Schizofrenia oggi
Vincenzo Manna
Medico, Psichiatra, Psicoterapeuta
Direttore f.f. UOC SPDC DSM ASL ROMA 6
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cell. +39 333 36 25 218
La schizofrenia rappresenta, nell’ambito della clinica psichiatrica, il quadro psicopatologico più grave, ma anche quello
più chiaramente definito e studiato. La schizofrenia è il più tipico tra i disturbi psicotici. E’ definita, sul piano diagnostico,
come un grave disordine mentale caratterizzato da un profondo disturbo del rapporto con la realtà, con pensiero ed
eloquio disorganizzato (disturbi formali del pensiero), delirio (disturbo di contenuto del pensiero), allucinazioni (disturbi
delle senso-percezioni) e un disturbo del comportamento motorio, che può apparire disorganizzato, afinalistico
(affaccendamento inoperoso) ma anche esprimersi in quadri, oggi rari, di tipo catatonico. La psicosi raggiunge, spesso,
un livello di compromissione sindromica invalidante, incidendo profondamente nella vita sociale, lavorativa e relazionale
dei pazienti e delle loro famiglie.
Le terapie attualmente disponibili non consentono sempre al paziente di tornare a vivere una vita piena sul piano psicosocio-lavorativo. I disturbi psicotici includono, oltre alla schizofrenia, il disturbo schizofreniforme, il disturbo schizoaffettivo
e i disturbi dell'umore con manifestazioni psicotiche. La schizofrenia è una malattia psichiatrica con decorso superiore ai
sei mesi, tendenzialmente cronica o recidivante, con possibile persistenza nel tempo dei disturbi formali e di contenuto
del pensiero, dei disturbi del comportamento e dell'affettività, spesso con una gravità sintomatologica tale da limitare le
normali attività sociali della persona. Il termine “schizofrenia” è piuttosto generico e indica non un’entità nosografica
unitaria, ma una classe di disturbi, tutti caratterizzati da un’evidente compromissione del cosiddetto "esame di realtà" da
parte del soggetto. A questa classe appartengono quadri sintomatici e disturbi di comportamento molto diversi fra loro,
molto variabili per gravità e decorso. La schizofrenia esordisce di solito nella tarda adolescenza e nella prima età adulta
(nel 75% dei casi l'esordio avviene tra i quindici e i trentacinque anni, leggermente più tardi nelle donne), ma alcune
forme psicotiche colpiscono anche persone adulte o di mezza età. È una malattia ubiquitaria, che si riscontra in ogni
paese e in ogni cultura. Il suo tasso di prevalenza, poco sotto l’un per cento della popolazione generale, varia tra lo 0,6%
e lo 0,9% in tutti i paesi del mondo.
Sintomatologia
La schizofrenia è il tipo di psicosi più frequente e invalidante. E’ caratterizzata da deliri, allucinazioni, disturbi del
pensiero e del comportamento che possono rendere la persona affetta incapace di svolgere la propria attività
professionale e di porsi in relazione con gli altri. E’ clinicamente utile distinguere i sintomi della schizofrenia in positivi e
negativi. I sintomi positivi sono comportamenti o esperienze del soggetto, diversi, “alieni”, estranei all'esperienza e al
comportamento dell'individuo normale. I sintomi positivi possono essere considerati prodotti da un eccesso di attività
funzionali cerebrali. I sintomi positivi includono: l’ideazione prevalente, le allucinazioni, i deliri, i disturbi del pensiero, la
disorganizzazione del linguaggio e il comportamento bizzarro. Per una corretta diagnosi non è indispensabile che si
manifestino tutti questi sintomi contemporaneamente. I sintomi negativi si riferiscono, invece, all'assenza o
all’insufficienza di comportamenti normalmente presenti in una persona mentalmente sana. Molti schizofrenici arrivano
all'attenzione del medico a causa dei loro sintomi positivi. In realtà i sintomi negativi possono essere molto debilitanti e
presentarsi sotto forma di pesante cronicità. Essi includono: inadeguatezza nel comportamento della persona, distacco
emotivo o assenza di emozioni, appiattimento affettivo, appiattimento della volontà (sindrome avolizionale), povertà di
pensiero e linguaggio (alogia), riduzione delle capacità comunicative, mancanza di piacere (anedonia) e mancanza di
motivazione (sindrome amotivazionale). Alcuni clinici considerano queste incapacità una conseguenza della
compromissione cognitiva, con riferimento ai deficit nei processi mentali di comprensione, memoria, giudizio,
ragionamento, attenzione, concentrazione, che spesso si evidenziano negli schizofrenici, in associazione ai sintomi
positivi. Non a caso la prima definizione storica della schizofrenia, fatta da Kraepelin all’inizio del ‘900 era di “Dementia
