siccome i fluidi non hanno forma propria, essi si devono sempre considerare contenuti in recipienti. Si può quindi parlare di superficie libera del liquido, cioè di superficie di separazione ben definita tra liquido e ambiente. La superficie libera di un liquido in equilibrio è in ogni punto perpendicolare alla risultante delle forze esterne, agenti sul punto che si considera. LEGGE DI PASCAL Consideriamo un apparecchio, come quello in figura, costituito da un recipiente metallico sferico, contenente un fluido e comunicante con dei tubicini di vetro a forma di U, nei quali c’è del mercurio. 55 Applicando una forza F allo stantuffo in rosso, si osserva che il mercurio viene spinto in alto sui rami esterni aperti di tutti i tubicini. Ciò significa che il fluido, soggetto nella superficie superiore alla pressione esercitata premendo sullo stantuffo, trasmette tale pressione a tutti i punti dello spazio che esso occupa, e inoltre le pressioni trasmesse hanno la stessa intensità in tutti i punti uguale a quella della pressione esercitata con lo stantuffo. Quanto detto costituisce la legge di Pascal, così enunciata: La pressione esercitata su una qualunque superficie di un fluido perfetto, si trasmette con uguale intensità a tutti i punti del fluido e in tutte le direzioni. LEGGE DI STEVIN Consideriamo un fluido in equilibrio soggetto alla sola forza peso. Su una qualunque superficie orizzontale, interna al fluido, grava la colonna costituita dal fluido sovrastante, che esercita una certa pressione, detta idrostatica se si tratta di un liquido, aerostatica se si tratta di un aeriforme. Vediamo ora come si ricava la pressione. C L P h A S B In un recipiente C è contenuto un liquido di peso specifico assoluto γ. L è al superficie libera del liquido in equilibrio, AB è una traccia di una superficie di area S, interna al liquido e situata ad una profondità h. Sulla superficie considerata, grava evidentemente una colonna liquida di base S e altezza h, il cui peso si calcola moltiplicando il suo volume per γ. γ γ h La pressione agente sulla superficie è: γ h Quest’ultima relazione esprime la legge di Stevin, che afferma: 56 Nei liquidi perfetti, l’intensità della pressione idrostatica è, in ogni punto, direttamente proporzionale alla profondità e al peso specifico assoluto. Questa legge vale anche per gli aeriformi (pressione atmosferica). La pressione idrostatica agisce in tutte le direzioni e non dipende dalla forma del recipiente. VASI COMUNICANTI I vasi comunicanti mediante un condotto possono contenere liquidi uguali o diversi. Consideriamo il caso dei liquidi uguali. L1 L2 A B h1 h2 p1 M p2 S Osserviamo dalla figura che i liquidi nei vasi sono tutti allo stesso livello e questo si giustifica con la legge di Stevin. Infatti consideriamo una qualunque sezione S del condotto che mette in comunicazione i vasi A e B e prendiamo un punto M appartenente ad S. supponiamo che il liquido contenuto nei vasi abbia peso specifico assoluto γ. Se sul liquido agisce la sola forza peso, si dimostra che le superfici libere L1 ed L2 sono allo stesso livello, cioè h1 = h2. Possiamo quindi calcolare le pressioni idrostatiche p1 e p2 in questo modo: Affinché una particella posta nel punto M sia in equilibrio, le pressioni p 1 e p2 devono essere uguali, quindi , cioè h1 = h2. Questa uguaglianza esprime la legge dei vasi comunicanti, che può essere così enunciata: In vasi comunicanti contenenti uno stesso liquido, le superfici libere si trovano tutte allo stesso livello. 57 Consideriamo ora il caso di liquidi diversi e non mescolabili, come ad esempio acqua e mercurio e sia γ1 il peso specifico assoluto dell’acqua e γ2 peso specifico assoluto del mercurio. h1 L h2 Il liquido che sta sotto il livello L e che è solo mercurio, non ci interessa perché rientra nel caso precedente. La colonna d’acqua di altezza h 1 fa equilibrio alla colonna h2 di mercurio, di conseguenza avremo p1 = p2. Applicando la legge di Stevin, avremo: In sostanza avremo che : Le altezze delle colonne liquide sono inversamente proporzionali ai rispettivi pesi specifici assoluti. LA LEGGE DI ARCHIMEDE Se immergiamo un corpo in un fluido, si osserva che il suo peso diminuisce in misura pari al peso di un volume di liquido uguale al volume del corpo. Siccome la forza peso è diretta verticalmente verso il basso, è logico pensare che su un corpo immerso agisca una forza di senso contrario al suo peso, di uguale direzione e di intensità pari a quella del liquido spostato. Quanto appena affermato costituisce la legge di Archimede, che può essere rigorosamente enunciata in questo modo: Un corpo immerso in un fluido è soggetto ad una forza diretta verticalmente verso l’alto, con intensità uguale al peso del volume di fluido spostato dal corpo. 58 Forniamo di seguito la dimostrazione di tale legge. F1 h h1 h2 S F2 Un prisma solido di area di base S e altezza h, viene immerso in un liquido di peso specifico assoluto γ. Le pressioni idrostatiche agenti sulla superficie laterale si fanno equilibrio, mentre ciò non accade per le pressioni agenti sulle due basi. Infatti la base superiore è soggetta ad una pressione p 1 orientata verso il basso, che per la legge di Stevin è data da . Sulla base inferiore agisce una pressione p2 orientata verso l’alto, che per la stessa legge è data da . Le forze agenti sulle due basi sono date da: Dato che F1 ed F2 hanno verso contrario (forze discordi) ed F 2 > F1, la loro risultante sarà data dalla loro differenza, e sarà orientata verso l’alto: ( ) Essendo il prodotto di γ e V il peso del liquido spostato, avremo che: F=P Le conseguenze della legge di Archimede sono tre: a) Se il peso specifico del corpo è maggiore di quello del fluido, si avrà F < P e la risultante sarà diretta verso il basso. In questo il caso il corpo va a fondo. b) Se il corpo e il liquido hanno lo stesso peso specifico, F = P e quindi la risultante sarà nulla. In questo caso il corpo resta sospeso in qualunque posizione lo si collochi nel liquido (caso dei sottomarini). c) Se peso specifico del corpo è minore di quello del fluido, si avrà F > P e il corpo galleggia. 59 LA PRESSIONE ATMOSFERICA L’atmosfera terrestre è un involucro aeriforme che circonda il nostro pianeta ed è costituita dal 75,5% di azoto, 23,2% di ossigeno e 1,3% di anidride carbonica e gas nobili. La superficie terrestre può quindi essere paragonata al fondo di un oceano di aria. L’atmosfera diviene sempre più rarefatta all’aumentare dell’altitudine, finché non è più rilevabile la presenza di particelle degli aeriformi che la costituiscono. Essa inoltre esercita una certa pressione aerostatica sulla superficie terrestre. Infatti, se consideriamo una certa colonna d’aria A, avente per base una data area S della superficie terrestre e P è il peso di tale colonna, avremo: A S TERRA Il valore della pressione atmosferica dipende da vari fattori quali: altitudine, temperatura, umidità, latitudine, quindi per poterla misurare, occorre specificare le condizioni nelle quali si eseguono le misurazioni e che si definiscono condizioni normali, cioè: 1) 2) 3) 4) Livello del mare. Temperatura di 0oC. Aria priva di vapor d’acqua. Latitudine di 45°. ESERCIZI 1) Sapendo che la densità relativa dell’acqua marina è 1,03, calcolare la pressione idrostatica alla profondità di 98m. [10,094 atm] 2) Calcolare la pressione idrostatica alla base di una colonna di mercurio alta 2,5m, sapendo che la densità relativa del mercurio è 13,6. [3,4 atm] 60 3) Un cilindro contenente 27,2 Kgp di mercurio e 50 Kgp di acqua distillata, ha il raggio di base di 5cm. Calcolare: 1) l’altezza della colonna di mercurio; 2) l’altezza della colonna d’acqua; 3) la pressione idrostatica agente sul fondo del recipiente. [25,5cm ; 6,369m; 0,98atm] 4) La diga di un bacino idroelettrico è alta 27m. Calcolare la pressione idrostatica agente alla base della diga. [2,7 atm] 5) Due vasi, comunicanti mediante condotto orizzontale, contengono rispettivamente acqua (densità relativa = 1) e mercurio (densità relativa = 13,6). Sapendo che la superficie libera del mercurio è 5cm più elevata di quella a contatto con l’acqua, trovare la differenza di livello tra i due liquidi. [63cm] 6) Calcolare l’altezza di una colonna di mercurio che fa equilibrio ad una colonna di acqua alta 18m. [1,323m] 7) Per equilibrare una colonna di mercurio alta 50cm, è necessaria una colonna di un altro liquido, posto in un vaso comunicante con quello che contiene il mercurio, alta 4,45m. Calcolare la densità assoluta del liquido. [1528Kgm/m3] 8) Un’assicella di legno galleggia sull’acqua; sapendo che il suo spessore è 1cm e che la densità relativa del legno è 0,6, calcolare lo spessore che emerge dall’acqua. Si consideri la densità relativa dell’acqua = 1. [4mm] 9) Un prisma di sughero ha base quadrata di lato 1m e altezza di 30cm. Sapendo che la densità relativa del sughero è 0,24, dire quale peso occorre mettere sopra alla base superiore del prisma, affinché esso, posto nell’acqua, abbia tale base complanare con la superficie libera dell’acqua. [228Kgp] 10) Un cilindro di piombo, avente superficie di base uguale a 314cm2 e altezza 0,5m, viene immerso nell’acqua. Sapendo che la densità relativa del piombo è 11,3 e quella dell’acqua 1, calcolare il peso apparente del cilindro. [161,71Kgp] 11) Un aerostato pesa 200Kgp. Quale deve essere il suo volume, affinché, in condizioni atmosferiche normali, esso possa sollevarsi da terra? [almeno 154,68 atm] 61 12) Calcolare il peso dell’aria contenuta in una sfera di raggio 1,2m. Si supponga che l’aria sia secca (densità assoluta = 1,293Kgm/m 3) [9,354Kgp] 13) A quanti N/cm2 equivalgono 25 torr? [0,333 N/cm2] 14) Un recipiente contiene 20dm3 di aeriforme, alla pressione di 5atm. Se, mantenendo costante la temperatura, portiamo la pressione a 12,5atm, a quanto si riduce il volume? [8dm3] 15) Un aeriforme perfetto occupa il volume di 5m3 ed ha una pressione interna di 6atm. Quale pressione si deve esercitare per ridurre il volume dell’aeriforme a 0,8m3? [37,5atm] 16) Se dall’atmosfera terrestre togliessimo tutti gli aeriformi che la costituiscono, ad eccezione dell’ossigeno (che è presente in peso nella misura del 23%), quale risulterebbe il valore della pressione, misurata in condizioni normali? [179,8 mm di mercurio] 62 CAPITOLO 9 LA TERMOLOGIA Forniamo uno schema esemplificativo degli argomenti che saranno trattati nei prossimi capitoli. La termologia tratta i seguenti argomenti: 1) Termometria 2) Calorimetria 3) Termodinamica La termometria si divide a sua volta in: 1) Scale termometriche 2) Dilatazione termica 3) Trasformazione degli aeriformi La calorimetria si divide in: 1) Propagazione del calore 2) Cambiamenti di stato fisico Infine la termodinamica si occupa dei principi e delle trasformazioni degli aeriformi. PARTE INTRODUTTIVA Dobbiamo necessariamente operare una distinzione tra il concetto di calore e il concetto di temperatura. Molto spesso si sente dire che un corpo ha molto calore per indicare che la temperatura dello stesso è molto elevata, commettendo però un grave errore. Infatti, a titolo di esempio, se si versa un cucchiaino di acqua bollente su un cubetto di ghiaccio, si osserva che solo una piccola parte di esso si scioglie, mentre se lo stesso cubetto viene immerso in un bicchiere di acqua a temperatura ambiente, esso si scioglierà dopo un po’ di tempo. L’acqua bollente nel cucchiaino ha temperatura più elevata di quella del bicchiere, eppure essa possiede meno calore. Cerchiamo di dare una definizione rigorosa di calore e temperatura. In un corpo, le particelle sono animate da un continuo movimento. Se il corpo è solido, esse vibrano intorno a ben definite posizioni, mentre se il corpo è fluido, esse si muovono in maniera disordinata. Ogni particella 63 possiede una certa energia cinetica particelle e v e la loro velocità. , dove m è al massa delle Il calore di un corpo è l’energia cinetica complessivamente posseduta da tutte le particelle che lo costituiscono e può essere quindi considerato una forma di energia termica. Nel caso della temperatura dobbiamo considerare l’energia cinetica media di ogni singola particella, dato che ognuna può possederla diversa dalle altra particelle. Diremo quindi che: La temperatura di un corpo è l’energia cinetica media posseduta dalle particelle che lo costituiscono. In conclusione, possiamo affermare che: 1) Un corpo possiede molto calore se l’energia cinetica complessiva posseduta da tutte le particelle è molto grande. 2) Un corpo possiede un’elevata temperatura se l’energia cinetica media di ogni particella è molto elevata. 64 CAPITOLO 10 LA TERMOMETRIA SCALE TERMOMETRICHE Per misurare le temperature ci si basa sugli effetti che le loro variazioni producono sui corpi che le subiscono, come ad esempio la sensazione di caldo o freddo. Per misurare le temperature esistono vari strumenti, come i termometri a mercurio, adatti per temperature molto elevate, termometri ad alcool, usati per temperature decisamente più basse, termometri a gas oppure a resistenza elettrica. Le scale termometriche sono alla base del funzionamento dei termometri e sono state create in base a delle convenzioni. Per costruire una scala termometrica, si usa un sistema vetro – mercurio e lo si immerge in un contenitore di ghiaccio. Se il primo sistema è più caldo del secondo, il livello del mercurio si abbassa per scambio di calore e lo scambio termina quando i due sistemi raggiungono la stessa temperatura. Si trasferisce poi lo stesso sistema sui vapori dell’acqua bollente e a questo punto il livello del mercurio si rialza. In corrispondenza del livello minimo A e del livello massimo B raggiunti, verranno segnate due tacche che rappresenteranno i limiti di una scala termometrica. Le scale termometriche più conosciute sono: Scala Celsius: è la scala più usata, detta anche centigrada ed indicata con C. In questo caso A = 0 e B = 100, cioè ci sono 100 tacche di 1°C ciascuna. Scala Reaumur: indicata con R. In questo caso A = 0 e B = 80, cioè ci sono 80 tacche di 1°R ciascuna. Scala Fahreneit: indicata con F. In questo caso A = 32 e B = 212, cioè ci sono 180 tacche di 1°F ciascuna. Scala Kelvin: indicata con K. In questo caso A = 273 e B = 373, cioè ci sono 100 tacche di 1°K ciascuna. Riassumendo le relazioni tra valori minimi e massimi nelle varie scale, abbiamo: 65 0oC = 0oR = 32°F = 273°K 100°C = 80°R = 212°F = 373°K Le relazioni tra le scale termometriche appena viste, sono le seguenti: C : 100 = R : 80 C : 100 = (F – 32) : 180 R : 80 = (F – 32) : 180 K = C + 273 C = K – 273 ESERCIZI 1) Esprimere la temperatura di 20°C in gradi Reaumur, Fahrenheit e Kelvin. [16°R ; 68°F ; 293°K] 2) Esprimere la temperatura di 12°R in gradi centigradi, Fahrenheit e Kelvin. [15°C ; 59°F ; 288°K] 3) Esprimere lo zero assoluto in gradi Reaumur e Fahrenheit. [– 218,4°R ; –459,49°F] 4) Il ferro fonde alla temperatura di 1250°C. Possiamo fondere tale metallo, portando la sua temperatura a 1100°R e a 2000°F? [si, no] 5) Il mercurio fonde a – 39°C e bolle a 357°C. Di quanti gradi Fahrenheit si deve innalzare la temperatura del mercurio, per portarlo dal punto di fusione al punto di ebollizione? E di quanti gradi Kelvin? [712,8°F, 396°K] 66 CAPITOLO 11 LA DILATAZIONE TERMICA Aumentando (o diminuendo) la temperatura di un corpo, esso aumenta (o diminuisce) di volume, come si può evincere da un esperimento molto semplice, che consiste nel far passare, prima a temperatura ambiente, una sferetta metallica dentro un anello e successivamente ripetere l’esperienza, dopo aver riscaldato la sferetta, che a questo punto non passa più all’interno dell’anello. Il fenomeno si spiega perché aumentando la temperatura di un corpo, aumenta l’energia di moto delle particelle che lo compongono e di conseguenza aumenta anche lo spazio tra di esse. Un’eccezione è costituita dall’acqua. L’influenza della temperatura sulle grandezze, porta alla conseguenza che la densità, all’aumento del volume, diminuisce secondo la formula: DILATAZIONE LINEARE Se i corpi sono di forma allungata, la dilatazione è di tipo lineare. L’entità di tale dilatazione dipende dalla natura della sostanza che costituisce l’asta, e gli allungamenti sono direttamente proporzionali alla lunghezza iniziale (l1) e agli aumenti di temperatura. La formula è la seguente: ( ) dove l2 è la temperatura finale, t1 e t2 sono rispettivamente le temperature iniziale e finale e λ è il coefficiente di dilatazione lineare che esprime l’allungamento di un asta di m, quando la temperatura aumenta di °C. Se la temperatura iniziale della asta è 0oC e la si riscalda fino ad una certa temperatura toC, si preferisce usare la seguente formula più compatta: ( ) dove lt è la lunghezza finale ed l0 quella iniziale. DILATAZIONE CUBICA O VOLUMICA Se un corpo è isotropo, cioè con proprietà uguali i tutte le direzioni, abbiamo una dilatazione cubica, la cui formula è analoga a quella della dilatazione lineare: ( ) Se il volume iniziale, alla temperatura di 0 oC, è uguale a V0, il volume Vt alla temperatura t è dato dalla relazione seguente: ( ) K è il coefficiente di dilatazione cubica ed esprime l’aumento di volume che subisce un corpo di 1m3 quando la temperatura aumenta di 1°C. La tabella sottostante riporta i valori dei coefficienti di dilatazione lineare di alcune sostanze abbastanza comuni. DILATAZIONE TERMICA DEI LIQUIDI La dilatazione termica di un liquido richiede una maggiore attenzione poiché se si vuole riscaldare il liquido, si deve riscaldare anche il recipiente che lo contiene, che a sua volta subisce una certa dilatazione. Supponiamo che a temperatura ambiente, il liquido contenuto nel vaso S si trovi al livello A. Se si riscalda il vaso si osserva che inizialmente la superficie del liquido scende nel cannello fino al livello B. Tale fenomeno si spiega perché il vaso che è a contatto diretto con la fonte di calore F, si riscalda prima del liquido, subendo una certa dilatazione e offrendo così una maggiore capacità, per cui il livello del liquido si abbassa. Continuando a fornire calore, dopo un certo periodo di tempo anche il liquido si riscalda, raggiungendo nuovamente il livello A e superandolo, portandosi in C. C A A B B S S S Si avrà che la dilatazione tra A e C è una dilatazione apparente del liquido, mentre la dilatazione lineare sarà: dilatazione reale = dilatazione apparente + dilatazione cubica del recipiente. Abbiamo accennato all’inizio del capitolo che l’acqua costituisce un’eccezione per quanto riguarda la dilatazione. Consideriamo un certo volume V0 di acqua, alla temperatura di 0oC. Se si aumenta la temperatura, si osserva che il volume, anziché aumentare, diminuisce progressivamente, fino a raggiungere il valore minimo quando la temperatura è di 4°C. A questo punto, innalzando ulteriormente la temperatura, il volume comincia a crescere, portando l’acqua a comportarsi come la maggior parte delle sostanze. A circa 8°C, il volume torna ad essere uguale al valore iniziale V0. Per quanto riguarda la densità dell’acqua, avremo che essa sarà massima a 4°C, ad 8°C avrà lo stesso valore che aveva a 0oC, mentre oltre gli 8°C diminuisce. Il comportamento dell’acqua ha in natura un’importanza enorme e decisiva ai fini dell’esistenza degli animali acquatici. Si pensi infatti se i ghiacci marini avessero una densità maggiore dell’acqua e quindi affondassero! ESERCIZI 1) Un filo di alluminio alla temperatura di 0oC è lungo 2m. Calcolare la sua lunghezza alla temperatura di 50°C, sapendo che il suo coefficiente di dilatazione è 23*10–6 . [2,0023m] 2) Una sbarra di ferro, alla temperatura di 0oR è lunga 1m. Calcolare la sua lunghezza alla temperatura di 80°R, sapendo che il suo coefficiente di dilatazione lineare è 12*10–6. [1,0012m] 3) Un filo di rame, alla temperatura di 273oK è lungo 1m. Calcolare la sua lunghezza alla temperatura di – 50°C, sapendo che il suo coefficiente di dilatazione lineare è 17*10–6. [0,99915m] 4) Un filo di argento, alla temperatura di 50oC è lungo 3m. Calcolare la sua lunghezza alla temperatura di 250°C, sapendo che il suo coefficiente di dilatazione lineare è 19*10–6. [3,0114m] 5) La temperatura di 1dm3 di petrolio viene portata da 0oC a 30°C. Calcolare l’aumento di volume, sapendo che il coefficiente di dilatazione cubica del petrolio è 0,0009. [27cm3] 6) Un cubo di rame, alla temperatura di 80°R, ha lo spigolo di 2dm. Calcolare l’aumento di volume alla temperatura di 5°F, sapendo che il coefficiente di dilatazione lineare del rame è 17*10–6 . [7,953dm3] CAPITOLO 12 TRASFORMAZIONI DEGLI AERIFORMI Le grandezze che definiscono lo stato fisico di un aeriforme sono tre: 1) Temperatura 2) Pressione 3) Volume Si dice che un aeriforme subisce una trasformazione, se cambia il valore di almeno due di tali grandezze. Le varie trasformazioni sono: 1) Trasformazione isoterma: la temperatura si mantiene costante, mentre variano pressione e volume. 2) Trasformazione isobara: la pressione si mantiene costante, mentre variano temperatura e volume. 3) Trasformazione isocora: il volume si mantiene costante, mentre variano pressione e temperatura. 