LA DEDUZIONE NATURALE 1. Introduzione Abbiamo introdotto

LA DEDUZIONE NATURALE
CARLO TOFFALORI
1. Introduzione
Abbiamo introdotto nella Logica Proposizionale due operatori |= e ` che collegano
formule α e insiemi S di formule. In dettaglio diciamo che
• S |= α (da leggersi α è conseguenza di S) se e solo se ogni valutazione v che
soddisfa S soddisfa anche α,
• S ` α (da leggersi α è dimostrabile da S) se e solo se esiste una dimostrazione
(o deduzione) di α a partire da S, cioè una sequenza finita α0 , α1 , . . . , αt di
formule tali che αt coincide con α e, per ogni i ≤ t, αi sta in S, oppure è
un “assioma”, oppure si ottiene da formule precedenti tramite una “regola di
deduzione”.
Tuttavia nella seconda definizione dobbiamo ancora precisare che cosa sia un assioma
o una regola di deduzione. Abbiamo solo anticipato che gli uni e le altre si possono
elencare esplicitamente in modo che valga il Teorema di Completezza:
Teorema 1.1. Per S e α come sopra, S |= α se e solo se S ` α.
La precedente affermazione si suddivide in realtà in due parti: per un’opportuna
scelta di assiomi e regole di deduzione
• se S ` α allora S |= α, ovvero tutto quello che è dimostrabile è vero,
• viceversa, se S |= α, allora S ` α, ovvero tutto quello che è vero è anche
dimostrabile.
La prima proposizione si chiama propriamente correttezza e ci dice che l’assegnazione
di assiomi e regole di deduzione si fa in modo coerente, evitando di generare contraddizioni; la seconda è la completezza vera e propria e ci dice che la stessa assegnazione
si fa in modo da dimostrare tutto quello che è logicamente dimostrabile, in particolare
in modo da provare o confutare qualsiasi affermazione.
Analoghe considerazioni si sono condotte nella Logica del Primo Ordine. Stavolta
abbiamo preferito concentrare la nostra attenzione su enunciati di un fissato linguaggio L. Dunque S è un insieme di questi enunciati e α un singolo enunciato. Si
introducono ancora gli operatori |= e ` tra S e α, con significato simile al precedente
ma adattato alla nuova logica. In dettaglio diciamo che
• S |= α (da leggersi ancora α è conseguenza di S) se e solo se ogni modello A
che soddisfa S soddisfa anche α,
• S ` α (da leggersi ancora α è dimostrabile da S) se e solo se esiste una
dimostrazione (o deduzione) di α a partire da S, da intendersi nuovamente
come una sequenza finita α0 , α1 , . . . , αt che ha le stesse proprietà del caso
proposizionale ma stavolta è composta da enunciati di L.
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Anche in questo caso abbiamo promesso di fissare assiomi e regole di deduzione che
rendano comprensibile la seconda definizione e, soprattutto, permettano nuovamente
di affermare un Teorema di Completezza.
Teorema 1.2. Per S insieme di enunciati di L e α enunciato di L, S |= α se e solo
se S ` α.
Come nel caso proposizionale dobbiamo a rigore distinguere due diverse affermazioni:
• la prima che, se S ` α allora S |= α, ovvero tutto quello che è dimostrabile è
vero,
• la seconda che, se S |= α, allora S ` α, ovvero tutto quello che è vero è anche
dimostrabile.
La prima affermazione corrisponde alla correttezza della Logica del Primo Ordine, la
seconda alla sua completezza propriamente detta.
La Deduzione Naturale costituisce un sistema di assiomi e regole di deduzione che
rendono validi questi risultati sia nel caso proposizionale che in quello del primo ordine. In effetti non prevede alcuna assioma e basa ogni dimostrazione semplicemente
su opportune regole di deduzione. È per questo motivo che si chiama, appunto, naturale, a sottolineare la rinuncia ad assiomi (ognuno di essi si può in qualche modo
ritenere come un dogma e in questo senso una forzatura) e il semplice ricorso a regole
di ragionamento.
Esprimeremo le varie regole della Deduzione Naturale adoperando la seguente notazione: per β0 , . . . , βs e γ rispettivamente formule della Logica Proposizionale o
enunciati di un linguaggio L della Logica del Primo Ordine, scriviamo
β0 , . . . , βs
γ
a significare che la regole permette di dedurre γ da β0 , . . . , βs .
