1. INTRODUZIONE
Il rachide
Lo studio della colonna vertebrale risulta molto complesso, a causa della sua struttura e delle
funzioni statiche e cinematiche che svolge.
Il rachide è l'elemento che collega la testa e gli arti superiori con gli arti inferiori, trasferendo al
suolo tutte le azioni statiche e dinamiche del corpo; è la struttura di attuazione cinematica dei
movimenti del tronco, in particolare della rotazione e della torsione; è una struttura di sostegno
e di protezione per gli organi più delicati.
A livello biomeccanico lo studio della colonna deve tener conto dei particolari elementi che la
compongono: la struttura metamerica, costituita dalle vertebre, differenziate dal sacro al cranio,
intervallate dai dischi, è avvolta da legamenti e sottoposta all'azione meccanica dei muscoli e
delle costole della gabbia toracica. In particolare le possibilità dinamiche del rachide sono
limitate dalla disposizione anatomica delle articolazioni tra le vertebre; queste, poste su un
piano obliquo, sono incastrate tra loro, poiché le articolazioni della vertebra superiore sono
incuneate tra quelle dell'inferiore.
Considerando specificatamente il segmento rachideo lombare si nota una maggior libertà di
movimento sul piano sagittale, rispetto a quello frontale; ancora minori sono le possibilità di
rotazione fisiologica sul piano orizzontale, limitata dal contatto tra le faccette articolari e dalla
resistenza passiva del disco che viene sollecitato a torsione.
I valori medi valutati per i movimenti rachidei sono di 83° per la flesso-estensione, 40° per
l'inclinazione laterale, 16° per la rotazione assiale.
Strutturalmente la colonna si può descrivere come una trave a tripla curvatura vincolata alla sua
estremità inferiore al bacino.
Quindi, poiché il bacino rappresenta il basamento su cui è incastrata la colonna, si possono
studiare le modificazioni della struttura rachidea rispetto al suo movimento, considerandolo
come un cedimento di vincolo che induce uno stato deformativo nella colonna.
A differenza delle ossa lunghe come il femore, la colonna non è un corpo rigido, ma una
struttura flessuosa, che si deforma sotto l'azione muscolare, per mantenere una condizione di
equilibrio stabile rispetto alle azioni gravitarie e per conservare l'orizzontalità del campo visivo.
Gentile, De Giorgi, Mantriota, Cinnella hanno sviluppato un modello matematico, basato sul
metodo agli elementi finiti, che permette di studiare le modificazioni nell'assetto della colonna
in base a movimenti del bacino.
Modello matematico del rachide
L'intero rachide, collegato al bacino e alla gabbia toracica, è stato schematizzato ricorrendo a
948 elementi di tipo trave colleganti 668 nodi.
Il vincolo cinematico, imposto dalle faccette articolari, al moto relativo di due vertebre
consecutive è stato rappresentato tramite un sistema articolato a doppio pendolo.
Con questo modello si è voluto determinare quanto i parametri più significativi dell'assetto del
rachide siano influenzati da un diverso orientamento del bacino.
Influenza dell'assetto del bacino sulla deformazione nel piano sagittale
I parametri reputati più significativi sono:
l'angolo sacrale, formato da S1 con un piano orizzontale;
l'angolo di lordosi;
l'angolo di cifosi;
la freccia di lordosi;
la freccia di cifosi.
L'angolo sacrale indeformato per il normotipo è di 40°, si è quindi variato questo parametro,
dando al modello matematico un cedimento angolare del vincolo ad incastro della colonna
vertebrale sul bacino.
Si evince dal modello (supportato dai dati sperimentali) che una variazione di 10° di BS
determina una analoga variazione nell'angolo di lordosi.
L'andamento del valore angolare della lordosi quindi dipende dall'angolo sacrale, sia per
l'antiversione che per la retroflessione.
Questo risultato permette di valutare clinicamente l'angolo di lordosi, cioè il valore
fisiologicamente corretto per il normotipo deve essere valutato rispetto all'angolo sacrale: un
diverso valore di S1 con l'orizzontale si ripercuote sulla colonna, determinandone una diversa
conformazione biomeccanicamente corretta.
Non esiste invece alcun legame funzionale tra BS e l'angolo di cifosi.