4) Trasformazione adiabatica: in questo caso variano tutte e tre le grandezze e la trasformazione avviene senza scambi di calore. TRASFORMAZIONE ISOTERMA – LEGGE DI BOYLE MARIOTTE La legge che esprime tale trasformazione è la seguente: Se consideriamo un aeriforme alla temperatura t0, pressione p0 e volume V0, e mantenendo costante la temperatura, avremo che: TRASFORMAZIONE ISOBARA – 1° LEGGE DI VOLTA–GAY LUSSAC Variando la temperatura si ha una variazione di volume, quindi la legge che regola tale trasformazione segue quella della dilatazione termica. Per gli aeriformi considerati perfetti, il coefficiente di dilatazione termica α non dipende dalla loro natura ma è sempre uguale a 1/273. La relazione che esprime la legge è la seguente: ( ) TRASFORMAZIONE ISOCORA – 2° LEGGE DI VOLTA - GAY LUSSAC L’espressione matematica di questa legge, analoga alla prima è la seguente: ( ) EQUAZIONE DEGLI AERIFORMI PERFETTI Consideriamo una grammo–molecola di un aeriforme perfetto e sottoponendolo a opportune trasformazioni, possiamo fare in modo che il suo nuovo stato fisico sia definito da valori t, p, V, partendo dai valori iniziali t0, p0, V0. Tale nuovo stato fisico si ottiene sottoponendo prima l’aeriforme ad una trasformazione isobara, portando la temperatura a t e calcolando il ( ) , e poi ad una volume con la 1° legge di Volta trasformazione isoterma, con l’applicazione della legge di Boyle, p p 0V1. Sostituendo a V1 la 1° legge, si ha: ( Sapendo che 273 + t = T, e (1) ) ed è costante, avremo: Questa è l’equazione dei gas perfetti nel caso in cui la massa dell’aeriforme sia pari ad una grammo–molecola a 0oC e pressione di 1atm, mentre se si considera un numero generico n di grammo–molecole, la precedente formula sarà : PV = nRT. Il valore di R è circa 0,0821. Ciò deriva dal fatto che una qualunque grammo – molecola di aeriforme perfetto è 22,4 dm3, quindi sostituendo tale valore in V0 nella relazione (1), si otterrà proprio quel valore di R. Se consideriamo il valore di R nel sistema internazionale, avremo che R = 8,315 J/oK. Negli aeriformi reali dobbiamo considerare sia il volume proprio delle particelle, sia le forze agenti tra esse, che sono di tipo attrattivo e si fanno equilibrio per simmetria se sono lontane dalle pareti del recipiente, mentre se sono vicine sono soggette ad una forza risultante orientata verso l’interno. La pressione interna totale dell’aeriforme è dunque data dalla somma p + p1, dove p è la pressione esercitata dall’esterno e p1 è la pressione addizionale. Si dimostra che p1 è inversamente proporzionale al quadrato del volume del gas, cioè , dove a è una costante che dipende dalla natura del gas. Avremo quindi che la pressione totale sarà: Nel caso del volume, che si considera nullo nei gas perfetti, ma non può essere trascurato in quelli reali, prendiamo due molecole di raggio r che si muovono astretto contatto tra loro, occupando una sfera di raggio 2r. A B r r Il volume della sfera sarà : ( ) , mentre il volume delle due molecole sarà . Lo spazio entro il quale le particelle possono muoversi è dato da V – b , dove b è detto covolume. In conclusione, l’equazione degli aeriformi reali è: ( ) ESERCIZI 1) Un’aeriforme perfetto, alla temperatura di 0oC, occupa un volume di 1dm3 ed esercita sulle pareti del recipiente una pressione di 5atm. Quanto diventa il volume dell’aeriforme, se esso viene riscaldato, a pressione costante, fino alla temperatura di 100°C? 3 [1,3663dm ] 2) Un’aeriforme perfetto, alla temperatura di 50oC e alla pressione di 2atm, occupa un volume di 3dm3. Se, mantenendo costante la temperatura, si porta la pressione a 12atm, quanto diventa il volume dell’aeriforme? [0,5dm3] 3) Un’aeriforme perfetto, alla temperatura di 27oC e alla pressione di 2atm, occupa un volume di 2dm3. Calcolare l’aumento di pressione che si ottiene riscaldando l’aeriforme, a volume costante, fino alla temperatura di 273°C. [1,64atm] 4) Un’aeriforme perfetto, alla temperatura di 37oC e alla pressione di 1atm, occupa un volume di 3,1dm3. Qual’ è il volume dell’aeriforme, dopo che esso è stato riscaldato, a pressione costante, fino alla temperatura di 120°C? [3,93dm3] 5) Due grammo–molecole di aeriforme perfetto, alla temperatura di 24°C, occupano un volume di 3dm3. Calcolare la pressione interna dell’aeriforme. [16,25 atm fisiche] 6) Quattro grammo–molecole di aeriforme perfetto, alla pressione di 2 atmosfere fisiche, occupano un volume di 41dm3. Calcolare la temperatura. [–23,3°C] 7) Una grammo–molecola di aeriforme perfetto, alla temperatura di 10°C, occupano un volume di 2,83dm3. Calcolare il volume dell’aeriforme dopo che è stato riscaldato, a pressione costante, fino a 100°C. E se successivamente, a volume costante, si porta la temperatura a 473°C, quale valore assume la pressione? [3,73dm3 ; 16,4 atm fisiche] 8) Dieci grammo–molecole di aeriforme perfetto, si trovano alla temperatura di 50°C e alla pressione di 2 atmosfere fisiche. Calcolare la pressione, a volume costante, alla temperatura di 211,5°C. [3atm] CAPITOLO 13 LA CALORIMETRIA Le quantità di calore fornite (o sottratte) ad un corpo per elevarne la temperatura sono direttamente proporzionali alle variazioni di temperatura, alla massa del corpo e dipendono dalla natura del corpo. La legge che esprime quanto appena detto è la seguente: ( ) dove : Q = quantità di calore m = massa del corpo t1 = temperatura iniziale t2 = temperatura finale La costante c è detta calore specifico della sostanza, che ad una data temperatura, è la quantità di calore che si deve fornire ad 1Kgm di tale sostanza, per elevarne la temperatura di 1°C. L’unità di misura del calore è la chilocaloria ed è la quantità di calore fornita ad 1Kgm di acqua distillata, per elevarne la temperatura da 14,5°C a 15,5°C. Ovviamente il valore di c si ricava molto semplicemente dalla formula inversa della legge vista prima: ( ) Di seguito riportiamo la tabella recante i valori del calore specifico di alcune tra le più importanti sostanze. LA CAPACITÀ TERMICA In generale, per elevare la temperatura di un corpo di massa m, è necessario fornirgli una quantità di calore pari al prodotto della sua massa per il suo calore specifico. Tale calore prende il nome di capacità termica del corpo e si indica con Ct. La relazione è la seguente: La capacità termica di un corpo è la quantità di calore necessaria per elevare la temperatura di 1°C. Possiamo scrivere anche: Nel caso degli aeriformi, dobbiamo parlare più che di sostanza, di grammo – molecola di gas, ed è necessario fare una distinzione tra calore specifico a volume costante (cv) e a pressione costante (cp), dove cp > cv (2). La disuguaglianza deriva dal fatto che nel riscaldamento a pressione costante, a differenza di quello a volume costante, la quantità di calore Q fornita deve essere maggiorata di un’ulteriore quantità q, giustificando così la (2), che può anche essere scritta come cp – cv = q e cp/cv > 1. Gli strumenti adatti a misurare le quantità di calore sono: il calorimetro ad acqua e il calorimetro a ghiaccio, che però è meno usato. SORGENTI DI CALORE Qualsiasi corpo capace di fornire energia termica costituisce una sorgente di calore. La principale fonte di calore è il Sole e dicesi costante solare la quantità di calore che giunge dal sole ogni minuto e su ogni cm2 di superficie perpendicolare ai raggi. Dicesi, invece, calore terrestre, il calore proprio della terra. Infine, si dice combustibile, una sostanza che, combinandosi con l’ossigeno sviluppa energia termica. Un combustibile può essere solido come la legna o il carbone, liquido, come il petrolio e l’alcool, aeriforme, come il metano o l’acetilene. Dicesi potere calorifico di un combustibile la quantità di calore, espressa in Kcal, prodotta da 1 Kgm di combustibile che brucia integralmente. ESERCIZI 1) Calcolare la quantità di calore necessaria per elevare di 20°C la temperatura di 10Kgm di acqua distillata. [200Kcal] 2) Calcolare la quantità di calore necessaria per elevare da 10°C a 100°C la temperatura di una sbarra di ferro di 50Kgm. [513Kcal] 3) Fornendo 4,72Kcal a 2Kgm di una sostanza, si aumenta la sua temperatura di 20°C. Calcolare il calore specifico della sostanza. [0,118Kcal/KgmoK] 4) La capacità termica di un corpo è uguale a 200. Calcolare la massa del corpo, sapendo che, per elevare di 10°C la temperatura di 5Kgm di esso, è necessario fornire 100 Kcal. [100Kgm] 5) Una certa quantità di combustibile, bruciando integralmente e trasmettendo tutto il calore emesso ad un corpo di 10Kgm, ne aumenta la temperatura di 50°C. Sapendo che il potere calorifico del combustibile è 5000Kcal/Kgm e che il calore specifico del corpo è 0,5Kcal/KgmoK, calcolare la massa del combustibile. [0,05Kgm] CAPITOLO 14 LA PROPAGAZIONE DEL CALORE Il calore può propagarsi nello stesso corpo oppure può trasmettersi da un corpo all’altro; in ogni caso il calore si propaga dalle zone a temperatura più alta a quelle a temperatura più bassa PROPAGAZIONE DEL CALORE NEI SOLIDI Se avviciniamo ad una sorgente di calore, ad esempio una fiamma, l’estremità di una sbarretta metallica e teniamo con una mano l’altra estremità B, dopo poco tempo siamo costretti ad abbandonare la sbarra per non ustionarci. Questa semplice esperienza ci dimostra che il calore della fiamma viene trasmesso da A, e attraverso la sbarra si propaga a tutte le parti. A B Il meccanismo di propagazione del calore nei solidi si chiama conduzione e si spiega come una trasmissione di energia cinetica per indebolimento dei legami tra le particelle. La conduzione avviene senza trasporto di materia. La quantità di calore che passa attraverso una parete, dipende dall’area della parete, dalla differenza tra interno ed esterno, dallo spessore della parete e dal tempo. Per comprendere meglio il concetto esposto sopra, consideriamo una parete di un’abitazione esposta ai raggi solari. Maggiore è l’area della superficie della parete e maggiore sarà la quantità di calore assorbita e trasmessa all’interno, e tale quantità di calore è tanto più grande quanto più il sole è cocente, cioè quanto più grande è la differenza di temperatura tra esterno e interno. Si nota infatti che di solito, nel tardo pomeriggio, gli ambienti interni sono molto caldi e soprattutto nelle vecchie abitazioni, si ha che gli ambienti sono molto più freschi, poiché le pareti hanno maggiore spessore. Se consideriamo una lastra solida di area S e spessore d, supponiamo che una delle due facce sia costantemente a temperatura t2 e l’altra a temperatura t1, con t2 > t1. S t1 t2 d La quantità di calore Q che passa in un certo tempo t attraverso la lastra, è regolata dalla seguente relazione, che viene chiamata Legge di Fourier: ( ) k è una costante di proporzionalità, detta coefficiente di conducibilità termica ed è la quantità di calore che passa in 1 sec da una faccia all’altra di una parete spessa 1m, per ogni m2 di superficie e con differenza di temperatura di 1°C. ( ) Di seguito riportiamo la tabella recante i coefficienti di conducibilità termica delle sostanza più note: PROPAGAZIONE DEL CALORE NEI FLUIDI I fluidi hanno coefficienti di conducibilità termica molto bassi e il calore si propaga facilmente in essi solo dal basso verso l’alto. Infatti se prendiamo una provetta con all’interno dell’acqua e vi immergiamo un pezzetto di ghiaccio tenuto bloccato al fondo da una sferetta di ferro, osserviamo che mettendo una fonte di calore nella parte superiore, l’acqua bolle ma il ghiaccio non si scioglie, a differenza di quanto accade se la fonte di calore viene posizionata sul fondo , consentendo così all’acqua di bollire e al ghiaccio di sciogliersi. In sostanza se riscaldiamo un liquido mediante una sorgente termica, riceve calore solo la parte a diretto contatto con la sorgente, ma lo stesso calore non riesce a propagarsi agli strati sovrastanti. Tuttavia lo strato inferiore aumenta di volume e diminuisce di densità, non trovandosi più nella condizione di equilibrio, e tende a salire determinando delle correnti ascensionali calde. Contemporaneamente, gli strati sovrastanti tendono a scendere, a causa della maggiore densità, determinando correnti discensionali fredde, ma arrivando al fondo risalgono, mediante lo stesso meccanismo visto all’inizio. Il fenomeno descritto si chiama convezione, mediante il quale il calore si propaga nel fluido grazie ai movimenti delle sue parti, detti correnti convettive ascendenti o discendenti. Gli aeriformi sono regolati dallo stesso meccanismo. PROPAGAZIONE DEL CALORE NEI VUOTO Per quanto riguarda la propagazione del calore nel vuoto, non possiamo parlare né di conduzione né di convezione. Infatti se stiamo vicini al fuoco del caminetto e avvertiamo una sensazione di caldo, non si può pensare che il calore si propaghi per conduzione, dato che la conducibilità termica dell’aria è praticamente nulla, né si può parlare di convezione perché siamo di fronte al fuoco e non sopra di esso. Il fenomeno si spiega per il fatto che ogni corpo, a temperatura superiore a 0oC, emette energia elettromagnetica o raggiante, in una misura che dipende dalla temperatura. Si parla quindi di propagazione del calore per irraggiamento. In pratica la sorgente termica perde calore ed emette energia che si propaga nel vuoto e viene assorbita da un altro corpo sotto forma di energia termica. CONDUZIONE ESTERNA Dicesi conduzione esterna il fenomeno della trasmissione del calore da un corpo ad un altro e che quasi sempre coinvolge tutti e tre i tipi di propagazione visti prima. Il caso più semplice di tale trasmissione è costituito da un solido immerso in un fluido. Se S è l’area della superficie del solido, t2 la sua temperatura e t1 la temperatura del fluido, trasmessa dal solido al fluido nel tempo t, con t2 > t1, si può calcolare la seguente formula di Newton: ( ) γ viene detto coefficiente di conducibilità termica esterna, ed è la quantità di calore ceduta nell’unità di tempo da un solido di superficie 1m 2 ad un fluido di temperatura inferiore 1°C. ESERCIZI 1) Calcolare la quantità di calore che si propaga nel tempo di 1min attraverso una lastra di ferro di spessore 20cm e di superficie 1m 2, sapendo che il coefficiente di conducibilità termica del ferro è 50 e che tra le due facce della lastra c’è una differenza di temperatura di 180°C. [750Kcal] 2) In uno stesso intervallo di tempo, si propaga più calore attraverso una parete di cemento di 10cm, oppure attraverso una parete di ferro, di uguale superficie, ma di spessore 2m? [la stessa quantità] 3) Calcolare la quantità di calore che si disperde all’esterno di una capanna di legno in 12 ore, sapendo che la superficie complessiva delle pareti e del tetto è 100m2, che le pareti e il tetto hanno uno spessore di 30cm, che la differenza di temperatura tra esterno e interno è 20°C, che il coefficiente di conducibilità termica del legno è 0,15. Si supponga che il pavimento della capanna sia perfettamente isolante. [12*103Kcal] 4) Calcolare la quantità di calore che si disperde in un’ora attraverso i vetri di una finestra, sapendo che la superficie dei vetri è 2m 2, che il loro spessore è 0,4cm, che la differenza di temperatura tra interno ed esterno è 30°C e che il coefficiente di conducibilità termica del vetro è 0,8. [12*103Kcal] CAPITOLO 15 CAMBIAMENTI DI STATO FISICO I corpi si trovano di solito allo stato: 1) Solido 2) Liquido 3) Aeriforme I fattori che determinano il passaggio da uno stato all’altro sono due: 1) Temperatura 2) Pressione In sostanza si deve sempre fornire o sottrarre energia termica. Nel primo caso viene fornita energia cinetica alle particelle, che si separano provocando una diminuzione della densità, mentre nel secondo caso avviene esattamente il contrario. Quando si ha una somministrazione di calore, avvengono i seguenti passaggi: SOLIDO VAPORE SOLIDO + LIQUIDO LIQUIDO LIQUIDO + VAPORE FUSIONE La fusione è il passaggio dallo stato solido a quello liquido. La quantità di calore necessaria per fondere 1 Kgm di sostanza, portata al punto di fusione , è detta calore di fusione con unità di misura il kcal/Kgm. Una volta che il corpo è arrivato al suo punto di fusione deve essere necessariamente soggetto ad un ulteriore somministrazione di calore, la quale non provoca aumenti di temperatura. Le sostanze che hanno un elevato punto di fusione si dicono refrattarie, come ad esempio le argille. In base a quanto affermato prima, possiamo enunciare le leggi della fusione: 1) Ogni sostanza solida fonde ad una certa temperatura detta punto di fusione. 2) La temperatura si mantiene costante per tutto il processo di fusione. 3) Ogni sostanza ha un suo calore di fusione. La pressione influenza i passaggi di stato e un suo aumento determina un aumento del punto di fusione, ad eccezione dell’acqua. Esistono poi dei corpi, detti amorfi o vetrosi che non fondono ma passano lentamente allo stato liquido, diventando prima molli e passando poi ad uno stato liquido vero e proprio. Tale fenomeno viene detto fusione pastosa. VAPORIZZAZIONE La vaporizzazione è il passaggio dallo stato solido allo stato aeriforme. Con il termine vaporizzazione, in realtà, si intendono due fenomeni fisici ben distinti: 1) Evaporazione: lento passaggio dallo stato liquido allo stato aeriforme a qualsiasi temperatura. 2) Ebollizione: rapido e tumultuoso passaggio tra i due stati a temperatura ben definita per ogni sostanza. Il passaggio da liquido ad aeriforme potrebbe essere ostacolato sia dalle forze interne di coesione, che non consentono alle particelle di stare troppo lontane come richiederebbe la condizione aeriforme, sia dalla pressione. Se però si fornisce calore al liquido, l’energia cinetica delle particelle aumenta, aiutando loro a vincere tali forze. EVAPORAZIONE: in questo caso, la lentezza nel raggiungere lo stato fisico dipende dal fatto che non tutte le molecole posseggono la stessa energia. Distinguiamo così i liquidi in volatili, che evaporano facilmente, come etere, alcool e benzina, e i liquidi fissi, che evaporano lentamente, come gli oli grassi e l’acido solforico. Nella meccanica dei fluidi abbiamo detto che gli aeriformi esercitano una certa pressione sulle pareti dei recipienti che le contengono. Tale pressione interna è detta anche tensione è dovuta agli urti delle molecole contro le pareti del recipiente. Possiamo perciò affermare rigorosamente che: La tensione di vapore è la forza espansiva che esso esercita su ogni cm2 di superficie della parete del recipiente. Un vapore si dice saturo se è in presenza del proprio liquido e se i due stati sono in equilibrio. La tensione dipende dalla natura del vapore, dalla temperatura ma non dal volume. Dicesi calore di vaporizzazione di un liquido ad una certa temperatura e pressione, la quantità di calore necessaria per provocare la vaporizzazione di 1 Kgm di sostanza. Un vapore che non è saturo si dice surriscaldato. EBOLLIZIONE: in questo caso possiamo dire che tutti i liquidi posseggono aria sotto forma di bollicine e quindi, fornendo calore, la tensione di vapore delle stesse aumenta assieme alla loro temperatura, facendole aumentare di volume. Grazie alla spinta di Archimede, le bollicine salgono verso l’alto e scoppiano. Se il liquido non dovesse contenere bolle d’aria, non bollirebbe ma si surriscalderebbe. Durante l’ebollizione la temperatura non sale e ciò si spiega per il fatto che il calore somministrato viene speso come calore di vaporizzazione, al fine di vincere le forze di coesione delle molecole. Il punto di ebollizione di una sostanza dipende dalla pressione esterna (si veda il meccanismo del funzionamento della pentola a pressione). Riassumendo il tutto, possiamo così enunciare le leggi dell’ebollizione: 1) Un liquido entra in ebollizione quando la tensione del suo vapore saturo supera di poco la pressione esterna. 2) Un liquido bolle ad una certa temperatura, detta punto di ebollizione, il cui valore dipende dalla natura del liquido e dalla pressione esterna. 3) Durante l’ebollizione la temperatura si mantiene costante. LIQUEFAZIONE La liquefazione è il passaggio dallo stato aeriforme a quello liquido. In questo caso si osserva una evidente sottrazione di calore con diminuzione dell’energia cinetica delle molecole, che si avvicinano aggregandosi allo stato liquido. Bisogna precisare che la liquefazione di un aeriforme avviene solo se la temperatura è inferiore ad un certo valore, detto temperatura critica, al di sopra della quale la liquefazione non avviene, qualunque sia la pressione agente sull’aeriforme. Per il fenomeno della liquefazione è necessario distinguere tra gas e vapori. Nel primo caso, l’aeriforme si trova ad una temperatura maggiore della temperatura critica e non può essere liquefatto per compressione. Nel secondo caso, il vapore si trova ad un temperatura minore di quella critica e la liquefazione per compressione è possibile, grazie ad un compressore capace di comprimere l’aria fino a 200 atm. SOLIDIFICAZIONE La solidificazione è il passaggio dallo stato liquido a quello solido. Questo fenomeno avviene sottraendo calore ad una sostanza, fino ad arrivare al punto di solidificazione. Dicesi calore di solidificazione, la quantità di calore che si deve sottrarre ad 1 Kgm di sostanza, preventivamente portata al punto di solidificazione, per completare il passaggio allo stato solido. Se la temperatura viene abbassata ad un valore inferiore al punto di solidificazione, avviene il fenomeno della soprafusione, che è una condizione di equilibrio instabile di liquidi puri e perfettamente inquiete. SUBLIMAZIONE La sublimazione è il passaggio di una sostanza solida direttamente allo stato aeriforme e che consiste nella vaporizzazione di sostanze solide come la naftalina e il ghiaccio secco, che non è altro che anidride carbonica alla temperatura di – 78°C. BRINAMENTO Il brinamento è il passaggio di un aeriforme direttamente allo stato solido. Questo fenomeno si osserva ad esempio nello zolfo e nella naftalina, oppure nell’acqua, che ad una temperatura minore di 0oC, passa direttamente allo stato di brina. CENNI DI IGROMETRIA L’aria della nostra atmosfera non è completamente secca, ma contiene quantità di vapore d’acqua che determinano la cosiddetta umidità. L’igrometria si occupa proprio della misurazione della quantità di vapor d’acqua presente nell’atmosfera. Definiamo umidità assoluta la quantità di vapore presente in 1m3 di aria. Definiamo umidità relativa il rapporto tra la quantità di vapore presente in un certo volume d’aria ad una data temperatura, e la quantità che vi sarebbe se il vapore fosse saturo. Il valore di questo tipo di umidità è influenzato dalla temperatura. Per misurare l’umidità relativa si utilizza uno strumento detto igrometro, che può essere a condensazione oppure chimico. CAPITOLO 16 LA TERMODINAMICA La termodinamica studia i fenomeni fisici nei quali si verificano trasformazioni di energia meccanica in calore o trasformazioni inverse. Consideriamo un gas contenuto in un recipiente con pistone. Se la temperatura del gas è costante ed uniforme, si dice che esso è in equilibrio termico e se il pistone è libero e il suo peso è equilibrato dalla pressione interna del gas, si può aggiungere che il sistema è in equilibrio meccanico. Il sistema che si trova nelle suddette condizione si dice in equilibrio termodinamico. Se però si varia una delle tre grandezze (t, p, V), l’equilibri termodinamico si rompe e il gas subisce una trasformazione termodinamica, al termine della quale di raggiunge una nuova forma