2. La deduzione naturale nel caso proposizionale
Le regole che proponiamo sono 11. Le indichiamo (R.i) con i che va, appunto,
da 1 a 11. Otto di esse si riferiscono ai quattro connettivi ¬, ∧, ∨ e → spiegando,
per ciascuno di essi, come talora eliminarlo e talora introdurlo. Si chiamano allora,
rispettivamente, eliminazione e introduzione del connettivo in questione. Le altre tre
regole riguardano invece la struttura di una dimostrazione: autorizzano a impiegare
alcuni procedimenti assolutamente ragionevoli per svilupparle e, possibilmente, accelerarle. Iniziamo con un primo gruppo di 6 regole, la prima strutturale, le altre di
eliminazione o introduzione di connettivi.
(1) R(1) - o regola della premessa - autorizza ad assumere una qualche ipotesi
per avviare la deduzione.
(2) R(2) - la eliminazione di ∧ - dice che dalla congiunzione di due formule si può
dedurre ognuna delle due formule, dunque, per α e β formule,
α∧β
α∧β
,
.
α
β
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(3) Al contrario R(3) - la introduzione di ∧ - dice che, sulla base di premesse
costituite da due formule α e β si può dedurre la congiunzione delle due
formule:
α, β
.
α∧β
(4) La successiva (R.4) - la eliminazione di → - è nota anche come regola del
taglio o col nome classico di modus ponens; afferma che, da due premesse, la
prima atta a stabilire una formula α e la seconda ad assicurare che α implica
β, si può dedurre β: dunque
α, α → β
.
β
(5) R(5) - la introduzione di ∨ - autorizza a dedurre da una formula la sua disgiunzione con qualunque altra formula: per α e β formule,
α
.
α∨β
(6) Al contrario R(6) - la eliminazione di ∨ - stabilisce che, se si afferma la
disgiunzione di due formule ma si nega una delle due, allora si può sempre
dedurre l’altra: ovvero, per α e β formule,
α ∨ β, ¬α
α ∨ β, ¬β
,
.
β
α
Gli esempi che seguono propongono alcune semplici deduzioni che utilizzano questa
prima serie di regole.
Esempi 2.1. Nel seguito α, β, γ, δ indicano formule proposizionali.
(a) Proviamo anzitutto che
{α ∧ (β → γ), α → β} ` γ.
Ecco la relativa dimostrazione.
(1) α ∧ (β → γ) (accettata come premessa in base a (R.1)),
(2) α → β (nuova premessa, sempre da (R.1)),
(3) β → γ (eliminazione di ∧, cioè (R.2), applicata a (1),
(4) α (stesso motivo)
(5) β (per l’eliminazione di → (R.4), applicata stavolta a (2) e (4)),
(6) γ (ancora per l’eliminazione di →, ovvero (R.4), applicata a (3) e (5)).
(b) Vediamo adesso che, per ogni scelta di formule α, β, γ e δ,
{(α ∧ β) → γ), α → β, α} ` γ ∨ δ.
Ecco la relativa dimostrazione.
(1) (α ∧ β) → γ) (premessa, (R.1)),
(2) α → β (altra premessa, sempre (R.1)),
(3) α (terza premessa, ancora per (R.1)),
(4) β (eliminazione di →, cioè (R.4), applicata a 2 e 3),
(5) α ∧ β (introduzione di ∧, cioè (R.3), basata su 3 e 4),
(6) γ (eliminazione di →, ovvero (R.4), applicata a 1 e 5),
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(7) γ ∨ δ (introduzione di ∨, ovvero (R.6), da 6).
Riprendiamo il nostro elenco di regole. Ne proponiamo altre quattro. La prima
strutturale autorizza ad aprire ed esaminare all’interno di una dimostrazione alcuni
casi particolari. Le due successive, che sulla precedente si fondano, spiegano come
eliminare o introdurre la negazione ¬. L’ultima regola si basa ancora sulla prima del
questo gruppo e ci spiega in dettaglio come introdurre →.
(7) R(7) - o regola della importazione - permette di iniziare una parentesi entro la
quale si assumono ipotesi particolari e si indaga quanto se ne può dedurre. In
questa parentesi è lecito importare come ipotesi le formule generali ottenute
prima di aprirla.
(8) R(8) - la eliminazione di ¬ - dice che, se si apre una parentesi con una
negazione ¬α e da questa con (R.7) si ottiene una contraddizione, ovvero
tanto una formula β quanto la negazione ¬β, allora si può chiudere la parentesi e dedurre in generale α.
(9) La successiva regola R(9) - o introduzione di ¬ - è del tutto analoga e dice
che, se si apre una parentesi con una formula α e da questa con (R.7) si arriva
a una contraddizione, ovvero tanto a una formula β quanto alla negazione ¬β,
allora si può chiudere la parentesi e dedurre in generale ¬α.
