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HIV - (Capobianchi 2007)
File: HIV_MRC_080630_rev2.doc
L’HIV è un retrovirus, cioè un virus a RNA che, grazie all'enzima trascrittasi inversa, inserisce il
suo genoma, in forma di DNA (provirus), nel genoma della cellula ospite. Le principali cellule
bersaglio dell'infezione sono i linfociti T CD4, la cui deplezione è il meccanismo fondamentale alla
base dell'immunodeficienza progressiva che accompagna l'infezione. Mentre le cellule T attivate
vengono uccise dall'infezione, nelle cellule T non attivate (resting) l'HIV può rimanere allo stato di
provirus latente, e persistere anche in presenza di farmaci antiretrovirali. Oltre ai linfociti CD4,
altre cellule (es. macrofagi) possono ospitare l'infezione da HIV, e fungere da reservoir virali. Come
in tutte le infezioni persistenti, la risposta immunitaria che si sviluppa nei soggetti infetti non è
protettiva.
Sono stati identificati due tipi di HIV (HIV-1 e HIV-2). Per entrambi i tipi, sono stati identificati
numerosi sottotipi, e molte forme ricombinanti.
HIV-1 è responsabile della grande maggioranza dei casi delle infezioni. HIV-2 appare meno
efficiente di HIV-1 nella trasmissione e ha determinato una epidemia ristretta all’Africa occidentale.
Il virus HIV-1 presenta 3 gruppi: “M” è il più diffuso; “O” ed “ N” sono di più recente
identificazione, e sono presenti nell’Africa centro-occidentale e solo eccezionalmente nel nostro
paese.
L'infezione da HIV può essere schematicamente distinta in tre fasi: infezione primaria o acuta, fase
di latenza clinica e fase clinicamente manifesta che culmina con la cosiddetta sindrome da
immunodeficienza acquisita (AIDS).
L’infezione primaria è spesso asintomatica, ma può presentarsi come malattia acuta, della durata di
poche settimane, di tipo simil-influenzale, i cui sintomi più comuni sono linfoadenopatia, eruzione
cutanea, febbre, ulcere orali, artralgie, mialgie, malessere. Tale fase si associa ad elevata viremia, e
spesso precede la sieroconversione. La fase dell’infezione che precede la comparsa dei marcatori
sierologici viene indicata come ”fase finestra”.
La fase di latenza clinica ha una durata variabile, anche di molti anni. Durante questa fase non si
manifestano segni clinici, ma il virus continua a replicarsi, determinando una progressione verso la
fase clinica. Tale progressione è accompagnata da progressiva deplezione dei linfociti CD4, e tende
ad essere tanto più rapida quanto più elevata è l'attività replicativa virale.
La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) si verifica quando il numero e la funzionalità
dei linfociti T CD4+ si riduce drasticamente ed è contrassegnata dalla comparsa di alcune infezioni
opportuniste e neoplasie. Tale fase clinica, se non contrastata da terapia antiretrovirale e da
trattamento specifico per le patologie opportuniste, ha andamento ingravescente, fino a determinare
l'exitus. L’AIDS può essere preceduto dalla comparsa di segni o sintomi e infezioni opportuniste
cosiddette minori.
La trasmissione dell’infezione da HIV avviene principalmente nei seguenti modi:
· per via sessuale
· per via ematica (scambio di siringhe, esposizione a sangue di mucose o lesioni cutanee, ecc.)
· per via verticale (dalla madre al figlio durante la gravidanza, al momento del parto o durante
l'allattamento)
Per la terapia specifica anti-HIV, vengono utilizzati farmaci che hanno una diretta azione
antivirale, appartenenti a diverse classi farmacologiche (inibitori della trascrittasi inversa, inibitori
della proteasi, inibitori della fusione, inibitori dell’integrasi, ecc.). Tali farmaci vengono per lo più
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utilizzati in combinazione (terapia antiretrovirale altamente efficace, HAART), in modo da
contrastare con maggiore efficacia l'insorgenza di farmacoresistenza.