di equilibrio. Una trasformazione si dice irreversibile se il sistema non può essere riportato allo stato iniziale mediante un processo inverso a quello che ha provocato la trasformazione, senza che avvenga alcuna modificazione nell’ambiente esterno. Ad esempio se un’automobile frena arrestandosi, si verifica un riscaldamento dei freni, delle gomme e della strada, a spese dell’energia cinetica posseduta dall’automobile quando era in movimento. Non si può pensare però che l’auto si rimetta in movimento utilizzando lo stesso calore. Tutti i fenomeni che in natura avvengono spontaneamente sono da considerarsi irreversibili. Una trasformazione si dice ciclica se gli stati iniziale e finale del sistema che la subisce, sono uguali. LAVORO IN UNA TRASFORMAZIONE TERMODINAMICA Essenzialmente in una trasformazione vi sono sempre espansioni e compressioni che determinano lavoro. L’espansione può essere isobara. Infatti consideriamo un gas contenuto in un recipiente munito di pistone a tenuta scorrevole e supponiamo che la pressione p esercitata sul gas si uguale alla tensione del gas, e che la temperatura sia costante. Se forniamo calore al gas, innalzando la sua temperatura da T1 a T2, l’energia cinetica media delle particelle aumenta, aumentando anche l’intensità degli urti contro le pareti del recipiente e del pistone che così si solleva. La pressione del gas, tuttavia, non aumenta, perché aumentando il volume, le molecole hanno maggiore spazio per muoversi. S S h Se S è l’area della superficie ad h il tratto stabilente il sollevamento del pistone, avremo la seguente relazione: dove ΔV rappresenta la variazione di volume Sh. Questa formula esprime il lavoro fatto da un gas durante un’espansione isobara. Se l’espansione non è isobara, basta suddividere l’espansione complessiva in tante piccolissime frazioni nelle quali essa può considerarsi isobara, calcolando poi la loro somma. Nel caso della compressione, supponiamo di spingere il pistone verso il basso. A questo punto il volume del gas diminuisce, aumentando la pressione interna del gas e la temperatura. Si può concludere che, in questo caso, il lavoro compiuto per spingere in basso il pistone si è trasformato in calore. Nel caso di un’espansione seguita da una compressione, è sufficiente calcolare il lavoro nelle due trasformazioni mediante una somma algebrica tra i due lavori compiuti. PRINCIPIO DI EQUIVALENZA DI MAYER Questo principio afferma che: Il rapporto tra la quantità di energia meccanica usata (lavoro) e la quantità di calore prodotto, è costante. Si tratta in sostanza di una trasformazione ciclica. J è una costante (da non confondersi con l’unità di misura del lavoro) che prende il nome di equivalente meccanico della caloria, e il suo valore è di 4186 joule/Kcal. Ovviamente: , / PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Le particelle che costituiscono il corpo sono in continuo movimento e posseggono energia cinetica. Inoltre esse sono legate da forze di coesione e ciascuna particella possiede anche una certa energia potenziale. L’insieme di energia cinetica e potenziale prende il nome di energia interna e viene indicata con U. Se riprendiamo in considerazione il sistema gas – pistone precedente, osserviamo che la trasformazione vista nelle pagg.67/68 non è ciclica, quindi il principio di equivalenza di Mayer non risulta verificato. Ciò significa che: e in particolare , cioè e infine . In conclusione il primo principio della termodinamica afferma che: La quantità di calore assorbita da un sistema è equivalente alla quantità di energia meccanica ceduta, più la variazione di energia interna. Possiamo applicare tale principio a tutte le trasformazioni termodinamiche viste finora. CASO TRASFORMAZIONE ISOTERMA Se abbiamo un gas che subisce un’espansione o una compressione con temperatura che si mantiene costante durante la trasformazione, la sua equazione sarà la stessa dei gas perfetti, cioè: pV = nRT. Essendo R, n e T costanti, al formula precedente diventa: pV = K, che non è altro che la legge di Boyle. In sostanza, se il gas si espande, la pressione diminuisce, mentre se il gas si contrae, la pressione aumenta. Casi espansione e compressione isoterma: se la temperatura si mantiene costante, l’energia cinetica delle particelle è nulla, cioè è nulla la quantità , quindi il principio della termodinamica avrà la seguente forma: JQ = L. CASO TRASFORMAZIONE ISOBARA In questo caso la pressione è costante, quindi essendo n,R e T costanti, la variazione della temperatura determina variazione di volume. Un tale tipo di trasformazione si realizza quindi fornendo o sottraendo calore al gas. Caso espansione isobara: la formula è la stessa del primo principio e rimanendo la pressione costante, fornendo calore al gas, lo stesso si espande sollevando il pistone. Una parte del calore fornito incrementa l’energia cinetica delle particelle mentre la restante parte si trasforma in lavoro e provocando l’aumento dell’energia potenziale del pistone. Caso compressione isobara: se si sottrae calore al gas e la pressione rimane costante, esso diminuisce di volume e il pistone si abbassa, con la perdita di energia cinetica da parte delle molecole del gas e di energia meccanica causante l’abbassamento del pistone. Le quantità ΔU ed L sono entrambi diversi da zero. Caso trasformazione isocora Questa trasformazione, durante la quale il volume si mantiene costante, si realizza bloccando il pistone del recipiente e fornendo o sottraendo calore. Dato che non c’è variazione di volume, il lavoro è nullo. Infatti se ricordiamo che L = pΔV, è evidente che se ΔV = 0, allora anche L = 0. Casi espansione e compressione isocora: per le affermazioni fatte sopra, il primo principio della termodinamica si trasformerà in JQ = ΔU. Si possono trarre, quindi, le seguenti conclusioni: 1) Se si fornisce calore al gas, esso va tutto ad incrementare l’energia interna. 2) Se si sottrae calore al gas, si ha una proporzionale diminuzione della sua energia interna. Caso trasformazione adiabatica: dato che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, una trasformazione adiabatica avviene senza scambi di calore con l’esterno, dovrà essere necessariamente JQ = 0, quindi L + ΔU = 0, e –L = ΔU. IL CICLO DI CARNOT Se consideriamo un gas contenuto in un recipiente munito di pistone ed entrambi costituiti da materiale isolante. Sia il fondo del recipiente costituito da materiale con ottima conducibilità e siano S1 ed S2 fonti di calore. Se mettiamo il recipiente sulla fonte S1 per poco tempo, al quantità di calore Q1 ceduta ad S1 si trasforma in lavoro L1 per il primo principio della termodinamica; in seguito mettiamo il recipiente sulla fonte S 2, comprimendo il gas. In questa fase il gas fornisce ad S2 una quantità di calore Q2 a spese di L3 fornito all’esterno, mentre L2 si costituiva mettendo nella prima fase il recipiente su un materiale isolante M. Se nella quarta fase mettiamo di nuovo il recipiente sull’isolante M, verrà speso il lavoro L4, con conseguente aumento dell’energia cinetica del gas. Dopo quattro fasi, il gas torna sempre nella condizione iniziale ed ha compiuto un ciclo detto di Carnot. Il lavoro totale sarà L = L1 + L2 + L3 + L4 e viene fatto a spese della quantità di calore Q = Q1 – Q2 che il gas assorbe dall’esterno. Applicando il primo principio della termodinamica, si ha che : L = J(Q1 – Q2). Infatti la quantità ΔU è nulla poiché la trasformazione è evidentemente ciclica. Il seguente rapporto: viene detto rendimento termico del ciclo di Carnot. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Questo principio è costituito da due sottoenunciati: 1) Enunciato di Kelvin: È impossibile realizzare una trasformazione termodinamica che abbia come unico risultato l’integrale trasformazione in lavoro del calore prelevato da una sorgente termica. 2) Enunciato di Clausius: È impossibile realizzare una trasformazione termodinamica che abbia come unico risultato il passaggio di calore da un corpo più freddo ad uno più caldo. In realtà i due enunciati si equivalgono, rappresentando uno il completamento dell’altro. A titolo di esempio consideriamo il comune frigorifero. Esso è una macchina che sfrutta il primo principio della termodinamica ed è capace di trasferire il calore da un corpo più freddo ad uno più caldo, vale a dire l’esterno. Il funzionamento di questa macchina, però, implica sempre un consumo di energia, la quale viene fornita dall’ambiente esterno; accade quindi che il trasferimento di calore da un corpo più freddo ad uno più caldo non è il solo risultato della trasformazione. L’ENTROPIA L’entropia indica il grado di disordine dell’energia. Nelle trasformazioni spontanee di energia, si ha sempre un aumento della stessa. Infatti se consideriamo due recipienti A e B comunicanti tra loro mediante un condotto chiuso da una saracinesca P, e il gas si trova solo nel recipiente A, succede che, aprendo la saracinesca, il gas stesso passerà anche nel recipiente B, aumentando il suo volume e consentendo alle molecole del gas, che già in partenza si muovevano disordinatamente, di aumentare il loro stato di disordine. Avremo quindi che, se S1 ed S2 sono le entropie allo stato iniziale del sistema, si può scrivere: S2 – S1 > 0. Quanto affermato giustifica il fatto che la natura tende a convertire l’energia in forme sempre più disordinate e più difficilmente utilizzabili. TERZO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Il terzo principio afferma che: È impossibile raffreddare un corpo fino allo zero assoluto e questo perché a questa temperatura l’entropia è nulla. LE MACCHINE TERMICHE Una macchina termica è un dispositivo capace di trasformare energia termica in energia meccanica e viceversa. Le due macchine termiche più note sono: 1) Macchina a vapore o a combustione esterna. 2) Motore a scoppio o a combustione interna. Nel caso della macchina a vapore, possiamo dire che essa è costituita da una sorgente termica che provoca un’ebollizione dell’acqua contenuta nella caldaia. Il rendimento di questa macchina è molto basso e ciò significa che solo una piccola parte del calore speso viene trasformata in lavoro, mentre la parte restante viene dissipata all’esterno. Nel caso del motore a scoppio si ha una combustione di una miscela d’aria e idrocarburi all’interno di un cilindro. Il funzionamento di tale macchina termica prevede quattro fasi: 1) Aspirazione: il pistone P, in seguito ad una azione esterna (motorino di avviamento), si sposta verso il basso. Mentre la valvola V1 rimane chiusa, la valvola di aspirazione V si apre, ed attraverso di essa viene aspirata una miscela d’aria e piccole gocce di benzina, che si era formata nel carburatore. 2) Compressione: il pistone, per azione del motorino di avviamento, viene spinto verso l’alto; la valvola V si chiude e la miscela aria – benzina viene compressa nella parte alta del cilindro. 3) Scoppio: nell’istante in cui il pistone si trova nella posizione più alta possibile, cioè quando la miscela è compressa al massimo, la candela C produce una scintilla che provoca lo scoppio della miscela, sviluppando gas a pressione molto elevata che si espande rapidamente spingendo il pistone verso il basso. 4) Scarico: il pistone, grazie all’inerzia del volano R, risale in alto e contemporaneamente si apre la valvola V1 attraverso la quale si scaricano all’esterno i gas sviluppati dalla combustione della miscela. Macchina a vapore Motore a scoppio 4 tempi ESERCIZI 1) Quanto calore si ottiene da 12558 joule di energia meccanica? [3Kcal] 2) Calcolare la quantità di energia meccanica che deve essere integralmente trasformata in calore per ottenere 24Kcal. [105J] 3) Un veicolo di massa 1000Kgm viaggia alla velocità di 30m/s su una strada orizzontale. Calcolare la quantità di calore che si sviluppa per attrito quando il veicolo frena fino a fermarsi, ammettendo che tutta l’energia cinetica, inizialmente posseduta dal veicolo, si trasformi in calore. [108Kcal] 4) Una macchina termica, per trasformare integralmente in lavoro 30Kcal, deve assorbire 200Kcal dalla sorgente termica a temperatura più elevata. Calcolare il rendimento di tale macchina. [15%] 5) Calcolare il rendimento termico di una macchina, nella quale la sorgente a temperatura più elevata si trova a 170°C e l’altra a 18°C. [34,31%] 6) Il rendimento di una macchina termica è pari al 40%. Sapendo che il calore prelevato dalla sorgente a temperatura più elevata è 10Kcal, calcolare la quantità di calore che si è effettivamente trasformata in lavoro. [4Kcal] 7) Calcolare l’energia meccanica fornita da un gas che ha subito una trasformazione ciclica, sapendo che il rendimento del ciclo è 0,15 e che il gas ha assorbito 5kcal. [3139,5J] CAPITOLO 17 L’ELETTRICITÀ AZIONI TRA CARICHE ELETTRICHE Un corpo che si trova nelle condizioni di attirare le sostanze viene detto elettrizzato. L’esperimento consiste nel prendere una bacchetta di ebanite e strofinarla con un panno di lana. Se, a questo punto, viene avvicinata una seconda bacchetta di ebanite, quest’ultima si allontana dalla prima, mentre se ripetiamo l’esperimento, avvicinando una bacchetta di vetro preventivamente strofinata, si osserva che essa si avvicina a quella di ebanite. Questa esperienza ci dimostra non solo che le cariche elettriche possedute da ebanite e vetro sono diverse, ma anche che, in natura esistono solo due tipi di cariche elettriche: 1) Cariche elettriche negative, possedute dall’ebanite. 2) Cariche elettriche positive, possedute dal vetro. Riassumendo il tutto possiamo affermare che: 1) Un corpo strofinato si elettrizza con segno che dipende dalla natura della sostanza. 2) Corpi elettrizzati dello stesso segno si respingono, mentre di segno opposto si attraggono. 3) Se due corpi sono elettrizzati mediante strofinamento, le cariche hanno la stessa intensità ma segno opposto. Tutto quello che abbiamo esposto finora, fa parte della teoria elettronica del’elettricità e i fenomeni si spiegano mediante la costituzione dell’atomo. L’atomo è formato da un nucleo centrale intorno al quale ruotano corpuscoli molto piccoli, detti elettroni, che posseggono carica elettrica negativa. Nel nucleo troviamo i protoni, dotati di carica elettrica positiva e i neutroni, elettricamente neutri. Gli elettroni si dispongono attorno al nucleo secondo orbite, e ognuno di essi possiede una certa energia di posizione. La prima orbita o strato può contenere al massimo due elettroni e quando si verifica questa condizione, lo strato si dice completo (tranne che per l’idrogeno che possiede un solo elettrone). L’ultimo strato può contenere al massimo otto elettroni, e in tali condizioni, l’atomo si dice stabile. In base alla struttura atomica appena vista, possiamo distinguere gli elementi in due categorie: 1) Elementi metallici o conduttori, che sono sostanze nelle quali esistono elettroni liberi, dotati di grande mobilità. Tra questi ricordiamo i metalli e le leghe. 2) Elementi non metallici o isolanti, che sono sostanze nelle quali non ci sono elettroni liberi, come ad esempio i non metalli. In sostanza, l’elettrizzazione non fa altro che provocare la rottura dell’equilibrio tra il numero di elettroni e quello dei protoni. Se si sottraggono elettroni, aumenta la carica positiva, viceversa aumenta la carica negativa. ELETTRIZZAZIONE DEI CONDUTTORI PER INDUZIONE Consideriamo un conduttore di alluminio AB, sostenuto da un supporto S di materiale isolante, e avviciniamogli una bacchetta di ebanite E, preventivamente strofinata con un panno di lana. Osserviamo che gli elettroni periferici degli atomi del conduttore, respinti dalle cariche elettriche dell’ebanite, si spostano verso B. Nella parte A rimangono così atomi con qualche elettrone in meno, quindi tale parte si elettrizza positivamente, mentre la parte B si elettrizza negativamente. Questo fenomeno si chiama elettrizzazione per induzione o influenza. Se si allontana la bacchetta di ebanite, il conduttore torna ad essere neutro. B A - -- ++ --E S Se ripetiamo l’esperimento, avvicinando però al conduttore un bacchetta di vetro elettrizzata, gli elettroni periferici del conduttore vengono richiamati nella zona A dalle cariche positive del vetro, per cui la zona B si carica positivamente. Da quanto detto, deriva un’importante affermazione: L’elettrizzazione dei conduttori è sempre dovuta a spostamento di elettroni e mai di cariche positive. Se ora colleghiamo a terra la zona B, mediante un filo metallico F, succede che gli elettroni vengono richiamati al suolo (che è un buon conduttore) attraverso il filo. Le cariche in eccesso nella zona B vengono neutralizzate e nel suolo compaiono cariche positive indotte. Infatti il conduttore assieme al filo formano un unico conduttore, per cui l’elettrizzazione di segno uguale all’induttore (di vetro), si manifesta nella parte più lontana, cioè nella terra. ++ vetro A - -- B F +++ Se la bacchetta di vetro viene allontanata e si taglia il filo, le cariche negative nella parte A si allontanano tra di loro, a causa della loro reciproca repulsione, disponendosi così su tutta la superficie del conduttore AB. In conclusione, possiamo affermare in questo caso che: Se si avvicina un corpo elettrizzato ad un conduttore collegato a terra, esso si elettrizza sempre con segno opposto a quello della carica posseduta dall’induttore. ELETTRIZZAZIONE DEI CONDUTTORI PER CONTATTO Consideriamo il solito conduttore AB e avviciniamogli un corpo C elettrizzato positivamente, fino a toccarlo. Nella fase di avvicinamento, il conduttore si elettrizza per induzione, seguendo le stesse modalità descritte nel precedente paragrafo. Quando avviene il contatto, possono verificarsi due casi: 1) Se C è un isolante, cioè con elettroni poco mobili, vengono neutralizzate solo le cariche positive dei suoi atomi più vicini - -- ++ alla zona A, con alcuni elettroni che comunque fuoriescono dal conduttore. Se il corpo C viene allontanato, gli elettroni in A migrano verso B, ma non sono sufficienti per neutralizzare le cariche positive di quest’ultima zona. In sostanza il conduttore rimane caricato, anche se in scarsa misura, con segno uguale a C, cioè positivo. 2) Se il corpo C è un - ++ ++ conduttore elettrizzato ad -+ esempio positivamente, al + contatto con AB si ha la neutralizzazione completa delle cariche negative indotte in A, poiché gli elettroni liberi possono agevolmente muoversi verso C. nei due conduttori a contatto rimangono solo cariche positive in eccesso e il conduttore ha segno uguale a C, in misura molto elevata. LA LEGGE DI COULOMB Il fisico francese Coulomb, alla fine dell’800, fece molti esperimenti sulle forze di attrazione e repulsione che si esercita tra cariche elettriche, avvalendosi di uno strumento detto bilancia di torsione. Utilizzando cariche elettriche dotate di una certa intensità e variando la distanza tra di esse, riuscì a determinare la relazione tra l’intensità e la forza di attrazione o repulsione. L’espressione matematica di tali esperimenti è la seguente, seguita dall’enunciato della legge di Coulomb: Due cariche elettriche puntiformi Q1 e Q2, si attraggono o si respingono con una forza diretta secondo la loro congiungente. L’intensità di tale forza è direttamente proporzionale al prodotto delle intensità delle due cariche ed inversamente proporzionali al quadrato della loro distanza d. L’unità di misura della carica elettrica è il coulomb, mentre quella della corrente elettrica è l’ampere. La costante k che compare nella formula è uguale al valore della forza che si esercita tra due cariche elettriche puntiformi di 1 coulomb, poste ad 1m di distanza l’una dall’altra. Il suo valore nel vuoto, trovato sperimentalmente, è uguale a , anche se si è convenuto di esprimere al valore di tale costante nella forma seguente: dove ϵ è la costante dielettrica assoluta della sostanza nelle quale sono immerse le cariche elettriche e indica la maggiore o minore polarizzazione di una determinata sostanza. Sostituendo nelle legge di Coulomb, abbiamo: quindi Il rapporto , viene detto costante dielettrica relativa, dove ϵ0 è il valore della costante dielettrica nel vuoto. Il valore delle costante dielettrica relativa di una sostanza è dato dal rapporto tra l’intensità della forza con la quale due cariche, poste nel vuoto ad una certa distanza l’una dall’altra, si attraggono o respingono, e intensità della forza con la quale le stesse cariche , alla stessa distanza, si attraggono o respingono quando sono immerse nella sostanza considerata. ESERCIZI 1) Due cariche elettriche puntiformi, Q1 = +5*10–5C e Q2 = +3*10–6C , sono poste nel vuoto a 0,5m l’una dall’altra. Calcolare l’intensità della forza con la quale si respingono. [5,4N] 2) Sapendo che la costante dielettrica relativa dell’acqua distillata è 81 e che quella dell’olio minerale è 2,5, calcolare l’intensità delle forze con le quali le cariche del precedente esercizio si respingono se vengono immerse in queste due sostanze. [6,83*10–2N ; 2,16N] 3) Calcolare il valore della costante k della legge di Coulomb, quando tra due cariche elettriche viene messa della carta. [4,5*109Nm2/C2] 4) Due cariche elettriche positive puntiformi di intensità +5*10 –5C e 4,5*10–4C, sono poste nel vuoto, agli estremi di un segmento lungo 4m. Trovare in quale punto del segmento si deve mettere la carica positiva di intensità 10–6C, affinché essa venga respinta con uguale forza da ciascuna delle due cariche precedenti. [a 3m dalla prima carica] 5) Tre cariche elettriche positive e puntiformi sono poste sui vertici di un triangolo equilatero di lato 1m. Sapendo che le tre cariche sono tutte uguali a 10–4C, calcolare l’intensità della forza con la quale due di esse respingono la terza nel vuoto. [155,88N] CAPITOLO 18 CAMPO ELETTRICO E POTENZIALE Uno spazio infinitamente esteso ed assolutamente vuoto è privo di proprietà fisiche. Infatti se vi introduciamo un qualunque punto di massa m1, esso non è soggetto ad alcuna forza. Con le premesse fatte nel precedente capitolo, però, la considerazione appena fatta non ha più validità. Infatti, se introduciamo nello spazio una qualunque carica elettrica, esso acquista un’altra proprietà fisica e l’introduzione di un’altra carica porta ad azioni di natura elettrostatica. In sostanza una massa o una carica elettrica, poste nello spazio, provocano delle perturbazioni e tale regione di spazio si chiama campo elettrico. Diamo una definizione rigorosa di quanto affermato: Un campo elettrico è una regione dello spazio nella quale si manifestano azioni di natura elettrostatica, dovute ad una o più cariche elettriche. Consideriamo una carica Q posta nel punto A, e poniamo a distanza d da essa un’altra carica q1 molto piccola. Q d P Possiamo facilmente applicare la legge di Coulomb per calcolare l’intensità della forza che Q esercita su q1: Se mettiamo nel punto P un’altra carica q2, l’intensità della forza sarà: Le due relazioni appena viste possono essere scritte anche nella seguente forma: e Si vede chiaramente che , quindi: Tale costante si indica con E e prende il nome di intensità del campo elettrico, generato dalla carica Q nel punto P a distanza d. Avremo quindi, in conclusione: L’unità di misura del campo elettrico è il newton/coulomb. Il verso del campo elettrico dipende dalla positività o negatività della carica Q. Se il campo elettrico è generato da più cariche Q1, Q2, Q3 e così via, la sua intensità sarà la somma vettoriale delle intensità dei campi generati dalle singole cariche: Tutti i campi di forze possono essere rappresentati mediante linee orientate dette linee di forza, che non sono altro che le traiettorie seguite dalle perturbazioni fisiche che si propagano nello spazio. Le linee di forza godono delle seguenti proprietà: 1) Esse in ogni punto sono tangenti al vettore rappresentante l’intensità del campo in quel punto. 