(10) Finalmente (R.10) - la introduzione di → - afferma che, se all’interno di una
parentesi si deduce una formula β da una premessa α, allora all’esterno della
parentesi è lecito dedurre α → β.
Ecco altri esempi, che illustrano queste nuove regole, insieme ovviamente a quelle
precedenti.
Esempi 2.2. Nel seguito α, β, γ continuano a denotare formule proposizionali arbitrarie.
(a) Proviamo anzitutto che
{α → β, ¬β} ` ¬α.
Ecco la relativa dimostrazione.
(1) α → β (premessa, (R.1)),
(2) ¬β (ancora premessa, (R.1)).
(3) Si apre ora una parentesi con l’uso di (R.7).
(3.1) α (è il caso particolare che si vuole esaminare),
(3.2) α → β (si importa all’interno della parentesi, grazie a (R.7), questa
formula dimostrata in precedenza),
(3.3) β (eliminazione di →, ovvero (R.4), applicata alle due formule
precedenti),
(3.4) ¬β (formula importata nella parentesi, sempre per (R.7): si noti
che all’interno della parentesi si raggiunge in questo modo una contraddizione, costituita dalle ultime due formule; questo autorizza
a chiudere la parentesi e dedurre all’esterno la negazione della sua
premessa, ovvero ¬α),
(4) ¬α (appunto).
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(b) Vediamo adesso che ` ¬(α ∧ ¬α) (senza bisogno di ricorrere a nessuna premessa). Ecco la relativa dimostrazione.
(1) Si apre subito una parentesi con
(1.1) α ∧ ¬α ((R.7)).
(1.2) Si prosegue con α (eliminazione di ∧, ovvero (R.3) dalla formula
precedente),
(1.3) ¬α (stesso motivo: si noti che in questo modo si raggiunge una
contraddizione all’interno della parentesi, e questo autorizza a chiudere la parentesi stessa e dedurre all’esterno la negazione della sua
premessa).
(2) ¬(α ∧ ¬α) (che è quel che volevamo).
(c) Proviamo adesso che {α → β} ` ¬β → ¬α}.
(1) α → β (premessa, (R.1)).
(2) Si apre ora una parentesi con (R.7).
(2.1) ¬β: l’idea è di dedurre all’interno della parentesi ¬α in modo da
poter ottenere fuori della parentesi la formula cercata ¬β → ¬α;
per far questo si apre un’ulteriore parentesi con l’ipotesi α, nella
speranza di dedurne una contraddizione e affermare in questo modo
¬α).
(2.1.1) α ((R.7), come già spiegato),
(2.1.2) α → β (importazione di formula precedente, esterna alla parentesi)
(2.1.3) β (eliminazione di →, ovvero (R.4)),
(2.1.4) ¬β (di nuovo importazione di formula precedente esterna; si
giunge in questo modo alla contraddizione cercata).
(2.2) ¬α (come già spiegato)
(3) ¬β → ¬α (uso di (R.10) già illustrato).
Vale la pena di confrontare il primo e l’ultimo degli esempi appena proposti. In
entrambi si parla di due formule α e β, ma
• nel primo si sostiene che {α → β, ¬β} ` ¬α,
• nel secondo che {α → β} ` ¬β → ¬α.
Si noti allora il diverso ruolo di ¬β, che nel primo caso rientra tra le ipotesi e nel
secondo costituisce la premessa di una implicazione. Le due deduzioni sono corrette
e come tali equivalenti. Ma in realtà i due risultati illustrano un teorema generale,
che si chiama di deduzione e asserisce quanto segue.
Teorema 2.3. Siano α0 , . . . , αs , α e β formule arbitrarie allora sono equivalenti le
affermazioni:
• {α0 , . . . , αs , α} ` β,
• {α0 , . . . , αs } ` α → β.
Passiamo adesso a illustrare l’ultima delle regola della Deduzione Naturale nel caso
proposizionale. Essa propone la ragionevolissima affermazione secondo cui in ogni
nuova dimostrazione si possono benissimo adoperare i risultati di quelle precedenti,
senza bisogno di ripetere ogni volta i dettagli.
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(11) (R.11) - o regola di derivazione - dice quindi che, se α0 , . . . , αs , α sono formule
e sappiamo {α0 , . . . , αs } ` α, allora possiamo utilizzare la deduzione
α0 , . . . , αs
.
α
Proseguiamo con gli esempi.
Esempi 2.4. Ci riferiamo sempre a formule arbitrarie α, β, γ, . . . della logica proposizionale.
