TITOLO Presentazione di un caso di Kawasaki disease shock syndrome (KDSS) NOMI AUTORI N. Sardi; C. Galletto; L. Besenzon AFFILIAZIONI Struttura Complessa di Pediatria e Neonatologia, Ospedale “Santissima Annunziata”, Savigliano, Italia INTRODUZIONE La malattia di Kawasaki (MK) è la seconda più frequente causa di vasculite sistemica del bambino; nel 25% dei casi non trattati si può assistere all'insorgenza di gravi anomalie delle arterie coronarie. Spesso, soprattutto nell'adolescenza, può esserci una presentazione atipica/incompleta, con conseguente possibile ritardo diagnostico. La Kawasaki disease shock syndrome (KDSS) è una rara e severa modalità di presentazione della MK, spesso difficile da diagnosticare, definita dalla presenza di almeno una delle seguenti condizioni: ipotensione sistolica (pressione sanguigna < -2 Deviazioni Standard per età e sesso o decremento della pressione sistolica > 20% rispetto al livello base) o segni clinici di ipoperfusione, in associazione ai criteri clinici di MK. Nelle unità di terapia intensiva pediatrica, la KDSS può essere inizialmente confusa con la sindrome da shock tossico; rappresenta infatti una rara causa di shock nel bambino, che andrebbe sospettata e trattata precocemente da parte dei pediatri e dei medici intensivisti. MATERIALI E METODI Descriviamo il caso di una paziente di 7 anni con una MK atipica, complicatasi con una sindrome da shock severo e trattata con successo con steroidi ed immunoglobuline endovena (Ig e.v.). CONTENUTO La bambina C.S., 7 anni, giunge alla nostra osservazione inviata dal pediatra curante per sospetto di focolaio broncopneumonico destro; da qualche giorno presentava alvo diarroico (2-3 scariche al giorno); poi comparsa di febbre. Non vi era nulla da segnalare in anamnesi famigliare e personale. All’ingresso le condizioni generali della paziente non erano compromesse. L’esame obiettivo risultava sostanzialmente di norma. Gli esami ematochimici effettuati all’ingresso evidenziavano una modica piastrinopenia (WBC: 9.550, NE 89,1%, LY 7,8%, HGB: 13,7 g%, HCT: 41,1% PLT: 105.000) ed un incremento degli indici di flogosi (PCR: 24,8 mg/dl); multistix urine ed Rx torace erano di norma. Veniva iniziata idratazione e.v. e terapia antibiotica (ampicillina-sulbactam e.v. e claritromicina per os). Effettuate inoltre l’emocoltura e la ricerca degli Anticorpi anti Mycoplasma IgM, risultate negative. Nei giorni successivi le condizioni generali della paziente peggioravano gradualmente, con persistenza di febbre, dolore addominale ed alcune scariche diarroiche (coprocoltura e Vidal Wright: negative). In seconda giornata di degenza l'emocromo evidenziava un’ulteriore riduzione della conta piastrinica (PLT: 81.000) con conta leucocitaria stabile (WBC: 7.340, N 83,8%); incremento della creatinina (0,94 mg/dl), iposodiemia (128 mEq/L) ed ipopotassiemia (3,0 mEq/L). Striscio periferico: negativo. Venivano pertanto richiesti: Rx torace di controllo: di norma; ECG di norma; ecografia addome completo: "in FIDx alcuni linfonodi tondeggianti di 8-15 mm, ispessimento delle pareti dell’appendice (5 mm) ad aspetto ipoecogeno, compatibile con flogosi in atto". Visto il quadro dubbio per appendicopatia, veniva posta indicazione ad intervento di appendicectomia in laparoscopia: all’atto operatorio riscontro di liquido citrino; adenopatie mesenteriche a livello del tenue distale; appendice lievemente edematosa. Veniva modificata la terapia antibiotica in atto con introduzione di Ceftazidime e Metronidazolo. Nel decorso post-operatorio la bambina presentava necessità di ossigenoterapia e persistenza di condizioni generali mediocri con ipotensione (PAOS 70/30 mmHg), tachipnea, tachicardia e febbre elevata. Dopo l’intervento, in relazione all’incremento del valore della procalcitonina (>200,00 ng/ml), veniva aggiunta in terapia Amikacina ed effettuata TAC torace-addome con riscontro di “falda di versamento pleurico dello spessore di 12 mm a sinistra e 10 a destra; in esiti di recente intervento chirugico di appendicectomia, falda di versamento liquido lungo la doccia parietocolica d’ambo i lati, nello scavo pelvico a destra e disposto tra le anse intestinali, lievemente distese; alcuni linfonodi mesenteriali ingranditi (diametro assiale massimo 19 mm a destra)”. Visto il persistere della febbre elevata da più di 5 giorni in associazione ad iperemia congiuntivale bilaterale e linfoadenopatia laterocervicale (con VES 43 e PCR 16 mg/dl, emoglobina 9,7 g/dl, albumina 2,54 g/dl) veniva posto il sospetto di malattia di Kawasaki atipica: veniva quindi richiesto un ecocardiogramma che evidenziava la presenza di flusso a livello del Botallo, di entità lieve, ma ben evidente; normali le camere cardiache, il calibro e la morfologia delle coronarie. L’assenza del coinvolgimento delle coronarie veniva poi riconfermato alla valutazione di controllo effettuata a distanza di 5 giorni. Per escludere insorgenza di patologia oncoematologica veniva eseguito inoltre agoaspirato midollare: midollo normo-ipercellulare di tipo reattivo. In quarta giornata di ricovero, visto il persistere della febbre elevata, in accordo con Centro di III livello regionale (Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino, Divisione di Reumatologia) e nel sospetto di una KDSS, veniva iniziata terapia con Ig e.v. 2 gr/kg ed prednisone per os (2 mg/kg/die). Già dal giorno successivo la paziente risultava stabilmente sfebbrata con netto miglioramento delle condizioni generali. Gli esami ematologici evidenziavano una riduzione dei valori di procalcitonina e la normalizzazione della conta piastrinica (in assenza di piastrinosi). Iniziata terapia con acido acetilsalicilico (ASA, 3 mg/kg/die) in 11^ giornata di ricovero. La bambina veniva dimessa al 13^ giorno di ricovero con terapia steroidea + ASA ed inviata per consulenza immunoreumatologica presso il Centro di III livello: in relazione all’assenza di coinvolgimento cardiaco (riconfermato da un ulteriore ecocardiogramma effettuato a distanza di circa un mese da quello effettuato in regime di ricovero) veniva posta indicazione a proseguire ASA per due mesi dall’esordio della sintomatologia e a controllo cardiologico di follow-up