Sociologia
Franz Oppenheimer
The State
1908
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Franz Oppenheimer, studioso tedesco di origini ebraiche, è stato uno dei maggiori
sociologi della prima metà del XX secolo. La sua opera più importante è System der
Soziologie (Sistema di sociologia) in quattro volumi doppi, nel quale edifica, in 4500
pagine, una teoria sociologica generale. Si tratta probabilmente del più elaborato trattato
di sociologia che sia mai stato scritto. Di quest’opera monumentale, uscita in Germania
tra il 1922 e il 1935, è stata pubblicata una sintesi del secondo volume con il titolo Der
Staat (Lo Stato), tradotta poi in inglese nel 1914 con il titolo The State. In questo scritto
Oppenheimer spiega la nascita dello Stato con la conquista violenta. La sua teoria si
inserisce quindi nel filone delle cosiddette teorie conflittuali sull’origine dello Stato, delle
quali il suo maestro Ludwig Gumplowicz era stato uno dei maggior propugnatori.
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PUNTI CHIAVE

Esistono solo due modi per soddisfare i bisogni umani: i mezzi economici (la
produzione e lo scambio) e i mezzi politici (il sequestro forzoso della ricchezza
prodotta da altri).

Gli uomini tendono a ricorrere ai mezzi politici tutte le volte che ne hanno la
possibilità.

Lo Stato è l’organizzazione dei mezzi politici.

Tutti gli Stati sorgono dalla conquista e dallo sfruttamento dei vinti.

Storicamente lo Stato nasce dalla guerra vittoriosa di popolazioni nomadi su
popolazioni agricole stanziali.

Lo Stato del futuro sarà una libera associazione di cittadini.
RIASSUNTO
Le teorie sulla nascita dello Stato
Gran parte della letteratura scientifica sullo Stato tende a razionalizzare e giustificare il
suo monopolio della coercizione, ma questo classico studio di Oppenheimer rappresenta
un’eccezione notevole. Il sociologo tedesco non difende né condanna a priori lo Stato, ma
attraverso lo studio della storia e dell’economia politica cerca di comprendere la sua
natura e il suo sviluppo. La sua ricerca lo porta a conclusioni fortemente libertarie. «Lo
Stato», scrive Oppenheimer, «completamente nella sua genesi, essenzialmente e quasi
completamente durante le prime fasi della sua esistenza, è un’istituzione sociale imposta
da un gruppo vittorioso di uomini su un gruppo sconfitto, al solo scopo di regolare il
dominio dei primi sui secondi, e di proteggersi da rivolte interne o da attacchi esterni. Da
un punto di vista teleologico, questo dominio non ha altro scopo che lo sfruttamento
economico degli sconfitti da parte dei vincitori» (p. 9).
Si noti che Oppenheimer usa il termine Stato in senso ampio, come apparato di governo
dotato di poteri coercitivi, e non in senso stretto come “Stato moderno”, il quale è dotato
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di tutta una serie aggiuntiva di caratteristiche (monopolio della forza, sovranità,
concentrazione del potere, confini, ecc.) che si svilupperanno pienamente sul continente
europeo solo a partire dal sedicesimo-diciasettesimo secolo. Per questa ragione
Oppenheimer utilizza il termine Stato anche per le organizzazioni sociali più antiche, le
quali, pur non essendo propriamente Stati sovrani nel senso moderno del termine,
presentano alcuni fondamentali aspetti in comune con gli Stati attuali, a partire dal potere
di comando e di tassazione sugli individui.
La teoria di Oppenheimer è una teoria conflittuale sulla nascita dello Stato, e si
contrappone quindi alle altre teorie che hanno individuato la nascita dello Stato nel
contratto sociale, nella centralizzazione necessaria per realizzare grandi opere idrauliche,
o nella spontanea divisione del lavoro all’interno della società. La teoria del contratto
sociale è stata usata in realtà più che altro come metafora filosofica, ma si tratta di una
teoria poco plausibile e non vi sono prove storiche a sua conferma. La teoria che individua
la nascita degli Stati negli imperativi della centralizzazione tecnologica è stata proposta da
Karl Wittfogel nel suo studio sul dispotismo orientale, sorto a suo avviso dalla necessità di
concentrare uomini e risorse per realizzare grandi opere pubbliche. In realtà pare più
convincente la relazione causale opposta: storicamente è stata la preesistenza di vaste
strutture statali con eserciti di lavoratori a propria disposizione che ha permesso la
costruzione dei grandi canali d’irrigazione, muraglie o piramidi.