(a) Proviamo anzitutto che {α → β, ¬α → β} ` β. Ecco la relativa dimostrazione.
(1) α → β (premessa, (R.1)),
(2) ¬α → β (ancora premessa, (R.1)).
(3) Si apre ora una parentesi.
(3.1) ¬β (è l’ipotesi particolare da cui muoviamo con (R.7)),
(3.2) α → β (importata all’interno della parentesi, ancora grazie a (R.7)),
(3.3) ¬β → ¬α (da (R.11) e da (3.2), sulla base di una dimostrazione
precedente),
(3.4) ¬α (con l’eliminazione di →, ovvero con (R.4), da (3.1) e (3.3)),
(3.5) ¬α → β (importata all’interno della parentesi, ancora grazie a
(R.7)),
(3.6) ¬β → ¬¬α (da (R.11) e da (3.5), ancora sulla base della stessa
dimostrazione precedente),
(3.7) ¬¬α (con l’eliminazione di →, ovvero con (R.4), da (3.1) e (3.6):
si noti che (3.7) contraddice (3.4)).
(4) β (eliminazione di ¬, ovvero (R.8), applicata alla precedente parentesi,
che si apre appunto con ¬β e porta alla contraddizione tra (3.4) e (3.7)).
(a)0 In riferimento ad (a), osserviamo che, grazie al teorema di deduzione, possiamo affermare più in generale che, se α0 , . . ., αs , α e β sono formule e
valgono
{α0 , . . . , αs , α} ` β, {α0 , . . . , αs , ¬α} ` β,
allora si ha addirittura
{α0 , . . . , αs } ` β
senza bisogno dell’intervento di α. Infatti vale
{α0 , . . . , αs , α} ` α → β,
{α0 , . . . , αs , α} ` ¬α → β,
dopo di che si può ricorrere all’esempio (a).
(b) Vediamo adesso che
{α → γ, β → γ} ` (α ∨ β) → γ.
Adottiamo la seguente strategia: assumiamo come ulteriore ipotesi separatamente prima α e poi ¬α e facciamo vedere che in entrambi i casi si deduce
(α ∨ β) → γ. Facciamo a questo punto affidamento su (a)0 per concludere
quanto desiderato. Per dirla in termini più precisi proviamo prima che
(b.1)
{α → γ, α} ` (α ∨ β) → γ
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(dunque a maggior ragione
{α → γ, β → γ, α} ` (α ∨ β) → γ),
poi che
(b.2)
{β → γ, ¬α} ` (α ∨ β) → γ
(dunque a maggior ragione
{α → γ, β → γ, ¬α} ` (α ∨ β) → γ).
Finalmente applichiamo (a)0 per mostrare che l’intervento di α è inessenziale.
Passiamo ai dettagli. Cominciamo da (b.1).
(1) α → γ ((R.1), premessa),
(2) α (altra premessa).
(3) Ora si apre una parentesi, volta ad applicare (R.10).
(3.1) α ∨ β,
(3.2) α → γ (importazione),
(3.3) α (ulteriore importazione),
(3.4) γ (eliminazione di → nelle due formule precedenti).
(4) Deduciamo con (R.10) che (α∨β) → γ. Questo conclude la dimostrazione
di (b.1).
Passiamo allora a (b.2).
(1) β → γ ((R.1), premessa).
(2) ¬α (seconda premessa).
(3) Ora si apre una parentesi volta ad applicare (R.10).
(3.1) α ∨ β,
(3.2) ¬α (importazione),
(3.3) β (eliminazione di ∨, ovvero applicazione di (R.6), nelle due formule
precedenti),
(3.4) β → γ (ancora importazione),
(3.5) γ (eliminazione di → nelle due formule precedenti).
(4) Deduciamo nuovamente con (R.10) (α ∨ β) → γ. Questo conclude la
seconda deduzione promessa e l’intera dimostrazione, secondo lo schema
anticipato.
(c) Proponiamo una deduzione molto più semplice, volta, come pure le successive,
a corroborare il teorema di completezza: intendiamo provare che ` α → α.
Si noti che, ovviamente, |= α → α, infatti una valutazione che soddisfa α
soddisfa α. Il punto è che le regole della deduzione naturale permettono, al
costo di qualche equilibrismo, di confermarlo anche per `.
(1) Si apre una parentesi con α e la si chiude subito.
(1.1) α.
(2) Lecito dedurne α → α.
(d) Proviamo che {α → β} ` ¬α ∨ β. Usiamo la seguente strategia, analoga
all’esempio (b): deduciamo cioè due volte di seguito ¬α∨β, la prima ricorrendo
all’ulteriore ipotesi α e la seconda al suo contrario ¬α; applichiamo poi (a)0 .