a distanza di 6 mesi. La paziente veniva quindi sottoposta a chiusura percutanea del Dotto arterioso di Botallo a distanza di 7 mesi, in assenza di complicanze. Eseguito ecocardiogramma di controllo: non reperti patologici, non più indicati controlli CONCLUSIONE I pazienti con KDSS possono presentare un esordio ed un decorso clinico inusuale con conseguenti difficoltà diagnostiche: gli indici infiammatori sono generalmente più elevati rispetto ai casi con m. Kawasaki e maggiore è il rischio di anomalie coronariche. Questi pazienti spesso non presentano tutti i criteri di MK con conseguente ritardo diagnostico e nella somministrazione delle Ig e.v. Frequentemente si assiste inoltre alla resistenza alla prima dose di Ig e.v. E’ pertanto raccomandabile che i pediatri mantengano un elevato indice di sospetto per la KDSS; fondamentale è infatti la precocità di diagnosi e di trattamento al fine del miglioramento prognostico. Bibliografia di riferimento Marrani et al.: Kawasaki shock syndrome: a case report. Pediatric Rheumatology 2014 12 (Suppl 1): P350. Chen PS et al.: Clinical manifestations of Kawasaki disease shock syndrome: a case-control study. J Microbiol Immunol Infect. 2015 Feb; 48 (1):43-50. TITOLO Management della Bronchiolite: un progetto di “Quality Care Improvement” NOMI AUTORI A. Smarrazzo 1; M.D. Cambriglia 1; A. Lo Vecchio 1; P. Siani 2; L. Martemucci 2; A. Correra 2; V. Tipo 2; A. Guarino 1 AFFILIAZIONI 1 Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, 2 Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Santobono-Pausilipon” INTRODUZIONE Le diverse linee guida per la gestione della bronchiolite in età pediatrica suggeriscono un approccio minimamente interventistico, per la scarsa efficacia dei diversi trattamenti proposti. Al fine di migliorare la gestione diagnostico-terapeutica nella prossima stagione epidemica, abbiamo condotto uno studio prospettico osservazionale per valutare l’aderenza degli operatori sanitari alle linee guida e l’impatto degli interventi applicati sull’outcome clinico; a tale scopo sono state prese in considerazione le linee guida internazionali per la gestione della bronchiolite e i principali RCT sulla terapia, al fine di creare un algoritmo diagnostico-terapeutico ideale da confrontare con la realtà clinica di un grande ospedale pediatrico. Lo studio è stato ideato e condotto da un gruppo di specializzandi in Pediatria. MATERIALI E METODI Sono stati arruolati bambini di età inferiore a 12 mesi visti consecutivamente presso l’Ospedale Pediatrico Santobono dal 15/12/2015 al 31/03/2016 per sospetta bronchiolite. Sono stati inclusi solo casi direttamente osservati da osservatori indipendenti (specializzandi in Pediatria che non hanno direttamente partecipato alla gestione del caso) tramite l’uso di schede contenenti dati anamnestici e clinici, fattori di rischio, tempi di degenza e di eventuale ossigenoterapia ed eventuali complicanze. I pazienti con sintomi da oltre 10 giorni sono stati esclusi per evitare bias legati a bronchiti asmatiformi. Le diverse linee guida sono state armonizzate in un algoritmo, adattato alla realtà operativa dell’ospedale e discusso con il personale medico coinvolto. Per valutare l’aderenza alle linee guida abbiamo scelto alcune raccomandazioni su cui le società scientifiche concordano e registrato le violazioni commesse, distinguendole in maggiori (uso di steroidi per via parenterale/orale, mancata effettuazione di un emogas arterioso, uso di antibiotici se non indicati da problemi concomitanti o eventuali complicanze, ossigenoterapia quando non indicata o effettuata erroneamente) e minori (uso di cortisonici per aerosol, effettuazione di una radiografia del torace, incompleta o assente rilevazione dei parametri vitali o degli score clinici, uso del broncodilatatore anche in bambini non responsivi al trial, mancata idratazione endovenosa in pazienti con difficoltà di alimentazione). CONTENUTO Dei 277 bambini osservati nel corso dello studio, 161 (58.1%) sono risultati analizzabili. Nel 64.6% dei casi si è trattato del primo episodio di distress respiratorio. Nel 45.9% (74/161) dei casi ha riguardato bambini con fattori di rischio o altre patologie antecedenti (il 6.8% erano pretermine, il 7.3% ha avuto necessità di supporto respiratorio alla nascita, il 14.3% era affetto dal altre patologie, il 41.4% era esposto a fumo di sigaretta, il 38.8% aveva meno di 2 mesi). La maggior parte dei bambini presentava sintomi e segni (principalmente distress, rantoli e wheezing, solo in un caso apnea) da circa 72 ore. Al momento dell’ingresso in Pronto Soccorso una quota significativa era in trattamento con antibiotici (25.2%), steroidi (32.8%), aerosol (36.6%), ma dopo l’ingresso in ospedale la prescrizione di tali terapie è notevolmente aumentata (rispettivamente al 63.9%, 80%, 100%), e ancora oltre nel corso della degenza (rispettivamente 70%, 81.4%, 98.1%). La frequenza respiratoria è stata registrata in soli 58 casi così come raro è stato l’uso di emogasanalisi arteriosa, mentre la quasi totalità dei bambini ha effettuato indagini laboratoristiche di base. La degenza media è stata di 6.1 giorni (minimo 1, massimo 26); 14 casi sono stati complicati da gastroenterite, 1 da polmonite e 5 da insufficienza respiratoria. I pazienti che, prima di arrivare in ospedale, avevano già intrapreso terapia con antibiotici o cortisonici hanno avuto una degenza mediamente più lunga (7.77 giorni per chi assume l’antibiotico, 5.77 per chi non l’assume, F=5.664, p=0.019; 7.28 giorni per chi assume il cortisonico, 5.78 per chi non l’assume, F=3.683, p=0.057) pur non osservandosi significative differenze tra queste 2 popolazioni in merito a parametri rilevati, sintomatologia o fattori di rischio né per quanto riguarda le successive complicanze. Al contrario, coloro che dopo l’ingresso in ospedale hanno aggiunto o proseguito una terapia antibiotica o cortisonica hanno avuto degenze simili in durata rispetto a chi non ha praticato tali terapie. Inoltre l’effettuazione di un’antibioticoterapia, pur in assenza di indicazioni cliniche, non ha comportato una significativa variazione della durata di degenza. Nel 90% dei casi è stato effettuato un