precox”. Alcuni modelli descrittivi della schizofrenia includono un terzo tipo di sintomi (schizofrenia di terzo tipo, la
cosiddetta sindrome disorganizzativa) con prevalenti disturbi nella pianificazione del pensiero, del linguaggio e del
comportamento, che si evidenziano negli schizofrenici, in associazione ai sintomi positivi ed a quelli negativi. I sintomi
prevalenti, in questo tipo di pazienti, includono deficit neuro-cognitivi con significativa compromissione di alcune funzioni
di base quali: la capacità di risoluzione dei problemi, le funzioni esecutive e la cognitività socio-relazionale, ma anche
particolari disturbi delle prassie (disprassie), specifici disturbi delle gnosie (deficit della strutturazione cognitivopercettiva) e tipici disturbi neuro-linguistici (disfasie transcorticali). La maggior parte degli studiosi e dei clinici considera il
decorso della schizofrenia tendenzialmente cronico, con l'alternanza di periodi di acuzie a periodi di remissione dei
sintomi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa un terzo dei pazienti affetti da schizofrenia può
recuperare completamente le sue funzioni bio-psico-sociali con adeguato trattamento. Circa un altro trenta per cento,
nonostante il proseguimento della terapia psico-farmacologica, presenta, comunque, una significativa riduzione del
funzionamento psicosociale e lavorativo. Nel restante trenta per cento circa dei casi la malattia tende a persistere in
forma cronica, senza recupero sintomatologico, neanche transitorio. In tutti i casi, non sono prevedibili per frequenza e
durata le esacerbazioni acute successive al primo episodio, ma è noto che le situazioni di stress o l’abuso di sostanze
possono causare il riacutizzarsi dei disturbi.
Etiopatogenesi
L’etiopatogenesi della schizofrenia vede coinvolti fattori genetici, biografici e psico-sociali. A oggi, nessuna delle molte e
diverse ipotesi etiopatogenetiche formulate può essere ritenuta esaustiva, certa e definitiva. I familiari delle persone
affette da schizofrenia hanno un rischio più alto, rispetto alla popolazione generale, di sviluppare una psicopatologia
analoga. Il rischio è progressivamente maggiore nei parenti che sono geneticamente più affini alla persona affetta da
schizofrenia. Studi fatti su soggetti, separati alla nascita dai genitori naturali e, successivamente, adottati, suggeriscono
che il rischio di sviluppare la schizofrenia è correlato all'ereditarietà piuttosto che all'ambiente, familiare e psico-sociale,
sia in età infantile sia in epoca adolescenziale. In alcuni pazienti con schizofrenia sono state individuate variazioni
significative di specifiche aree e strutture cerebrali. Studi di diagnostica per immagini come la Tomografia
Computerizzata o la Risonanza Magnetica hanno evidenziato asimmetrie nel cervello e nel sistema ventricolare dei lobi
frontali dell'emisfero sinistro. Le variazioni anatomiche, così evidenziate, sembrano correlarsi alla patologia, ma non a
una specifica sintomatologia. Ulteriori studi con tecniche più sofisticate (SPECT e PET) hanno valutato la correlazione di
sintomi specifici o dell'insieme dei sintomi psicopatologici, con variazioni nel flusso sanguigno e nell’attività metabolica
neuronale, nelle diverse regioni cerebrali. In generale, i sintomi positivi (deliri, allucinazioni etc.) sembrano essere
correlati all'iperfunzionamento di alcune aree cerebrali e all'ipofunzionamento di altre, mentre i sintomi negativi (abulia,
anedonia, appiattimento affettivo, etc.) sono correlati a un'ipoperfusione ematica sistemica. Un aumento del tono
dopaminergico cerebrale sembra giocare un ruolo chiave nell'etiologia di questa sindrome, tanto che l'ipotesi
dopaminergica è stata tra le prime interpretazioni causali formulate in epoca psicofarmacologica. Nei pazienti
schizofrenici, in una zona specifica del cervello, la via mesolimbica, deputata al controllo delle emozioni e del pensiero, è
stato evidenziato un aumento dei livelli di dopamina, rispetto ai livelli fisiologici. L’eccesso di dopamina sulla via
mesolimbica, secondo questa ipotesi interpretativa, causerebbe i sintomi positivi, mentre la contemporanea diminuzione
di dopamina in un'altra regione del cervello, la via mesocorticale, causerebbe i sintomi negativi. E’ dimostrato però,
anche, che le infezioni in epoca neonatale e infantile, gli eventi di vita precoci e traumatici, nonché le esperienze di vita
soggettive nel contesto familiare, in cui il paziente affetto da schizofrenia viene allevato e in cui vive, possono influire
sullo sviluppo della malattia.