(1) α → β (premessa).
(2) Apriamo la parentesi con α.
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(e)
(f )
(g)
(h)
(i)
(2.1) α,
(2.2) α → β (importazione),
(2.3) β (eliminazione di → tra le due formule precedenti),
(2.4) ¬α ∨ β (introduzione di ∨).
(3) Apriamo adesso la parentesi con ¬α.
(3.1) ¬α,
(3.2) ¬α ∨ β (introduzione di ∨).
(4) Questo conclude la dimostrazione, secondo lo schema preannunciato.
Proviamo adesso che, viceversa, {¬α ∨ β} ` α → β.
(1) ¬α ∨ β (premessa).
(2) Apriamo adesso una parentesi con α, con l’intento di dedurne β e applicare (R.10) per dimostrare α → β.
(2.1) α,
(2.2) ¬α ∨ β (importazione),
(2.3) β (eliminazione di ∨).
(3) α → β (introduzione di →, come preannunciato).
I due precedenti esempi confermano tramite ` e la Deduzione Naturale la
equivalenza logica ben nota tra α → β e ¬α ∨ β.
In realtà nei passi (2.1) − (2.3) di (e) la eliminazione di ∨ non avviene esattamente come richiesto nella regola (R.6). Infatti ¬α ∨ β richiederebbe di
accompagnarsi a ¬¬α (la negazione di ¬α) e non a α per consentire di arrivare a β. Si potrebbe obiettare che la cosa è evidente, perchè ¬¬α e α
sono equivalenti (nel senso che ogni valutazione che crede alla prima crede
anche alla seconda, e viceversa). Ma, appunto, dobbiamo confermare questa
equivalenza tramite `, in altre parole controllare che ¬¬α dimostra α e viceversa. I prossimi due esempi sono dedicati a questo obiettivo. Servono anche
a sottolineare nuovamente come la Deduzione Naturale ottenga, sulla base di
regole relativamente semplici e intuitive, risultati che sono ben noti in base
alla definizione di verità nella Logica Proposizionale.
Proviamo prima che {¬¬α} ` α.
(1) ¬¬α (premessa).
(2) Apriamo adesso una parentesi con ¬α, col proposito di dedurne una
contraddizione e dunque, grazie all’eliminazione di ¬, arrivare ad α.
(2.1) ¬α (ipotesi)
(2.2) ¬¬α (importazione; si noti che a questo punto la contraddizione è
già raggiunta).
(3) α (da (R.8), come previsto).
Proviamo che, viceversa, {α} ` ¬¬α.
(1) α (premessa).
(2) Apriamo adesso una parentesi con ¬α, col proposito di dedurne una
contraddizione e dunque, con l’introduzione di ¬, arrivare a ¬¬α.
(2.1) ¬α (ipotesi)
(2.2) α (importazione; si noti che a questo punto la contraddizione è già
raggiunta).
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(3) ¬¬α (da (R.9), come previsto).
(l) L’ultimo esempio prova ` ¬α ∨ α per ogni α, conferma cioè con la Deduzione
Naturale il fatto ben noto che la formula in questione è valida (ovvero accettata da qualsiasi valutazione), per ogni scelta di α.
(1) α → α (usando (R.11) e il precedente esempio (c)).
(2) (α → α) → (¬α ∨ α) (ancora (R.11), in riferimento all’esempio (d)).
(3) ¬α ∨ α (eliminazione di → nelle due formule precedenti).
Per concludere il caso proposizionale proponiamo alcuni esercizi: chiediamo di
provare, per ogni scelta di formule proposizionali α e β, che
(1) ` α → (β → α),
(2) ` ¬α → (α → β),
(3) ` (α ∧ ¬α) → β,
(4) ` (α → ¬α) → ¬α,
(5) ` (α → β) → ((α → ¬β) → ¬α).
3. La deduzione naturale nel caso del primo ordine
Passiamo alla Deduzione Naturale per la Logica del Primo Ordine. In questo caso
• manteniamo le regole (R.1)-(R.11) elencate nel capitolo precedente nel caso
proposizionale, riferendole stavolta a formule del primo ordine in un fissato
linguaggio L,
• aggiungiamo poi quattro nuove regole, che riguardano i due quantificatori ∀
e ∃ e ci dicono come eliminarli oppure introdurli.
Passiamo allora e presentare le nuove quattro regole, che denotiamo con (D.i) con i
che varia da 1 a 4.