test rapido per la ricerca del Virus Respiratorio Sinciziale (69% dei quali è risultato positivo), mentre l’88.7% dei pazienti ha effettuato una radiografia del torace. Circa il 34.8% dei pazienti ha ricevuto ossigenoterapia (per una durata media di 67 ore, 1/3 delle quali mediante alti flussi) mentre il 29.8% ha ricevuto idratazione per via endovenosa. È stata rilevata una compliance media al 34% con le linee guida; solo in 25 casi è stata riscontrata una compliance superiore o uguale al 60%. Ciò è dovuto ad una elevata presenza di violazioni (in media 1,8 maggiori e 3 minori). Tra le maggiori, le più frequenti erano la somministrazione di cortisonici per os (117/161 casi) e l’erronea o mancata effettuazione di un emogas (118/145 casi). Tra le minori, l’effettuazione della radiografia del torace (142/160 casi), l’incompleta rilevazione dei parametri vitali (109/161 casi, solo in 58 casi è stata rilevata la frequenza respiratoria) e la mancata reidratazione endovenosa nei piccoli con difficoltà di alimentazione (97/160 casi). Va inoltre precisato che le violazioni relative ad un’antibioticoterapia non indicata sarebbero potute essere in numero maggiore qualora fossero stati utilizzati dei criteri più stringenti per definirne l’indicazione; nel nostro caso è stata posta l’indicazione alla presenza di anche solo uno dei criteri di rischio (paziente pretermine, storia di difficoltà respiratoria alla nascita, presenza di comorbidità, età inferiore ai 2 mesi, condizioni generali apparentemente scadenti, radiografia del torace con addensamento, Virus Respiratorio Sinciziale su tampone nasale negativo, incremento degli indici di flogosi, leucocitosi neutrofila, positività delle colture o della sierologia per Mycoplasma o Chlamydia, temperatura corporea >37,5°) e ciò ha comportato la presenza di solo 22 violazioni su 161 casi. Discorso simile anche per l’ossigenoterapia, per cui la presenza di anche solo un criterio (tra SatO2<95%, presenza di distress respiratorio, cianosi o frequenza respiratoria >50 apm) poneva l’indicazione alla somministrazione di ossigeno; le uniche due violazioni, infatti, erano dovute all’uso di ossigeno non umidificato e non riscaldato, piuttosto che alla mancata necessità di ossigenoterapia. CONCLUSIONE I dati sono stati sicuramente influenzati, oltre che dalla quota inaspettatamente elevata di casi positivi per il Virus Respiratorio Sinciziale, dalla osservazione di una stagione epidemica decisamente più lieve rispetto alle aspettative. Inoltre non è stato possibile effettuare un confronto obiettivo tra i singoli casi registrati, dal momento che l’incompleta raccolta dei parametri vitali ha impedito l’applicazione di score clinici mirati alla valutazione della gravità clinica dei singoli pazienti. Non si sono osservate differenze significative nel decorso clinico dei pazienti trattati con antibioticoterapia o con steroidi rispetto a quelli trattati solo con aerosol, né una quota significativa di complicanze cliniche o decorsi gravi. Il principale risultato di questo studio risiede non tanto nell’ottenimento di chiare e condivise indicazioni terapeutiche per la bronchiolite (risultato scientifico di difficile ottenimento alla luce della ridotta numerosità campionaria), bensì nella sua impostazione metodologica (risultato didattico-metodologico). Il progetto di “Quality Care Improvement” è stato generato e gestito da un folto gruppo di Specializzandi interessati alla applicabilità ed efficacia delle linee guida, quale riflesso della distanza che esiste tra la teoria e la pratica. Partendo da una revisione della letteratura e dalla successiva impostazione di un algoritmo decisionale, si è ottenuto un quadro generale dei fattori che influenzano la aderenza della pratica clinica alle linee guida esistenti. Tra i fattori da considerare vi è sicuramente la stagione epidemica più lieve del previsto, sebbene questo non abbia impedito di registrare numerose e sostanziali deviazioni da quanto suggerito dalle linee guida, soprattutto per quanto riguarda la prescrizione di cortisonici e l’effettuazione della radiografia del torace. Per l’organizzazione dei turni dei medici, la gestione terapeutica è affidata a diversi medici, che svolgono turni di guardia, inevitabilmente privi di una visione diretta dell’evoluzione clinica del singolo caso e perciò inclini a modificare la gestione terapeutica sulla base delle proprie esperienze piuttosto che del decorso dei sintomi. Anche il poco frequente utilizzo della frequenza respiratoria o dell’emogas arterioso nella valutazione clinica del paziente suggerisce una preferenza per l’impressione clinica e l’esperienza come parametri decisionali. Ciò comporta una elevata quota di violazioni, riguardanti soprattutto l’effettuazione di indagini o terapie non indicate e oramai universalmente riconosciute come scarsamente utili ed efficaci, esponendo i pazienti ad un aumentato rischio clinico (in termini di effetti collaterali, esposizione a radiazioni, etc) associato ad un sostanziale aumento dei costi sanitari. Ciò è ancora più preoccupante se si pensa che tali violazioni sarebbero potute essere addirittura maggiori in caso di una epidemia di portata maggiore. La ragione dell’elevato numero di interventi non necessari andrebbe ricercata, oltre che nella carattere decisamente poco “interventistico” e molto “attendista” delle linee guida, soprattutto nel timore dato dalla gestione di pazienti molto giovani e fragili, per natura inclini a rapide e sostanziali variazioni del quadro clinico; a questo concetto va forse anche strettamente legato quello della medicina difensiva, in particolare nei reparti di urgenza ed emergenza, che induce all’intervento (sia diagnostico che terapeutico) piuttosto che alla semplice osservazione. Verosimilmente, nell’approccio a questi pazienti e di fronte a linee guida così attendiste, si è portati, quindi, ad applicare gli interventi disponibili ancorché non indicati da evidenze della letteratura. Al fine di migliorare l’aderenza alle linee guida vanno effettuate modifiche della pratica clinica, partendo dalla anticipazione dell’usuale decorso clinico bimodale ai genitori nel motivare l’eventuale non-intervento