Analoghi risultati sono stati ottenuti per quanto riguarda la dipendenza delle frecce da BS:
la freccia di lordosi si modifica di circa 4mm per una variazione di 10° di BS, mentre quella di
cifosi risulta invariata.
Influenza dell'assetto del bacino sulla deformazione nel piano frontale
I parametri reputati più significativi sono:
l'inclinazione del bacino nel piano frontale;
la differenza di altezza tra le creste iliache;
i gradi Cobb della curva lombare;
la rotazione della vertebra apicale;
il disassamento della vertebra neutra craniale;
la rotazione del bacino nel piano orizzontale.
E' stata imposta una rotazione del bacino nel piano orizzontale in senso antiorario fino ad un
massimo di 7°.
La massima variazione in altezza delle creste iliache osservata è di 12.8 mm.
Il parametro più significativo in questo caso è dato dall'angolo di Cobb: ad una rotazione di 1°
del bacino corrisponde un incremento di circa 1.5° Cobb.
E' importante però sottolineare che tali valori indicano una "normale" deformazione del rachide
a seguito dell'inclinazione del bacino, pertanto non sono valori patologici indicanti la presenza
di un curva scoliotica.
In merito agli altri parametri si può dire che ad una rotazione di 1° di BF la rotazione della
vertebra apicale è di 1.2°, il disassamento della vertebra neutra è di circa 1.7 mm.
Inoltre, a causa dei vincoli intermetamerici del passaggio lombo-sacrale, una flessione laterale
del bacino provoca sia una rotazione dei metameri stessi, che una rotazione del bacino, nel
piano orizzontale; ciò è dovuto a una coppia, intorno all'asse verticale, che si introduce a
seguito di una rotazione del bacino sul piano frontale.
In particolare una rotazione di 1° nel piano frontale implica una rotazione di circa 1.2° attorno
ad un asse verticale.
Non si hanno invece ripercussioni a livello sagittale dell'assetto del rachide, cioè le curve di
lordosi e cifosi non vengono modificate da variazioni dell'angolo BF.
I valori dei parametri ricavati in questo studio, al variare dell'angolo del bacino, sono utili per
determinare l'assetto biomeccanicamente corretto del rachide e, quindi, per evidenziare
eventuali stati patologici come l'ipercifosi e la scoliosi.
I diversi gradi di mobilità della colonna, riscontrati rispetto ai piani sagittale, frontale e
orizzontale, influenzano il comportamento della curva scoliotica: nella fase iniziale l'ampia
possibilità di movimento sul piano sagittale permette l'aumento della lordosi fisiologica, che,
con l'evolversi della curva scoliotica, può diminuire e addirittura invertirsi in cifosi.
La minore mobilità sul piano frontale fa sì che non si superino, se non raramente, i 90°.
Apparentemente in contraddizione con la scarsa possibilità rotazionale, la curva scoliotica
lombare presenta rotazioni molto più importanti di una curva toracica di ugual grado.
Questo comportamento viene spiegato da Caillet (1968), che divide il rachide lombare in due
parti, con differente possibilità di movimento: l'area superiore è caratterizzata da maggiori
possibilità di movimento rotatorio, mentre al di sotto di L4-L5, a causa della presenza dei
legamenti ileo-lombari, si ha minor mobilità, sia sul piano frontale, che su quello orizzontale.
Ciò spiega inoltre perché non si hanno scoliosi con vertebra neutra al di sotto di L5; la
rotazione assiale si osserva al di sopra del disco tra L4 ed L5 ed ha il suo fulcro a livello delle
apofisi articolari della concavità della curva scoliotica.
Le apofisi sono dunque sovraccaricate meccanicamente sia sul piano frontale, sia su quello
orizzontale, e ciò si traduce in una sofferenza delle cartilagini articolari dal lato della curva
scoliotica e nella tendenza all’ossificazione della cartilagine articolare della concavità.
Va osservato, quindi, che le alterazioni dell'angolo di lordosi e ogni variazione dell'assetto della
colonna portano ad una modificazione della posizione relativa delle vertebre, quindi ad una
diversa distribuzione dei carichi dinamici e gravitari.