Una diagnosi precoce ed accurata dell’infezione da HIV è importante perchè il paziente può
beneficiare della terapia, se necessaria, in uno stadio precoce, e perchè il contagio dei partners
sessuali può essere prevenuto.
L’utilizzo delle prestazioni disponibili per la diagnosi sia sierologica che virologica, differenziato
sulla base del sospetto diagnostico, può essere schematizzato nelle categorie sottoriportate.
Diagnosi di infezione
La diagnosi di infezione si basa su test sierologici, di screening e di conferma, diretti alla
evidenziazione degli anticorpi contro le proteine strutturali del virus.
L’algoritmo diagnostico per la diagnosi sierologia di infezione da HIV prevede, in prima fase, il
test di screening, basato su metodo immunoenzimatico (EIA), in grado di evidenziare gli anticorpi
anti-HIV1 e anti-HIV2 (test di terza generazione) o contemporaneamente gli anticorpi e l’antigene
p24 (test di quarta generazione, o combinati). I test di screening non consentono di differenziare
l'infezione da HIV-1 e HIV-2.
Se il test di screening risulta negativo, il campione è considerato negativo per la presenza di
anticorpi anti-HIV. Ai fini della corretta interpretazione del risultato, è opportuno che nel referto
venga inclusa una nota che segnali che, nei casi di sospetta infezione primaria, il test dovrebbe
essere ripetuto dopo una settimana.
Se il risultato è dubbio o positivo, è necessario eseguire un secondo test di screening,
preferibilmente con metodo diverso, di sensibilità almeno equivalente, e il test di conferma. Il test
di conferma (Western Blot o Immuno Blot, WB/IB) permette il riconoscimento delle specificità
anticorpali dirette verso i vari antigeni virali, ed è in genere specifico per HIV-1 e/o HIV-2, anche
se esistono test che permettono la contemporanea evidenziazione di bande per HIV-1 e HIV-2. Il
risultato del test di conferma può essere positivo, negativo o indeterminato. I criteri interpretativi si
basano sulla presenza di reattività contro i vari antigeni virali, prevedendo un minimo di due bande
reattive per ritenere positivo un risultato: per l’OMS vi devono essere almeno due bande specifiche
per i prodotti del gene env (gp120/160 o gp41), accompagnati o meno da bande specifiche per i
prodotti del gene gag (p55 o p24 o p17) e del gene pol (p68 o p53 o p32); per i CDC vi devono
essere almeno due tra le seguenti bande: p24, gp41 e gp120/160; il criterio dell’FDA è più
restrittivo, e prevede la presenza di almeno tre bande (gp120/160 o gp41 +p32+p24). I risultati che
presentano una sola banda reattiva, o un numero di bande minore di quello richiesto per soddisfare
il criterio di positività adottato, sono considerati indeterminati. I test che non presentano alcuna
banda reattiva sono considerati negativi. E’ opportuno che nel referto venga indicato il criterio
interpretativo utilizzato. Se il test di conferma è negativo e non vi è sospetto di infezione primaria, il
risultato del test di screening può essere considerato falso positivo, ma è opportuno ripetere il
saggio su un secondo prelievo per escludere la sieroconversione.
La combinazione dei test immunoenzimatici e WB/IB garantisce una sensibilità e specificità di
risultato estremamente elevata, con un valore predittivo positivo prossimo al 100%.
Tuttavia, nell’interpretazione dei risultati è sempre opportuno ricordare che nessun test diagnostico
fornisce risultati certi al 100% e quindi possono essere ottenuti risultati falsi positivi o falsi negativi,
anche se rari.
Nei casi di positività confermata, per la diagnosi definitiva molte linee guida (consultabili nei siti
web indicati) suggeriscono di ripetere il test sierologico su un secondo campione prelevato
successivamente, al fine di escludere un errore di identificazione del paziente. Tale orientamento
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rientra nelle valutazioni del counselling post-test (vedi appresso), ed è normato dettagliatamente da
disposizioni locali.