terapeutico, fino alla chiara argomentazione di modifiche nella gestione basandosi su parametri clinici obiettivi. Come già riportato in altri casi in letteratura (Ambroggio L, Thomson J, Kurowski EM, et al, Quality Improvement Methods Increase Appropriate Antibiotic Prescribing for Childhood Pneumonia, Pediatrics 2013;131;e1623), sono necessari incontri multipli ed interattivi sulle evidenze delle linee guida, al fine di radicare le corrette pratiche di gestione di protocolli diagnostico-terapeutici per condizioni frequenti. TITOLO Epidemia di Morbillo in Campania: tassi di infezione, complicanze e copertura vaccinale. NOMI AUTORI M.D. Cambriglia; F. Chiatto; S. Viscovo; A. Smarrazzo; A. Guarino; A. Lo Vecchio AFFILIAZIONI Dipartimento di pediatria, Azienda ospedaliera universitaria Policlinico Federico II, Napoli, Italia INTRODUZIONE Nonostante il morbillo sia una malattia prevenibile con un vaccino sicuro ed efficace, rappresenta ancora oggi causa di epidemie. L'OMS programmava di eliminare il morbillo nei paesi dell'Unione Europea entro il 2015, tuttavia da luglio 2015 a giugno 2016, 1.818 casi sono stati riportati in 30 paesi UE. Un terzo di questi è stato registrato in Italia, dove solo nel giugno 2016 sono stati segnalati 57 casi (23 in Campania). L’European Center for Disease Control definisce il riscontro di 2 o più casi confermati e temporalmente correlati (entro 718 giorni) come epidemia di morbillo. Questo studio ha lo scopo di registrare l’incidenza dei casi di morbillo presso il Dipartimento di Pediatria del Policlinico Federico II, valutarne l’andamento clinico, le complicanze e stimare la copertura vaccinale. MATERIALI E METODI Allo scopo di valutare le variazioni nei tassi di infezione, sono stati recuperati tutti i casi di morbillo ricoverati presso il Dipartimento di Pediatria dell’AOU Federico II da gennaio 2007 a settembre 2016 attraverso i codici ICD-9: 055.0, 055.1, 055.2, 055.7, 055.8 e 055.9. I tassi di infezione sono stati calcolati come rapporto tra gli episodi infettivi registrati presso tale Dipartimento ed il numero totale di ricoveri effettuati presso la stessa struttura per ciascun anno, e poi normalizzati per 1.000 ricoveri. Sono stati inoltre raccolti dati relativi ai casi di morbillo, utilizzando una scheda pre-costituita con dati anagrafici, malattie croniche concomitanti, stato vaccinale, dati clinici e biochimici (leucociti e PCR), presenza di complicanze, terapia praticata (antibiotico e/o vitamina A) ed esito alla dimissione. In collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità è stato possibile tipizzare il virus responsabile dell’infezione inviando alcuni campioni di urine, sangue e saliva presso il WHO - National Reference Laboratory for Measles and Rubella. Infine abbiamo valutato la copertura vaccinale locale utilizzando un campione di convenienza costituito dai pazienti sopra l’anno di vita che negli ultimi 3 mesi hanno avuto accesso al Dipartimento di Pediatria ed hanno esibito libretto vaccinale regionale. Nei pazienti non vaccinati o con calendario vaccinale incompleto, abbiamo esaminato le motivazioni del rifiuto o ritardo nell’esecuzione del vaccino MPR. CONTENUTO Dai dati raccolti, è possibile osservare un aumento del tasso di incidenza dell’infezione da morbillo negli ultimi anni ed in particolare da Gennaio 2016 quando è stato registrato un tasso di 10.5/1000 ricoveri (Figura). A partire dal 2007, sono stati registrati 23 casi di morbillo, tutti negli ultimi 5 anni (14 M, età mediana 22.3 mesi). Nessuno dei pazienti ricoverati aveva effettuato il vaccino MPR e solo per 7 (30.4%) era noto un contatto. Quattordici/23 casi (60%) sono stati ricoverati da gennaio 2016 ad oggi. Sette/14 (50%) dei casi osservati nel 2016 è al di sotto dei 15 mesi, età della prima dose del vaccino MPR. Tutti i pazienti ricoverati (durata media 5 ± 2.5 giorni) hanno sviluppato febbre di durata media di 6.8 ± 2.8 giorni. Quattordici dei 23 (60.8%) pazienti hanno presentato almeno una complicanza: 10 polmonite (3 addensamento lobare e 7 interstiziopatia), 7 neutropenia (valore medio N 981), 6 linfopenia (valore medio L 923) 3 piastrinopenia (valore medio PLT 123000), 1 otite, 1 miocardite, 1 pancreatite acuta, 1 epatite. Solo per tre casi è stato possibile tipizzare il ceppo responsabile dell’infezione che è stato identificato come genotipo B3. Per la stima della copertura vaccinale sono stati arruolati 185 soggetti, di cui 161 (87.1%) risultava aver ricevuto almeno una dose di vaccino MPR, e 24 (12.9%) non avevano ricevuto alcuna dose di vaccino MPR. L’80% (148/185) aveva un calendario adeguato per età, e il 7% (13/185) aveva ricevuto solo una dose di vaccino nonostante un’età > 6 anni. Tra i pazienti non adeguatamente vaccinati, il 29% (11/37) non aveva vaccinato per riscontro di malattia acuta intercorrente, il 21% (8/37) per malattia cronica sottostante, 18% (7/37) per paura degli effetti collaterali potenzialmente correlati al vaccino MPR, 10.8% (4/37) per dimenticanza, 8% (3/37) per allergia alle proteine dell’uovo e solo 1 caso per terapia immunosoppressiva in corso. CONCLUSIONE Nonostante la vaccinazione contro il morbillo rappresenti la misura più efficace di prevenzione dell’infezione, ancora oggi nel 2016, dopo più di 50 anni dalla sua introduzione, osserviamo il manifestarsi di focolai epidemici di tale malattia. È importante sottolineare che in una popolazione suscettibile un soggetto affetto da morbillo può contagiare in media 15-18 persone, le quali a loro volta rappresentano una fonte di contagio per altrettanti soggetti. Il crescente fenomeno dell’esitazione e del rifiuto della pratica vaccinale da parte dei genitori è evidente in Italia e in particolare nella Regione Campania dove, in base ai dati epidemiologici regionali risulta essere vaccinato l’83,66% dei bambini. Tale stima sarebbe confermata dai dati ottenuti sul nostro campione (80% copertura vaccinale completa). Nella casistica riportata, si segnala che oltre la metà dei casi ha presentato almeno una complicanza d’organo correlata all’infezione da morbillo, alcune delle quali gravi, come un episodio di miocardite, pancreatite ed epatite. L’aumento della numerosità dei casi