2) Per un qualunque punto del campo passa una sola linea di forza. 3) Nel caso del campo elettrico, le linee di forza sono sempre orientate verso le cariche negative, oppure, in assenza di queste, verso l’infinito. Le rappresentazioni grafiche dei campi elettrici mediante linee di forza, sono dette spettri elettrici. a) Se il campo è generato da una carica positiva, le linee di forza partono da essa e terminano all’infinito b) Se il campo è generato da una carica negativa, le linee di forza convergono tutte verso la carica che ha generato il campo, e si può immaginare che provengano da distanza infinita. c) Se il campo è generato da due cariche di segno opposto, le linee di forza partono dalla carica positiva e terminano a quella negativa. d) Se il campo è generato da due cariche positive, le linee di forza partono da entrambe le cariche e terminano all’infinito, mentre se il campo è generato da due cariche negative, il loro andamento è identico, ma di verso contrario. Un campo elettrico si dice uniforme se il vettore E si mantiene costante in ogni punto del campo. In questo caso le linee di forza sono delle rette parallele ed equidistanti. Un campo elettrico uniforme si ha tra due superfici A e B metalliche e uguali, disposte parallelamente ed elettrizzate con cariche di uguale intensità ma verso contrario. ENERGIA POTENZIALE DI UNA CARICA IN UN CAMPO ELETTRICO Una carica elettrica, posta in un punto di un campo elettrico, possiede una certa energia di posizione, detta energia potenziale elettrostatica. Il significato di tale affermazione dipende dal fatto che una carica q, sotto l’azione del campo generato da un’altra carica Q, si muove e viene respinta fino ai limiti del campo se si suppone che Q sia positiva. È evidente che, in questa situazione, le forze del campo elettrico compiono lavoro e il campo stesso fornisce una certa energia. L’espressione matematica dell’energia potenziale è la seguente: ed esprime il lavoro necessario per portare la carica q da un punto fino ai limiti del campo. POTENZIALE IN UN PUNTO DI UN CAMPO ELETTRICO Se una carica q, posta in un punto un campo elettrico generato da una carica Q, possiede energia potenziale elettrostatica L, avremo che: sarà l’energia di posizione posseduta dalla carica positiva unitaria posta nel punto, e tale valore V si chiama potenziale del campo elettrico in un punto. Il potenziale è una grandezza scalare. Per il calcolo, sostituiamo ad L il valore trovato nel paragrafo precedente ed avremo quindi: DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA DUE PUNTI Se in un campo elettrico generato da una carica Q consideriamo due punti A e B, distanti rispettivamente d1 e d2 dal baricentro delle carica stessa, avremo che il lavoro necessario per portare una seconda carica q dal punto A al punto B, sarà dato dalla seguente relazione: ( Se q = 1C, avremo semplicemente ( ) ). L’ultima relazione esprime la differenza di potenziale (d.d.p.), che ha come unità di misura il volt. Possiamo anche assegnare un’unità di misura del campo elettrico, molto più pratica del N/C e che è il V/m. Una superficie si dice equipotenziale se tutti i suoi punti si trovano allo stesso potenziale. In questo caso le forze del campo elettrico non fanno lavoro per spostare una carica tra due punti di una stessa superficie equipotenziale ed essa è in ogni punto perpendicolare alla linea di forza del campo elettrico passante per il punto considerato. FLUSSO DEL VETTORE . TEOREMA DI GAUSS Sia S una superficie piana, immersa in un campo elettrico uniforme di intensità , generato dalle cariche +Q e –Q. Dicesi flusso del vettore , attraverso la superficie S, il prodotto del vettore per la proiezione della superficie su un piano perpendicolare alle linee di forza del campo elettrico, cioè: Abbiamo che 1 unità di flusso di = 1V *1m. Se S è parallela alle linee di forza del campo, il flusso è nullo, poiché non esiste la proiezione. Se S non è piana, la si può dividere in tante piccole parti in modo tale che esse possano risultare piane e il flusso totale è uguale alla somma dei singoli flussi. TEOREMA DI GAUSS Consideriamo una superficie sferica di raggio r, posta nel vuoto e con al centro una carica Q. Il flusso del vettore è uniforme attraverso tutta la superficie sferica ed ha area 4πr2. Possiamo quindi scrivere: r r r ϵ La relazione appena vista esprime il teorema di Gauss, di seguito enunciato: Se un campo elettrico è originato da una carica puntiforme interna ad una superficie chiusa posta nel vuoto, il flusso del vettore attraverso tale superficie è dato dal rapporto tra la carica e la costante dielettrica nel vuoto. r Q DENSITÀ ELETTRICA Se una carica elettrica Q è distribuita su una superficie di area S, la relazione: esprime la densità elettrica superficiale. Nel caso in cui le cariche siano distribuite in un certo volume, si parlerà di densità elettrica volumica: ESERCIZI 1) Calcolare l’intensità del campo elettrico generato dalla carica di 8*10 – 3C in due punti posti nel vuoto a distanze, rispettivamente di 1m e 0,8m dalla carica. [7,2*107 N/C ; 11,25*107 N/C] 2) Tre cariche elettriche tutte di 2*10–3C, due positive e una negativa, sono poste nel vuoto su tre vertici di un quadrato di lato 3m. Sapendo che la carica negativa è posta sul vertice opposto a quello libero, calcolare l’intensità del campo elettrico su quest’ultimo. [1,83*10–6 N/C ] 3) Su ogni vertice di un quadrato immerso nel vuoto è posta una carica positiva di 1C. Calcolare l’intensità del campo elettrico nel centro del quadrato. [0] 4) Sapendo che l’intensità del campo elettrico in un punto è uguale a 20N/C, calcolare la forza con la quale viene respinta una carica positiva di 2*10–6 C posta in tale punto. [4*10–5 N] 5) Calcolare il potenziale in un punto situato ad 1m da una carica elettrica di – 2,5*10–4 C, sapendo che tra la carica e il punto c’è il vuoto, e successivamente ci sia l’acqua. [22,5*105 V ; 2,78*104 V ] 6) Un campo elettrico è generato da una carica di – 2,5*10–4 C posta in un punto A. Calcolare il lavoro necessario per portare la carica di +3*10 –8 C da un punto B fino ai limiti del campo, sapendo che AB = 1m. [6,75*10–2 J] 7) Calcolare la d.d.p. tra due punti in un campo elettrico generato nel vuoto da una carica di 10–5 C, sapendo che i punti distano dalla carica, rispettivamente, 0,5m e 1m. [9*104 V] 8) Calcolare il lavoro necessario per spostare la carica di – 10–8 C tra due punti del campo elettrico dell’esercizio precedente. [–9*10–4 J] CAPITOLO 19 CAPACITÀ ELETTRICA E CONDENSATORI Se ad un conduttore neutro ed isolato da terra diamo una carica Q, esso assume un certo potenziale V. L’esperienza ci dice che se diamo allo stesso conduttore una carica doppia, esso assume potenziale doppio e così via. Esiste quindi una relazione di proporzionalità diretta tra la carica e il potenziale, secondo la seguente formula: Questa costante prende il nome di capacità elettrica del conduttore e si indica con C. La precedente formula diventa quindi: Per quanto riguarda il significato fisico della capacità, possiamo dire che essa esprime l’attitudine di un conduttore a contenere cariche elettriche. L’unità di misura della capacità elettrica è il farad, dove: Un conduttore ha una capacità di 1 farad se, comunicandogli la carica di un coulomb, esso assume potenziale di 1 volt. Dato che il farad è un’unità molto grande, spesso si preferiscono usare i suoi sottomultipli, che sono il millifarad, il microfarad, il picofarad. LEGGI DELLA CAPACITÀ 1) La capacità di un conduttore isolato dipende dall’area della sua superficie, infatti più è grande la superficie e minore è la densità. 2) La capacità di un conduttore, a parità di superficie, dipende dalla sua forma. Infatti, se consideriamo due conduttori di uguale superficie ma uno di forma sferica e l’altro cubica, la capacità del primo è maggiore di quella del secondo, poiché sugli spigoli del cubo c’è maggior accumulo di cariche elettriche, con forte aumento della densità. 3) La capacità di un conduttore aumenta se vicino ad esso vengono posti altri conduttori non elettrizzati. Infatti se facciamo l’esperimento si osserva che la vicinanza di un conduttore neutro ad uno elettrizzato diminuisce il potenziale di quest’ultimo e di conseguenza ne aumenta la capacità. L’effetto è tanto più grande quanto più i conduttori sono vicini. 4) La capacità di un conduttore varia al variare della natura del dielettrico nel quale è immerso. CAPACITÀ DI UN CONDUTTORE SFERICO Consideriamo un conduttore sferico di raggio r e supponiamo che abbia potenziale V, dopo avergli fornito una carica Q. Ricordiamo che: e sostituendo si ha: ϵ ENERGIA DI UN CONDUTTORE ELETTRIZZATO Se colleghiamo a terra un conduttore elettrizzato, mediante filo metallico, il conduttore si scarica e il filo si riscalda, cioè si manifesta energia termica proveniente dallo stesso conduttore. Per calcolare tale energia, diciamo che durante la scarica il potenziale del conduttore passa da un valore V a zero, per cui si può calcolare la media aritmetica dei due valori: Il lavoro, durante il processo di scarica è dato da: E siccome Q = CV, si ha in conclusione: I CONDENSATORI Un condensatore è un dispositivo dotato di elevata capacità elettrica ed è costituito da due conduttori detti armature, separati da un dielettrico. Una delle armature viene elettrizzata per contatto, mentre l’altra per induzione. La capacità di un condensatore è data dal rapporto tra la carica posseduta da una delle due armature e la d.d.p. tra le armature stesse. A + + + + + B d - Se d è la distanza tra i due conduttori, ϵ la costante dielettrica ed S la superficie di ciascuna armatura, la capacità è data dalla seguente formula: La capacità di un condensatore è in accordo con tutte le leggi della capacità viste nei paragrafi precedenti e anche per quanto riguarda l’energia, vale la legge vista a pag.107. COLLEGAMENTO DI CONDENSATORI Molto spesso è più vantaggioso usare più condensatori collegati tra loro, anziché uno solo. Vediamo i due collegamenti più utilizzati. Collegamento in parallelo A1 C1 A2 P B1 B2 C2 A3 C3 B3 Se mettiamo una carica Q nel punto P, essa si distribuisce sulla armatura A 1, A2, A3, in misura direttamente proporzionale alle capacità dei singoli condensatori, cioè su A1 va Q1, su A2, va Q2, su A3 va Q3. Dalla nota relazione: Abbiamo che, trattandosi di un condensatore unico, la capacità sarà: La capacità di più condensatori collegati in parallelo è uguale alla somma delle capacità dei singoli condensatori. Collegamento in serie V1 A1 V2 B1 A2 V3 B2 A3 B3 Se all’armatura A1 diamo una carica positiva Q, il primo conduttore si elettrizza per induzione, trasmettendo l’elettrizzazione a tutte le armature (B1 avrà carica – Q e A2 avrà carica +Q e così via). Le d.d.p. V1, V2, V3, sono i lavori necessari per portare le cariche tra le varie armature. La d.d.p. totale sarà quindi V = V1 +V2 + V3 e dividendo tutti i membri per Q, si avrà: Siccome , si avrà: L’inverso della capacità di un sistema di condensatori collegati in serie è uguale alla somma degli inversi delle capacità dei singoli conduttori. ESERCIZI 1) Dando una carica di 2*10–5 C ad un conduttore isolato, esso assume un potenziale di 10 V. Calcolare la capacità del conduttore. [2*10–6 F] 2) Calcolare il valore della carica elettrica che si deve dare ad un conduttore di capacità 2*10–6 F, affinché esso acquisti il potenziale di 100 V. [2*10–4 C] 3) Calcolare la capacità di una sfera conduttrice di raggio 1Km immersa nel vuoto. [0,111μF] 4) A due conduttori isolati vengono date due cariche elettriche positive, rispettivamente uguali a 2*10–4 C e 10–3 C. Il primo conduttore acquista il potenziale di 10 V e l’altro di 100 V. Se si pongono i due conduttori a contatto tra loro, quale valore assume il loro potenziale? E quale carica possiede ciascuno di essi? [40 V ; 8*10–4 C ; 4*10–4 C] 5) Calcolare l’energia elettrostatica di un conduttore di capacità 2*10 –8 F, elettrizzato con una carica di 10–4 C. [0,25 J] 6) Calcolare la costante dielettrica assoluta di una sostanza che, introdotta tra le armature di un condensatore, permette di triplicare la loro distanza, senza alterare la capacità che il condensatore possiede quando tra le sue armature c’è il vuoto. [26,55*10–12C2/Nm2] 7) Calcolare la capacità di un condensatore piano, sapendo che la superficie di ciascuna armatura è di 20cm2, che la loro distanza è 2mm, che tra esse c’è un dielettrico di costante uguale a 7. [62,013*10–12 F] 8) Calcolare la capacità di un condensatore sferico di raggio 1m, sapendo che tra le due armature c’è uno strato di paraffina dello spessore di 1mm. [58,36mμF] 9) Tre condensatori hanno capacità uguali a 2*10–3 F, 10–2 F , 2,25*10–5 F. Essi vengono collegati prima in serie e poi in parallelo. Calcolare la capacità del sistema in entrambi i casi. [2,22*10–5 F ; 12,0225*10–3 F] 10) Quattro condensatori uguali sono collegati in serie. Calcolare la d.d.p. tra le armature di ogni condensatore, sapendo che la capacità del sistema è 10–5 F e che sulle armature c’è una carica di 6*10 –3 C. [150 V] 11) Ad un condensatore piano, di capacità 2*10–6 F, viene data una carica di 2*10–5 C. Calcolare l’energia elettrostatica del condensatore. [10–4 J] 12) In un condensatore piano di capacità C, le armature sono separate dal vuoto e la loro distanza è d. Fornendo al condensatore una carica elettrica Q, esso acquista un’energia elettrostatica E, e tra le sue armature si stabilisce una d.d.p. uguale a V. Se si mette tra le armature un dielettrico di costante relativa uguale a 3, quale valore assumono la capacità, la d.d.p., l’energia elettrostatica? [3C ; V/3 ; E/3] 13) Se nel condensatore dell’esercizio precedente si raddoppia la distanza tra le armature, lasciandole però sempre separate dal vuoto, quali valori assumono la capacità, la d.d.p., l’energia elettrostatica? [C/2 ; 2V; 2E] CAPITOLO 20 CORRENTE ELETTRICA – LA PILA Consideriamo un condensatore carico ad armature piane e parallele, tra le quali ci sia il vuoto. Colleghiamo le armature con un filo metallico, inserendo una lampadina elettrica, come illustrato nella figura. Appena stabilito il contatto, la lampadina si accende per qualche istante per poi spegnersi e alla fine dell’esperimento il condensatore è scarico. Nell’intervallo di tempo in cui la lampadina è rimasta accesa, il filo e il filamento interno della lampadina sono percorsi da corrente elettrica, e ciò è dovuto al fatto che le cariche negative della seconda armatura, muovendosi attraverso il filo, vanno a neutralizzare le cariche negative della prima armatura determinando l’accensione della lampadina. Questo movimento di cariche viene detto corrente elettrica, e dura finché tra le due armature esiste una certa d.d.p. Il verso positivo della corrente elettrica è contrario a quello del moto delle cariche negative e quindi la corrente percorre un conduttore dai punti a potenziale maggiore verso quelli a potenziale minore. In generale, se attraverso una qualunque sezione di un conduttore passa una certa carica Q nel tempo t si definisce intensità di corrente elettrica il rapporto tra la carica Q e l’intervallo di tempo t: L’intensità di corrente elettrica in un conduttore è la quantità di carica che attraversa una qualunque sezione del conduttore nel tempo di un secondo. L’unità di misura della corrente elettrica è l’ampere. Si definisce generatore di corrente elettrica (G) un qualunque dispositivo capace di mantenere tra due punti una certa d.d.p. G LE ESPERIENZE DI VOLTA I conduttori si dividono in due tipi. 1) Conduttori di prima classe: sono i conduttori metallici nei quali la corrente elettrica è dovuta al movimento degli elettroni liberi. 2) Conduttori di seconda classe: sono costituiti da soluzioni acquose di acidi e sali e vengono anche chiamati soluzioni elettrolitiche. PRIMA ESPERIENZA DI VOLTA Se si mettono in contatto due metalli diversi, elettricamente neutri e alla stessa temperatura, tra i loro estremi si stabilisce una certa d.d.p., il cui valore dipende dalla natura dei metalli. SECONDA ESPERIENZA DI VOLTA Se si mettono in contatto più conduttori diversi alla stessa temperatura, tra gli estremi della catena si stabilisce una d.d.p. uguale a quella che si avrebbe se mettessimo a contatto direttamente il primo conduttore con l’ultimo. Una catena di conduttori si dice aperta se i suoi estremi sono metalli diversi, invece si dice chiusa se gli estremi sono metalli uguali. TERZA ESPERIENZA DI VOLTA Se in una catena chiusa di conduttori di prima classe si introduce un conduttore di seconda classe, si osserva che la d.d.p. tra gli estremi non è più nulla. LA PILA DI VOLTA La pila è un dispositivo capace di trasformare l’energia chimica in energia elettrica. I funzionamento della pila dipende dal contatto diretto tra rame e zinco, anche se ad oggi tale contatto non è indispensabile, poiché si è dimostrato che anche a circuito aperto, cioè senza fili di collegamento, esiste sempre una d.d.p. tra gli elettrodi della pila. Dicesi forza elettromotrice della pila o f.e.m., la d.d.p. tra i due poli circuito aperto, cioè quando la pila non eroga corrente elettrica. La f.e.m. si indica con E e la sua unità di misura è la stessa del potenziale. COLLEGAMENTI DI PILE Come abbiamo visto per i condensatori, è di solito opportuno collegare più pile, per contrastare la bassa f.e.m. di una singola pila, detta anche elemento. Collegamento in serie Questo tipo di collegamento si realizza unendo il polo positivo di un elemento con il polo successivo di quello negativo e viene anche detto batteria di pile. Supponiamo che la f.e.m. di ciascuna delle tre pile A, B, C sia uguale ad E. A circuito aperto, possiamo scrivere: Siccome, dalla figura, vediamo che il polo b 1 è collegato con c e il polo a1 con b, si ha: Quindi le uguaglianze della pagina precedente possono essere scritte così: Sommando membro a membro si ha: Collegamento in parallelo Questo collegamento si realizza unendo tra loro tutti i poli positivi e tutti quelli negativi dei diversi elementi. Dalla figura appare chiaro che se ogni elemento ha f.e.m. uguale ad E, anche la f.e.m. ai capi A e B è uguale ad E. il collegamento in parallelo non porta quindi alcun vantaggio per quanto riguarda la f.e.m. ESERCIZI 1) Calcolare l’intensità di corrente in un conduttore, sapendo che attraverso una sua sezione passa la carica di 10–2 C nel tempo di 0,02s. [0,5 A] 2) Trovare il valore della carica elettrica che passa in un decimo di secondo attraverso la sezione di un conduttore, sapendo che esso è percorso da corrente elettrica di 2A. [0,2 C] 3) Un conduttore è percorso da corrente elettrica di 2A. Quanto tempo impiega la carica di 1C per passare attraverso una sua sezione? [0,5s] 4) Se si collegano in serie 20 pile, ciascuna di f.e.m. uguale a 1,5 V, quale d.d.p. si ottiene tra gli estremi della serie? [30 V] 5) Se le pile del precedente esercizio vengono collegate in parallelo, qual è la f.e.m. tra gli estremi del sistema? [1,5V] CAPITOLO 21 CIRCUITI ELETTRICI A CORRENTE CONTINUA I circuiti elettrici a corrente continua, sono percorsi da corrente di senso costante, perciò i generatori dovranno avere sempre un polo costantemente positivo e l’altro costantemente negativo, come ad esempio una batteria di pile: LA PRIMA LEGGE DI OHM Consideriamo un tratto di conduttore metallico AB, con Va il potenziale in A e Vb il potenziale in B. Se Va >Vb, esiste una certa d.d.p. non nulla V = Va – Vb. Gli elettroni si muovono dai punti a potenziale minore verso quelli a potenziale maggiore, cioè da B verso A, e il moto è contrario al verso convenzionale della corrente elettrica, che invece si muoverà da A verso B. Supponiamo che V sia dovuta ad un generatore di corrente continua G, come in figura: A B Va Vb V G A Nel circuito è inserito in parallelo un voltmetro V per misurare la d.d.p. e in serie un amperometro A per misurare l’intensità di corrente. Si osserva, mediante esperimento, che se aumenta a d.d.p., anche l’intensità i aumenta, in maniera direttamente proporzionale. Avremo cioè che: cioè: Tale rapporto R si chiama resistenza elettrica. La formula inversa di quella appena vista è: V = iR, ed esprime la prima legge di Ohm, che di seguito enunciamo: L’intensità della corrente elettrica che attraversa un conduttore di prima classe è direttamente proporzionale alla d.d.p. tra gli estremi del conduttore. L’unità di misura della resistenza elettrica è l’ohm e si indica con Ω, dove: L’inverso della resistenza si chiama conduttanza e si indica con c: L’unità di misura della conduttanza è il siemens. LA SECONDA LEGGE DI OHM La seconda legge di Ohm afferma quanto segue: La resistenza elettrica di un conduttore è direttamente proporzionale alla sua lunghezza, inversamente proporzionale alla sua sezione e dipende dalla sua natura chimica. Se R è la resistenza di un conduttore di sezione costante, l è la sua lunghezza ed S è l’area della sua sezione, possiamo scrivere la seguente relazione: ρ è una costante di proporzionalità detta resistenza specifica o resistività e il suo valore dipende dalla natura del conduttore. L’unità di misura della resistività è il Ωm. L’inverso della resistività si chiama conduttività ed è indicata con λ, dove: L’unità di misura della conduttività è il siemens/m. Esiste una relazione tra la resistività e la temperatura, infatti la prima varia al variare della seconda in base ai tipi di conduttori, perciò dobbiamo fare delle distinzioni tra essi. I conduttori possono essere suddivisi in: 1) Metalli puri: essi sono regolati dalla seguente legge, che è molto simile a quella della dilatazione termica: ( ) dove ρt è la resistività alla temperatura t, ρ0 è la resistività a 0oC e α è il coefficiente di temperatura, che esprime la variazione della resistività provocata da una variazione di temperatura di 1°C, e che per i metalli puri equivale a circa 1/273. Da quanto affermato deriva che anche la resistenza elettrica aumenta all’aumentare della temperatura ed ha la seguente forma: ( ) 2) Leghe metalliche: anche in questo caso un aumento di temperatura provoca un aumento della resistenza elettrica, ma in misura inferiore a quello che si verifica nei metalli puri. 3) Semiconduttori elettronici: tra questi conduttori ricordiamo il silicio e il carbone e sono sostanze in cui ci sono elettroni liberi. A causa di ciò, all’aumentare della temperatura, aumenta anche il numero di questi elettroni liberi, per cui la conducibilità si manifesta soltanto ad una determinata temperatura variabile da sostanza a sostanza. 