La prima regola (D.1) è la eliminazione di ∀. L’idea di base è la seguente: se v è
una variabile e α è una formula, allora da ∀v α possiamo dedurre che α è soddisfatta
da ogni elemento che specifica v. Ci riesce dunque utile la seguente notazione: per t
termine del linguaggio L,
• α[v/t] indica la formula che si ottiene da α sostituendo v con t in ogni sua
occorrenza libera.
Si noti che possiamo ragionevolmente assumere che v non ammetta occorrenze vincolate in α, ovvero che in α siano assenti ulteriori quantificatori ∀v oppure ∃v.
Esempi 3.1. Sia α la formula ∃w¬(v = w). Allora
• se t è una costante c di L, allora α[v/c] è ∃w¬(c = w),
• se t coincide proprio con v, allora α[v/v] è ∃w¬(v = w), ovvero coincide con
α,
• se t coincide con w, allora α[v/w] è ∃w¬(w = w),
• se t è una variabile u diversa da v e w, allora α[v/u] è ∃w¬(u = w).
Una prima versione grezza della regola di eliminazione di ∀ si potrebbe allora
esprimere come segue: per ogni formula α di L,
∀vα
.
α[v/t]
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Ma si vede abbastanza facilmente che una simile regola non è sempre corretta. Torniamo infatti agli esempi appena trattati.
Esempi 3.2. Supponiamo dunque nuovamente che α sia la formula ∃w ¬(v = w), di
modo che ∀vα diviene ∀v ∃w ¬(v = w). Si noti che questo ultimo enunciato è vero in
ogni struttura del linguaggio L che contenga almeno due elementi. D’altra parte:
• se t è una costante c di L, allora α[v/c], ovvero ∃w¬(c = w) resta vera in
ogni struttura di L che contenga almeno due elementi, cioè uno almeno oltre
l’interpretazione di c;
• se t è una variabile u diversa da w, allora α[v/u], ovvero ∃w¬(u = w), continua a restare vera in ogni struttura di L che ammette almeno due elementi,
indipendentemente dalla valutazione di u;
• ma se t coincide proprio con w allora α[v/w] diviene ∃w¬(w = w) ed è
evidentemente falsa, dunque non si può in nessun modo dedurre da ∀vα.
Il difetto nell’ultimo esempio: la variabile v compare in α sotto l’influenza di un
quantificatore ∃w che riguarda una variabile w che è presente in t. È questo il caso
che va escluso.
Definiamo allora un termine t di L libero per v in α se v non compare in α sotto
l’influenza di un quantificatore ∀ o ∃ che riguarda variabili occorrenti in t.
Osserviamo che, in assenza di quantificatori ∀v o ∃v in α, v è certamente libera per
se stessa in α.
Sulla base della precedente definizione possiamo finalmente proporre la versione corretta della regola.
(12) (D.1) - la eliminazione di ∀ - dice che, per ogni formula α di un linguaggio L
e per ogni termine t di L,
∀vα
α[v/t]
purchè v sia libera per t in α.
Passiamo adesso alla seconda regola di introduzione di ∃. L’idea grezza è la seguente:
se esiste qualche elemento che rende valida α rispetto alla variabile v, allora possiamo
dedurre ∃vα. Anche stavolta però è necessaria una precisazione - in realtà la stessa
della regola precedente.
(13) (D.2) - la introduzione di ∀ - afferma che, per ogni formula α = α(v) di un
linguaggio L e per ogni termine t di L,
α[v/t]
∃vα
purchè v sia libera per t in α.
Esempi 3.3. Sia α sia la formula ∀w (v = w). Notiamo che ∃v∀w(v = w) è vera in
tutte e sole le strutture di L che contengono un unico elemento.
• Supponiamo dapprima che t sia una costante c di L. Allora α[v/c] coincide
con ∀w(c = w) ed è vera in ogni struttura di L che contenga esattamente un
elemento, che va forzatamente a uguagliare l’interpretazione di c. Possiamo
dunque ammettere che ∀w(c = w) implichi ∃v∀w(v = w).
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• Supponiamo però che t vada a coincidere con w, ovvero con una variabile che
è soggetta a quantificazioni in α. In questo caso α[v/w] diventa ∀w(w = w)
ed è evidentemente vera in ogni struttura di L, a prescindere dal numero dei
suoi elementi. Non possiamo allora accettare che ∀w(w = w) permetta di
dedurre ∃v∀w(v = w).
Passiamo ora ad esempi di dimostrazioni svolte con l’aiuto delle due regole appena
proposte.
Esempi 3.4. Ci riferiamo a formule arbitrarie α di L (in genere contenenti la variabile
libera v).
(a) Vogliamo provare che ` ∀vα → ∃vα.