Ciò è particolarmente grave in presenza di scoliosi; in questo caso, infatti, nasce un'importante
sollecitazione a taglio, che si scarica sulle faccette articolari e sui dischi, che invece sono
"costruiti" per sopportare sollecitazioni di compressione e a lungo andare vengono danneggiati.
Eziologia della scoliosi idiopatica
Come si evince dal nome stesso la scoliosi "idiopatica" non ha eziologia definita; numerosi
studi sono deputati alla ricerca delle cause che determinano questa patologia, ma ancora non
sono state ottenute risposte definitive.
Dal nostro punto di vista le teorie più interessanti sono quelle "posturali" e meccaniche:
Teorie posturali
R. Herman (1979) ha evidenziato che nei pazienti scoliotici il sistema vestibolare è meno
efficiente; secondo i suoi studi si ha una disfunzione della corteccia motoria, che controlla la
postura assiale, derivante da una mancanza di input sensoriali circa l'orientamento spaziale.
T. Shalstrand (1979) ha rilevato un'alterazione del sistema vestibolare nel 48% delle scoliosi
idiopatiche esaminate.
K. Yamada (1984) sostiene che un'alterazione del tono posturale, a qualunque livello si
realizzi, può determinare una scoliosi. In particolare su 150 scoliosi lombari il 79% presentava
un'alterazione dell'equilibrio.
Teorie meccaniche
Riguardano la struttura rachidea dal punto di vista del comportamento meccanico, dovuto
all'azione dei muscoli, dei tendini, dei legamenti e ai meccanismi compensatori.
Proprietà dei tessuti alterate possono alterare la risposta ai carichi meccanici; questa può essere
una causa per lo sviluppo della patologia, in particolare si stanno sviluppando ricerche tese a
studiare la rigidità assiale, anche se per ora sono limitate all'osservazione di colonne normali,
non scoliotiche.
In realtà, però, gli studi evidenziano il legame tra questi aspetti e la patologia, sostenendo in più
casi che si tratti più probabilmente di effetti, dovuti all'anormalità nella distribuzione dei carichi
sui dischi, che di cause primarie.
In alcuni casi la scoliosi si può sviluppare a causa della debolezza dei muscoli addominali, che
non riescono a sostenere il rachide, ma questo aspetto non è stato molto approfondito.
Ancora più controversa è la teoria che vorrebbe i meccanismi compensatori come fattore
eziologico della scoliosi; le eterometrie degli arti inferiori determinano una rotazione del
bacino:
per quelle superiori a 2-3 cm, non compensate, si ha verosimilmente una strutturazione della
scoliosi,
per quelle minori alcuni autori sostengono che si abbia un tipo di scoliosi non strutturata e
non evolutiva, mentre altri ritengono si possa avere una modificazione strutturale, quindi una
vera e propria scoliosi.
Tanturri et al., che hanno affrontato questo tema, hanno rilevato una completa indipendenza tra
l’entità dell’obliquità pelvica e la gravità della scoliosi, intesa come grado di strutturazione,
dimostrato dalla riducibilità angolare e dalla derotazione ottenute nei casi in cui si poteva, con
un rialzo, eliminare l’obliquità.
Infatti, casi con leggere dismetrie (minori di 3 cm) sono associati a lievi deformazioni
completamente riducibili con l’applicazione di un rialzo, oppure si associano a scoliosi ben
strutturate le quali si derotano poco o per nulla dopo il riequilibrio pelvico.
Inoltre un grado di dismetria alto non implica necessariamente scoliosi più gravi (si sono
riscontrati, infatti, sia casi di scoliosi ben strutturate, che lievi).
In alcuni casi, applicando il rialzo, si nota che la reale direzione della curva scoliotica è opposta
a quella osservata senza eliminare l’obliquità pelvica.
Teoria ossea
Altra ipotesi avanzata riguarda la supposta inferiorità della qualità dell'osso nei soggetti
scoliotici; nonostante questi abbiano ossa con proprietà diverse rispetto al normotipo, non è
stato ancora dimostrato se e come questo fatto sia legato alla scoliosi.
Con esami per rilevare la densità ossea si evidenzia una sensibile differenza del contenuto
minerale medio tra l'emisoma vertebrale della concavità e quello della convessità.