4) Conduttori elettrolitici: a questa categoria appartengono tutte le soluzioni elettrolitiche e in questo caso la resistenza diminuisce all’aumentare della temperatura. PRIMO PRINCIPIO DI KIRCHHOFF Prima di enunciare la legge, definiamo ramo un qualsiasi tratto di conduttore dotato di resistenza elettrica, nodo il punto di incontro di più rami e maglia un poligono avente per lati i rami e per vertici i nodi. ramo nodo maglia Il primo principio di Kirchhoff afferma che: La somma delle intensità delle correnti che entrano in un nodo è uguale alla somma delle intensità delle correnti che ne escono. i1 i3 i2 i4 Nel caso della figura di sopra, possiamo scrivere: i1 + i2 = i3 + i4 . COLLEGAMENTO DI CONDUTTORI IN SERIE Consideriamo il circuito elettrico della figura, nel quale sono stati inseriti tre conduttori uno di seguito all’altro, cioè in serie. Siano R1, R2, R3 le rispettive resistenze ed R la resistenza totale del conduttore e le d.d.p. tra gli estremi siano V1, V2, V3. A B R1 V1 C D R2 R3 V2 V1 V A Avremo innanzitutto che: V = V1 + V2 + V3 (*), e applicando la prima legge di Ohm, possiamo scrivere le seguenti relazioni: Sostituendo tali valori nella (*), si avrà: cioè: La resistenza di due o più conduttori in serie è uguale alla somma delle resistenza dei singoli conduttori. COLLEGAMENTO DI CONDUTTORI IN PARALLELO La figura sottostante mostra tre conduttori in parallelo, cioè uno di fianco all’altro e con gli estremi in comune. Sappiamo che, per la seconda legge di Ohm, la resistenza diminuisce all’aumentare della sezione del conduttore, e se indichiamo con R1, R2, R3 le rispettive resistenze ed R la resistenza totale del conduttore, avremo che vale il primo principio di Kirchhoff. Infatti la corrente di intensità i, giunta nel nodo A, si divide nei tre rami e si avrà quindi: i = i1 + i2 + i3. (**) A B G B Indicando con V la d.d.p. tra gli estremi di ciascuna resistenza, si avranno le seguenti relazioni: Sostituendo nella (**), si avrà: Ricordando che l’inverso della resistenza è la conduttanza, possiamo affermare che: La conduttanza di più conduttori collegati in parallelo è uguale alla somma delle conduttanze di ciascun conduttore. LEGGE DI OHM PER IL CIRCUITO COMPLETO Prima di enunciare la legge, dobbiamo fare una differenza tra circuito esterno e interno. Il circuito interno non è altro che quello formato dal generatore G, mentre il circuito esterno è formato dal tratto rimanente, vale a dire tutti i fili di collegamento del conduttore AB. La resistenza complessiva del circuito esterno viene detta resistenza interna e si indica con Re. Gli elettroni di conduzione, spinti dal generatore G percorrono il circuito esterno in senso antiorario. Il compito del generatore è in sostanza quello di pompare elettroni attraverso il circuito interno, in modo da consentirne il loro flusso verso il circuito esterno. Alcuni esperimenti eseguiti, hanno dimostrato che se le resistenze interna ed esterna di un circuito chiuso rimangono costanti, l’intensità di corrente i è direttamente proporzionale alla f.e.m. del generatore, cioè: Questa formula esprime la legge di Ohm per il circuito completo, e siccome: cioè: avremo che, siccome iRe è la d.d.p. V tra gli estremi della resistenza Re, si avrà: Appare chiaro che V < E, quindi la d.d.p. in un circuito aperto diminuisce se si chiude lo stesso con un conduttore dotato di resistenza elettrica. SECONDO PRINCIPIO DI KIRCHHOFF se abbiamo una maglia di conduttori e ad ogni ramo applichiamo la legge di Ohm, si avrà: Questa espressione esprime matematicamente il secondo principio di Kirchhoff, che viene di seguito enunciato: In una maglia, la somma algebrica delle f.e.m. è uguale alla somma algebrica dei prodotti delle intensità di corrente per le rispettive resistenze dei singoli rami. ENERGIA DELLA CORRENTE ELETTRICA Se tra due punti A e B di un conduttore esiste una d.d.p. uguale a V, le forze del campo elettrico compiono il lavoro L = qV per portare la carica q da A a B. Supponiamo che il conduttore sia metallico con resistenza R e percorso da corrente elettrica di intensità i. Se q è la carica complessiva degli elettroni che si spostano nel tempo t da B ad A, il lavoro sarà: ( ) A questo lavoro viene dato il nome di energia della corrente elettrica. Dato che q = it e V = iR , abbiamo: POTENZA DELLA CORRENTE ELETTRICA Ricordando che P = L/t e sostituendo al posto di L il valore trovato nel precedente paragrafo, si ha: Questa è la potenza della corrente elettrica. EFFETTO TERMICO DELLA CORRENTE In un conduttore metallico percorso da corrente elettrica si ha una trasformazione di energia elettrica in energia termica. Tale fenomeno è conosciuto come effetto termico della corrente o effetto Joule. Ricordando il principio di equivalenza di Mayer L/Q = J e sostituendo al posto di L il valore di , avremo: , ESERCIZI 1) Tra gli estremi di un conduttore vi è la d.d.p. di 20 V ed un amperometro segnala una corrente di intensità 0,5A, Calcolare la resistenza elettrica del conduttore. [40 Ω] 2) Un conduttore ha una resistenza elettrica di 100Ω. Calcolare l’intensità della corrente che lo attraversa, sapendo che ai suoi capi è applicata una d.d.p. di 30 V. [0,3 A] 3) Calcolare la resistenza elettrica di un filo di rame lungo 10m, alla temperatura di 0oC, sapendo che la sua sezione è 4mm2 e la sua resistività è 0,0156 Ωmm2/m. [0,039 Ω] 4) La resistenza specifica dell’argento, a 0oC, è 0,0149 Ωmm2/m. Sapendo che un filo di argento di 5mm2 di sezione ha una resistenza di 0,298 Ω, calcolare la sua lunghezza. [100m] 5) Tre resistenze, di 10Ω, 50Ω, 200Ω, sono collegate in serie. Calcolare la resistenza complessiva del sistema. [260Ω] 6) Agli estremi delle serie di resistenze del precedente esercizio si applica una d.d.p. di 130 V. Calcolare le d.d.p. che si stabiliscono tra gli estremi di ciascuna resistenza. [5Ω ; 25Ω ; 100Ω] 7) Calcolare la resistenza complessiva di un sistema di 5 resistenze, ciascuna di 20Ω, collegate in parallelo. [4Ω] 8) La resistenza complessiva di 10 resistenze uguali, collegate in parallelo, è 30Ω. Calcolare il valore di ciascuna resistenza. [300Ω] 9) Tre resistenze uguali a 40Ω, 200Ω, 400Ω, vengono collegate in parallelo. Calcolare l’intensità della corrente che attraversa ciascuna di esse quando ai capi del collegamento si inserisce una d.d.p. di 200 V. [5A ;1A ; 0,5A ] 10) Quattro resistenze vengono collegate in parallelo. La prima misura 10Ω, mentre le altre misurano, rispettivamente, il doppio, il triplo e il quadruplo della prima. Sapendo che la terza resistenza è attraversata da una corrente di intensità 1A, calcolare le intensità delle correnti che circolano nelle altre tre resistenze. [3A ; 1,5A ; 0,75A] 11) I poli di un generatore di f.e.m. uguale a 50 V sono collegati ai capi di un circuito. La corrente che attraversa il circuito è 0,5A e la resistenza esterna è 99Ω. Calcolare la resistenza elettrica del generatore. 12) La resistenza esterna di un circuito è 80Ω e quella interna 1Ω. Calcolare la f.e.m. del generatore, sapendo che nel circuito passa una corrente di intensità 0,5A. [40,5V] 13) Calcolare la potenza di un tratto di circuito di resistenza elettrica 50Ω, percorso dalla corrente di 1,5A. [112,5W] 14) La potenza della corrente in un tratto di circuito è 200W. Sapendo che la d.d.p. tra gli estremi del tratto considerato è 100W, calcolare la resistenza elettrica. [50Ω] 15) Ai capi di due resistenze collegate in parallelo viene applicata una d.d.p. di 220V. Si sa che sulla prima resistenza la corrente ha la potenza di 44W e sulla seconda di 110W. Calcolare il valore delle due resistenze e l’energia da esse assorbita complessivamente in due ore. [1110Ω ; 440Ω ; 308Wh] 16) Calcolare la potenza di un ferro da stiro di resistenza 120Ω e quella di una stufa elettrica di resistenza 100Ω, entrambi alimentati da una tensione di 240V. se il ferro da stiro e la stufa elettrica si tengono in funzione tutti i giorni per due ore, quanta energia elettrica si consuma in un mese? [480W ; 576W ; 63,36KWh] 17) Un conduttore è percorso da una corrente di intensità 0,5A. Sapendo che la d.d.p. tra i suoi estremi è 60V, calcolare la quantità di calore sviluppata nel tempo di 3 ore. [77,76Kcal] 18) Calcolare la resistenza elettrica di un conduttore che in mezz’ora sviluppa 162Kcal, sapendo che esso è percorso da corrente elettrica di intensità 3A. [41,66Ω] 19) Due resistenze elettriche di 20Ω e 30Ω, sono collegate in parallelo. Calcolare la d.d.p. che si deve applicare tra gli estremi del collegamento, se si vuole che nel tempo di 15 minuti le due resistenze sviluppino complessivamente 10,368Kcal. [24V] 20) Calcolare quanto tempo impiega una resistenza di 100Ω, percorsa da corrente di intensità 2A, per sviluppare 960Kcal. [2h 46m 40s] CAPITOLO 22 IL MAGNETISMO AZIONI TRA MASSE MAGNETICHE In natura esiste un minerale, detto magnetite, che ha la proprietà, detta magnetismo, di attirare il ferro. I corpi che posseggono tale proprietà sono chiamati magneti o calamite. Se si esegue l’esperimento di gettare un po’ di limatura di ferro, si osserva che essa rimane attaccata in ciuffetti solo alle estremità del magnete, mentre nelle altre zone è praticamente assente. Ciò significa che esistono sempre magneti con due poli magnetici le esperienze condotte portano anche ad affermare che tra i poli magnetici si esercitano azioni attrattive o repulsive e il magnetismo localizzato in un polo ha proprietà opposte a quelle del magnetismo localizzato sull’altro polo. In particolare, poli di segno opposto si attraggono, mentre poli di segno uguale si respingono, e le quantità di magnetismo contenute sui due poli di un magnete sono uguali in valore assoluto. I poli di un magnete vengono distinti in polo nord o positivo (disegnato in nero e indicato con N) e polo sud o negativo (disegnato in bianco e indicato con S). ESPERIENZA DELLA CALAMITA SPEZZATA Avviciniamo ad un magnete AE un ago magnetico, come in figura a. Siccome i poli di uguale nome si respingono, mentre quelli di nome contrario si attraggono, l’ago ruota intorno al suo asse O sotto l’azione delle due forze F1 ed F2, disponendosi dopo una serie do oscillazioni, nella posizione di equilibrio illustrato in figura b. Se dividiamo il magnete nelle due parti AC e CE e mettiamo due aghi magnetici vicini a ciascuna delle quattro estremità, si osserva dall’ orientamento degli aghi, l’esistenza di poli N sulla destra e di poli S sulla sinistra. Continuando a dividere i magneti, fino a ridurli in frammenti piccolissimi, si osserva sempre che ogni frammento presenta sempre un polo N e un polo S, e ciò ci porta ad affermare che non è possibile separare tra di loro due tipi di magnetismo. Possiamo, quindi affermare che ogni magnete è costituito da un insieme di magneti bipolari detti magnetoni, che, se suddivisi, non vedono alterata la proprietà, e in conclusione diciamo che: Magnetizzare un corpo significa orientare i suoi magneti elementari. METODI DI MAGNETIZZAZIONE Le comuni calamite come quelle a ferro di cavallo sono magneti artificiali, cioè corpi nei quali le proprietà magnetiche sono state introdotte artificialmente, mediante vari metodi che di seguito elenchiamo: 1) Magnetizzazione per influenza: questo metodo presenta molte analogie con l’elettrizzazione per influenza e si ottiene avvicinando un magnete ad una sbarra di ferro o di acciaio. 2) Magnetizzazione mediante corrente elettrica: questo metodo si ottiene avvolgendo più volte un filo conduttore rivestito di materiale isolante attorno ad una sbarra di ferro o acciaio. 3) Magnetizzazione per strofinio: se si strofina una sbarra di acciaio con un magnete sempre nello stesso senso, la sbarra si magnetizza. Si osserva che i magneti di ferro si magnetizzano molto più rapidamente di quelli di acciaio, ma altrettanto rapidamente tornano alla loro natura originaria, prendendo così il nome di magneti temporanei, mentre i magneti di acciaio sono detti permanenti. Il processo inverso della magnetizzazione è la smagnetizzazione, che avviene portando il magnete ad un’alta temperatura in modo tale che l’agitazione delle particelle non consenta ai magnetoni di mantenere un orientamento CONCETTO DI MASSA MAGNETICA Se consideriamo due magneti che vengono avvicinati, si parla di forza con la quale si attraggono o si respingono le quantità di magnetismo localizzate nei poli considerati. Tali quantità di magnetismo vengono dette masse magnetiche e si dividono in masse magnetiche nord o positive e masse magnetiche sud o negative. Per quanto riguarda le masse magnetiche, vale la legge di Coulomb vista nei capitoli precedenti, con la sostituzione delle cariche con le masse: L’intensità delle forza con la quale due masse magnetiche puntiformi si attraggono o si respingono è direttamente proporzionale al loro prodotto e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza d. La costante k è espressa dalla seguente relazione: con μ0 costante di permeabilità magnetica del vuoto e il cui valore è 4π10–7 , per cui: L’unità di misura della massa magnetica è il weber (Wb). DENSITÀ MAGNETICA SUPERFICIALE La densità magnetica superficiale è il rapporto tra la massa magnetica e l’area della superficie polare sulla quale essa è distribuita, cioè: Se la massa magnetica non è uniformemente distribuita, la densità sarà considerata media. ESERCIZI 1) Una massa magnetica di intensità 10–2Wb è soggetta ad una forza repulsiva di 316,63N. Sapendo che tale forza è dovuta ad una massa magnetica posta a 2m dalla prima, calcolare l’intensità di questa seconda massa magnetica. [2Wb] 2) Calcolare la distanza tra due masse magnetiche di 2Wb e 3Wb, sapendo che esse si respingono con la forza di 1000N. [19,49m] CAPITOLO 23 CAMPO MAGNETICO MAGNETICA E INDUZIONE Un campo magnetico è una regione dello spazio nella quale sono sensibili le azioni di una o più masse magnetiche. Consideriamo un magnete molto lungo e supponiamo che sul suo polo N sia localizzata una massa magnetica +M. Mettiamo in una posizione P vicina al polo N una massa magnetica +m molto piccola, e sia d la distanza tra i due poli su cui sono localizzate le masse magnetiche. Vale la legge di Coulomb: Dividendo la forza per m si ottiene il valore che esprime l’intensità del campo magnetico generato dalla massa +M nel punto P. Tale intensità è un vettore e si indica con , ed è espressa dalla seguente relazione: L’unità di misura dell’intensità è il newton/weber. Se si vuole calcolare l’intensità della forza agente su una massa magnetica m posta in un punto del campo generato dalla massa M, si può applicare la relazione di sopra e si ha quindi: Tale forza si chiama forza magnetica. Per determinare direzione e verso della forza , basta porre nel punto P un ago magnetico ed attendere che esso si disponga nella posizione di equilibrio. La direzione del campo magnetico nel punto considerato è data dalla retta passante per i poli dell’ago, mentre il verso è quello indicato dal polo N dell’ago. Anche per il campo magnetico, come per quello elettrico, troviamo le linee di forza, che ha proprietà analoghe a quelle già viste per il campo elettrico: 1) Per ogni punto del campo magnetico passa una sola linea di forza. 2) La direzione del campo magnetico è in ogni punto tangente alla linea di forza magnetica passante per lo stesso. 3) Le linee di forza magnetiche partono dalle masse magnetiche Nord e terminano alle masse magnetiche Sud. Le linee di forza di un campo magnetico si rappresentano mediante spettri magnetici. Spettro del campo magnetico generato da un polo dipolo Spettro del campo magnetico generato da un Un campo magnetico si dice uniforme se l’intensità punto. è la stessa in ogni suo IL POTENZIALE MAGNETICO Il concetto risulta del tutto analogo a quello del potenziale elettrico. Infatti: Il potenziale magnetico in un punto P esprime il lavoro fatto dalle forze del campo magnetico quando la massa magnetica di 1 weber si sposta dal punto P fino ai limiti del campo. L’espressione matematica del potenziale magnetico è la seguente: INDUZIONE MAGNETICA E PERMEABILITÀ MAGNETICA La presenza di un campo magnetico intorno ai magneti e la constatazione che, alterando la disposizione degli stessi, si verifica una variazione non istantanea dell’intensità del campo, ci induce a pensare che il magnetismo si propaga con velocità non infinita. Questa propagazione del magnetismo viene detta spostamento magnetico o induzione magnetica e viene espressa dal vettore . Se consideriamo l’induzione magnetica nel vuoto , avremo la seguente relazione: La stessa relazione può essere scritta nel seguente modo: dove sostanza. , essendo μr la permeabilità magnetica relativa di una FLUSSO DI INDUZIONE MAGNETICA Per il flusso del vettore valgono le stesse considerazioni fatte per il vettore , quindi se S è l’area della superficie attraverso la quale si misura il flusso ed S1 è la sua proiezione su un piano perpendicolare alla direzione delle linee di induzione magnetica, vale la seguente relazione: L’unità di misura dell’induzione magnetica è il telsa (W/m2), mentre l’unità di misura del flusso di induzione 1Wb. ESERCIZI 1) Le masse magnetiche localizzate sui poli di un ago magnetico lungo 10cm sono di 2*10–2Wb e – 2*10–2Wb. Se si mette l’ago in un campo magnetico di intensità di 200N/Wb, in modo che sia perpendicolare alle linee di forza del campo, esso è soggetto all’azione di una coppia di forze. Calcolare il momento di tale coppia. [0,4Nm] 2) Calcolare l’intensità del campo magnetico generato da un polo di 10 – 2Wb (che si suppone isolato ed immerso nel vuoto) in un punto posto a 6m di distanza da esso. [1,76N/Wb] 3) Il campo generato da una certa regione del vuoto da una massa magnetica è di 100N/Wb. Se in tale regione si mette una sostanza di permeabilità magnetica relativa uguale a 100, quale valore assume l’induzione magnetica? [12,56*103 Wb/m2] 4) Calcolare il flusso di induzione attraverso una superficie piana e rettangolare, sapendo che la sua area misura 0,8m2, che è immersa in un campo magnetico di induzione uguale a 4*10–2Wb/m2 e che forma con le linee di induzione un angolo di 60°. [2,77*10–2Wb] CAPITOLO 24 L’ELETTROMAGNETISMO CAMPI MAGNETICI CORRENTE GENERATI DA Il fisico danese Oersted scoprì che, se si fa passare corrente elettrica in un conduttore C parallelo alla direzione di un ago, quest’ultimo devia dalla posizione di equilibrio, disponendosi quasi perpendicolarmente al conduttore, come viene mostrato in figura. Invertendo il senso della corrente, si inverte anche la deviazione dell’ago, cioè i suoi poli risultano invertiti rispetto alla precedente figura e ciò viene mostrato nella seconda immagine. In sostanza accade che: Una corrente elettrica genera nello spazio circostante un campo magnetico, il cui senso dipende dal senso della corrente. CAMPO MAGNETICO GENERATO DA CORRENTE RETTILINEA INDEFINITA Consideriamo un filo conduttore F molto lungo e percorso da corrente elettrica che attraversa un piano di cartone C. Se mettiamo sul cartone della limatura di ferro, osserviamo che essa si dispone in tante circonferenze con centro in O, che è il punto di intersezione tra il filo e il cartone. Posizionando un ago magnetico nel punto P, si osserva che: La direzione del campo magnetico è in ogni punto perpendicolare al piano sul quale giacciono il filo conduttore e il punto considerato. Il verso di rotazione è uguale a quello delle linee di forza del campo magnetico generato dalla corrente. Per quanto riguarda l’intensità, avremo che essa è inversamente proporzionale alla distanza dal filo conduttore e direttamente proporzionale all’intensità i della corrente che percorre il filo. Possiamo quindi scrivere: Sintetizzando le due formule, avremo: Siccome k = 1/2π , avremo che : Quest’ultima relazione esprime la legge di Biot – Savart. FORMULA ELEMENTARE DI LAPLACE Se un circuito percorso da corrente ha forma qualsiasi, possiamo suddividerlo in tanti piccolissimi tratti di lunghezza Δl e calcolare l’intensità del campo magnetico generato dalla corrente in un punto, semplicemente sommando vettorialmente le intensità relative ad ogni tratto Δl. Quanto detto, origina la formula elementare di Laplace, che ha la seguente forma: l senα CAMPO MAGNETICO GENERATO DA UNA SPIRA CIRCOLARE Consideriamo una spira circolare di raggio r, percorsa da corrente elettrica di intensità i. l’intensità del campo magnetico si calcola con la formula di Laplace, però è necessario distinguere due casi: 1) Campo magnetico nel centro della spira: In questo caso