in Campania, come in Italia, deve rappresentare un campanello d’allarme per la comunità scientifica e in particolar modo per i Pediatri al fine di stimolare la ricerca di adeguate strategie di comunicazione che combattano l’esitazione dei genitori nel vaccinare i propri figli. TITOLO Un caso di artrite subdola NOMI AUTORI A. Orlandi1; ME. Liverani1; A. Macari1, A. Bozzone1, F. Verdecchia1, MP. Villa1 AFFILIAZIONI 1 UOC di Pediatria, Ospedale Sant’Andrea, Roma, Italia INTRODUZIONE Il Parvovirus B19 è l’agente eziologico responsabile della quinta malattia, di aplasia midollare transitoria, di sindrome da attivazione macrofagica reattiva, di epatite, di idrope fetale, di meningite asettica ed artrite, di tipo acuto e cronico. L’artropatia da Parvovirus B19, descritta per la prima volta nel 1985, colpisce soprattutto adolescenti di sesso femminile e può essere anche l'unico segno di infezione. Si può manifestare con un quadro di artrite o di artralgie, spesso simmetriche, ad insorgenza acuta, con carattere migrante. Si può associare a rash con carattere aspecifico. La sua patogenesi è ancora sconosciuta ma si ipotizza un meccanismo immunomediato post-infettivo. Il suo decorso clinico è molto variabile e può includere forme acute della durata di alcuni giorni e forme croniche della durata superiore a sei mesi. La prognosi è benigna. MATERIALI E METODI Descrizione di un caso clinico avvenuto nel nostro reparto di Pediatria. CONTENUTO Bambina di 11 anni ricoverata per comparsa da un giorno di febbre (Tmax 38°C), dolore e tumefazioni delle articolazioni metacarpo-falangee e interfalangee prossimali delle mani bilateralmente, preceduti nelle 24 ore da esantema migrante a partenza dalle caviglie e progressione caudocraniale fino al tronco e viso. Storia di sospetta scarlattina circa 8 giorni prima non trattata. All'ingresso la paziente presentava segni di artrite delle articolazioni delle mani, non soffi cardiaci; gli esami ematochimici mostravano leucocitosi neutrofila (GB 12.000 cell/microL, N70%), lieve anemia (Hb 10 g/dl), rialzo di PCR (9.4 mg/dl), VES nella norma, C3 e C4 conservati, ANA, FR, TAS negativi. Tampone faringeo negativo per SBEGA (non era stata eseguita terapia antibiotica) e nella norma l'intervallo P-R all'ECG. All'ecocardiografia eseguita in quinta giornata dall'esordio si evidenziava un isolato e modesto ispessimento dei lembi mitralici e dell'apparato tensore. Eseguita terapia con Amoxicillina-clavulanato e Ibuprofene per 10 giorni con remissione della sintomatologia e normalizzazione dell'emocromo e degli indici di flogosi nei primi 5 giorni di trattamento. La localizzazione dell'artrite e il descritto esantema hanno posto il sospetto dell'eziologia da Parvovirus B19 la cui sierologia all'ingresso ha evidenziato la positività di IgM e IgG. All'ecocardiografia di controllo eseguito circa 8 giorni dopo l'esordio di febbre e artrite si evidenziava lieve iperecogenicitá dei lembi mitralici, lieve arching del lembo anteriore mitralico con lieve insufficienza mitralica. Visto il reperto ecocardiografico eseguito negli anni precedenti completamente nella norma, nonostante non venissero riscontrati i criteri di Jones per malattia reumatica, viene iniziata la terapia profilattica con Benzatilpenicillina im. Dopo circa un mese dall'esordio della sintomatologia sono stati ripetuti ecocardiografia, TAS, tampone faringeo risultati negativi, pertanto, è stata sospesa la terapia profilattica per malattia reumatica (somministrata una sola dose). A distanza di 8 settimane dall'esordio sono stati ripetuti ecocardiografia risultata nella norma e la sierologia per Parvovirus B19 che ha confermato la positività delle IgG con riduzione del titolo di IgM. La ricerca di Parvovirus B19-DNA su sangue tramite PCR ha evidenziato circa 899 copie/microL. La paziente ha continuato a presentare episodi autolimitanti e poussées di artrite a livello degli arti superiori ed inferiori nelle 10 settimane successive all'esordio, rispecchiando l'andamento già noto dell'artropatia immunomediata da Parvovirus B19 che colpisce maggiormente adolescenti di sesso femminile con meccanismo tuttavia ignoto. Attualmente è stato indicato un follow-up cardiologico, vista la mancanza di dati in letteratura sul meccanismo patogenetico e sull'eventuale interessamento cardiologico in corso di tale infezione. CONCLUSIONE Di fronte ad un quadro di artrite senza documentata infezione da streptococco betaemolitico e con ecocardiografia non “immacolata” resta aperto il dubbio se sia o meno indicata una profilassi anti-reumatica. La diagnosi di artrite da Parvovirus B19 permette un atteggiamento attendista, ma necessita di follow-up cardiologico nel tempo. TITOLO ASCESSO CEREBELLARE IN BAMBINO CON ADDOMINALGIE RECIDIVANTI NOMI AUTORI I.Dodi, P.Largo, F.Cennamo, S.Venezia, M.Rubini, P.Lugani, V.Maffini, P.Villani. AFFILIAZIONI Pediatria Generale e d'Urgenza – Ospedale dei Bambini “Pietro Barilla” Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma INTRODUZIONE L’ascesso (a.) intracranico è un’evenienza infrequente in età pediatrica. L’età di maggiore incidenza di tale condizione è, nel 25% dei casi, tra i 4 e i 7 anni. Tendenzialmente si manifestano come complicanza di un’infezione localizzata al volto o all’encefalo (otiti, celluliti orbitarie, meningiti e, nella maggior parte dei casi sinusiti). Esse derivano dalla diffusione dell’infezione allo spazio intracranico attraverso zone di osteite oppure per via ematogena. In alcuni casi tale complicanza può essere favorita dalla presenza di condizioni predisponenti come difetti cardiaci congeniti e deficit immunitari. (1) La diagnosi differenziale principale dell'ascesso intracranico è data dalle lesioni occupanti spazio in quanto, in entrambi i casi, la sintomatologia è neurologica e legata alla sede della lesione o all'effetto massa della stessa. MATERIALI E METODI A., maschio, 5 anni giunto per addominalgia persistente associata a febbre e vomiti. In anamnesi due accessi nel mese precedente presso altri PS: il primo per otalgia, febbre e addominalgia trattata con Cefixima, il secondo dopo 10 giorni per otalgia ed addominalgia; agli esami ematici lieve leucocitosi neutrofila