Più che dimostrare però la relazione eziologica tra la densità ossea e la scoliosi si può utilizzare
questo metodo per valutare l'efficacia dei trattamenti: una buona correzione porta ad un
riequilibrio tra le densità dei due emisomi.
Posto inoltre che le differenze riscontrate nella densità ossea sono dovute a squilibri meccanici,
è necessario porre la colonna da "raddrizzare" nelle migliori condizioni di carico possibile; con
questo principio si giustifica l'uso dei corsetti e dei gessi.
La densitometria di una paziente scoliotica prima del trattamento con corsetto mostra
densitometrico eseguito dopo due anni di contenzione con busto rileva una netta
diminuzione della differenza tra concavità e convessità della curva.
Ruolo della crescita
La scoliosi è spesso associata all'ipocifosi; si è postulato che questa sia dovuta ad uno
sbilanciamento della crescita del tratto anteriore rispetto a quello posteriore: le strutture
anteriori crescono più velocemente e i corpi vertebrali all'apice, con una flessione in avanti,
tendono a spostarsi fuori posto ruotando lateralmente.
Diagnosi
La diagnosi e lo studio in vivo della scoliosi si avvalgono principalmente di due tipi di esami, la
radiografia a raggi x e la T.C..
Per quanto riguarda l’esame radiografico si osservano diversità tra soggetti giovani ed adulti.
Nei pazienti giovani si possono evidenziare la rotazione e la cuneizzazione vertebrale, con la
conservazione degli spazi discali, per l’elasticità del disco intervertebrale.
Le articolazioni sono ben visibili dal lato convesso, mentre si distinguono difficilmente nella
concavità, inoltre si osserva un’accentuazione della lordosi lombare.
Negli adulti si notano artrosi e formazione di ponti ossei tra vertebre vicine, inoltre la catena
delle articolari appare fusa dal lato concavo, dove si ha anche un collasso discale.
Spesso, all’apice della curva, si hanno laterolistesi con sub-lussazioni vertebrali, causate dal
movimento di traslazione-rotazione delle vertebre apicali sottoposte ad un carico asimmetrico.
Tutti questi fenomeni rappresentano un aggravamento della patologia e raggiungono livelli
molto consistenti se sono associati una modificazione del rachide sul piano sagittale, a causa
dell’insorgere della curva cifotica.
Tramite invece la T.C. si evidenzia la rotazione sul piano orizzontale delle vertebre, che in
genere si mantiene notevole sia nella parte apicale, che a livello dorso-lombare; purtroppo
questo metodo di indagine non è sfruttabile per l’alta quantità di radiazioni cui verrebbe
sottoposto il paziente.
Un ulteriore metodo per valutare la deformazione del rachide si avvale di un’analisi
computerizzata che rileva la disposizione delle vertebre, visualizzandola dall’alto: in un
soggetto normale le vertebre sono ben allineate e inscrivibili in un rettangolo, mentre per un
paziente scoliotico ciò non è possibile.
Parametri per valutare la scoliosi
Per valutare l’entità della scoliosi e la sua evolutività il parametro principale utilizzato è il
valore dell’angolo di Cobb; in particolare una curva si definisce evolutiva quando questo varia
almeno di 10° all’anno.
In realtà però si ritiene che il solo valore Cobb non sia sufficiente per valutare l’assetto
biomeccanico tridimensionale della curva scoliotica nel suo divenire, infatti l’evoluzione non
riguarda solo il valore angolare, ma anche la rotazione, con fenomeni degenerativi per le
strutture ossee e cartilaginee coinvolte; si può mettere in relazione l’angolo di Cobb con la
rotazione apicale, la strutturazione dell’angolo ileo-lombare ed il disassamento, calcolato come
distanza tra il centro della vertebra neutra craniale della curva di scoliosi ed il piano sagittale
mediano.
2. BUSTI
Il trattamento incruento della scoliosi si basa principalmente sull’utilizzo dei busti ortopedici;
nonostante, infatti, i rapidi progressi nel campo chirurgico, si ritiene opportuno evitare che la
deformazione raggiunga una gravità tale da essere operata; negli ultimi tempi, inoltre, grazie
agli screening per la diagnosi precoce, i valori delle deformazioni scoliotiche sono rilevati
prima di giungere a situazioni critiche, e questo comporta un minor ricorso al trattamento
chirurgico per le deformazioni.