Trattamento psicofarmacologico
Il trattamento psicofarmacologico è, a tutt’oggi, indispensabile per ridurre i sintomi invalidanti e per prevenire le
riacutizzazioni sindromiche delle psicosi. Il trattamento della schizofrenia si avvale di farmaci antipsicotici, che agiscono
soprattutto sui sintomi positivi (deliri, allucinazioni, etc.) diminuendo il senso d’angoscia del paziente e i suoi eventuali
“acting out”, inclusi i comportamenti aggressivi. I farmaci antipsicotici possono agire, però, con diversi meccanismi
d’azione sui sintomi positivi, su quelli negativi o su entrambi. Le probabilità di successo nel trattamento della schizofrenia
oscillano, con le attuali terapie, tra il 15% e il 60%. Queste percentuali variano, ovviamente, secondo i criteri diagnostici
di remissione sintomatologica della schizofrenia, che si adottano. Il livello di compensazione sintomatologica
raggiungibile, in ogni paziente, dipende dalla tempestività e dalla continuità del trattamento. Un intervento precoce, di
tipo psicofarmacologico, all’esordio della schizofrenia, ha un chiaro razionale scientifico e clinico. I dati sperimentali e
clinici confermano obiettivamente l’efficacia di quest’approccio nel migliorare l’esito clinico dei pazienti. Quando sono
trattati precocemente, i pazienti tendono a rispondere alla terapia più rapidamente, in modo più completo, con esiti meno
invalidanti. La tempestività dell’intervento è una delle principali variabili in grado di modificare il decorso della malattia,
prevenendo ricadute e l’insorgere dei sintomi più invalidanti. Un fattore prognostico importante è rappresentato
dall’aderenza alla terapia. Circa il 75% dei pazienti affetti da schizofrenia presenta ricadute o recidive in un arco di tempo
compreso tra un anno e 18 mesi, se interrompe o assume in maniera discontinua la terapia antipsicotica. Solo il 25%
degli individui affetti da schizofrenia risulta assumere in maniera continua e costante la propria terapia. La scarsa
aderenza al trattamento è ascrivibile all’insorgere di effetti collaterali dei farmaci antipsicotici solo in parte. Gli effetti
indesiderati del trattamento antipsicotico variano da farmaco a farmaco. Possono scomparire dopo pochi giorni e,
spesso, possono essere gestiti con semplicità. I diversi pazienti possono essere diversamente sensibili, per tipo e
intensità, agli effetti indesiderati indotti da tali farmaci. Gli effetti collaterali dei farmaci antipsicotici possono essere
contenuti modificando gli orari di assunzione dei farmaci o la loro posologia, ma anche cambiando il tipo di farmaco
oppure trattando gli effetti collaterali direttamente con altri farmaci. Gli effetti indesiderati più comuni sono: secchezza
della bocca, stitichezza, vista sfocata, sonnolenza, aumento del peso corporeo. Alcune persone sperimentano
disfunzioni sessuali o diminuzione del desiderio sessuale, cambiamenti nel ciclo mestruale, sindrome metabolica e
disturbi della conduzione elettrica a livello del cuore. Effetti collaterali frequenti, con i vecchi farmaci neurolettici, erano i
problemi motori extrapiramidali come tremore, rigidità, bradicinesia. Raramente possono insorgere le discinesie tardive
che sono disturbi del movimento, più gravi, più invalidanti e meno sensibili al trattamento correttivo. Le discinesie si
presentano come movimenti oro-facio-linguali involontari, incontrollati e, talvolta, associati a movimenti di torsione di altre
parti del corpo. Si sviluppavano in circa il 15-20% dei soggetti, dopo molti anni di trattamento, con i primi antipsicotici, i
farmaci neurolettici. Il rischio di segni o sintomi extrapiramidali e di discinesia tardiva nei pazienti che assumono i nuovi
antipsicotici atipici è molto basso.