qualsiasi elemento Δl è sempre perpendicolare al raggio della spira. Si ha quindi che α = 90° e che senα = 1. La relazione del paragrafo precedente diventa quindi: l Ma l’insieme di tutti i Δl costituiscono la circonferenza 2π, quindi la formula diventa: r 2) Campo magnetico sull’asse della spira: L’intensità del campo magnetico in qualunque punto P posto sull’asse, a distanza d dal centro O, è data dalla seguente relazione: ( ) CAMPO MAGNETICO GENERATO DA UNA LAMINA MAGNETICA Dicesi lamina magnetica un magnete molto sottile, avente sulle due superfici masse magnetiche di uguale intensità e di segno contrario. Il prodotto della densità di magnetismo per lo spessore della lamina, prende il nome di potenza della lamina e viene espressa in questo modo: P = δS. L’intensità del campo magnetico generato da una lamina circolare di raggio r, in un punto del suo asse posto a distanza d dal centro O, è data da: ( ) Confrontando la relazione appena scritta con quella relativa all’intensità sull’asse della spira della pagina precedente, si notano forti analogie. Se poi si verifica che : avremo il principio di equivalenza di Ampere, che afferma: Una spira circolare percorsa da corrente elettrica di intensità i è equivalente ad una lamina magnetica circolare di raggio uguale a quello della spira, di potenza uguale a μ0i, con il polo Nord orientato nello stesso senso del polo Sud del campo magnetico generato dalla spira. CAMPO MAGNETICO GENERATO DA UN SOLENOIDE Dicesi solenoide un filo avvolto ad elica, di lunghezza equivalente alla distanza AB = l tra il primo giro e l’ultimo. Possiamo considerare ogni giro del filo, con buona approssimazione, come una spira circolare. In sostanza un solenoide è un sistema si spire uguali e coassiali. Se si collegano le estremità C e D del filo con i poli di un generatore di corrente elettrica, avremo che ogni spira equivale ad una lamina magnetica e il solenoide può essere assimilato a un magnete cilindrico. Se il solenoide è abbastanza lungo, si dimostra che l’intensità del campo magnetico in un punto interno allo stesso solenoide, si può calcolare con la seguente formula: con N = numero delle spire, L la lunghezza del solenoide e i l’intensità di corrente. L’espressione N/L rappresenta il numero delle spire per unità di lunghezza. L’unità di misura dell’intensità del campo magnetico è l’ampere – spira/metro (Asp/m). INDUZIONE MAGNETICA NELL’INTERNO DI UN OLENOIDE Se introduciamo all’interno della spira un cilindro di ferro, detto nucleo, questo si magnetizza se il solenoide è percorso da corrente elettrica. L’intensità del vettore , cioè la massa magnetica che si affaccia sull’unità di superficie di una sezione retta del nucleo do ferro, è data dalla seguente relazione: CIRCUITI MAGNETICI E LEGGE DI HOPKINSON Un circuito magnetico è costituito dal fascio di linee di induzione che va da una massa magnetica positiva alla corrispondente massa magnetica negativa. Un esempio di circuito magnetico è lo spazio interno di un solenoide piegato ad anello, come in figura. Il flusso di induzione magnetica attraverso l’anello è: Sostituendo ad B il valore trovato nel paragrafo precedente, avremo: La relazione appena vista esprime la legge di Hopkinson. La quantità Ni si chiama forza magnetomotrice (f.m.m.), mentre il termine L/μ si dice riluttanza magnetica (Rl). ESERCIZI 1) Un filo rettilineo posto nel vuoto è percorso dalla corrente elettrica di , A. Calcolare l’intensità del campo magnetico generato dal filo in un punto posto a 50cm da esso. [0,5 Asp/m] 2) Calcolare l’intensità del campo magnetico generato da una corrente rettilinea indefinita di intensità 6,28A in un punto situato a 2cm dal filo conduttore. [50 Asp/m] 3) Calcolare l’intensità del campo magnetico nel centro di una spira circolare di raggio 8cm, immersa nel vuoto, nella quale circola una corrente di intensità 5A. [31,25 Asp/m] 4) Una spira circolare di raggio 5cm è percorsa dalla corrente di 2A. Calcolare l’intensità del campo magnetico nel centro della spira e in un punto del suo asse posto a 10cm dal centro. Si supponga la spira immersa nel vuoto. [20 Asp/m ; 1,79 Asp/m] 5) Un solenoide di 300 spire e lungo 50cm, è percorso da corrente di , A. apendo che nel suo interno c’è il vuoto, calcolare l’intensità del campo magnetico in tale zona. [300 Asp/m] 6) Introducendo all’interno del solenoide del precedente esercizio una sostanza ferromagnetica, si ha un’induzione magnetica di , Wb/m2. Calcolare la permeabilità magnetica relativa della sostanza. [2388,5] 7) Un nucleo di ferro dolce viene introdotto nell’interno di un solenoide. Quando il campo magnetico in tale zona assume il valore di 500 Asp/m, l’induzione magnetica nel nucleo di ferro diventa uguale a 1,256Wb/m2, mentre se il campo magnetico assume il valore di 25000 Asp/m, l’induzione diventa uguale a Wb/m2. Calcolare il valore della permeabilità magnetica relativa del nucleo di ferro nei due campi suddetti. [2000 ; 63,7] CAPITOLO 25 AZIONI TRA CORRENTI CAMPI MAGNETICI E Siccome ogni determinato circuito elettrico equivale ad una determinata lamina magnetica, è chiaro che quando esso è percorso da corrente elettrica e si trova in un campo magnetico, risulta soggetto a forze di natura magnetica, analogamente a ciò che si verifica tra due magneti. Generalizzando e riassumendo possiamo fare la seguente affermazione: Un conduttore percorso da corrente elettrica ed immerso in un campo magnetico, è soggetto all’azione di una forza. L’intensità di tale forza, calcolata da Laplace, è la seguente: dove μ è la permeabilità magnetica del mezzo nel quale si trova immerso il conduttore, H è l’intensità del campo magnetico che agisce sul conduttore, L è la lunghezza del conduttore, α è l’angolo che la direzione del vettore forma con la direzione della corrente che percorre il conduttore. Il verso della forza si può determinare mediante la regola della mano sinistra, cioè esso è dato dal pollice della mano sinistra, disposta in modo che la corrente entri dal polso ed esca dalle dita e che le linee di forza del campo magnetico entrino dal palmo ed escano dal dorso della mano. AZIONI TRA DUE CORRENTI RETTILINEE PARALLELE Supponiamo che due fili rettilinei siano paralleli e che le loro correnti i1 ed i2 siano concordi. Indicate con e le intensità dei campi magnetici generati dalle due correnti, si può calcolare l’intensità della forza agente sul filo B (che poi è uguale a quella su A): L’intensità del campo magnetico entro il quale si trova immerso il filo B, si calcola con la legge di Biot Savart : Ricordando che d è la distanza tra i due fili, e sostituendo il valore di H 1 nella formula della pagina precedente si ha: FORZA DI LORENTZ L’esperienza ci dice che quando gli elettroni in movimento entrano in un campo magnetico, la loro traiettoria viene deviata. Lorentz ha dimostrato che l’intensità della forza che fa deviare un elettrone, si calcola mediante la seguente formula: dove μ è la permeabilità magnetica del mezzo nel quale si muovono gli elettroni, H è l’intensità del campo magnetico, e è la carica dell’elettrone, v è la velocità dell’elettrone, α è l’angolo che la direzione del moto degli elettroni forma con la direzione del vettore . La direzione della forza di Lorentz è perpendicolare al piano sul quale giacciono i vettori H e v e il verso della forza è rivolto dalla parte dell’osservatore che vede ruotare v in senso antiorario. ESERCIZI 1) Calcolare l’intensità della forza alla quale sono soggetti due fili rettilinei paralleli lunghi entrambi 1,5m, sapendo che sono immersi nel vuoto, che distano tra loro 30cm, che sono percorsi da correnti elettriche di intensità 1° e 3A. [3*10–6N] 2) Due fili rettilinei paralleli lunghi 4m, posti nel vuoto a distanza di 2m, si respingono con la forza di 3,6*10–2 N. Calcolare l’intensità delle correnti elettriche che percorrono i fili, sapendo che una è 9 volte maggiore dell’altra. [10–2A ; 9*10–2A] CAPITOLO 26 INDUZIONE ELETTROMAGNETICA ESPERIENZE FONDAMENTALI PRIMA ESPERIENZA Consideriamo un circuito chiuso privo di generatore e avviciniamo rapidamente un magnete, viene segnalata una corrente elettrica che perdura finché dura il movimento del magnete. Se il magnete viene allontanato, si segnala ancora una certa intensità di corrente che, però risulta di senso contrario alla precedente e che poi cessa al cessare del movimento del magnete. Il fenomeno si verifica sia per il polo nord che per quello sud. In sostanza si osserva che la corrente è tanto più intensa quanto più rapidamente si muove il magnete oppure il circuito. SECONDA ESPERIENZA Consideriamo un circuito A con generatore e un circuito B privo di generatore e con inserito un galvanometro. Appena il circuito A viene chiuso, il galvanometro segnala in B una corrente di brevissima durata. Aprendo il circuito A viene segnalata ancora corrente in B, anche essa di breve durata e di senso contrario al precedente. TERZA ESPERIENZA Consideriamo un circuito magnetico ABCD privo di generatore. Se il circuito è completamente immerso nel campo magnetico, non viene segnalata alcuna corrente, ma se esso si muove parallelamente a se stesso, in modo da farlo uscire dal campo magnetico, viene segnalata corrente, tanto più intensa quanto più veloce è il movimento. Facendo tornare il circuito nella posizione originaria, si segnala una corrente di senso contrario alla precedente. Le correnti che si originano nelle tre esperienze descritte prendono il nome di correnti indotte e il fenomeno viene detto induzione elettromagnetica. LEGGE DI NEUMANN Analizzando le tre esperienze sull’induzione elettromagnetica, abbiamo concluso che la corrente indotta in un circuito è dovuta alla variazione del flusso di induzione magnetica attraverso di esso, e che tale corrente è tanto più intensa quanto più rapida è tale variazione. Se due circuiti vengono sottoposti nello stesso intervallo di tempo t2 – t1 alla stessa variazione del flusso di induzione Φ1 – Φ2, l’intensità delle corrente indotta è maggiore nel circuito che ha minore resistenza elettrica. Le affermazioni fatte, portano alla seguente relazione matematica: ovvero : Per la legge di Ohm, il primo membro esprime la f.e.m E, quindi avremo: Questa relazione esprime la legge di Neumann: La forza elettromotrice indotta è direttamente proporzionale alla variazione del flusso di induzione magnetica che si verifica nell’unità di tempo. LEGGE DI LENZ La legge di Lenz viene enunciata di seguito: Il senso della corrente indotta è sempre tale da generare un campo magnetico che si oppone alla causa che origina la corrente. Questa legge è una conseguenza del principio di conservazione dell’energia, il quale esclude che l’energia dissipata da un circuito possa essere stata originata dal nulla, per cui si deve pensare che , durante il tempo in cui la corrente percorre il circuito, ci deve essere dell’energia che si trasforma prima in energia elettrica e poi in termica. Poiché la corrente indotta dura finché nel circuito varia il flusso di induzione, è chiaro che l’energia iniziale deve essere ricercata proprio in questa variazione di flusso. Per quanto riguarda l’espressione matematica della legge di Lenz, bisogna preventivamente adottare alcune convenzioni, e cioè: 1) La f.e.m. indotta si considera positiva se il flusso induttore e quello indotto sono concordi, dove per flusso indotto si intende il flusso del campo magnetico generato dalla corrente indotta, mentre per flusso induttore si intende quello le cui variazioni generano la corrente indotta. 2) Per variazione del flusso di induzione magnetica si intende la differenza tra flusso finale e flusso iniziale. Riprendendo in considerazione la prima esperienza vista a pag.128, il flusso indotto e quello induttore hanno verso contrario, quindi, riprendendo la legge di Neumann, otterremo la legge di Lenz, cambiando il segno del secondo membro della formula, cioè: AUTOINDUZIONE ELETTROMAGNETICA In questo caso, si suppone che non sia presente in un circuito alcuna sostanza ferromagnetica, per cui il flusso di induzione attraverso la superficie dello stesso dipende solo dall’intensità della corrente e dalla forma del circuito. Si può scrivere perciò: dove L è una costante di proporzionalità che dipende dalla forma del circuito e che viene detta induttanza o coefficiente di autoinduzione. Nei fenomeni di autoinduzione, la legge di Neumann Lenz assume la seguente forma: Possiamo quindi affermare che ogni volta che in un circuito varia l’intensità della corrente, in esso si manifesta una f.e.m. autoindotta. L’unità di misura dell’induttanza è l’henry (H), che è il weber/ampere. INDUTTANZA DI UN SOLENOIDE L’induzione magnetica nell’interno di un solenoide si può calcolare con la seguente formula, nella quale l è la lunghezza del solenoide: Siccome nel solenoide le linee di induzione sono perpendicolari ai piani delle singole spire, indicando con l’area delle superficie di una spira, il flusso con essa concatenato è dato da: Per calcolare il flusso totale , concatenato con tutte le N spire del solenoide, basta moltiplicare il flusso Φ per N, quindi: in cui ammettiamo che la quantità induttanza del solenoide. è costante e uguale ad L ed è detta ESERCIZI 1) Calcolare il valore della f.e.m. indotta in una spira, sapendo che nel tempo di 0,5s, il flusso di induzione magnetica attraverso di essa varia di 10 Wb. [20V] 2) Una maglia quadrata ha il lato di 0,5m e si trova immersa in un campo magnetico uniforme di induzione 4Wb/m2. Sapendo che il piano della maglia forma un angolo di 30° con la direzione delle linee di induzione, calcolare il valore medio della f.e.m indotta nella maglia, se essa si dispone perpendicolarmente alle linee di induzione nel tempo di 0,2s. [2,5 V] 3) Calcolare la carica elettrica che passa attraverso la sezione di un conduttore che costituisce la maglia dell’esercizio precedente, sapendo che la sua resistenza elettrica è 100Ω. [5*10–3 C] 4) Avvicinando un polo di un magnete alla superficie di una spira, si provoca una variazione del flusso di induzione di 2Wb. Sapendo che tale variazione si verifica nel tempo di 0,25s e che la resistenza elettrica della spira è 8Ω, calcolare l’intensità media della corrente indotta. [1A] 5) Calcolare l’induttanza di un solenoide di 300 spire, sapendo che è immerso nel vuoto, che è lungo 1m, che la superficie di ogni spira è 500cm2. [56,52H] 6) Supponiamo che il solenoide dell’esercizio precedente sia percorso, in un certo istante, dalla corrente di 1A e, dopo 0,1s, dalla corrente di 3A. Calcolare il valore medio della f.e.m. autoindotta ai capi del solenoide. [11,304*10–2 V] 7) Calcolare il valore medio della f.e.m. autoindotta ai capi di un circuito di induttanza 10H, sapendo che, nel tempo di 0,8s, l’intensità della corrente passa da 1,5A a 2,5A. [12,5 V] CAPITOLO 27 STRUMENTI DI MISURA Dicesi elettrocalamita un dispositivo che si comporta come un magnete, con intensità di magnetizzazione che varia al variare dell’intensità della corrente elettrica. Le elettrocalamite più note sono il telegrafo e il campanello elettrico. Per quanto riguarda il campanello, abbiamo che il dispositivo è illustrato in figura. Chiudendo il circuito mediante l’interruttore T, la corrente elettrica eccita l’elettrocalamita E, che attira l’ancora di ferro A, facendo urtare il martelletto M contro la parete del campanello C, che a questo punto produce un suono. Finché si tiene premuto il tasto T, il campanello suona perché il rapido magnetizzarsi e smagnetizzarsi delle elettrocalamita, provoca frequenti urti del martelletto M contro il campanello stesso. Gli strumenti di misura delle grandezze elettriche, basano il loro funzionamento sull’effetto magnetico prodotto dalla corrente elettrica. Tra gli strumenti di misura più conosciuti, troviamo: 1) La bussola. 2) Il galvanometro, visto in precedenza, che è una strumento adatto a misurare l’intensità di correnti molto piccole. 3) Gli amperometri, che sono strumenti adatti a misurare intensità di corrente molto elevate. 4) I voltmetri, che sono strumenti capaci di misurare la differenze di potenziale tra due punti di un circuito elettrico. IL TELEFONO il telefono fu realizzato da Antonio Meucci ed è un’importante applicazione dell’induzione elettromagnetica. Esso è costituito da due bobine avvolte da due magneti uguali, davanti ai quali vengono messe due lamine di ferro che si magnetizzano. Quando si parla davanti ad una delle due lamine, questa vibra, originando correnti indotte, che arrivano alla seconda lamina, consentendo anche a quest’ultima di vibrare e di diventare così una sorgente sonora, in grado di riprodurre fedelmente i suoni emessi da colui che parla davanti alla prima membrana. Inizialmente la trasmissione sonora avveniva a brevi distanze, ma in seguito e attraverso studi più approfonditi, sono stati realizzati telefoni capaci di trasmettere voci da un continente all’altro. CAPITOLO 28 CORRENTI ALTERNATE E CIRCUITI Se un circuito è alimentato da pile o da accumulatori, abbiamo visto che la corrente circola sempre nello stesso senso e si chiama perciò corrente continua, anche se la sua intensità varia nel tempo. Si parla invece di corrente alternata quando il flusso elettronico si inverte periodicamente. Succede che, nel primo semiperiodo il flusso cresce da zero fino ad un valore massimo positivo e successivamente decresce fino a tornare a zero. Nel secondo semiperiodo si ripete la stessa successione dei valori, ma con segno opposto. Il caso più semplice di corrente alternata è quella sinusoidale, detta così perché il diagramma della funzione rappresentante l’intensità di corrente ha l’andamento di una sinusoide. Consideriamo una spira rettangolare e la poniamo in un campo magnetico uniforme facendola ruotare attorno a un asse r perpendicolare alla direzione del campo. Alle estremità della spira mettiamo due anelli A e B con due spazzole S1 ed S2 appoggiate e collegate con un circuito esterno. Al ruotare della spira, il flusso di induzione varia continuamente e diventerà massimo quando il piano della spira sarà perpendicolare al campo, mentre diventerà nullo quando il piano è parallelo al campo. Quando la spira compie un giro completo, il flusso di induzione passerà da Φm a – Φn. Si originerà quindi una f.e.m. indotta. Gli effetti della corrente alternata sono di tipo termico, chimico o magnetico. Si dimostra che a partire dall’istante iniziale t = 0, la f.e.m. che si ha agli estremi della spira, dopo un intervallo di tempo t, è data dalla seguente formula: dove Em è il valore massimo della f.e.m. INTENSITÀ DELLA CORRENTE ALTERNATA Poiché nella corrente alternata varia periodicamente la f.e.m., è evidente che varia anche l’intensità della corrente, che può essere espressa mediante la seguente formula: dove im è il valore massimo che assume l’intensità di corrente, ω è la velocità angolare della spira (detta anche pulsazione), t è l’istante in cui la corrente assume l’intensità i. VALORI EFFICACI L’esperienza dimostra che, facendo attraversare un conduttore metallico da una corrente alternata, esso si riscalda. Per calcolare la quantità di calore generata da una corrente alternata si introduce una particolare grandezza , detta intensità efficace della corrente alternata (ieff), che esprime l’intensità della corrente continua circolante in un circuito a corrente alternata e che produce lo stesso effetto termico dell’intensità di corrente alternata circolante nello stesso circuito. Si dimostra che la formula esprimente l’intensità efficace è la seguente: , Analogamente, si può calcolare la cosiddetta tensione che alimenta una corrente continua di intensità uguale all’intensità efficace di una corrente alternata e che prende il nome di f.e.m. efficace (Eeff): , CIRCUITI A CORRENTE ALTERNATA Tra i circuiti a corrente alternata più noti, troviamo il: 1) Circuito puramente Ohmico: esso è un circuito nel quale l’unico ostacolo al passaggio della corrente è la resistenza Ohmica del circuito. Per questo tipo di circuito vale la legge di Ohm: 2) Circuito puramente induttivo: esso è un circuito nel quale non possiamo trascurare l’induttanza, poiché la corrente ha un’intensità continuamente variabile. In questo circuito insorge una forza elettromotrice indotta, detta forza controelettromotrice che si oppone al passaggio della corrente. Questa opposizione si chiama reattanza induttiva (ωL), dove ω è la pulsazione della corrente ed L è l’induttanza. L’opposizione esercitata dalla d.d.p. al passaggio della corrente, si chiama reattanza capacitiva (Re), che ha la seguente formula: Dove C è la capacità del conduttore, considerata costante. L’unità di misura della reattanza è l’Ohm (Ω). POTENZA DI UNA CORRENTE ALTERNATA La potenza istantanea di una corrente alternata può essere calcolata eseguendo il prodotto dei valori assunti dalla tensione e dall’intensità di corrente nell’istante considerato. Nella pratica, però, è preferibile calcolare il cosiddetto valore efficace della potenza (Peff), che viene espresso dalla seguente formula: eα , la potenza efficace è massima poiché cos la potenza efficace è nulla, poiché cos 90° = 0. LA DINAMO La dinamo è un generatore di f.e.m. realizzato mediante due lamine metalliche, dette spazzole, striscianti su due anelli, detti collettori o commutatori. La dinamo è anche detta macchina elettrica reversibile, perché l’energia meccanica che si spende viene restituita sotto forma di energia elettrica. , mentre se α ° IL TRASFORMATORE Il trasformatore è un dispositivo in grado di trasformare una corrente alternata in un’altra anche essa alternata, con diversa tensione e intensità efficace, ma con potenze efficaci uguali. Il trasformatore è costituito da varie spire separate da materiale isolante, e solitamente sono formati da due circuiti, uno primario e una secondario. Per i trasformatori vale la seguente relazione: dove Vp ed Vs sono le tensioni efficaci agli estremi dei circuiti primario e secondario, ed Np e Ns sono i numeri di spire nei due circuiti. Vale anche la seguente relazione riguardante le intensità efficaci: ESERCIZI 1) Una f.e.m. alternata ha un valore efficace di 240V e una frequenza di 50Hz. Calcolare la pulsazione e il valore massimo di tale f.e.m. [314s–1 ; 339,46V ] 2) Calcolare la quantità di calore dissipata da una corrente alternata di intensità massima 2A, nel tempo di 30 mi, in un conduttore di resistenza Ω. [129,6 Kcal] 3) Calcolare l’intensità di una corrente alternata di valore massimo 5A, nell’istante in cui il vettore forma un angolo di 30° con il diametro orizzontale della circonferenza. [2,5A] CAPITOLO 29 CENNI SU ONDE ELETTROMAGNETICHE In natura esiste sempre una propagazione del campo elettrico e di quello magnetico, poiché la distribuzione delle cariche può subire modifiche e le azioni che esse esercitano possono cambiare in direzione e verso. La modifica di un campo elettrico non è istantanea e la velocità di propagazione della perturbazione è molto elevata (circa 300000 Km/s). Anche la variazione del campo elettrico è sempre accompagnata da una variazione del campo magnetico. La suddetta perturbazione si chiama onda elettromagnetica ed è regolata dalla seguente relazione: dove c è la velocità è la velocità di propagazione del campo magnetico. Un’onda elettromagnetica è costituita da due contemporanee vibrazioni periodiche dei campi elettrico e magnetico ed ha le seguenti proprietà: 1) Il campo elettrico vibra su un piano perpendicolare a quello sul quale vibra il campo elettrico. 