Nei soggetti che si trovino nella fase finestra (prima della sieroconversione) o nella fase finale della
malattia, la ricerca di anticorpi anti-HIV può dare esito negativo. Questa evenienza è meno comune
con i test di quarta generazione. Per i test di screening di terza generazione la finestra diagnostica è
in media di circa 19 giorni. Per i test di quarta generazione, che rilevano contemporaneamente gli
anticorpi e l'antigene p24, la finestra diagnostica è ridotta di qualche giorno. Tali test, quando
positivi, richiedono anch'essi un test di conferma. In caso di test combinato positivo, accompagnato
da test di conferma negativo, va considerata l'eventualità che il paziente si trovi nella fase finestra.
In tal caso la diagnosi va confermata mediante altri test (vedi diagnosi di infezione primaria).
I soggetti con infezione da HIV-2, rari nel nostro Paese, presentano in genere reattività ai test di
screening ed un quadro indeterminato al test di conferma specifico per HIV-1, con assenza di bande
per gp120/gp160. In presenza di situazioni compatibili con una infezione da HIV-2 occorre, quindi,
eseguire un test WB/IB per l'HIV-2. I casi di WB/IB indeterminato per HIV-1, oltre che a reattività
aspecifica ed a infezione da HIV-2, possono essere associati alla fase di sieroconversione (vedi
diagnosi di infezione primaria).
Il test per la diagnosi di infezione da HIV è gratuito, soggetto a norme di confidenzialità, può essere
eseguito in completo anonimato, e non può essere effettuato senza il consenso informato
dell’interessato. Presso i centri dove viene effettuato il prelievo e la consegna del referto deve
essere offerto il servizio di counselling (discussione) pre- e post-test. La discussione pre-test è
essenziale per informare il paziente sul significato del test, sui suoi limiti, sulla interpretazione dei
risultati, ed è il momento ideale per raccogliere il consenso informato. Non può essere consegnata
alcuna risposta positiva senza aver effettuato il test di conferma, e senza un adeguato counselling
post-test al paziente. Si raccomanda che il centro che effettua il test di screening sia in grado di
effettuare anche il test di conferma. Ciò garantisce anche una adeguata tempestività di risposta, che
comunque dovrebbe essere contenuta entro i 7-10 giorni dal prelievo.
E’ raccomandata la conservazione dei sieri, anche se vi sono notevoli difficoltà logistiche per la
necessità di spazi di laboratorio idonei dedicati, e non è prevista al momento la rimborsabilità di tale
attività. In alcune regioni (es. Lazio) la conservazione dei sieri positivi è obbligatoria.
Il test è raccomandato a tutte le donne gravide.
Esistono specifiche direttive per le persone esposte ad un rischio occasionale di contagio. In questi
casi è prevista l’offerta di counselling, una visita medica ed il test di screening sierologico al tempo
zero e a tempi successivi. Con i test più recenti la quasi totalità delle sieroconversioni si verifica
entro un mese dall’esposizione. Quando viene effettuata la profilassi post-esposizione, la
sieroconversione può essere ritardata; nel complesso, il set minimo di controlli post-esposizione
dovrebbe comprendere prelievi a 3 e 6 mesi dopo l’esposizione. Se il paziente presenta sintomi di
malattia compatibile con HIV ma risulta sieronegativo, è comunque consigliato un controllo più
precoce, e il paziente va riferito ad un centro specializzato. Il prolungamento del follow up
sierologico oltre i 6 mesi è consigliato solo in casi particolari, quali quelli riguardanti soggetti
immunodepressi, ed il personale sanitario esposto ad coinfezione HIV + HCV, perché in tal caso la
sieroconversione per HIV può essere ulteriormente ritardata.
I soggetti con rischio continuato di trasmissione di HIV rappresentano una categoria a parte per quel
che riguarda il follow-up: in tali casi è raccomandata l’esecuzione periodica del test HIV. In questo
modo, è possibile monitorare lo stato sierologico del soggetto e mantenere i contatti per colloqui di
counselling e prevenzione.