Trattamento psico-sociale
La psicoterapia, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale, si è dimostrata in grado di individuare le eventuali
difficoltà relazionali del malato e di migliorarne il tendenziale isolamento sociale. La terapia cognitivo-comportamentale
opera sia su aspetti legati al pensiero e alla cognitività sia sul piano dei comportamenti. Aiuta i pazienti a gestire i propri
sintomi anche quando questi tendono a non ridursi, nonostante la corretta assunzione di farmaci. La psicoterapia può
aiutare il paziente a comprendere i suoi disturbi, a contestualizzare il suo problema e le risposte sociali che ne derivano,
migliorando la consapevolezza di malattia (insight) e facilitando l’aderenza al trattamento e il contatto con la realtà. In
pratica il terapeuta indica ai pazienti come verificare la realtà dei loro pensieri e delle loro percezioni, come non “dare
ascolto” alle voci allucinate, come gestire i sintomi generali, nel loro insieme. Ciò può ridurre la gravità dei sintomi, ma
anche il rischio di ricadute. Trattamenti mirati alla riabilitazione sociale (terapia psico-sociale) sono utili per aiutare i
pazienti a reintegrarsi nella comunità, per riguadagnare un ruolo occupazionale, sociale e relazionale. Questi fattori
contribuiscono a migliorare la qualità di vita del paziente e le capacità di rapporto sociale e affettivo. Gli interventi di
questo tipo includono tecniche e strategie psicosociali per ridurre o eliminare le difficoltà di relazione interpersonale, le
difficoltà psicologiche e cognitive, le disfunzioni e gli handicap al fine di permettere una reale riabilitazione psicosociale
ed un adeguato reinserimento lavorativo. In pratica gli interventi psicosociali tendono a ridurre soprattutto i sintomi
negativi, a migliorare la consapevolezza e l'adesione al piano terapeutico, a prevenire le ricadute, a migliorare le
capacità comunicative e sociali, a insegnare ai pazienti e alle loro famiglie come affrontare meglio gli eventi stressanti
intercorrenti. In terapia familiare, in genere è trattato il paziente insieme ai genitori o al coniuge, ma possono essere
coinvolti anche familiari conviventi come fratelli e sorelle, figli e altri parenti. Il trattamento si svolge con incontri di gruppo
al fine di dare la possibilità ai vari membri della famiglia e al terapeuta di conoscere i diversi punti di vista, ma anche al
fine di pianificare il trattamento e assegnare diversi compiti, ai diversi componenti della famiglia, nel programma
terapeutico. Con l’aiuto di un terapeuta esperto i membri della famiglia possono apprendere strategie che possono
contribuire ad assicurare che il paziente prosegua il trattamento psicofarmacologico, ma anche il programma
psicoterapeutico e quello socio-riabilitativo. Di solito i pazienti sono affidati alle famiglie dopo la dimissione da un ricovero
ospedaliero. E’ importante che i membri della famiglia acquisiscano sufficienti conoscenze sulla patologia, sulle modalità
relazionali più opportune per minimizzare la probabilità di future ricadute, nonché informazioni sui diversi servizi
territoriali disponibili per l’assistenza psichiatrica non ospedaliera. La terapia di gruppo coinvolge di solito uno o più
terapeuti esperti e un piccolo numero di pazienti, in genere tra 6 e 12 soggetti. Questo tipo di approccio terapeutico è
finalizzato ad apprendere l'esperienza degli altri, a verificare dal confronto le proprie percezioni rispetto a quelle degli
altri, a correlare le distorsioni e le incongruità nel comportamento interpersonale, grazie alla collaborazione degli altri
membri del gruppo. Questa forma di terapia è più efficace quando i sintomi nei pazienti si sono attenuati e i pazienti sono
usciti dalla fase psicotica acuta della malattia. In fase di acuzie, infatti, i sintomi sono troppo disturbanti e incoerenti,