Le ortesi hanno il compito di agire sul comportamento meccanico del rachide scoliotico,
modificandone, con vincoli esterni, la naturale dinamica, al fine di stabilire una migliore
distribuzione dei carichi ed evitare una concentrazione di tensioni, mediante la trasmissione di
forze che devono riportare la colonna il più vicino possibile alla normale configurazione
tridimensionale.
I busti non possono agire direttamente sulla colonna, quindi devono operare per mezzo di
tessuti ed organi interposti, mediante vincoli e punti di pressione che realizzino azioni di
trazione, deflessione, derotazione.
Per una corretta applicazione del busto vanno prese in considerazione alcune norme, sia per
limitarne l’impatto psicologico, sia per avere una buona correzione.
Da evitare è sicuramente l’ipercorrezione, valutando, più che l’angolo di Cobb, l’entità e
l’evolutività della deformità clinica sulla base della prominenza paravertebrale; il valore critico,
oltre il quale si ha certezza di evolutività della curva, è di circa 11 mm, se raggiunto in breve
tempo. Nella maggioranza dei casi, però, il quadro clinico non è così ben definito, quindi sono
necessari controlli periodici per poter cogliere una eventuale tendenza evolutiva. Tali controlli
sono fatti sulla base di un’accurata misura della prominenza paravertebrale, per evitare
l’eccessiva esposizione a radiazioni, necessarie per valutare l’angolo di deformazione.
Se, infine, si nota tramite una valutazione tridimensionale della deformità un aggravamento
delle curve sagittali, occorre ricorrere ad un trattamento chirurgico precoce.
In genere si utilizza il busto a tempo pieno durante tutto il periodo di rapido accrescimento
puberale, evitando in tal modo la perdita di correzione e la regressione della deformità.
Nel caso di una scoliosi strutturata ancora non evolutiva l’uso del corsetto può essere limitato
alle sole ore notturne, per prevenire il rischio di una trasformazione in deformità sicuramente
progressiva.
Un accorgimento ulteriore nell’uso dei corsetti è quello di evitare busti con ampie superfici
rigide a contatto con la gabbia toracica, che causano deformità toraciche e un ridotto sviluppo
polmonare. Esempio negativo di ciò è il busto Lyonese.
Per il trattamento della scoliosi lombare si preferisce l’uso dei busti bassi.
Riviera
Le forze correttive di questo corsetto agiscono in tre punti: la pelotta situata posterolateralmente all’apice della curva, la presa pelvica ed il supporto sotto-ascellare dal lato
opposto. I principi meccanici su cui si basa sono sia attivi che passivi, come nel modello
Milwaukee.
Per consentire la traslazione del tronco si sfrutta l’azione pressoria del montante laterale dal
lato opposto alla pelotta lombare; l’applicazione inoltre di una pelotta toracica previene un
possibile aggravamento della curva di compenso.
Questo corsetto, che realizza la stessa correzione del Milwaukee, è migliore dal punto di vista
dell’occultabilità, quindi offre un minor impatto psicologico.
Milwaukee
Il busto Milwaukee ribassato, cioè senza il supporto al collo, viene utilizzato al posto del
Riviera nei casi in cui ci sia scoliosi lombare con concomitante ipercifosi toracica molto
accentuata oppure con curva di compenso molto strutturata, o ancora in casi di iperlordosi
lombare.
Michel-Allégre a tre valve
L’elemento innovativo del metodo di Michel-Allègre è stato quello di considerare il bacino non
più come semplice appoggio di un corsetto, ma come parte integrante della deformità.
Questo tipo di corsetto è indicato nelle scoliosi lombari e toraco-lombari al di sotto di 40° Cobb
e presenta il vantaggio di avere ingombro minimo rispetto ad altri tutori.
Il meccanismo di azione di tale corsetto è basato su tre punti: in primo luogo la spinta sul
bacino dal lato opposto alla convessità della curva con effetto di traslazione sul piano frontale,
quindi la spinta ileo-lombare ad “L”sulla convessità della curva e sulla ala iliaca con effetto di
apertura dell’angolo ileo-lombare e correzione della deviazione scoliotica, infine la spinta
toracica.