2) Le frequenze di vibrazione dei due campi sono uguali. 3) La retta intersezione dei due piani di vibrazione rappresenta la direzione di propagazione dell’onda. Le onde elettromagnetiche portano con loro energia che viene ceduta quando esse investono un corpo. Vale la definizione seguente: ogni punto di una superficie d’onda viene considerato come una sorgente luminosa che emette radiazioni elettromagnetiche in tutte le direzioni e con le stesse caratteristiche delle radiazioni emesse dalla sorgente. CAPITOLO 30 CENNI SU CORRENTE NEGLI AERIFORMI Normalmente i gas sono isolanti e con conducibilità termica pressoché nulla, però si osserva comunque una minima conducibilità a causa degli ioni presenti nell’aria, che si muovono grazie all’agitazione termica. Gli ioni gassosi sono molecole che hanno perso o acquistato elettroni divenendo così ioni positivi o negativi. Dicesi agente ionizzante un fattore capace di fornire ad uno o più elettroni di una molecola gassosa una quantità di energia pari o superiore all’energia di ionizzazione. I principali agenti ionizzanti sono: 1) Riscaldamento, cioè fuoriuscita di elettroni dovuta ad agitazione termica. 2) Radiazioni elettromagnetiche, cioè irradiazioni del gas con raggi ultravioletti, raggi X o raggi γ. 3) Raggi α, β e cosmici, cioè sciami di particelle cariche elettricamente e con potere ionizzante molto elevato. 4) Urti di ioni, dovuti alla loro attrazione o repulsione. ARCO VOLTAICO L’arco voltaico è un dispositivo costituito da due carboni cilindrici collegati con i poli di un generatore di f.e.m. non elevata (non più di 40/50 volt). Mettendo a contatto i due carboni nel circuito, si osserva che passa corrente e le estremità a contatto diventano incandescenti. Allontanando i due carboni la corrente continua a passare e tra le due estremità si osserva un bagliore luminosissimo, dovuto alla forte ionizzazione nell’aria e dal flusso di elettroni. L’arco voltaico è un’ottima sorgente luminosa, usato o fino al 1920 per consentire l’illuminazione pubblica. RAGGI CATODICI I raggi catodici non sono altro che elettroni emessi dal catodo in un tubo, in seguito agli urti degli ioni positivi contro di esso. Questi raggi si propagano in linea retta producendo effetti meccanici e calore, e vengono deviati dai campi elettrico e magnetico. RAGGI X I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche molto penetranti, dovute al fatto che gli elettroni emessi, a causa dell’elevata d.d.p. applicata agli elettrodi del tubo, vengono sollecitati da una forte spinta, urtando violentemente contro le pareti, con energia che si trasforma in calore. Le proprietà dei raggi X sono: 1) 2) 3) 4) Essi impressionano le lastre fotografiche. Essi attraversano i corpi opachi alla luce. Essi hanno un alto potere ionizzante. Essi sono debolmente calorifici. CENNI SULLA RADIOATTIVITÀ Il nucleo atomico è formato da due tipi di particelle: 1) Protoni, uguali tra loro dotati di carica positiva indivisibile. 2) Neutroni, con massa superiore a quella dei protoni ma privi di carica, cioè neutri. Protoni e neutroni sono detti nucleoni e il numero dei protoni si dice numero atomico. I nucleoni di uno stesso nucleo sono legati tra loro da forze dette nucleari. Dicesi difetto di massa, la differenza tra la massa che un nucleo dovrebbe avere in teoria e quella che realmente possiede. Ad una perdita di massa corrisponde sempre uno sviluppo di energia, con: dove c è la velocità di propagazione della luce nel vuoto. In natura esistono elementi che emettono spontaneamente radiazioni penetranti e questa loro proprietà viene detta radioattività, risiedente nel nucleo dell’atomo e dipendente solo dalla struttura. Le radiazioni sono di tre tipi: 1) Raggi α, che sono particelle cariche positivamente e con carica doppia di quella del protone. Questi raggi hanno velocità molto elevata ma sono poco penetranti. 2) Raggi β, che sono elettroni espulsi dal nucleo dell’atomo con velocità pari a quella della luce. Questi raggi sono molto più penetranti di quelli α. 3) Raggi γ, che non sono costituiti da particelle materiali ma da radiazioni elettromagnetiche di piccola lunghezza d’onda e molto penetranti. CAPITOLO 30 L’ACUSTICA Consideriamo una verga di acciaio piuttosto sottile, fissata ad una estremità ad un supporto rigido M; applicando una forza F all’estremità libera, flettiamo la verga fino a portarla nella posizione tratteggiata Q. Se la verga viene lasciata libera, essa comincia a vibrare, emettendo nel contempo un suono. Il moto vibratorio è causato dalle reazioni elastiche che, al cessare dell’azione della forza F, riportano la verga nella posizione di equilibrio V. Se non esistessero le resistenze passive dell’aria e gli attriti vari, la verga continuerebbe a vibrare indefinitamente, però in pratica l’energia spesa per fletterla viene in parte spesa proprio per vincere tali resistenze, e in questo modo l’energia stessa diminuisce progressivamente finché il moto vibratorio cessa. Un tale tipo di moto si dice oscillatorio smorzato e il tempo impiegato dalla verga per compiere un’oscillazione completa, detto periodo (T), è lo stesso per tutte le oscillazioni. Vediamo ora quale è l’origine dei suoni. Battendo sulla membrana di un tamburo, esso emette un suono, mentre se si sfiora la superficie, si avverte una vibrazione che diventa sempre più debole man mano che il suono si affievolisce. Da questa esperienza e da altre analoghe, possiamo trarre la seguente conclusione: I suoni sono originati da fenomeni vibratori e le vibrazioni di una certa sorgente danno origine ad un suono solo se hanno una frequenza compresa entro ben determinati valori. Per un orecchio normale, le vibrazioni sono percepibili solo se la sorgente vibra con una frequenza compresa tra 16 Hz e 20000 Hz. Se la frequenza delle vibrazioni è inferiore a 16 Hz, si hanno gli infrasuoni che non sono percepibili dall’orecchio. Se la frequenza delle vibrazioni è superiore a 20000 Hz, si hanno gli ultrasuoni che non sono percepibili dall’orecchio umano se non con l’ausilio di strumenti appositi, ma possono essere percepiti da alcuni animali come i cani o i pipistrelli. PROPAGAZIONE DEL SUONO Affinché un suono possa giungere al nostro orecchio, è necessario che tra lo stesso e la sorgente sonora sia interposto un mezzo materiale elastico. È molto importante sottolineare che il suono si propaga finché c’è la presenza di aria. Ciò ci induce ad affermare che il suono non si propaga nel vuoto, ma può propagarsi negli aeriformi, nei liquidi e nei solidi. Analizziamo tutte e tre le situazioni. Propagazione del suono nell’aria: in questo caso le vibrazioni di una sorgente provocano nell’aeriforme circostante una serie di compressioni e rarefazioni , le quali si propagano con una frequenza uguale a quella con la quale vibra la sorgente. A causa, però, della non perfetta mobilità delle particelle d’aria, l’intensità di queste compressione e rarefazioni diminuisce man mano che ci si allontana dalla sorgente tanto da diventare trascurabile. I suoni emessi da una sorgente sono percepibili proprio a causa del propagarsi di tale perturbazione. La percezione di un suono avviene sempre con un certo ritardo rispetto all’istante in cui la sorgente comincia a vibrare, e questo dipende dalla non perfetta elasticità dell’aria. In conclusione, possiamo dire che il meccanismo di propagazione del suono nell’aria è assimilabile ad un propagarsi di onde sferiche di compressione e rarefazione. Propagazione del suono nei liquidi: la propagazione del suono nei liquidi avviene con lo stesso meccanismo visto per l’aria, solo che in questo caso le compressioni e rarefazioni interessano strati di liquido. Una rappresentazione visiva del fenomeno si può avere gettando un sasso nell’acqua e osservando i cerchi concentrici che man mano si allargano, generando onde trasversali, mentre le onde sonore sono longitudinali. Propagazione del suono nei solidi: quando il suono si propaga nei solidi, non si può parlare di compressioni e rarefazioni, dato che l’elevato valore delle forze di coesione impedisce alle particelle di scorrere le une sulle altre. Una vibrazione, in sostanza, interessa all’inizio solo una determinata zona del solido, e si trasmette grazie alle forze elastiche di coesione, di particella in particella fino ad interessare tutta la massa solida. Naturalmente occorre un po’ di tempo per trasmettere le vibrazioni iniziali anche alle particelle più lontane. VELOCITÀ DI PROPAGAZIONE DEL SUONO La propagazione del suono non è istantanea, ma occorre un certo tempo affinché esso giunga dalla sorgente al punto di ascolto. Ricordiamo infatti che il rumore di un tuono viene percepito dopo un certo tempo dalla visione del lampo, e ciò è dovuto al fatto che la velocità di propagazione della luce (circa 300000 Km/s) è molto più grande della velocità di propagazione del suono (circa 340 m/s). Conoscendo la distanza d dalla sorgente e il tempo t impiegato dal suono per propagarsi dalla sorgente all’osservatore, si può calcolare la velocità del suono con la seguente formula: La velocità di propagazione del suono nell’aria aumenta con l’aumentare della temperatura, varia con la composizione dell’aria ed è influenzata dalla presenza dei venti. Il valore della velocità di propagazione del suono negli altri aeriformi possono essere calcolati mediante la formula di Laplace: dove cp calore specifico dell’aeriforme a pressione costante cv calore specifico dell’aeriforme a volume costante p = pressione dell’aeriforme δ densità assoluta dell’aeriforme La velocità di propagazione del suono nei liquidi è di circa 1436 m/s, mentre nei solidi è di circa 5000 m/s. CARATTERI DELLE ONDE ACUSTICHE Dicesi frequenza il numero delle compressioni o delle rarefazioni che una particella del mezzo di propagazione subisce nel tempo di 1s. Dicesi periodo il tempo necessario per passare da una compressione o da una rarefazione alla successiva. Consideriamo la sorgente sonora in figura, immersa in un mezzo materiale elastico M e appena essa comincia a vibrare, comincia a propagarsi nel mezzo una perturbazione, che si verifica in tutte le direzioni dello spazio. Dicesi lunghezza dell’onda di propagazione la distanza λ dalla sorgente, alla quale giunge la perturbazione in un intervallo di tempo uguale al periodo di vibrazione delle particelle della sorgente. Indicando con v la velocità di propagazione del suono nel mezzo, avremo la seguente relazione: e ricordando che T = 1/f, si avrà: da cui si ottiene facilmente v λf. Dicesi superficie d’onda il luogo geometrico dello spazio che in uno stesso istante si trovano nella fase di moto vibratorio. CARATTERI DISTINTIVI DEI SUONI I caratteri che distinguono un suono sono tre: intensità, altezza, timbro (o matallo). INTENSITÀ DEL SUONO Supponiamo di colpire con un oggetto metallico una campana, e dopo un certo periodo di tempo ripetiamo l’esperimento dando questa volta un colpo più forte. Nel secondo caso percepiamo un suono più forte e si dice che il secondo suono ha intensità maggiore del primo. Diamo la seguente definizione di intensità di un suono: L’intensità I di un suono è la quantità di energia, emessa nell’unità di tempo, attraverso una superficie unitaria perpendicolare alla direzione di propagazione del suono. Il suo valore viene calcolato mediante la seguente formula: dove δ = densità assoluta del mezzo di propagazione v = velocità di propagazione del suono T = periodo di oscillazione delle particelle del mezzo interessate dalla perturbazione acustica x = ampiezza massima di oscillazione delle particelle dello strato sul quale si vuole calcolare l’intensità. L’intensità di un suono si misura di solito in micro watt al centimetro quadrato (μW/cm2). e il suono si propaga attraverso l’aria, si possono fare le seguenti osservazioni: a) L’energia sonora viene trasmessa dalla sorgente per mezzo di onde sferiche, il raggio delle quali cresce al crescere della distanza da una sorgente. b) Per il principio di conservazione dell’energia, l’energia emessa dalle varie superfici d’onda nell’unità di tempo, cioè la potenza, deve essere costante. c) L’intensità di un suono è inversamente proporzionale al quadrato della distanza d dalla sorgente. MEGAFONO, CORNETTO ACUSTICO, STETOSCOPIO Per ridurre l’effetto dovuto alla diminuzione dell’intensità del suono con la distanza, è possibile restringere lo spazio entro il quale viene irradiata l’energia sonora dalla corrente. uanto appena detto, si realizza, ad esempio, mediante il megafono, che riesce ad incanalare l’energia sonora emessa dalla sorgente S, in uno spazio a più stretto di quello in cui si distribuirebbe l’energia in sua assenza. Per questo motivo il megafono viene usato per far giungere la voce anche a grandi distanze. Sullo stesso principio del megafono, si basano altri due strumenti acustici: il cornetto acustico e lo stetoscopio. Il cornetto acustico era molto usato in passato per alleviare i disagi derivanti dalla sordità. Lo stetoscopio viene utilizzato dai medici per ascoltare i battiti cardiaci. In questi due strumenti, le onde sonore vengono raccolte dalla base B e incanalate nello stretto tubicino T, arrivando rinforzate all’orecchio posto in E. La spiegazione del funzionamento è la seguente: supponiamo che dalla base B, di area SB, entri una potenza complessiva W. L’intensità del suono ha i seguenti valori: che è l’intensità del suono alla base B e: che è l’intensità del suono al foro di ascolto E, con area ha che I1 I, perché l’area E è minore dell’area B. E. Evidentemente si ALTEZZA DEL SUONO Dicesi altezza di un suono la frequenza di vibrazione della sorgente che lo emette. Così se si dice che il suono emesso dalla corda di un violino è più alto o più acuto del suono emesso dalla corda di un contrabbasso, significa che la corda di violino vibra con frequenza maggiore di quella della corda di contrabbasso. Se si suppone che i tre diagrammi della figura, rappresentino le vibrazioni di tre sorgenti sonore A, B, C, che emettono rispettivamente i suoni a, b, c, si può affermare che: 1) I suoni a e b hanno la stessa intensità (x 1 = x2), ma il suono b ha altezza doppia di quella del suono a. 2) Il suono c è più intenso dei suoni a e b, ma la sua altezza è doppia di quella del suono b e quadrupla di quella del suono a. VIBRAZIONI IN FASE E SFASATE Consideriamo due punti P e Q, entrambi animati da moto vibratorio di frequenza f. Possiamo distinguere i seguenti quattro casi: 1) I due punti passano nello stesso istante per le rispettive posizioni di quiete, e siccome hanno la stessa frequenza, raggiungono nello stesso istante il massimo spostamento positivo, e nello stesso istante, il massimo spostamento negativo. Si dice in questo caso che i due punti vibrano in concordanza di fase o semplicemente in fase. 2) I due punti passano nello stesso istante per le rispettive posizioni di quiete, ma quando uno di essi raggiunge il massimo spostamento positivo, l’altro raggiunge il massimo spostamento negativo, e viceversa. in questo caso si dice che i due punti vibrano in opposizione di fase. 3) Quando uno dei due punti, ad esempio P, raggiunge il massimo spostamento positivo o negativo, l’altro punto raggiunge la sua posizione di quiete, e quando P passa per la posizione di quiete, Q raggiunge il massimo spostamento positivo o negativo. In questo caso si dice che i due punti vibrano in quadratura di fase. 4) Uno dei due punti, ad esempio P, raggiunge il massimo spostamento positivo con un certo anticipo t rispetto a Q, e Q stesso passa dalla posizione di quiete con un ritardo t rispetto a P. Quindi si dice che P vibra rispetto a Q in anticipo di fase di t secondi. Per quanto riguarda la composizione di vibrazioni, essa si può rappresentare prima disegnando le vibrazioni distinte e poi componendo i loro diagrammi. La vibrazione risultante, è ottenuta sommando gli spostamenti, relativi ad ogni istante, delle vibrazioni, e unendo i vari punti così ottenuti. Per quanto riguarda, invece, la composizione delle onde acustiche, consideriamo, per semplicità, due onde generate da due sorgenti periodiche uguali, che avvengono e si propagano nella stessa direzione e lungo una stessa retta. Si possono verificare vari casi: 1) Le onde si propagano nello stesso senso, e in questo caso, l’onda risultante ha stessa direzione e verso delle onde componenti 2) Le onde si propagano in sensi opposti e avviene che, nello spazio tra le due sorgenti, la risultante è periodica e non si propaga verso nessuna delle due sorgenti. Quando si verifica una situazione del genere, si dice che lo spazio tra le due sorgenti è sede di onde stazionarie, nel senso che tali onde rimangono ferme, e la loro ampiezza di oscillazione è funzione solo del tempo. TIMBRO O METALLO Una sorgente sonora che vibra, raramente emette un solo tipo di vibrazioni, cioè un suono puro (diapason). In questo caso, si ha un insieme di vibrazioni più intense, dette vibrazioni fondamentali, e altri tipi di vibrazioni di minore intensità, dette armoniche secondarie. Quando una sorgente emette contemporaneamente vibrazioni fondamentali e secondarie, il suono percepito è evidentemente dovuto alla risultante di tutte queste vibrazioni, ed è disegnato in figura in neretto. Possiamo facilmente evincere che due suoni, emessi da due diverse sorgenti, pur avendo stesse intensità e altezza, non è detto che siano uguali, anzi, molto spesso, differiscono per la forma delle vibrazioni, come mostrano le due figure sottostanti. Il timbro o metallo è quel carattere, per mezzo del quale è possibile distinguere tra loro due suoni che differiscono solo per la forma delle vibrazioni che li originano. L’INTERFERENZA Consideriamo due sorgenti sonore S ed S1 che emettono suoni aventi la stessa intensità, frequenza e timbro. Se una retta r è situata a grande distanza dalle due sorgenti, le vibrazioni che giungono in punti differenti di essa possono essere considerate provenienti da una stessa direzione, e quindi facilmente componibili. Considerando alcuni punti sulla retta r, possiamo fare alcune osservazioni: 1) Ogni punto di r, tale che le sue distanze dalle due sorgenti differiscano di un numero dispari di mezze lunghezze d’onda, è un punto di interferenza negativa, nel quale non viene percepito alcun suono. 2) Ogni punto di r, tale che le sue distanze dalle due sorgenti differiscano di un numero intero di lunghezze d’onda, è un punto di interferenza positiva, nel quale il suono risulta rinforzato. 