perché i pazienti possano trarne un vantaggio clinico. Al contrario, quando il paziente sta in fase di relativo recupero
sintomatologico, la partecipazione al gruppo di terapia può essere un aiuto nel preparare il paziente ad affrontare la vita
sociale, propriamente detta. Negli ultimi anni, i gruppi di auto-mutuo-aiuto per le persone affette da schizofrenia e per le
loro famiglie sono in rapida crescita. Di solito in essi non sono coinvolti terapeuti propriamente detti. I membri di questi
gruppi svolgono un ruolo di confronto e di sostegno reciproco. Questi gruppi di auto-mutuo-aiuto includono tra i loro
membri, ex-pazienti o familiari di persone schizofreniche, che si scambiano una continua e mutua assistenza, nel far
fronte ai problemi che si trovano a dover affrontare. Le famiglie, grazie alla loro relazione continua, in genere, riescono
ad acquisire la determinazione e la sicurezza indispensabile per riuscire a gestire la patologia, ma anche per portare
avanti i più adeguati trattamenti, fuori dal contesto ospedaliero. Gli ex-pazienti sono, spesso, i più adatti ad assolvere
questi ruoli, anche per combattere le discriminazioni cui sono soggetti, a volte, i malati di mente. Attualmente, nel nostro
territorio, i gruppi di familiari e i gruppi di auto-mutuo-aiuto sono molti attivi e forniscono utili informazioni ed assistenza ai
pazienti ed alle famiglie, con malati di schizofrenia ed altri disturbi mentali. L'intervento psicosociale è considerato un
complemento ideale alle terapie psicofarmacologiche. Recenti ricerche ed esperienze cliniche hanno dimostrato che un
approccio integrato (farmacologico, psicoterapeutico e socio-riabilitativo) ottiene un controllo migliore della patologia. E’
stato osservato che la terapia psicofarmacologica associata alla riabilitazione psicosociale fornisce esiti migliori rispetto
ai diversi approcci terapeutici, non reciprocamente associati. I farmaci sono indispensabili, ma non sono sempre
sufficienti, mentre la riabilitazione psicosociale è possibile solo quando supportata dall'uso di farmaci prescritti in modo
appropriato. La schizofrenia presenta un decorso variabile e può essere orientato verso la guarigione da adeguati mezzi
terapeutici e da misure socio-assistenziali e riabilitative personalizzate, tailored al singolo paziente. Negli ultimi due
decenni si è assistito, perciò, a un crescente interesse verso la riabilitazione psichiatrica, come approccio fondamentale
nel trattamento della schizofrenia, sin dal suo esordio. Circa la metà dei pazienti, se adeguatamente trattata, può andare
incontro a una remissione, con un accettabile inserimento sociale oppure può andare incontro a una remissione parziale,
con sintomatologia psicotica residua, ma non invalidante. La remissione sintomatologica consiste in uno stato in cui il
paziente ha raggiunto una sufficiente consapevolezza di malattia, ha conseguito e mantenuto nel tempo un
miglioramento dei segni e dei sintomi fondamentali per la diagnosi del disturbo, al punto che questi non interferiscono più
in misura espressiva con il comportamento e le relazioni sociali del paziente e sono sotto la soglia d’intensità tipicamente
utilizzata per la diagnosi. E’ importante, per questo, in fase di remissione dei sintomi, che il paziente non perda il contatto
con la realtà. Diventa necessario, perciò, reinserirlo in un appropriato contesto socio-riabilitativo, se possibile, con
l’inserimento dell’individuo in una realtà lavorativa non stressante, che lo renda autonomo e lo aiuti a socializzare.
Informazioni utili e suggerimenti pratici
Alcune informazioni utili per i familiari su come affrontare e gestire la schizofrenia sono riportate di seguito. Per i pazienti
è importante seguire alcuni suggerimenti pratici che possono sostanzialmente orientare il decorso clinico verso la
guarigione.