Oppenheimer contesta decisamente anche le teorie secondo cui gli Stati sono sorti per via
naturale attraverso la pacifica divisione sociale del lavoro: «Una sana sociologia deve
richiamare il fatto che nella storia la formazione delle classi sociali non ha avuto luogo
tramite una graduale differenziazione nella pacifica competizione economica, ma è stato
il risultato della conquista violenta e del soggiogamento» (p. liii). Nessuno Stato primitivo
conosciuto nella storia, continua Oppenheimer, si è originato in altro modo: «La poca
storia che abbiamo studiato a scuola è sufficiente a provare questa generica dottrina.
Ovunque troviamo alcune tribù guerriere di selvaggi che irrompono attraverso i confini di
qualche popolo meno combattivo, si stabiliscono come nobiltà e fondano il loro Stato» (p.
9).
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Per suffragare la sua tesi Oppenheimer riporta un lungo elenco di casi storici
riguardanti la Mesopotamia, l’India, la Cina, l’Europa e il Sudamerica: «In Mesopotamia le
ondate si susseguono alle ondate, e gli Stati agli Stati: babilonesi, amoriti, assiri, arabi,
medi, persiani, macedoni, parti, mongoli, selgiuchidi, tartari, turchi; sul Nilo, hyksos,
nubiani, persiani, greci, romani, arabi, turchi; in Grecia gli stati dorici sono esempi tipici; in
Italia, romani, ostrogoti, longobardi, franchi, germani; in Spagna, cartaginesi, visigoti,
arabi; in Gallia, romani, franchi, burgundi, normanni; in Britannia, sassoni e normanni. In
India ondate su ondate di clan guerrieri si sono abbattute sul paese nel corso dei secoli
perfino dalle isole dell’Oceano Indiano. Lo stesso per la Cina e per le colonie europee in
Sudamerica o nel Messico» (p. 9). Non c’è dubbio che questa teoria conflittuale goda di
conferme empiriche di gran lunga superiori a tutte le altre spiegazioni sociologiche sulla
nascita dello Stato.
Mezzi economici e mezzi politici
La distinzione tra i mezzi economici e i mezzi politici rappresenta il più importante
contributo intellettuale dell’opera di Oppenheimer. Esistono infatti solo due mezzi
attraverso cui gli uomini possono soddisfare i propri bisogni materiali. I primi sono
essenzialmente pacifici, e consistono nella produzione e nello scambio volontario del
prodotto del proprio lavoro con quello degli altri: questi sono i “mezzi economici”. I
secondi consistono invece nell’appropriazione senza compenso del lavoro altrui: questi
sono i “mezzi politici”, i quali non sono pacifici perché fanno ricorso alla forza invece che
al consenso delle parti, e sono parassitari perché richiedono necessariamente l’esistenza
di una produzione preesistente che possa essere sequestrata. A questi due contrapposti
mezzi umani di sussistenza corrispondono due diversi principi organizzativi della vita
sociale. In una società fondata sui mezzi economici la vita si basa sulla coesistenza pacifica
e sullo scambio volontario. In una società fondata sui mezzi politici esiste invece una
divisione tra la classe dominata che vive di mezzi economici e la classe dominante che
vive di mezzi politici.
La distinzione tra i mezzi politici e i mezzi economici è analoga alla distinzione tra lo Stato
e la società. Oppenheimer definisce infatti lo Stato come “l’organizzazione dei mezzi
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politici”. La società è invece quella vasta e fluida rete di relazioni volontarie tra
individui e gruppi, sulla base di interessi comuni o di sentimenti di identità e comunità.
