Aumento dei tassi: un mito da sfatare

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Dicembre 2015
Aumento dei tassi:
un mito da sfatare
La paura può frapporsi a una solida capacità di giudizio. Il
Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt lo
riconobbe nel suo famoso discorso inaugurale nel 1933,
quando ricordò agli Americani di non lasciarsi paralizzare
dal “terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato”.
Alla luce della velocità allarmante della dispersione di
ricchezza e della perdita di posti di lavoro al culmine della
grande depressione, bisogna riconoscere che alcune paure
erano piuttosto giustificate. Il Presidente Roosevelt aveva
comunque ragione a sottolineare l’importanza di non
peggiorare la situazione lasciandosi prendere dal panico.
Scott Mather
Chief Investment Officer
U.S. Core strategies
David Fisher
Managing Director
Product Manager
In questa fase, gli investitori obbligazionari potrebbero far presente che alla
luce dei bassi rendimenti obbligazionari e del ciclo di aumenti dei tassi
d’interesse che la Federal Reserve è destinata a lanciare, esistono per loro
numerose preoccupazioni reali. Ma un’analisi ragionata che tenga conto dei
tassi d’interesse storici, del probabile andamento futuro dei tassi e
dell’impatto sui rendimenti dei precedenti aumenti, indica che i rialzi dei
tassi potrebbero non costituire una tale minaccia per gli investitori
obbligazionari.
Gli argomenti a favore della detenzione di obbligazioni core nell’ambito di
un portafoglio ben diversificato sono forti come non mai e coloro che
reagiscono in modo eccessivo alla prospettiva di aumenti dei tassi
d’interesse potrebbero rendere a se stessi - e ai loro portafogli
d’investimento - un cattivo servizio.
Ciò che scende risale?
A fronte di tassi d’interesse prossimi allo zero, alcuni investitori ritengono
che una fase di mercato ribassista per le obbligazioni sia inevitabile.
Probabilmente si concentrano sul concetto di simmetria, ritenendo che i
rendimenti, al fine di compensare il calo registrato negli ultimi decenni,
debbano registrare un aumento uguale ed equivalente.
Ma ai ribassisti sfugge un aspetto importante: il calo dei
rendimenti durato tre decenni ha di per sé compensato la
fase ribassista del mercato obbligazionario degli anni
Sessanta e Settanta, quando i rendimenti avevano
raggiunto livelli storicamente mai visti, mentre la Fed era
impegnata ad arginare un’inflazione elevata (cfr. Figura 1).
FIGURA 1: RENDIMENTI OBBLIGAZIONARI: RITORNO AL FUTURO
16
L’ABERRAZIONE?
14
10
8
6
L’incremeno e la discesa dei rendimenti di
lungo termine degli ultimi decenni è
abbastanza inusuale se inserita in un contesto
di 300 anni
Rivoluzione francese Rivoluzione
e americana
industriale
Range storico
RENDIMENTO (%)
12
Seconda
guerra mondiale
4
2
0
1714
1764
1814
1864
ANNI
Rendimento nominale di
lungo termine Regno Unito
1914
1964
2014
Rendimento nominale di lungo
termine USA
Fonte: Bank of England, US Treasury, Global Financial Data, PIMCO al
31 dicembre 2014
Invece di vendere i titoli obbligazionari in previsione del
ritorno di tale contesto anomalo, gli investitori dovrebbero
concentrarsi su ciò che è più probabile nell’attuale contesto
di crescita modesta e bassa inflazione: un aumento dei
rendimenti, destinato però a essere graduale e di portata,
in ultima analisi, limitata.
Secondo, è importante ricordare che i mercati ragionano in
modo prospettico. Poiché la maggior parte degli investitori
ritiene che i tassi a un certo punto saliranno, i rendimenti
prevalenti delle obbligazioni a scadenza più lunga sono
significativamente più elevati del range 0%-0,25% che il
Federal Open Market Committee (FOMC) ha stabilito per il
tasso dei Fed Fund. In altre parole, i mercati stanno
“scontando” rialzi dei tassi futuri. Ciò significa che affinché
le obbligazioni sottoperformino un investimento in liquidità,
i tassi non devono semplicemente salire, ma devono salire in
modo più rapido di quanto previsto dal mercato.