3) In tutti gli altri punti della retta, i suoni hanno intensità più o meno grande, a seconda della distanza dai punti di interferenza positiva e negativa. LA RISONANZA Consideriamo due diapason C e C1, che, se sottoposti a sollecitazioni, emettono vibrazioni della stessa frequenza. Se facciamo vibrare solo il diapason C, l’esperienza dimostra che , dopo poco tempo comincia a vibrare anche C1, pur non essendo stato direttamente sollecitato. A questo fenomeno si dà il nome di risonanza, e in particolare è proprio C1 che vibra per risonanza. Il fenomeno si spiega perché il mezzo di propagazione trasmette impulsi vibratori dal corpo C al corpo C1. In sostanza C1 riceve il primo impulso che causa l’allontanamento delle particelle del corpo dalla loro posizione di equilibrio. Esse poi ripercorrono la traiettoria in senso inverso, oltrepassando per inerzia la posizione di equilibrio, ed allontanandosene in senso opposto al precedente. Ad un certo punto le reazioni elastiche provocano una nuova inversione del moto, e le particelle, ripassando nuovamente per la posizione di equilibrio, ricevono il secondo impulso, che si somma con la quantità di moto che le stesse posseggono ancora per inerzia, provocando così un’oscillazione di ampiezza maggiore della precedente. L’ampiezza delle vibrazioni aumenta progressivamente finché le stesse raggiungono un’intensità udibile. e i due corpi non fossero identici, il fenomeno della risonanza non avrebbe luogo. RIPRODUZIONE DEI SUONI I suoni possono essere riprodotti mediante dispositivi che basano il loro funzionamento sulla reversibilità del fenomeno sonoro. Ciò è stato realizzato per la prima volta da Edison mediante il suo famoso fonografo. Questo strumento è costituito da una membrana elastica M, unita mediante un sistema di leve L ad una puntina P molto dura appoggiata su un disco d ruotante con velocità angolare costante. Mettendo una sorgente sonora davanti ad M, ad esempio una persona che parla o conta, la membrana comincia a vibrare, trasmettendo le sue vibrazioni alla puntina, la quale incide sul disco un solco ondulato. La profondità del solco varia a seconda dell’intensità della vibrazione. e si obbliga la puntina a ripercorrere il solco precedentemente inciso, il sistema di leve conferisce alla membrana le stesse vibrazioni che le erano state conferite dalla sorgente sonora. ESERCIZI 1) Un osservatore durante un temporale, vede un lampo e, dopo 10s, sente il rumore del tuono. A quale distanza si trova il lampo? Si consideri la velocità di propagazione del suono di 340m/s. [3400m] 2) La superficie libera dell’acqua di un pozzo si trova a 20m sotto il livello del suolo. Se si lascia cadere un sasso nel pozzo, dopo quanto tempo si sente il rumore dovuto all’impatto del sasso con l’acqua? Si consideri l’accelerazione di gravità di 10m/s2 e vel. suono 340m/s. [2,059s] 3) Da una sorgente sonora, immersa nell’acqua, viene emesso un segnale acustico. Se la velocità di propagazione del suono è di 1500m/s, dopo quanto tempo tale segnale giunge ad un ricevitore immerso nell’acqua e situato a 900m dalla sorgente? [0,6s] 4) Viene sparato un colpo di fucile in una certa direzione r. Un osservatore si trova a 68m dal fucile e a 10m dalla retta r. Il proiettile viaggia alla velocità di 800m/s, con moto rettilineo uniforme, mentre il suono si propaga alla velocità di 340m/s. Qual è la distanza tra l’osservatore e il proiettile, nell’istante in cui egli sente il colpo di fucile? [93,27m] 5) Due cacciatori, distanti tra loro 50m, sparano nello stesso istante. Un osservatore si trova a 80m dal primo cacciatore e a 130m dal secondo. Calcolare l’intervallo di tempo che trascorre tra la percezione dei due spari da parte dell’osservatore. Si supponga la velocità del suono di 340m/s. [0,147s] 6) Calcolare la lunghezza d’onda nell’aria e nell’acqua di un suono emesso da una sorgente che vibra con la frequenza di 104 Hz. Si supponga la velocità del suono nei due mezzi di 340m/s e di 1500m/s. [3,4cm ; 15cm] 7) Calcolare la velocità di propagazione del suono, sapendo che la sua lunghezza d’onda è di 10cm e la sua frequenza è di 15*103 Hz. [1500m/s] 8) Una sorgente sonora, che vibra con la frequenza di 6000Hz, si muove verso un osservatore con una velocità costante di 40m/s. Quale frequenza percepisce l’osservatore? Si consideri la velocità del suono di 340m/s. Se l’osservatore si muove verso la sorgente sonora con velocità costante di 40m/s, quale frequenza percepisce? [688Hz, 6705,88Hz] 9) Sapendo che la potenza emessa da una sorgente sonora è 2W, calcolare l’intensità del suono a 100m da essa. [159*10–7 W/m2] CAPITOLO 31 L’OTTICA LE SORGENTI DI LUCE Parleremo innanzitutto di sorgenti di luce, che sono quei corpi che emettono radiazioni capaci di eccitare il nervo ottico del nostro occhio. Bisogna distinguere sorgenti vere e proprie da corpi che, invece non emettono luce propria ma la riflettono semplicemente, come ad esempio le pareti di una stanza, la luna e pianeti in genere. Ogni corpo è capace di emettere luce se viene portato ad una temperatura sufficientemente elevata (dai 600 gradi in su). Esistono corpi che si lasciano attraversare dalla luce e che si chiamano trasparenti, come ad esempio il vetro, altri che non vengono attraversati, come i corpi opachi, ed altri che assumono un comportamento intermedio, detti traslucidi, come carta o stoffa. LA PROPAGAZIONE DELLA LUCE La luce, a differenza del suono, si propaga anche nel vuoto e in linea retta. Dicesi raggio luminoso un sottilissimo fascio di luce, rappresentato mediante una retta che indica la direzione in cui si propaga la luce emessa da una sorgente. In sostanza una sorgente luminosa e molto piccola può essere vista come un centro da cui partono infiniti raggi luminosi rettilinei, come viene mostrato in figura. A riprova della propagazione rettilinea della luce, possiamo considerare l’ombra che un corpo opaco illuminato forma dietro di sé. La zona di spazio dietro l’oggetto viene detta cono d’ombra, e ciò accade se la sorgente è puntiforme, mentre se la stessa non dovesse esserlo, abbiamo anche una zona di penombra, come si vede in figura. Un altro semplice fenomeno dovuto alla propagazione rettilinea della luce, si osserva con la camera oscura, che non è altro che una scatola chiusa in ogni lato e avente un forellino su una delle facce. i può osservare, in questo caso che l’immagine dell’oggetto luminoso viene proiettata sulla faccia opposta, risultando capovolta. LA VELOCITÀ DELLA LUCE I tentativi di misurare la velocità della luce sono stati diversi, ma sicuramente il valore più attendibile si attesta a circa 313000 Km/s che è un valore molto vicino alla realtà. Nell’aria, che è un mezzo trasparente, la velocità della luce è di poco inferiore al valore visto, mentre in altri mezzi trasparenti solidi, come acqua e vetro, la velocità diviene sensibilmente inferiore. L’esperienza ci dimostra che un corpo illuminato si riscalda e da ciò possiamo dedurre che la luce porta con se energia, che in parte viene assorbita dal corpo illuminato. Quanto detto ci porterebbe a misurare l’intensità luminosa in watt, ma in molti problemi pratici, ciò che ci interessa è la sensazione che il nostro occhio prova quando viene colpito dalla luce. Per questo motivo l’unità di misura dell’intensità della luce viene considerato la candela, che è pari ad 1/60 della radiazione emessa da 1cm2 di superficie totalmente assorbente portata alla temperatura di fusione del platino. Il confronto tra le intensità di due sorgenti viene fatta mediante strumenti detti fotometri, e con il loro utilizzo si può determinare la cosiddetta legge delle distanze: Le intensità luminose di due sorgenti che provocano una uguale illuminazione su uno schermo, sono proporzionali ai quadrati delle rispettive distanze dallo schermo: LA NATURA DELLA LUCE Esistono in natura fenomeni che sembrano farci intendere che la luce è formata da corpuscoli, ma in altre situazioni osserviamo che la stessa si comporta come un onda. Intorno a questo problema si è svolta una lunga controversia che è certamente una delle più interessanti che sin siano verificate nella storia della scienza. Dal 1600 in poi cominciò a consolidarsi l’idea, già preannunciata da Leonardo Da inci, che luce può essere spiegata attraverso la teoria ondulatoria. L’ottica che si serve solo di leggi puramente geometriche si dice Ottica Geometrica, mentre l’ottica che utilizza la teoria appena vista, si chiama Ottica Fisica. LA RIFLESSIONE Consideriamo un raggio di luce che colpisce una superficie riflettente, come ad esempio uno specchio. Il raggio incidente, dopo aver colpito la superficie speculare, che supporremo perfettamente liscia, rimbalza indietro, diventando raggio riflesso. Sulla figura indichiamo con n la retta perpendicolare (o normale) al piano nel punto in cui il raggio incidente incontra la superficie. Possiamo enunciare le leggi della riflessione: 1° legge: il raggio incidente, il raggio riflesso e la retta normale alla superficie giacciono tutte sullo stesso piano. 2° legge: l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione. RIFLESSIONE SU UNO SPECCHIO PIANO Consideriamo una sorgente di luce puntiforme posta vicino ad una superficie speculare piana, e consideriamo due qualunque raggi di luce che partono da essa. Questi raggi, in base alle leggi già enunciate nel precedente paragrafo, diventano raggi riflessi. e poniamo l’occhio ad una certa distanza dalla superficie, esso in maniera automatica, a causa della sua caratteristica, tende a cercare il punto di incontro di questi raggi, ricostruendo l’immagine dietro lo specchio, la quale è un’immagine virtuale, poiché i raggi raccolti dall’occhio non passano effettivamente in ’, punto nel quale passano solo i prolungamenti di tali raggi, che vanno a finire dietro lo specchio. L’immagine risulta simmetrica a ’ rispetto allo specchio. Bisogna fare una doverosa distinzione tra immagine virtuale e immagine reale. Infatti, in base a quanto detto, possiamo dire che l’immagine virtuale è costituita solo dai prolungamenti dei raggi, mentre quella reale è costituita dai raggi veri e propri. SPECCHI SFERICI CONCAVI Gli specchi sferici, sono specchi curvi che hanno la proprietà di produrre immagini non deformate degli oggetti, e tali specchi possono essere concavi o convessi. Considerando il primo caso, mandiamo una serie di raggi paralleli contro uno specchio, applicando loro le ben note leggi della riflessione. Si osserva che i raggi riflessi si concentrano tutti in un punto particolare detto fuoco (F), il quale si trova sull’asse, all’incirca nel punto di mezzo tra il centro C e il vertice V dello specchio. ediamo ora come si costruisce l’immagine di un oggetto mediante uno specchio concavo, e distinguiamo tre casi: 1) L’oggetto si trova oltre il centro dello specchio: l’immagine risulta rimpicciolita, tra il fuoco e il centro, capovolta e reale, poiché è formata da raggi convergenti. 2) L’oggetto si trova tra fuoco e centro: l’immagine risulta ingrandita, capovolta, oltre il centro e reale. 3) L’oggetto si trova tra fuoco e specchio: l’immagine si forma dietro lo specchio, ingrandita, dritta e virtuale. SPECCHI SFERICI CONVESSI Per uno specchio convesso, i raggi riflessi sono sempre divergenti, dando luogo ad immagini virtuali. Anche il fuoco è virtuale e si trova dietro lo specchio. L’immagine risulta dietro lo specchio, diritta, rimpicciolita e posta tra fuoco e specchio. INVERTIBILITÀ DEL CAMMINO OTTICO. I PUNTI CONIUGATI Consideriamo una sorgente puntiforme S e un suo raggio luminoso che vada contro uno specchio sferico concavo, e dove a è il raggio incidente e a’ il raggio riflesso. Se ora poniamo la sorgente S su un punto di a’, il raggio riflesso coinciderà con a. l’esempio si comprende meglio se consideriamo diversi raggi uscenti da S. Questi, dopo essere stati riflessi vanno a formare in A’ l’immagine di S. Se ora in A’ poniamo la sorgente, la sua nuova immagine va a formarsi nel punto A. questo è il principio dell’invertibilità della propagazione delle radiazioni ottiche ed è una diretta conseguenza della propagazione rettilinea di tali radiazioni. I punti A ed A’ si chiamano punti coniugati e per essi, i raggi che escono da uno convergono nell’altro. Se rifacciamo il disegno, mettendo in evidenza le distanze p e p’, avremo che tra esse e la distanza focale f sussiste la seguente relazione: tale formula, detta dei punti coniugati, permette di sapere a che distanza dal vertice dello specchio si forma l’immagine, conoscendo quella dell’oggetto e la distanza focale. LA RIFRAZIONE La rifrazione è un fenomeno che si verifica quando un raggio di luce che viaggia in mezzi trasparenti, passa da un mezzo all’altro, come ad esempio dall’aria all’acqua. Una parte del raggio viene riflesso, seguendo le leggi della riflessione, e una parte entra nell’acqua formando un raggio detto rifratto e ottenendo con la normale un angolo di incidenza i e un angolo di riflessione r. L’esperienza dimostra che se il raggio luminoso passa da un mezzo meno denso ad uno più denso, l’angolo di rifrazione risulta minore di quello di incidenza, cioè r > i, mentre se accade il contrario, avremo r > i. Anche la rifrazione, come la riflessione, è regolata da due leggi: 1° legge: il raggio incidente, il raggio rifratto e la retta normale alla superficie di separazione dei due mezzi giacciono sullo stesso piano. 2°legge: il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di rifrazione è una costante che dipende dai due mezzi. Tale rapporto n, si dice indice di rifrazione relativo dei due mezzi: Se uno dei due mezzi è rappresentato dal vuoto, e da esso proviene il raggio incidente, allora il valore di n rappresenta l’indice di rifrazione assoluto del mezzo. Nel caso in cui, invece, i raggi entrino nell’aria provenendo dal vuoto, essi non subiscono alcuna deviazione e perciò i = r e il valore di n è 1. La differenza di ampiezza negli angoli dipende dal fatto che la luce cambia velocità quando cambia il mezzo di propagazione. Il massimo della velocità si ha nel vuoto e nei gas, mentre nell’acqua, nel vetro o diamante essa risulta inferiore. A titolo di esempio, se consideriamo il vetro, che ha indice di rifrazione n = 1,5, la velocità della luce nel vetro sarà: / , / RIFLESSIONE TOTALE Consideriamo una sorgente puntiforme nell’acqua e varie raggi che dalla stessa escano nell’aria. Questi vengono rifratti fino a che l’angolo di incidenza ha un valore tale che il raggio rifratto risulta parallelo alla superficie dell’acqua. Tale angolo si chiama angolo limite, e se l’angolo di incidenza è maggiore di esso, la rifrazione non si verifica più, ma solo la riflessione. Questo fenomeno si chiama riflessione totale. Occorre sottolineare che, se il raggio incidente è perpendicolare alla superficie di separazione dei due mezzi, non si ha rifrazione e il raggio stesso prosegue senza cambiare direzione. RIFRAZIONE DI UN PRISMA Mandiamo un raggio di luce monocromatica ad incidere una faccia di un prisma di vetro a sezione triangolare. Come si vede dalla figura, questo raggio subisce due rifrazioni, e la direzione del raggio di uscita forma con quello di entrata un certo angolo detto angolo di deviazione, la quale avviene sempre verso la base del prisma. Questo fatto sarà utili per spiegare il comportamento delle lenti sferiche. LENTI SFERICHE Le lenti sferiche sono corpi rifrangenti limitati da superfici sferiche, ed hanno la proprietà di produrre, senza sensibili deformazioni, immagini ingrandite o rimpicciolite di oggetti esterni. Le due superfici sferiche possono anche avere raggio diverso, in valore e in segno, anzi una delle due superfici può avere raggio infinito, divenendo così un piano. Le lenti sono essenzialmente di due tipi: 1) Lenti convergenti: esse fanno convergere in un unico punto un fascio di raggi paralleli che le colpisce ed esse sono più spesse al centro rispetto al bordo. 2) Lenti divergenti: esse fanno divergere un fascio di raggi paralleli e sono più sottili al centro. Si chiama asse di una lente, la retta che passa per i centri delle superfici sferiche. Un raggio di luce che colpisce la superficie di una lente, subisce due volte la rifrazione e la deviazione avviene sempre verso la parte più spessa della lente. Vediamo la costruzione di immagini di oggetti posti ad una certa distanza da una lente convergente. L’oggetto luminoso è rappresentato da una freccia e la costruzione delle immagini viene fatta mediante due raggi che partono dalla sommità della freccia, e sono uno parallelo all’asse ottico e l’altro passante per il centro della lente. Anche per le lenti distinguiamo due casi tipici: 1) L’oggetto si trova ad una distanza maggiore della doppia distanza focale. L’immagine è reale, oltre la lente tra il fuoco e il centro, capovolta e rimpicciolita. 2) La sorgente è posta tra il fuoco e il centro. L’immagine è reale, oltre il centro, capovolta e ingrandita. 3) La sorgente è posta tra lente e fuoco. L’immagine è virtuale, quindi visibile dall’occhio, diritta, ingrandita, e si forma oltre il centro della lente dalla stessa parte dell’oggetto. Per la costruzione dell’immagine con lenti convergenti, ci riferiamo solo alle lenti biconcave, precisando che i risultati mantengono la loro validità anche per gli altri tipi di lenti divergenti. Qualunque sia la posizione della sorgente, l’immagine è sempre virtuale, essendo localizzata dove si incontrano a prolungamenti dei raggi rifratti, diritta, rimpicciolita e si trova dalla stessa parte dell’oggetto. Come per gli specchi sferici, anche per le lenti vale la legge dei punti coniugati, già vista in precedenza, con l’unica differenza che per un dato valore p positivo, si ha p’ positivo se l’immagine si forma dall’altra parte della lente, mentre p è negativo se l’immagine si forma dalla stessa parte della sorgente. Per le lenti divergenti la distanza focale è sempre negativa. Per gli specchi sferici e per le lenti, esiste una formula generale che permette di calcolare l’ingrandimento G, cioè il rapporto tra le dimensioni dell’immagine e dell’oggetto: ESERCIZI 1) Due specchi piani formano un angolo diedro di 40°. Se si pone davanti ad essi un oggetto, quante immagini si osservano? [8] 2) Sapendo che due specchi ad angolo danno 5 immagini di un oggetto, calcolare l’ampiezza dell’angolo. [60°] 3) Uno specchio sferico concavo ha una distanza focale di 40cm. Se sul suo asse ottico principale, a distanza di 2m dal vertice, si pone un oggetto, a quale distanza dallo specchio e dal suo centro di curvatura si forma l’immagine? [0,5m ; 0,3m] 4) Ponendo un oggetto sull’asse ottico principale di uno specchio sferico concavo, a distanza di 1m dal vertice, risulta che l’ingrandimento lineare dell’immagine è uguale ad 1. Calcolare la distanza focale dello specchio e la distanza dell’immagine dall’oggetto. [0,5m ; 1m] 5) Uno specchio sferico concavo ha una distanza focale di 40cm. Sapendo che l’immagine di un oggetto, posto sull’asse ottico principale, si forma a 50cm dal vertice, calcolare la distanza dell’oggetto dal vertice ed il valore dell’ingrandimento lineare. [2m ; 0,25] 6) Di un oggetto, posto sull’asse ottico principale di uno specchio sferico concavo, a distanza di 30cm dal vertice, si osserva un’immagine il cui ingrandimento lineare è 1,5. Calcolare la distanza focale dello specchio e la distanza dell’immagine dal vertice dello specchio. [0,18m ; 0,45m] CAPITOLO 32 L’OCCHIO E GLI STRUMENTI OTTICI L’occhio è l’organo che consente la ricezione luminosa ed è capace di trasformare le onde luminose in impulsi i quali, trasmessi dai nervi al cervello, vengono da questi ultimi elaborati, consentendoci di vedere le immagini. L’occhio è circondato da una membrana opaca bianca molto resistente, detta sclera, la quale nella parte anteriore diviene trasparente, prendendo così il nome di cornea. Un’altra membrana detta coroide, riveste internamente la sclera fino ai margini della cornea, impedendo alle radiazioni ottiche di penetrare all’interno del bulbo oculare. Nella parte anteriore, la coroide termina con il corpo ciliare e con l’iride, che presenta al centro un’apertura circolare, chiamata pupilla, il cui diametro varia in funzione dell’intensità della luce esterna. Tra la cornea e l’iride si trova uno spazio riempito di liquido, chiamato umor acqueo, mentre dietro l’iride si trova il cristallino, avente forma di lente biconvessa. L’interno del bulbo oculare è pieno di una sostanza gelatinosa molto trasparente detta umor vitreo. La membrana che riveste la parte interna del bulbo, detta retina, è quella su cui si formano le immagini e ad essa fanno capo le espansioni del nervo ottico, dette coni e bastoncelli, dove i secondi sono cellule sensibili all’intensità delle radiazioni, mentre i primi sono cellule sensibili ai colori. Entrambe le cellule citate, convertono gli impulsi luminosi in impulsi nervosi che vengono trasmessi al cervello tramite il nervo ottico. Infine troviamo la fovea, che rappresenta la zona della visione distinta. L’occhio umano si comporta come una lente convergente, la cui distanza focale è di circa 17 mm e cade sulla retina, dove si formano le immagini degli oggetti esterni. Poiché la distanza degli oggetti non è costante, è evidente che la messa a fuoco delle immagini richiede un accomodamento da parte dell’occhio, e la distanza che richiede un accomodamento meno faticoso è di 25 cm. Le immagini che si formano sulla retina risultano reali, capovolte e rimpicciolite. La messa a fuoco è regolata dal cristallino, capace di gonfiarsi e sgonfiarsi sotto lo stimolo esterno. Con l’avanzare dell’età il cristallino tende ad indurirsi e perde elasticità, non riuscendo più a mettere a fuoco oggetti vicini, causando la presbiopia. Tale difetto si corregge con un’opportuna lente convergente menisco concava. La mancanza di messa a fuoco può dipendere anche da malformazioni dell’occhio, causando spesso la visione di immagini sfocate. Tale difetto si chiama miopia, che causa una cattiva osservazione di oggetti lontani e una buona immagine di oggetti vicini. La miopia si corregge con un’ opportuna legge divergente capace di riportare il fuoco sulla retina. Altro difetto abbastanza diffuso è l’astigmatismo, dovuto al fatto che la cornea presenta diversi raggi di curvatura e le immagini risultano molto confuse. Tale problema si corregge con l’utilizzo di lenti a forma cilindrica. IL PROIETTORE DI DIAPOSITIVE Una lampada ad alta intensità luminosa si trova sul fuoco di una prima lente C, dopo la quale viene posta la diapositiva, seguita da un’altra lente O, avente distanza focale più lunga di C e che provvede a fornire sullo schermo S un’immagine reale , capovolta e ingrandita: Naturalmente la diapositiva capovolta deve trovarsi ad una distanza da O compresa tra quella focale e la doppia distanza focale. I MICROSCOPI SEMPLICE E COMPOSTO Il microscopio semplice è costituito da un’unica lente convergente e corrisponde al terzo caso trattato a pag.148 sulle leggi convergenti. Il microscopio composto è, invece, costituito da due lenti convergenti sistemate come in figura: La lente L1 genera l’immagine A’ – B’, ma i raggi chela formano vengono poi rifratti dalla lente L2 fino a raggiungere l’occhio, il quale segue i prolungamenti di tali raggi fino ad osservare l’immagine A’’ – B’’ notevolmente ingrandita rispetto all’oggetto A – B. IL CANNOCCHIALE Anche il cannocchiale è composto da due sistemi convergenti di lenti detti oculare (Oc) e obbiettivo (Ob). L’immagine dell’obbiettivo si forma tra l’oculare e il suo fuoco e così si ottiene un’immagine finale virtuale, capovolta e ingrandita rispetto all’oggetto: OTTICA FISICA E NATURA ONDULATORIA DELLA LUCE Le onde luminose a differenza di quelle acustiche, non sono di natura elastica e quindi non necessitano di un mezzo materiale per propagarsi. Nello studio della rifrazione abbiamo sempre considerato la luce monocromatica, cioè di un solo colore; infatti solo in questo caso, nel secondo mezzo trasparente si propaga un solo raggio rifratto. Se però noi inviassimo un raggio di luce bianca, otterremmo diversi piccoli fasci rifratti di luce di diverso colore. Questo fenomeno della dispersione del colore fu studiato da Newton e una delle esperienze fatte consiste nel inviare un fascio di luce bianca sulla faccia di un prisma di vetro; a questo punto, su uno schermo posto dietro il prisma si possono osservare zone di vario colore formanti una striscia luminosa, detta spettro. La frequenza, il periodo e la lunghezza d’onda delle onde luminose si definiscono in modo analogo a quanto fatto per le onde elastiche. La frequenza f è il numero delle vibrazioni al secondo dell’onda elettromagnetica, ed essa è l’inverso del periodo, cioè del tempo impiegato a compiere una vibrazione completa. La lunghezza d’onda è la distanza percorsa dall’onda in un determinato periodo.