e rialzo degli indici di flogosi: sospetta sindrome influenzale. Presso il nostro PS, si presentava in buone condizioni generali, pallido, con addominalgia generalizzata ed esame obiettivo negativo. Si confermava la leucocitosi neutrofila e il rialzo della PCR. Veniva ricoverato. In seconda giornata di ricovero si è assistito ad un peggioramento clinico con comparsa di irritabilità e rigidità nucale. Veniva eseguita rachicentesi: cellule polimorfonucleate (1390/mm3) con esame batterioscopico negativo. Si intraprendeva terapia antibiotica con Ceftriaxone ma la persistenza dell’addominalgia e l’assenza di patogeni nel liquor non confermavano il sospetto di meningite. Veniva pertanto eseguita una TAC addome risultata negativa e RMN encefalo che evidenziava un ascesso cerebellare sinistro e petrosite apicale. La terapia antibiotica veniva integrata con Vancomicina e Metronidazolo. Dopo una settimana di terapia comparivano cefalea intensa e vomiti. Alla TAC urgente aumento delle dimensioni della lesione per cui si procede con l’intervento chirurgico di exeresi. La terapia antibiotica è stata proseguita per 8 settimane, al controllo RMN dopo 2 mesi esito cicatriziale. CONTENUTO I segni e sintomi di un a. intracranico sono spesso subdoli e a lenta evoluzione. La sintomatologia tipica è data dalla triade cefalea/vomito/febbre ma altri sintomi quali irritabilità, alterazione dello stato di coscienza, convulsioni e segni neurologici focali non sono così infrequenti e tale patologia può manifestarsi con sintomatologia del tutto aspecifica (1). Le vie di contaminazioni nell'ascesso cerebrale sono date nel 50% dei casi da espansione per contiguità di processo infettivi a carico delle ossa del cranio (a. frontale in caso di infezioni sinusali, a. temporale in caso di infezioni della mastoide, a. cerebellare in caso di infezioni otologiche). Nel 20% dei casi la contaminazione avviene per via ematogena, questi a. sono usualmente localizzati alla giunzione tra la s. grigia e la s. bianca o nel territorio di irrorazione delle aa lenticolo-striate. Quando questi a. sono multipli è utile indagare la presenza di una malformazione cardiaca o la presenza di una fistola av a livello polmonare. In una minore percentuale di casi la contaminazione è secondaria ad interventi chirurgici, mentre in un restante 10% di casi la via di propagazione dell’infezione resta ignota (2). I patogeni maggiormente coinvolti sono gli streptococchi, sia aerobi che anaerobi, responsabili del 50-70% degli a. intracranici in età pediatrica. Anche stafilococchi e batteri di origine enterica possono essere isolati, sono in aumento gli a. costituiti da flora batterica mista, con prevalente coinvolgimento di batteri anaerobi. Nei neonati è più facile isolare batteri Gram- di origine enterica. In caso di immunodeficit i patogeni più coinvolti sono Nocardia, Mycobacterium tubercolosis e Toxoplasma. Gli a. di origine otologica sono solitamente causati da una flora batterica mista includente streptococchi e anareobi, Enterobacteriaceae e Pseudomonas spp. (3) La diagnosi microbiologica avviene tramite esame colturale del pus drenato dalla lesione. In un 20% dei casi l’agente eziologico non viene isolato dall’esame colturale, spesso a causa di una precedente terapia antibiotica o di un'inadeguata gestione del campione. L’esame colturale deve essere eseguito su terreni di coltura per germi aerobi ed anaerobi. Il colturale del liquor è positivo solo in un 10-30% dei casi. (1) La diagnosi definitiva è data dall’imaging: lo studio TC delle lesioni evidenzia, in un a. ben definito, delle immagini ad anello captanti il mezzo di contrasto circondate da porzioni di edema cerebrale di estensione variabile. La rima della lesione è tendenzialmente più sottile che in una lesione neoplastica. La TC con mdc permette inoltre di individuare un eventuale idrocefalo e shifts della linea mediana, e può suggerire l’eziopatogenesi in quanto le sezioni del cranio forniscono immagini comprensive delle strutture sinusali e mastoidee (4). La RM riconosce a. piogenici con discreta specificità: nelle immagini T1 pesate l'area di liquefazione centrale risulta iperintensa, mentre l'area edematosa circondante la lesione risulta ipointensa. Spessore, irregolarità, e nodularità della rima ascessuale sono maggiormente suggestive di tumori o raramente di infezioni fungine. La RM pesata in diffusione ha una specificità del 90% nel riconoscere gli a. (basso coefficiente di diffusione apparente, ADC) da tumori necrotici (alta ADC). La RM con spettroscopia infine, individuando variazioni nei picchi di concentrazione delle diverse sostanze metaboliche da informazioni maggiormente dettagliate nella diagnosi differenziale delle lesioni cistiche.(1) La gestione ottimale dell’a. cerebrale prevede la combinazione di antibioticoterapia e drenaggio chirurgico, che riveste un importante ruolo diagnostico/terapeutico (5). La gestione neurochirurgica prevede differenti approcci: drenaggio stereotassico, craniotomia o utilizzo di tecniche neuroendoscopiche. Un a. cerebrale può essere drenato stereotassicamente in caso di diametro <a 2.5 cm, l’a. cerebellare invece deve essere trattato con craniotomia. La terapia antibiotica, inizialmente empirica, deve essere somministrata via ev, per un periodo di almeno 6-8 settimane anche in caso di asportazione chirurgica (6). L’antibioticoterapia isolata può essere indicata nel caso in cui la lesione non sia accessibile chirurgicamente, vi siano sedi multiple oppure il paziente presenti delle controindicazioni all’intervento stesso. Per gli a. cerebrali ad origine odontogena, otogenica, sinusale, è consigliato l'utilizzo di Metronidazolo (azione battericida contro batteri anaerobi) 15 mg/kg ev come dose di carico, quindi 7.5 mg/kg ev, ogni 8 ore, associato a Ceftriaxone (azione battericida su aerobi ed enterobatteri) 2 g ev ogni 12 ore. Nel caso in cui si sospetti un'origine ematogena (batteriemia o endocardite) è raccomandabile l'uso di Vancomicina (15-20 mg/kg ev ogni 8-12 ore, massimo 2 g/die). I Glucocorticoidi (Desametasone 10 mg dose di carico,poi 4mg/6h) dovrebbero essere utilizzati in caso di ipertensione endocranica (7). CONCLUSIONE Le