Diagnosi di infezione primaria
Nella fase iniziale il segnale sierologico più precoce dell'infezione è l'antigene p24 di HIV. I test di
screening sierologici combinati rilevano la presenza sia degli anticorpi che della p24, ma senza
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distinguere tra i due parametri. Nelle fasi precoci dell’infezione primaria (fase finestra), prima dello
sviluppo di anticorpi rilevabili un test combinato può risultare positivo per la presenza di p24, ma
accompagnato da test di conferma negativo o indeterminato. In caso di test combinato positivo
accompagnato da test di conferma negativo o indeterminato, va quindi considerata l'eventualità che
il paziente si trovi nella fase finestra: in tal caso la diagnosi va confermata mediante ricerca
sierologica di p24 (effettuabile anche sullo stesso prelievo del test di screening, e confermabile con
un test di neutralizzazione specifica), o mediante ricerca di HIV RNA nel plasma, su un prelievo
dedicato. L’HIV RNA è rilevabile nel plasma molto precocemente, anche prima della p24;
tuttavia, nel lasso di tempo che intercorre per ottenere il prelievo dedicato all’HIV RNA,
generalmente il quadro della sieroconversione si è completato.
In aggiunta alle argomentazioni
precedenti, ed in considerazione della possibilità di risultati falsamente positivi, il ricorso
routinario alla determinazione HIV RNA per la diagnosi “precoce” di infezione da HIV, in
popolazioni a bassa prevalenza e incidenza, è sconsigliato, rimanendo l’indicazione solo per i casi
di esposizione a rischio e di sospetta infezione acuta/primaria.
In ogni caso, la diagnosi di infezione primaria da HIV deve essere successivamente confermata
dalla presenza degli anticorpi anti-HIV (sieroconversione) a distanza di una settimana o più.
La diagnosi sul neonato da madre infetta non si basa sui metodi sierologici, in quanto gli anticorpi
rilevati potrebbero essere dovuti a trasmissione passiva dalla madre. Gli anticorpi materni possono
persistere anche oltre i 18 mesi, per cui la diagnosi nei neonati fino a 18 mesi è possibile solo con
la determinazione di HIV DNA provirale e con l’isolamento virale nei linfo-monociti del sangue
periferico (PBMC) del neonato, o con la ricerca dell’antigene p24 nel siero del neonato con test
non combinato. In ogni caso la diagnosi è difficoltosa, non e va eseguita presso centri specializzati,
perché alcuni dei test summenzionati (HIV DNA ed isolamento virale) non sono ancora
sufficientemente standardizzati.
Stadiazione dell'infezione
I parametri di riferimento sono: il numero dei linfociti CD4+, che riflette la compromissione del
sistema immunitario, e la carica virale (HIV RNA), che indica l'entità della replicazione virale. Le
linee guida di riferimento vengono periodicamente aggiornate.
Monitoraggio della risposta alla terapia antiretrovirale
La misura dell'HIV RNA (viremia HIV) è il test virologico utilizzato per valutare l'efficacia della
terapia anti-retrovirale, che viene utilizzato in parallelo con la determinazione del numero dei
linfociti CD4.
Il test misura la quantità di genomi virali circolanti, che è proporzionale all’attività re plicativa
virale.
Sono disponibili vari metodi per effettuare tale test, tutti basati su piattaforme molecolari. Tra
queste, si distinguono piattaforme basati sull’amplificazione enzimatica di tratti conservati del
genoma virale, comprendenti la PCR classica (end point o competitiva), la PCR con rilevazione in
real time, e l’amplificazione isotermica (NASBA), e metodi basati sull’amplificazione del
segnale di ibridazione a sonde ramificate (bDNA). Tutti i metodi attualmente disponibili
presentano elevata sensibilità (rilevano concentrazioni anche inferiori a 50 copie/ml), e pertanto
consentono di stabilire se una determinata terapia è efficace, ma, essendo disegnati principalmente
per rilevare il sottotipo B del gruppo M, possono presentare sensibilità ridotta verso i sottotipi non