Infine, un’analisi della storia dei cicli di rialzo dei tassi è
istruttivo per coloro che hanno paura di investire in
obbligazioni in questa fase del ciclo dei tassi d’interesse. In
particolare, riteniamo opportuno ricordare l’esperienza del
1994, quando la Fed operò una serie di aumenti dei tassi
che portarono il tasso overnight dal 3% al 6%. Se da un
lato i rendimenti obbligazionari registrarono anch’essi un
notevole incremento in risposta agli interventi del FOMC,
dall’altro l’Indice Barclays Aggregate Bond (all’epoca
Lehman Aggregate, ma questa è un’altra storia…) perse
meno del 3% nel corso del 1994. Una perdita del 3% non
è affatto catastrofica e oggi appare anche estremamente
improbabile, dato che ci attendiamo una Fed molto meno
aggressiva rispetto al 1994.
Conclusione: gli investitori obbligazionari dovrebbero
prestare attenzione alla Fed, ma non vivere nella paura di
ogni suo sospiro.
Attenti ai desideri
Fare attenzione alla Fed ma non averne paura
I prezzi delle obbligazioni di norma scendono quando i tassi
d’interesse salgono. Di conseguenza, a fronte di una Fed in
procinto di aumentare i tassi d’interesse, le obbligazioni
sono gli strumenti giusti in cui investire? Vale la pena
ricordare tre elementi.
Primo, è improbabile che la Fed aumenti i tassi così
rapidamente o in misura così decisa come nei cicli
precedenti. Riteniamo infatti che il livello di equilibrio del
tasso dei Fed Fund – il livello al quale la Fed non procede
né a una stretta né a un allentamento – sia tra il 2,0% e il
2,5%. Si tratta di un livello di almeno due punti percentuali
inferiori al tasso neutrale dei cicli precedenti.
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DICEMBRE 2015 | VIEWPOINT
Esiste un altro aspetto fondamentale da tenere presente:
contrariamente a quanto comunemente si crede, gli
investitori obbligazionari possono in realtà ottenere risultati
migliori nelle fasi di aumento - e non di calo - dei tassi.
Superficialmente, tale concetto sembra andare contro la
logica; i prezzi delle obbligazioni si muovono in direzione
opposta ai rendimenti e quindi un calo dei tassi d’interesse
determina un aumento dei prezzi, mentre un rialzo dei tassi
causa una flessione dei prezzi. Alla luce di ciò, perché un
detentore di obbligazioni dovrebbe preferire un aumento
dei tassi?
La risposta si trova nella dinamica delle obbligazioni. A
parte il rischio d’insolvenza, i flussi di cassa di
un’obbligazione a tasso fisso sono noti in anticipo. Di
conseguenza, mentre il prezzo dell’obbligazione può
cambiare a fronte dei rialzi e dei ribassi dei rendimenti, il
rendimento totale di un’obbligazione detenuta sino alla
scadenza non cambia. Un aumento dei prezzi “anticipa”
semplicemente una parte del rendimento futuro
dell’obbligazione, mentre un calo dei prezzi rinvia parte di
tale rendimento al futuro, ma né l’uno né l’altro incidono
sul rendimento totale percepito dagli investitori durante la
vita dell’obbligazione.
Tuttavia, al momento di reinvestire i proventi obbligazionari
derivanti da pagamenti di cedole o scadenze, le variazioni
nei tassi d’interesse contano. Se i tassi d’interesse
scendono, un investitore deve accettare i rendimenti
inferiori disponibili sul mercato al momento del
reinvestimento. Se invece i tassi salgono, un investitore può
reinvestire a rendimenti più elevati. Laddove un investitore
abbia un orizzonte d’investimento pluriennale, l’effetto del
reinvestimento fa sì che l’investitore in ultima analisi abbia
risultati migliori se i tassi salgono invece di scendere.
Non siete convinti? Guardiamo nuovamente cosa è
successo nel corso del ciclo di rialzi dei tassi nel 1994. Alla
fine del 1993, il rendimento del Barclays Aggregate era di
circa il 5,8%. Nel corso del 1994, tale rendimento è
aumentato oltre l’8%, rappresentando il propulsore
principale della perdita di circa il 3% subita dall’indice
quell’anno. Per contro, nel 1995 i rendimenti scesero
nuovamente e il rendimento dell’indice chiuse l’anno
appena al di sopra del 6%. Qualora i rendimenti fossero
rimasti stabili durante l’intero biennio, un investitore
avrebbe potuto attendersi un rendimento totale simile al
rendimento iniziale dell’indice. Composto su due anni, un
rendimento del 5,8% genererebbe un rendimento totale di
poco inferiore al 12%.