(1) Apriamo subito una parentesi con ∀vα, con l’intento di usare (R.10).
(1.1) ∀vα
(1.2) α (da (D.1) con t = v)
(1.3) ∃vα (da (D.2) ancora con t = v).
(2) ∀vα → ∃vα (appunto da (R.10)).
(b) In generale, ` ∀vα → ∃wα[v/w] purchè w sia libera per v in α. La dimostrazione è sostanzialmente la stessa di (a).
(1) Apriamo subito una parentesi con ∀vα, con l’intento di applicare (R.10).
(1.1) ∀vα
(1.2) α[v/w] (da (D.1) con t = w)
(1.3) ∃wα[v/w] (da (D.2) ancora con t = w).
(2) ∀vα → ∃wα[v/w] (appunto da (R.10)).
Passiamo alla terza regola. Anch’essa esprime una procedura apparentemente convincente, ma bisognosa di qualche precisazione. L’idea grezza di partenza è che, una
volta che si è dimostrato ∃vα, possiamo asserire “sia w un elemento che soddisfa α” e
procedere su questa base. Ma opportuni esempi mostrano come la scelta di w debba
essere accurata, a evitare contraddizioni. La regola si esprime allora nel modo che
segue.
(14) (D.3) - la eliminazione di ∃ - dice che, dopo ∃vα, é ammissibile aprire una
parentesi con α[v/w] purchè
• w non sia mai occorsa in precedenza
• oppure w sia proprio v.
Se la parentesi termina con una formula β in cui w non compare libera, allora
possiamo chiudere la parentesi e, all’esterno, affermare β.
Esempi 3.5. Ci riferiamo a formule arbitrarie α e β di L.
(c) Vogliamo provare che {∀v(α → β} ` ∃vα → ∃vβ.
(1) ∀v(α → β) (premessa).
(2) Apriamo una parentesi in vista dell’applicazione di (R.10).
(2.1) ∃vα (ipotesi).
(2.2) Apriamo un’ulteriore parentesi, appunto per (D.3).
(2.2.1) α,
(2.2.2) ∀v(α → β) (importazione),
12
CARLO TOFFALORI
(2.2.3) α → β (da (D.1) con t = v),
(2.2.4) β (per l’eliminazione di →, ovvero per (R.4)),
(2.2.5) ∃vβ (da (D.2) con t = v).
(2.3) ∃vβ (da (D.3), visto che evidentemente v non è libera in ∃vβ).
(3) ∃vα → ∃vβ.
(d) Il prossimo esempio mostra come un uso disattento di (D.3), irrispettoso
delle richieste fatte su w o su v, conduca a deduzioni sbagliate, in particolare
a provare che {∃vα, ∃vβ} ` ∃v(α ∧ β). Si noti che un simile risultato non
è affatto convincente, ed anzi manifestamente errato. Infatti possiamo ben
affermare, per esempio, che esistono almeno un numero e almeno un numero
dispari, ma non certo dedurne che esiste un numero che è contemporaneamente
pari e dispari. Eppure un’applicazione impropria di (D.3) ha questi effetti.
Vediamo come.
(1) ∃vα (premessa),
(2) ∃vβ (altra premessa).
(3) Apriamo adesso una parentesi secondo (D.3), in riferimento a ∃vα e
w = v (dunque in accordo con le richieste di (D.3)).
(3.1) α,
(3.2) ∃vβ (importazione).
(3.3) Apriamo un’ulteriore parentesi, sempre secondo (D.3), ma stavolta
in riferimento a ∃vβ. Confermiamo w = v, come è lecito.
(3.3.1) β,
(3.3.2) α (importazione),
(3.3.3) α ∧ β (introduzione di ∧).
(3.4) α ∧ β (da (D.3): ma attenzione, v è libera in α ∧ β).
(4) α ∧ β,
(5) ∃v(α ∧ β) (grazie a una applicazione di (D.2), che fa riferimento a t = v
e quindi è di per sè corretta).
L’ultima regola della Deduzione Naturale per i quantificatori è forse quella meno
intuitiva. Anche in questo caso ci sono condizioni dettagliate che spiegano in quali
casi la si può applicare.
(14) (D.4) - la introduzione di ∀ - asserisce
α
∀vα
purchè v non occorra libera nelle premesse e comunque nelle ipotesi di parentesi di livello non successivo a quello in cui compare α.
Esempi 3.6. Proponiamo alcune esempi di deduzioni che coinvolgono (D.4). Al
solito ci riferiamo a formule arbitrarie α e β di L.
(e) Vogliamo provare che {∀v(α → β} ` ∀vα → ∀vβ.