Rapporto con il medico
Sotto opportuna terapia psicofarmacologica i sintomi positivi della schizofrenia, come l’agitazione, le allucinazioni e i
deliri, di solito, scompaiono nel giro in poche settimane. La maggior parte dei pazienti riferisce considerevoli
miglioramenti nel giro di uno - due mesi di trattamento. Diversi pazienti hanno, però, sintomi diversi e rispondono
diversamente ai differenti farmaci antipsicotici. Non è possibile sapere in anticipo come una persona reagirà a una
specifica terapia. A volte è necessario provare diversi farmaci prima di trovare quello più efficace nel singolo paziente, in
quella specifica fase della sua psicopatologia. E’ importante, perciò, che medici, familiari e pazienti condividano le scelte
terapeutiche e collaborino per trovare la migliore combinazione di farmaci, nella giusta dose. E’ importante, in questa
prospettiva, che i pazienti schizofrenici e i loro familiari, quando presenti e attivi nel trattamento del paziente, ricevano
una corretta informazione da parte dei medici. Una volta che i pazienti hanno appreso le nozioni fondamentali relative
alla schizofrenia e al suo trattamento possono fornire informazioni preziose per orientare la loro stessa cura.
Gestire la malattia
Le persone affette da schizofrenia, dopo aver raggiunto un sufficiente grado di stabilizzazione farmacologica della
sintomatologia psicotica, sono, talora, in grado di gestire la loro malattia. Una volta che il paziente, in condizione di
stabilizzazione sindromica, ha acquisito le informazioni necessarie circa la malattia e il suo trattamento, può essere in
grado di prendere decisioni consapevoli e opportune circa la cura. Quando riescono a riconoscere per tempo, i segni
premonitori di una recidiva possono correre ai ripari, chiedendo un ulteriore e opportuno sostegno clinico. Possono
imparare a prevenire le ricadute e, talvolta, anche ad affrontare, al meglio, i sintomi invalidanti persistenti.
Gruppi di auto-mutuo-aiuto
I gruppi di auto-mutuo-aiuto per le persone affette da schizofrenia e per le loro famiglie sono numerosi ed in rapida
diffusione. Normalmente non prevedono la presenza di terapeuti profes-sionali (psichiatri-psicologi). In questi gruppi i
partecipanti si confortano e si offrono sostegno reciprocamente. Le persone che fanno parte di un gruppo di auto-mutuoaiuto sanno, per esperienza di vita, che altri partecipanti al gruppo possono trovarsi ad affrontare gli stessi problemi da
loro già vissuti. Ciò li aiuta a sentirsi meno isolati e più compresi. Il sostegno che può venire dai familiari e dai conviventi
è fondamentale nel supporto al paziente schizofrenico. Per questi pazienti e per i loro familiari, infatti, è utile ricevere
un’adeguata formazione psico-educativa e imparare a riconoscere i sintomi per poterli monitorare nel tempo. Le persone
con schizofrenia sono spesso dimesse dall’ospedale, dopo un periodo di acuzie, e affidati alla cura delle loro famiglie. E’
importante che i familiari sappiano tutto il necessario per la gestione dei sintomi della malattia. Con l’aiuto di un’equipe di
terapeuti (psichiatra, psicologo, assistente sociale, educatore etc.) i membri della famiglia possono apprendere nuove e
adeguano strategie. In questo modo la famiglia può contribuire a mantenere la necessaria aderenza al trattamento
farmacologico. Le famiglie devono avere il supporto dei servizi psichiatrici territoriali (Centri di Salute Mentale, Centri
Psichiatrici Diurni, etc.). Quando adeguatamente istruiti sulla patologia, i familiari possono essere utili nel cogliere i primi
sintomi di una nuova recrudescenza dei sintomi psicopatologici. Una diagnosi e un intervento precoce possono ridurre la
durata dell’episodio acuto e migliorarne gli esiti a lungo termine. In quest’ambito potrebbe essere importante riferire
periodicamente il decorso dei sintomi della malattia allo psichiatra curante. La schizofrenia è una patologia
tendenzialmente cronica, recidivante, invalidante e non facile da curare. Le terapie danno risposte cliniche dopo
trattamenti di durata medio - lunga. Può accadere che, per vedere i primi effetti terapeutici del trattamento, si debba
aspettare anche uno o due anni. E’ necessario non scoraggiarsi, quando i sintomi non migliorano più velocemente.