In pratica, quale fu il rendimento effettivo dell’indice in tale
periodo? Pur registrando un leggero incremento del
rendimento dalla fine del 1993 alla fine del 1995, l’indice
mise a segno un rendimento cumulativo del 15%, ossia
circa il 3% in più del previsto, in base al rendimento
iniziale. Per molti investitori obbligazionari, l’aumento dei
rendimenti nel 1994 è stato tutt’altro che negativo.
La difficoltà di previsione
A questo punto, un osservatore acuto potrebbe
sottolineare che un investitore avrebbe fatto meglio a
vendere le obbligazioni alla fine del 1993 e a riacquistarle
un anno dopo. In un mondo di previsioni perfette, la cosa
più logica sarebbe in effetti vendere le obbligazioni poco
prima che i rendimenti comincino a salire e poi riacquistarle
quando raggiungono il punto più basso. Il problema è che,
come dice un famoso aforisma di Yogi Berra, “è arduo fare
previsioni, specialmente per il futuro”.
Nella realtà di tutti i giorni, fare previsioni perfette è molto
più difficile che ragionare con il senno di poi. Per esempio,
se si pensa alle azioni, molti investitori hanno immaginato
di acquistare titoli nelle fasi di minimo ciclico e di venderli
poi ai massimi. Ma questi non sono altro che sogni.
Se nemmeno la Presidente della Fed Janet Yellen sa con
certezza quando il FOMC aumenterà i tassi, o quando
smetterà di aumentarli, per un investitore è molto difficile
prevedere i tempi del mercato obbligazionario. E poiché
disinvestire dalle obbligazioni è privare esplicitamente un
portafoglio dell’ottimizzazione, la capacità di prevedere i
tempi conta molto. Rifugiarsi nella liquidità, che rende
quasi lo 0%, può significare una sorta di “morte lenta” se i
rendimenti non salgono con il ritmo previsto. E il passaggio
dalle obbligazioni alle azioni può essere fonte di rimpianti
in caso di turbolenze dei mercati azionari: le plusvalenze
sulle obbligazioni tendono a concretizzarsi proprio quando
le azioni crollano, contribuendo a stabilizzare la
performance del portafoglio nel suo complesso.
Di conseguenza, anche se può sembrare logico ridurre le
partecipazioni obbligazionarie core in previsione della
normalizzazione dei rendimenti, gli investitori non dovrebbero
sottovalutare le difficoltà di prevedere i tempi del mercato.
L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa
Gli investitori oggi hanno diversi motivi per essere
preoccupati. I rendimenti sono generalmente bassi per
tutte le classi di attivo. E il contesto finanziario globale - in
cui le notizie dalla Cina hanno la stessa probabilità di
turbare i mercati che hanno le dichiarazioni della Fed - può
essere sconfortante. Tuttavia, quando si parla di aumenti
dei tassi d’interesse, gli investitori obbligazionari a lungo
termine possono avere poco da temere e addirittura,
potenzialmente, qualcosa da guadagnare.
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I rendimenti conseguiti in passato non costituiscono una garanzia né un indicatore affidabile
di risultati futuri. Gli investimenti nel mercato obbligazionario sono soggetti a rischi quali il rischio di
mercato, di tasso d’interesse, di emittente, di credito, di inflazione e di liquidità. Il valore della maggior parte
delle obbligazioni e strategie obbligazionarie risente delle variazioni dei tassi d’interesse. Le obbligazioni e le
strategie obbligazionarie con duration più lunghe tendono a essere più sensibili e volatili rispetto a quelle con
duration più brevi. I prezzi delle obbligazioni di norma scendono in caso di aumento dei tassi d’interesse e
l’attuale contesto di bassi tassi d’interesse accentua tale rischio. Le attuali riduzioni di capacità delle controparti
obbligazionarie possono contribuire a una contrazione della liquidità di mercato e a un’intensificazione della
volatilità dei prezzi. Al momento del rimborso, gli investimenti obbligazionari possono avere un valore superiore o
inferiore al costo originario. Prima di prendere una decisione d’investimento, gli investitori devono rivolgersi ai loro
consulenti professionali.
Barclays U.S. Aggregate Index rappresenta i titoli registrati presso la SEC, tassabili e denominati in dollari.
L’indice copre il mercato delle obbligazioni USA investment grade a tasso fisso e tra i suoi componenti comprende
titoli societari e di stato, mortgage pass-through securities e asset backed securities. Questi macrosettori sono
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