(1) ∀v(α → β) (premessa).
(2) Apriamo una parentesi in vista dell’applicazione di (R.10).
(2.1) ∀vα (ipotesi),
(2.2) α (da (D.1) per t = v),
LA DEDUZIONE NATURALE
∀v(α → β) (importazione),
α → β (ancora da (D.1) con t = v),
β (per l’eliminazione di →, ovvero per (R.4)),
∀vβ (da (D.4), osservando che v non compare libera nella premessa
(1) e nella ipotesi (2.1)).
(3) ∀vα → ∀vβ.
Mostriamo adesso i rischi di un uso disattento di (D.4). Proviamo infatti che
questo conduce a {∃vα} ` ∀vα, che costituisce una deduzione evidentemente
inaccettabile: infatti possiamo ben affermare che esiste almeno un numero
pari, ma non certo dedurne che ogni numero è pari.
(1) ∃vα (premessa)
(2) Apriamo adesso una parentesi secondo (D.3) con w = v.
(3.1) α (ipotesi)
(3.2) ∀vα (da (D.4): ma attenzione, v compare libera nella ipotesi α!)
(3) ∀vα (appunto grazie a (D.3) che in questo caso è applicata correttamente
- ma è (D.4) che non lo è!)
Ricordiamo l’equivalenza tra ∀v¬α e ¬(∃vα). I prossimi due esempi vogliono
confermarla con la Deduzione Naturale.
Proviamo anzitutto che {¬(∃vα)} ` ∀v¬α.
(1) ¬(∃vα) (premessa).
(2) Apriamo adesso una parentesi in vista di una applicazione di (R.9) che
neghi α.
(2.1) α (ipotesi),
(2.2) ∃vα (da (D.2) per t = v),
(2.3) ¬(∃vα) (importazione: si produce a questo punto la contraddizione
desiderata).
(3) ¬α,
(4) ∀v¬α (per (D.4), osservando che v non compare libera nella premessa
(l’ipotesi della parentesi in (2) è a un livello successivo rispetto a questo
impiego di (D.4)).
Viceversa proviamo che {∀v¬α} ` ¬(∃vα). Stavolta il discorso è più macchinoso.
(1) ∀v¬α (premessa).
(2) Apriamo una parentesi in vista dell’applicazione di (R.9).
(2.1) ∃vα (ipotesi)
(2.2) Apriamo un’ulteriore parentesi secondo (D.3) per w = v.
(2.2.1) α.
(2.2.2) Adesso apriamo una terza parentesi, con l’idea di adoperare
nuovamente (R.9).
(2.2.2.1) ∃vα,
(2.2.2.2) α (importazione),
(2.2.2.3) ∀v¬α (altra importazione),
(2.2.2.4) ¬α (da (D.1) per t = v): si raggiunge in questo modo una
contraddizione con (2.2.3.2).
(2.3)
(2.4)
(2.5)
(2.6)
(f )
(g)
(h)
(i)
13
14
CARLO TOFFALORI
(2.2.3) ¬(∃vα) (formula in cui v non compare libera).
(2.3) ¬(∃vα) (da (D.3)): si noti che (2.3) e (2.1) si contraddicono.
(3) ¬(∃vα).
(l) Un ultimo esempio: {∀v(α ∧ β} ` ∀vα ∧ ∀vβ.
(1) ∀v(α ∧ β) (premessa),
(2) α ∧ β (da (D.1) per t = v),
(3) α (per l’eliminazione di ∧, ovvero per (R.2)),
(4) ∀vα (per (D.4), visto che v non compare libera nella premessa),
(5) β (come per α),
(6) ∀vβ (come prima per α),
(7) ∀vα ∧ ∀vβ (per l’introduzione di ∧, ovvero per (R.3)).
Concludiamo con qualche esercizio maggiormente impegnativo, riservato ai più
volenterosi. Ci riferiamo a formule di un linguaggio L del primo ordine.
Esercizio 1. Diciamo che un insieme S di formule è sintatticamente inconsistente
se esiste una formula β tale che S ` β ∧ ¬β, e sintatticamente consistente altrimenti.
Si provi che, per ogni formula α, S ` α se e solo se S ∪ {¬α} è sintatticamente
inconsistente.
Esercizio 2. Assumiamo il seguente risultato (che ha nome Teorema dell’esistenza
del modello): Se S è sintatticatticamente consistente, allora S è soddisfacibile (ovvero
ha modello). Su questa base si dimostri la completezza del calcolo della deduzione
naturale, ovvero che S |= α implica S ` α (per S e α come sopra).