complicanze dell’OMA, seppur rare, sono comunque possibili anche in caso di esecuzione di un’adeguata terapia antibiotica. La terapia antibiotica può rendere il processo più lento e subdolo ritardandone il riconoscimento (8). Così come la sintomatologia di esordio può essere del tutto aspecifica. Secondo recenti metanalisi (9), la terapia antibiotica immediata dell'OMA non può essere considerata utile per prevenire il rischio di sviluppo di complicanze intracraniche, pertanto la vigile attesa, come proposto dalle nuove linee guida (Linee guida SIP 2012), non rappresenta un fattore di rischio per tali complicanze. Nel caso delle infezioni dell’orecchio medio in particolare, essendo le complicanze associate per contiguità alle strutture craniche e intracraniche, la comparsa di sintomatologia neurologica suggerisce un’evoluzione della patologia, richiedendo ulteriori approfondimenti diagnostici. Dalla nostra esperienza emerge come le tecniche di neuroimaging siano essenziali nella diagnosi degli a. intracranici. La durata della terapia antibiotica è determinata dall'andamento del quadro clinico, degli indici di flogosi e dal follow-up neuroradiologico. TITOLO LA PERTOSSE UNA MALATIA RIEMERGENTE E FATALE NEL NEONATOLATTANTE DESCRIZIONE DI DUE CASI CLINICI NOMI AUTORI F. Russo, E. Galimberti, M. Bottigelli, M. Andreotti, T. Varisco AFFILIAZIONI S.C. di Pediatria e Neonatologia ASST Monza- Desio P.O. di Desio (MB) INTRODUZIONE La Pertosse, infezione respiratoria batterica causata da Bordetella Pertussis, continua a causare morti tra i bambini non ancora vaccinati o che non hanno ancora ricevuto un completo ciclo di vaccinazione e la cui vulnerabilità è accentuata dalla perdita naturale di immunità nella popolazione adolescenziale e adulta, sorgente di infezione, nonostante gli elevati tassi di copertura vaccinale raggiunti nei paesi industrializzati abbiano ridotto la circolazione dell’agente eziologico. Descriviamo due casi clinici in lattanti, di cui uno a prognosi sfavorevole nonostante adeguata terapia. In entrambi i casi l’iperleucocitosi si associava a severo quadro clinico. CONTENUTO Caso 1. M.L.femmina, 2 m., unicogenita, giungeva alla nostra osservazione ( Marzo 2014) per tosse produttiva seguita da vomito ed inappetenza da 7 gg, non febbre, trattata a domicilio con terapia aerosolica, senza beneficio. E.O.:c.g. mediocri, cute e mucose roseopallide, faringe iperemico, torace: MV aspro con rantoli crepitanti diffusi. Lieve dispnea inespiratoria. Rx torace: “piccolo addensamento in sede basale paracardiaca dx ”.Es. ematochimici: lieve anemia, ipocromica (Hb: 11,4gr/dl; Ht: 32,4%; VGM: 84), leucocitosi linfocitica (GB:28.000/mmc; N: 27%; L:63%;M :5%) . Str. periferico: “rilevato un blasto su 200 GB compatibile con reazione parainfettiva”. Indici di flogosi negativi (PCR:2,42 mg/l; PCT:0.10 ng/ml). Nella norma: funzionalita’ epatica e renale. Emogas venoso, all’ingresso: pH: 7,30; pCO2: 61; pO2: 22 BEB: +2,2. T. nasale: VRS, Virus Influenza A e B, Emocoltura, anticorpi anti-Mycoplasma: negativi. Terapia eseguita: Betametasone per os, Aerosol terapia con Salbutamolo, Idratazione e.v. con soluzione elettrolitica ped., Ceftriaxone e.v. Nelle successive 24 h si assisteva a progressivo peggioramento clinico: comparsa di spiccatissima leucocitosi (GB: 44.900-77.800/mmc N: 40% L: 46%), lieve incremento della PCR: (18.2 mg/l). incremento della piastrinosi ( PT: 526,000/mmc). Tosse ad accessi di tipo pertussoide associati a cianosi e scialorrea con necessità di O2 terapia. Per la comparsa di grave “Distress repiratorio” e peggioramento del quadro radiologico polmonare, iniziava ventilazione non invasiva ad Alti flussi con FiO2 30%. Nel sospetto di Pertosse si modificava terapia antibiotica con Claritromicina e si trasferiva in TIN presso H. di Monza, dove veniva confermata infezione da B. Pertussis e dove la piccola andava incontro ad exitus, nonostante adeguata assistenza rianimatoria. 2. Caso. B. G., femmina, 1 m., unicogenita, giungeva alla nostra osservazione ( Febbraio 2016) per tosse ingravescente da 7 gg trattata a domicilio con aerosol con soluzione ipertonica, Salbutamolo e Beclometasone, senza benefico, non febbre. Si alimentava bene al seno. EO: c.g. buone, cute e mucose rosee, normoidratate, faringe iperemico, rinite in atto. Torace: MV aspro diffuso con rumori grossolani trasmessi dalle alte vie. Non dispnea evidente. SaO2: 100% in AA. Gli esami ematochimici mostravano all’ingresso: indici di flogosi negativi (GB: 17.500/mmc; Pt: 398.000/mmc; Pct: 0.10 ng/ml; PCR: < 1 mg/l).T.N. per VRS e Influenza A e B: negativi. Ab-Mycoplasma IgM: assenti. Emogas venoso nella norma. La bambina veniva trattata con Infusione elettrolitica e.v., Betametasone per os, Claritromicina per os. Salbutamolo-Ipratropio Bromuro per aerosol. In 5°gg si assisteva a peggioramento della dinamica respiratoria con tachidispnea in-espiratoria e iniziava ventilazione non invasiva ad Alti Flussi con FiO2: 35%-40%. Parallelamente si assisteva a comparsa di progressiva leucocitosi linfocitica, ingravescente ( GB: 29.500-37.200-38.200 mm/c; L: 70%) e piastrinosi: (747.000-800.00/mmc), senza alterazioni della PCR. La Rx torace eseguita in 10° gg mostrava: “diffusa velatura dell’interstizio polmonare di verosimile significato edemigeno ad entrambi i campi polmonari con accentuazione della trama polmonare e area di addensamento parenchimale in sede apicale sx”. ECG ed Ecocardiogramma nella norma. In 10° gg la piccola presentava improvvisa e gravissima crisi di apnea con cianosi, arresto respiratorio, grave acidosi mista con necessità di intubazione e ventilazione assistita e trasferimento presso TIN dell’Ospedale di Monza, dove veniva confermata infezione da B. Pertussis, sospettata al momento del trasferimento. Successivamente, come riferito dai Colleghi, la piccola presentava graduale miglioramento clinico e parallelamente normalizzazione della conta leucocitaria. CONCLUSIONE La Pertosse nel lattante e nel neonato può avere decorso clinico molto grave. In questi bambini la diagnosi precoce può essere difficile, poichè la sintomatologia è molto variabile e si confonde facilmente con altre patologie respiratorie acute tipiche