L’azione meccanica del corsetto è tanto più valida quanto più bassa è la deformità, poiché il
bersaglio terapeutico dell’ortesi è la riduzione dell’angolo ileo-lombare, oltre che della curva di
scoliosi.
La valutazione dei risultati si basa sull’analisi di radiogrammi fatti in momenti differenti (inizio
del trattamento, momento della migliore correzione in corsetto, abbandono dello stesso e
controllo a distanza); i parametri considerati in tali radiogrammi sono 4: il valore angolare della
curva in gradi Cobb, la rotazione della vertebra apicale, l’angolo ileo-lombare ed il
disassamento della vertebra superiore della curva, rispetto all’asse di simmetria del bacino.
Correzione percentuale relativa ai 4 parametri; (i = inizio del trattamento; c = migliore correzione in corsetto; a
= abbandono del corsetto; d = controllo a distanza).
Come si evince dalla figura, l’angolo ileo lombare è il parametro che presenta la migliore
correzione; la rotazione è il parametro meno influenzato.
E’ interessante notare come si siano ottenuti risultati differenti a seconda che il trattamento sia
stato intrapreso prima o dopo il menarca. In generale, il corsetto è risultato più efficace se
applicato già in epoca pre-menarca, grazie alla presenza di una colonna vertebrale più mobile.
Addirittura, per il valore angolare di Cobb ed il disassamento, il guadagno terapeutico ha
raggiunto un rapporto di 3 : 1 nelle pazienti pre-menarca rispetto a quelle post-menarca. Meno
netto, ma sempre presente, risulta il guadagno nella correzione degli altri due parametri.
I risultati esaminati hanno quindi mostrato come il corsetto a tre valve abbia piena validità
terapeutica a condizione che siano rispettate le indicazioni (in particolare la curva sia bassa) e
che l’inizio della terapia sia precoce, dati gli effettivi vantaggi del periodo pre-menarca.
Spesso, se l’utilizzo incomincia nel post-menarca, si ottiene soltanto la stabilizzazione dei
valori di partenza, senza quindi reali guadagni.
Boston Brace
La peculiarità di questo modello è la presenza dell’azione simultanea di spinte anteriori e
posteriori che, realizzando una coppia di forze, inducono lo svolgimento delle curve mediante
un movimento elicoidale.
I risultati ottenuti hanno mostrato la piena validità di questo corsetto: la correzione media (su
un campione di 100 pazienti) oscilla intorno al 70% dei valori angolari iniziali; mentre, dopo 4
anni dalla rimozione del corsetto, si è sostanzialmente ottenuta la stabilità della curva nel 93%
dei casi.
Scoliosi lombare trattata con Boston Brace
Inizio cura con 30° Cobb (13 anni);regressione pressoché completa della curva(17 anni); stabilizzazione sui 23°
Cobb a 23 anni.
L’effetto correttivo del Boston Brace si basa sull’associazione di un meccanismo statico ad uno
dinamico. Il primo è legato al principio dei tre punti di spinta rappresentati dalle pads poste al
suo interno. Le pads stesse evocano una reazione dinamica autocorrettiva da parte del paziente.
Inoltre, mediante un meccanismo di tipo elicoidale sul piano orizzontale, si ottiene un’azione
derotante e di conseguenza una deflessione della scoliosi stessa, con apertura dell’angolo ileolombare.
Per valutare l’azione derotante del Boston Brace sulle scoliosi lombari si sono eseguite TAC
lombari in casi con e senza il corsetto B.B..
Le TAC eseguite hanno mostrato una buona correzione della rotazione vertebrale lombare, a
volte anche con un guadagno di correzione del 50% circa; ciò conferma che il B.B. possiede un
effetto significativo di miglioramento della torsione vertebrale nella scoliosi. Questa azione
derotante appare fondamentale ai fini della correzione se si considera che esistono mutui
rapporti di connessione tra rotazione assiale e inclinazione laterale a livello del rachide
lombare.
(A)Scoliosi lombare sinistra di 35°.(B)In corsetto la curva si corregge a 12°.(C)Controllo TAC che evidenzia un
angolo di rotazione di 17°.(D)Controllo TAC in corsetto mostra una correzione della rotazione di 4,6° pari al
27% del totale.