M. Inoltre, in genere, i metodi commerciali disponibili non consentono la misura dell’RNA di HIV2.
La valutazione di farmaco-resistenza viene effettuata per valutare la sensibilità dell’HIV ai farmaci
antiretrovirali, e viene utilizzata per impostare la terapia antiretrovirale e per ottimizzarne la scelta
in caso di fallimento terapeutico. I test che danno informazioni in tal senso sono di tipo fenotipico
(valutazione della concentrazione di un determinato farmaco capace di inibire la replicazione virale)
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o di tipo genotipico (ricerca di mutazioni basati su analisi di sequenza), che sono i più utilizzati
nella pratica di laboratorio (HIV genotipo). I test per la valutazione della resistenza richiedono una
elevata specializzazione dei laboratori che li eseguono, ed in genere una guida esperta
nell’interpretazione dei risultati. I test genotipici sono anche in grado di determinare il genotipo
virale; tale informazione non è generalmente utilizzata nella gestione clinica, ma è utilizzata negli
studi di epidemiologia molecolare, principalmente a scopo di ricerca.
Per il monitoraggio della risposta terapeutica è possibile effettuare anche la determinazione
quantitativa nei PBMC del DNA provirale, ma tale misura non è eseguibile in laboratori
convenzionali ed è utilizzata al momento per scopi di ricerca.
Isolamento virale
L'isolamento virale, per la sua particolare complessità, non viene utilizzato di routine per la
diagnosi di infezione da HIV, ma viene eseguito in casi particolari, e va condotto all’interno di un
laboratorio di Biosicurezza di livello 3 (BL3). Tale indagine è utile per scopi di ricerca, per la
sperimentazione di nuovi farmaci antiretrovirali, per studiare nuove varianti di HIV e per risolvere
casi dubbi.
Letture consigliate
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B. Weber. Screening of HIV infection: role of molecular and immunological assays. Expert
Rev Mol Diagn 6: 399-411, 2006
2.
K E Rogstad, A Palfreeman, G Rooney, G Hart, R Lowbury, P Mortimer, P Carter, S Jarrett,
E Stewart, J Summerside, UNITED KINGDOM NATIONAL GUIDELINES ON HIV TESTING
2006 (scaricabile dal sito http://www.bashh.org/guidelines/2006/hiv_testing_june06.pdf)
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4.
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http://www.ministerosalute.it/aids/resources/aids/documenti/terapia.pdf)
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6.
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7.
Klatt EC. Pathology of AIDS Version 18, Florida State University College of Medicine,
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8.
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http://archfami.ama-assn.org/cgi/reprint/9/9/924)
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Infection and the European Office of the World Health Organization. European guideline for testing
for HIV infection. Int J STD AIDS. 2001 Oct;12 Suppl 3:7-13. (scaricabile dal sito
http://ijsa.rsmjournals.com/cgi/reprint/12/suppl_2/7)
10.
HIV Testing Algorithms - Status Report 2009 (scaricabile dal sito
http://www.aphl.org/aphlprograms/infectious/hiv/Pages/HIVStatusReport.aspx)
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Legge N. 135 - 5 Giugno 1990: “Piano degli interventi urgenti in materia di prevenzione e lotta
all'AIDS”, Gazzetta Ufficiale n. 132, 8 giugno 1990
Siti di riferimento
Informazioni generali
http://www.ministerosalute.it/hiv/hiv.jsp
http://www.epicentro.iss.it/problemi/aids/aids.asp
http://www.medscape.com/hiv
http://clinicalcareoptions.com/HIV.aspx
Linee guida
http://www.cdc.gov/hiv/resources/guidelines/
http://www.who.int/hiv/pub/guidelines/en/
http://www.aidsinfo.nih.gov/guidelines/
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http://www.thebody.com/index/treat/testing_guidelines.html
http://www.bhiva.org
http://www.bashh.org/guidelines/2006/hiv_testing_june06.pdf
http://www.iusti.org/regions/Europe/HIV%20Testing%20Guideline%2020.11.07.pdf
Test di resistenza
http://www.hivresistanceweb.com/index.shtml
http://www.hivrdi.org/
http://hivdb.stanford.edu/
http://www.hiv.lanl.gov/content/index