dell’età es. Bronchiolite. Inoltrela presentazione clinica, dipende dall'età di acquisizione dell'infezione, dal livello di immunità presente e dal ricorso alla terapia antibiotica. La non persistenza a lungo termine della protezione immunitaria, ha comportato e comporta tuttora un ruolo epidemiologico di rilievo da parte di adolescenti e adulti che rappresentano una significativa sorgente di infezione per neonati/lattanti non vaccinati o vaccinati in modo incompleto. In entrambi i casi descritti, come riferito a posteriori, le mamme presentavano tosse da qualche settimana e potrebbero essere state fonte di infezione per bambini non ancora vaccinati. Sottolineiamo pertanto l’importanza di implementare nella popolazione la vaccinazione anti-pertosse e consigliare eventuali richiami nell’età adulta. Infatti l'immunità contro la pertosse sia naturale che acquisita con la vaccinazione, non dura tutta la vita e la protezione immunitaria tende a decadere in un range temporale di 4-10 anni. Sottolineamo, oltre all’importanza della diagnosi precoce, di non sottovalutare un marker indipendente di gravità della malattia: la “ spiccata leucocitosi”, presente nei nostri casi, favorita dalla tossina batterica, che unitamente alla vasocostrizione acuta polmonare, porterebbero ad un quadro di ipertensione polmonare refrattaria con shock cardiogeno, come ampiamente riportato in letteratura e che quindi deve far sospettare una possibile evoluzione sfavorevole e la necessità di trasferimento anticipato presso la TIN di riferimento. TITOLO INSOLITA PRESENTAZIONE DI COMPLICANZA DA INFESTAZIONE PARASSITARIA IN BAMBINI IMMIGRATI NOMI AUTORI F. Russo, E. Galimberti, B. Nicolini, M. Andreotti, T. Varisco AFFILIAZIONI S.C. di Pediatria e Neonatologia ASST Monza- Desio P.O. di Desio (MB) INTRODUZIONE Il fenomeno dell’immigrazione in Italia, pone il Pediatra di fronte a nuove realtà, ma da numerosi dati della letteratura emerge che i bambini immigrati presentano patologie praticamente sovrapponibili a quelle dei bambini italiani indigenti, cioè le malattie da acquisizione, favorite dalle condizioni ambientali precarie, mentre sono rare le malattie esotiche dei paesi d’origine. Dalla letteratura si rileva che la sovrainfezione batterica nella Pediculosi generalmente è da Staphylococcus Aureus in Occidente e da Streptococcus βHemolyticus di gruppo A nel Terzo Mondo. Descriviamo due casi clinici di complicanza batterica, da “Staphylococcus Aureus Meticillino-resistente”, con presentazione inusuale, in due sorelle immigrate di origine pakistana con infestazione da Pediculosi. CONTENUTO Caso 1. T.F. femmina, pakistana, 5aa giungeva alla nostra osservazione nel Luglio 2015 per accertamenti in merito a tumefazioni dolenti, fluttuanti, di consistenza duro-elastica e ricoperte da cute iperemica in regione preauricolare dx e sulla cute del cuoio capelluto ( foto N.1). La bambina era apiretica, condizioni generali buone e stato nutrizionale adeguato (PC:19,800 Kg; St cm: 110; BMI:16.3). Agli es. ematochimici: lieve alterazione degli indici di flogosi (GB: 13.000mm/c N: 56% E:11%L:23% M:9%; PCR: 10,05 mg/L). Emocoltura: negativa. L’ecografia delle lesioni confermava il sospetto diagnostico di ascessi cutanei. All’ APR patologica: recente Varicella. Rx Torace ed Eco Addome negativi. All’Ecocardiogramma color-doppler “ Stenosi polmonare” già nota. Intradermoreazione di Mantoux: negativa. Iniziava terapia antibiotica con Ceftriaxone e.v. in attesa esito es. colturale del materiale prelevato dalle lesioni , e medicazione giornaliera locale con Iodopovidone sol acquosa e Gentamicina con fistolizzazione spontanea delle lesioni e fuoriuscita di abbondante materiale purulento misto a sangue. Per il riscontro in 2° gg di ricovero, di Pediculosi del capo si procedeva a rasatura dei capelli, molto folti, e trattamento con PYR. Dopo 5 gg perveniva esito es. colturale delle lesioni che risultava positivo per MRSA. Pertanto veniva iniziata terapia con Teicoplanina e.v. per 8 gg fino a completa guarigione. Contemporaneamente veniva ricoverata la sorella di 22 mesi con analoga sintomatologia ( 2° Caso Clinico) . Caso2. N.M.,femmina, pakistana, 22m, (P.C. 12,5 kg; L: cm:87; cc: 50 cm) giungeva alla nostra osservazione per comparsa da qualche giorno di due tumefazioni cutanee al capo: una al vertice di 3x3 cm, una in regione frontale sx di 4x4 cm, fluttuanti, di consistenza duroelastica, ricoperte da cute moderatamente iperemica (foto.2). La bambina era in buone condizioni generali, apiretica e in buon stato nutrizionale. Dall’APR si rilevava, analogamente alla sorella, recente Varicella. Anche in questo caso si riscontrava Pediculosi del cuoio capelluto. Gli es. ematochimici mostravano alterazione degli indici di flogosi e microcitemia ( GR:5.230.000/mmc;VGM:65;Ht 34;Hb:11.3 gr/dl; GB:23.000 mm/cc; N:51% E: 11%; L:29%; M:9%; PCR:32.72 mg/L). Emocoltura negativa. In attesa dell’es. colturale delle lesioni della sorella, si rasava il cuoio capelluto, si trattava con PYR, medicazioni giornaliere locali con Iodopovidone, Gentamicina e terapia antibiotica con Ceftriaxone e Claritromicina. Eco Addome, Rx torace, Intradermoreazione di Mantoux negativi. In 5° gg noto l’esito dell’es. colturale, si iniziava terapia antibiotica con Teicoplanina per 8 gg. Durante la degenza si assisteva a drenaggio spontaneo dell’ascesso piu’ piccolo al vertice, mentre il secondo, persistendo, veniva inciso chirurgicamente in 8° gg con successiva guarigione. Si eseguì segnalazione ai Servizi Sociali nel sospetto di scarse condizioni igieniche nell’ambiente domestico poi confermate. CONCLUSIONE I casi descritti pongono l’accento sul riemergere di patologie che sono diventate sempre più frequenti con gli incessanti flussi migratori dai paesi poveri. Il mantenimento di scarse condizioni igieniche anche nel nostro paese è stato sicuramente un fattore favorente. Nei nostri casi potrebbero essere intervenuti anche altri due fattori aggravanti come le elevate temperature della stagione estiva e lo stato di immunodepressione transitorio post-varicella. Abbiamo voluto descrivere questi due casi clinici per l’insolita presentazione di questa complicanza della Pediculosi.