Questi sono i mezzi economici all’opera, e costituiscono la stragrande maggioranza delle
interazioni nella vita sociale di ogni giorno. L’insieme di questi rapporti volontari veniva
definita “società naturale” dagli studiosi dei secoli passati, i quali la vedevano come una
realtà preesistente allo Stato. Lo Stato scaturisce dalla società come formazione
secondaria, in un momento successivo, per servire gli interessi di una classe.
Più precisamente, lo Stato si installa nella società quando un gruppo di persone decide di
utilizzare a proprio vantaggio i mezzi politici anziché quelli economici. Lo Stato è dunque
prima di tutto un apparato di dominio, e si forma quando alcuni individui riescono a
conquistare una posizione sopraelevata, in virtù della quale possono imporre la propria
volontà su tutti gli altri membri della comunità. Data la natura umana, gli uomini
tenderanno a preferire i mezzi politici ai mezzi economici. Mentre infatti procurarsi il
sostentamento con i mezzi economici è faticoso e impegnativo, procurarseli con i mezzi
politici può essere assai facile quando esiste un apparato organizzato di esazione come lo
Stato: «Quando c’è l’opportunità, l’uomo che ne ha la possibilità preferisce preservare la
propria vita con i mezzi politici rispetto ai mezzi economici» (p. 26).
Per Oppenheimer lo Stato è sempre uno Stato di classe, ma la sua concezione è molto
distante da quella di Karl Marx. L’errore fondamentale della teoria marxiana della lotta di
classe, secondo Oppenheimer, è quello di aver fatto confusione tra i mezzi economici e i
mezzi politici, classificando ad esempio la forza e la schiavitù come categorie economiche:
«Questi errori alla fine hanno portato la splendida teoria di Marx lontanissimo dalla verità
… queste mezze verità sono molto più pericolose delle totali falsità, perché è più difficile
scoprirle, ed quasi inevitabile trarre da esse false conclusioni» (p. 15)
Dall’anarchia primitiva allo stato
Se lo Stato rappresenta l’istituzionalizzazione dei mezzi politici, ne consegue che nessuno
Stato può sorgere fino a quando i mezzi economici non hanno creato una quantità di beni
che possono essere sottratti con una guerra di rapina. Per questa ragione le società
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primitive di cacciatori sono senza Stato e vivono praticamente in condizioni di
anarchia. I cacciatori primitivi possono diventare parte di una struttura statale solo
quando hanno la possibilità di soggiogare una vicina società dotata di un’evoluta
organizzazione economica. Le società agricole primitive invece non sono portate alla
guerra, e per loro è già molto difficile mobilitare i clan e le tribù per la difesa comune. Il
contadino infatti manca sempre di mobilità, ed è attaccato al suolo come le piante che
coltiva: in una certa misura, scrive Oppenheimer, l’agricoltore è sempre un “servo della
gleba” proprio perché è inchiodato al suo campo, che è la sua unica fonte di
sostentamento.
Per tale ragione gli agricoltori primitivi sono privi del desiderio di lanciarsi in guerre
offensive, che sono invece la caratteristica tipica delle società di cacciatori e allevatori, i
quali hanno sviluppato attitudini fondate sulla rapidità di movimento e sull’attacco
improvviso. Lo Stato pertanto non può sorgere per cause endogene da una società
agricola, e storicamente nessuno Stato è mai sorto da tali condizioni sociali. Senza un
impulso esterno proveniente da uomini abituati a nutrirsi con altre modalità, dice
Oppenheimer, i coltivatori primitivi non avrebbero mai scoperto lo Stato.
Mentre i cacciatori usavano sterminare i nemici depredati e sconfitti, le società primitive
di allevatori fanno un salto di qualità con l’introduzione della schiavitù. Tra le due società
nomadi che si contendono la scena, quella degli allevatori si rivela molto più ricca e
numerosa di quella dei cacciatori. Riesce pertanto a sconfiggerla, e i cacciatori superstiti
fuggono in luoghi inaccessibili come le foreste o le montagne, oppure diventano tributari.
A poco a poco le società di allevatori si trasformano in società guerriere, come le tribù
nomadi dell’Asia centrale, i vichinghi, i turcomanni, gli sciti, e creano un embrione di Stato
senza precisi limiti territoriali.