L’importante, in certi casi e in certe fasi della malattia è che la situazione non peggiori o che migliori gradualmente.
Bisogna raggiungere la consapevolezza che è possibile controllare la malattia e, in molti casi, è possibile migliorare
sensibilmente la qualità di vita dei pazienti e dei conviventi, nei tempi necessari, a ogni singolo caso.
Gestire il paziente
I pazienti schizofrenici possono ricevere aiuto dagli operatori sanitari, attraverso programmi terapeutici, con adeguati
interventi periodici, che, talora, nelle fasi di acuzie, possono essere anche giornalieri. I membri della famiglia, tuttavia,
restano i primi e principali soggetti di riferimento e di sostegno dei pazienti schizofrenici. L’intervento della famiglia, dei
conviventi e, talvolta di amici e compagni di lavoro, è necessario in caso di rifiuto o di resistenza al trattamento, che è
piuttosto comune nei pazienti, soprattutto all’esordio dei sintomi. Il ruolo dei caregiver è utile o, talvolta, indispensabile
per fornire informazioni sul paziente e i suoi disturbi nei casi di emergenza con necessità di ricovero volontario o di
ricovero coatto (Trattamento Sanitario Obbligatorio = TSO).
Programmare obiettivi, generali e specifici
La famiglia e gli amici possono aiutare i pazienti a definire, programmare e perseguire realistici obiettivi di vita. E’
necessario che il paziente schizofrenico impari a badare a sé stesso, riacquisendo capacità e competenze. Questi
obiettivi (p.es. lo studio, la riabilitazione socio-lavorativa, l’autonomia abitativa, etc.) vanno perseguiti con costanza, ma
secondo una strategia a “piccoli passi” nella direzione desiderata. Il paziente avrà sicuramente bisogno di supporto
durante questo periodo. Le persone affette da malattia mentale, che si sentono criticate e sotto pressione, di solito, non
riescono a migliorare. In queste condizioni (famiglie ad alta emotività espressa) i sintomi psicopatologici tendono, anzi, a
peggiorare (peggioramento della gravità dei sintomi, maggior numero di crisi e ricoveri, maggiore invalidità, aumento dei
costi assistenziali per il Servizio Sanitario Nazionale, etc.). Far notare al paziente, nell’ambito della famiglia, che sta
facendo progressi e che sa fare buone cose è il modo migliore per aiutarlo a perseguire gli obiettivi terapeutici. E’
importante sapere che la schizofrenia è una malattia ad etiopatogenesi neuro-biologica. Per aiutare le persone con
questo disturbo, il modo migliore è assumere un atteggiamento rispettoso, solidale e gentile, senza, però, tollerare
comportamenti inappropriati, pericolosi o aggressivi.
Partecipare alle terapie di gruppo per familiari
La partecipazione dei caregiver a gruppi di terapia, orientati specificamente ai familiari, è importante, per aiutare i
familiari nel loro difficile compito assistenziale. La rete di rapporti sociali, che si crea in questi gruppi, può incoraggiare le
famiglie a lavorare insieme, per sostenere i programmi di trattamento comunitario, la rete dei servizi territoriali e la
ricerca, migliorando la sensibilità socio-politica ai temi della salute mentale. Tali gruppi possono richiamare, inoltre,
l’attenzione pubblica sulle tematiche dello stigma e della discriminazione nei confronti dei malati mentali.
Migliorare la salute fisica
Le persone affette da schizofrenia, di solito, non si prendono sufficiente cura di se stesse. Abitudini non salutari e
negative come il fumo, la mancanza di attività motoria, diete poco salutari ed obesità sono molto frequenti tra le persone
affette da questa malattia. E’ importante, perciò, che le persone affette da schizofrenia siano incoraggiate ad adottare
uno stile di vita salutare, attenendosi ad alcune regole basilari (non fumare, fare esercizio regolarmente, mangiare in
modo sano, etc.) magari aderendo a programmi di attività quotidiana gestita da operatori sanitari (p.es. Centri di Salute
Mentale, Centri Diurni, etc.).
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