A questo punto le società nomadi di allevatori invadono e soggiogano le pacifiche società
agricole, diventano classe dominante, o nobiltà, e vivono dei tributi versati dagli
agricoltori. Questa è la genesi dello Stato nel mondo antico, e rappresenta un momento di
importanza capitale nella storia dell’umanità. Più in dettaglio, la nascita dello Stato
avviene attraverso queste sei fasi progressive: I) le società nomadi compiono sempre più
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frequenti raid e razzie nelle società agricole (questa fase può durare secoli); II) le
società contadine si arrendono e si sottomettono; III) i tributi diventano regolari. È questa
la fase decisiva nella nascita dello Stato. Con un’abile metafora Oppenheimer scrive che i
conquistatori “da orsi che distruggono l’alveare per prendere il miele diventano
apicoltori”; IV) i due gruppi etnici di conquistati e conquistatori si fondono in un’unità
territoriale; V) i dominatori si assumono il ruolo di amministratori della giustizia; VI) il
dominio assume tutti i connotati di un vero governo.
Oppenheimer usa un’altra efficace metafora sessuale per descrivere la nascita dello Stato:
«Lo Stato, comunque, viene ad esistenza attraverso la propagazione sessuale. Tutta la
propagazione sessuale si compie attraverso il seguente processo. L’elemento maschile,
una cellula piccola, molto attiva, mobile e vibrante – lo spermatozoo – va in cerca di una
grande cellula inattiva priva di mobilità – l’ovulo, o il principio femminile – entra e si fonde
con essa. Da questo processo risulta un’immensa crescita, una meravigliosa
differenziazione con simultanee integrazioni. Gli agricoltori inattivi, legati per natura ai
loro campi, sono l’ovulo, mentre la tribù mobile di allevatori è lo spermatozoo di questo
atto sociologico di fecondazione» (p. 41).
L’evoluzione dello stato
Fino a quando le relazioni tra i due gruppi rimangono nell’alveo internazionale, come
nemici esterni separati da confini, non c’è bisogno di nessuna ideologia per giustificare
l’esercizio dei mezzi politici, in quanto uno straniero non gode di alcun diritto. Con la
nascita dello Stato e lo sviluppo dell’integrazione fisica tra le due classi si sviluppa però
una sorta di coscienza nazionale e con essa l’idea di eguaglianza. La classe servile avanza i
propri “diritti”, e la classe governante deve giustificare il suo uso dei mezzi politici.
All’interno della classe dominante si sviluppano quindi delle teorie di legittimazione del
potere. All’inizio queste teorie presentano tutte un contenuto simile, individuando nel
coraggio e nella forza guerriera le supreme virtù umane. In questa morale signorile i
vincitori rappresentano una razza superiore, e per questa ragione gli sconfitti vengono
relegati al disprezzato lavoro manuale. Le caste sacerdotali si incaricano di spiegare alle
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masse che quest’ordine è decretato dalla divinità, per cui la ribellione rappresenta
un’azione empia nei confronti di Dio.
Con il passare del tempo, spiega Oppenheimer, si sviluppano però delle teorie di classe
anche all’interno dei ceti sfruttati, fondate generalmente sulla Legge Naturale. La
religione di Stato viene contestata, la superiorità dei nobili viene giudicata pretestuosa, e i
loro privilegi contrari al diritto e alla ragione: «La classe dominante difende il proprio
diritto ad esercitare i mezzi politici, ed è quindi conservatrice o reazionaria; la classe
dominata vuole sostituirla con una legge che sancisca l’uguaglianza di tutti gli abitanti
dello Stato, ed è quindi liberale e rivoluzionaria» (p. 43). I due gruppi, ciascuno armato di
un’ideologia a difesa dei propri interessi, ingaggiano quindi una lotta che può terminare
anche con un compromesso, come avvenne dopo la secessione della plebe ai tempi della
Repubblica di Roma o con la nascita degli stati costituzionali dopo la fine delle monarchie
assolute in Europa.
Il sociologo tedesco delinea così uno sviluppo statuale che da una condizione anarchica
iniziale passa attraverso lo Stato feudale (con la variante dello Stato marittimo) e giunge
allo Stato costituzionale, nel quale però non è ancora scomparsa la divisione di classe tra
governanti e governati. Oppenheimer prevede però un ulteriore fase dell’evoluzione
statuale, quando anche gli ultimi residui della divisione di classe scompariranno per
lasciare il posto a una società di uomini liberi (Freibürgerschaft in tedesco, freemen’s
citizenship nella traduzione inglese) fondata sull’autogoverno.
In definitiva, anche se spesso Oppenheimer viene definito come un pensatore “socialista”,
le sue teorie sulla nascita violenta dello Stato e la sua cristallina distinzione fra mezzi
politici e mezzi economici rendono la sua concezione anni luce lontana da quella del
socialismo classico. Egli si definì “socialista liberale”, ma la sua convinzione che tutti i
privilegi di classe nascano dal monopolio statale dei mezzi politici lo avvicina fortemente
alle correnti individualiste dell’anarchismo. In ogni caso per molti studiosi libertari, come
Albert Jay Nock e Murray N. Rothbard, l’opera di Franz Oppenheimer ha costituito una
fonte di grandissima ispirazione.
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CITAZIONI RILEVANTI
Mezzi economici e mezzi politici
«Esistono due mezzi fondamentalmente opposti attraverso cui l’uomo in cerca di
sostentamento si procura i mezzi necessari per soddisfare i suoi desideri: il lavoro o la
rapina, ovverosia il proprio lavoro faticoso oppure l’appropriazione forzata del lavoro
degli altri … Propongo nella discussione che segue di chiamare il lavoro e il suo scambio
alla pari con quello degli altri “mezzi economici” per la soddisfazione dei bisogni, e di
chiamare “mezzi politici” l’appropriazione senza compenso del lavoro degli altri» (p. 14).
Lo Stato nasce dalla conquista
«Il momento in cui il conquistatore risparmia la sua vittima allo scopo di sfruttare in
maniera permanente il suo lavoro produttivo ha un’importanza storica incomparabile. Dà
origine alla nazione e allo Stato, e a tutti i suoi sviluppi e le sue ramificazioni successive»
(p. 32).
Nella società del futuro non ci sarà lo Stato
«Perfino un grande pensatore come Ludwig Gumplowicz, che per primo pose le
fondamenta su cui è stata sviluppata la presente teoria dello Stato, è un pessimista
sociologico … Poiché egli non considera la possibilità che molte persone possano
convivere senza qualche forza coercitiva conferita a un governo, egli dichiara che lo Stato
di classe è una categoria “immanente” e non solo storica. Solo una piccola frazione di
liberali sociali, o socialisti liberali, crede nell’evoluzione in una società senza dominio e
sfruttamento di classe, che garantisca all’individuo anche la libertà d’esercizio dei mezzi
economici. Questo era il credo del vecchio liberalismo sociale prima della scuola di
Manchester, enunciato da Quesnay e specialmente da Adam Smith, e ripreso nei tempi
moderni da Henry George e Theodore Hertzka» (p. 124-125).
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L’AUTORE
Franz Oppenheimer (1864-1943) nasce il 30 marzo 1864 a Berlino in una famiglia ebraica,
e in questa città pratica la professione di medico dal 1886 al 1895. Solo nel 1890 comincia
a occuparsi di questioni economiche e sociali. Nel 1909 consegue un dottorato di ricerca a
Kiel con una tesi sull’economista David Ricardo. Nel 1919 accetta la cattedra di sociologia
ed
economia
teorico-politica
presso
la Johann
Wolfgang
Goethe-
Universität di Francoforte, la prima cattedra dedicata espressamente alla sociologia in
Germania. Dal 1934 al 1935 insegna in Palestina. Nel 1938, in fuga dalle persecuzioni
naziste, emigra a Los Angeles, negli Stati Uniti. Qui muore il 30 settembre 1943.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Franz Oppenheimer, The State, Fox & Wilkes, San Francisco, 1997, con introduzioni di
George H. Smith e Charles Hamilton, p. 148.
(Prima edizione tedesca: Berlino, 1908; Prima edizione inglese: Bobbs-Merrill Company,
1914).
Titolo originale: Der Staat
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