Tra i vantaggi del Boston Brace si ricordano la rapidità di realizzazione che, necessitando della
sola manodopera del tecnico ortopedico, riduce i costi del trattamento e la buona tollerabilità
(specie se si ha l’accortezza di non eccedere con la tensione delle cinghie).
Gli effetti negativi si riscontrano nella nascita della cellulite delle cosce e nell’appiattimento
delle curve sagittali (problemi peraltro comuni alla maggior parte dei corsetti), oltre che nelle
esofagiti e nelle amenorree secondarie dovute alla compressione addominale.
Corsetto Lombare Bolognese, CLB
Il corsetto CLB ha come caratteristiche essenziali la realizzazione su calco gessato, l’altezza al
di sotto delle braccia (caratteristica comune a tutti i cosiddetti busti bassi), l’azione correttiva
mediante il principio dei 3 punti.
Caratteristica peculiare del corsetto CLB è di essere “personalizzato”, realizzato per ogni
paziente su calco gessato. Una corretta posizione del paziente durante la confezione del corsetto
gessato è molto importante. Il paziente porta in alto l’arto superiore dal lato concavo della
curva scoliotica, correggendo in tal modo la curva vertebrale; allo stesso tempo assume un
atteggiamento di modesta flessione anteriore del tronco per correggere la lordosi lombare. Al
termine del confezionamento si applica all’interno del busto un cuscinetto imbottito,
posizionato subito al di sotto dell’apice della curva in posizione paravertebrale; un pezzo
metallico posto all’interno del cuscinetto permette di controllare il livello della spinta nei
controlli radiologici.
Altra caratteristica del corsetto CLB è l’altezza al di sotto delle braccia: questo rende il CLB
ben accetto ai giovani pazienti, perché si nasconde facilmente sotto i vestiti e non ostacola le
attività sia di studio che ricreative dei ragazzi.
L’azione correttiva del corsetto CLB si esplica mediante il principio dei tre punti, rappresentati
dal lato della convessità della scoliosi dal cuscinetto da spinta lombare subito dopo l’apice della
curva, e dal lato opposto dalla controspinta toracica e dalla faccia laterale del bacino.
I parametri determinanti per una buona riuscita sono il valore angolare e lo stadio di Risser al
momento dell’applicazione del busto: un valore angolare inferiore a 30° ed uno stadio di Risser
compreso tra 0 e 1 hanno consentito buoni risultati a fine cura e soprattutto una correzione
stabile a distanza.
Il CLB è indicato nel trattamento delle curve basse, rappresentate dalle curve lombari e toracolombari. E’ possibile l’impiego del CLB anche nelle curve doppie primarie, quando la curva
toracica è minore e con scarsa strutturazione. Un’indicazione “limite” e molto particolare del
corsetto CLB è rappresentata dalle doppie primarie con una curva toracica strutturata, in
ragazzi difficili che rifiutano un trattamento con corsetto Milwaukee: è possibile venir loro
incontro utilizzando il CLB per il giorno e limitando l’uso del busto “alto”per la notte.
Il corsetto CLB viene usato a scopo preventivo solo nelle ore notturne se sono presenti curve
idiopatiche lievi ancora inferiori a 20°, ma con preoccupanti segni di strutturazione. L’uso solo
notturno del CLB consente un “controllo” della curva e mette al riparo dai rischi di un possibile
aggravamento con un modesto sacrificio del paziente.
Si ricorre ad un impiego part-time del corsetto se la curva presenta un valore angolare attorno ai
20° e soprattutto una strutturazione maggiore. Il trattamento part-time va continuato fino al
raggiungimento della maturità scheletrica, dal quale si aumentano le ore di libertà per arrivare
ad un trattamento notturno, condotto per i successivi 1-2 anni.
P.A.S.B.
Il P.A.S.B. (progressive action short brace) rappresenta un nuovo modo di affrontare il
trattamento incruento delle curve dorso-lombari e lombari.
L’idea di base è che opportune variazioni delle distribuzioni dei carichi, ottenute modificando
la geometria del tratto di colonna interessato e condizionandone in modo mirato la natura
dinamica, siano in grado di incidere in modo significativo sul comportamento evolutivo della
scoliosi. Il trattamento, basato sulle considerazioni appena fatte, si divide quindi in due fasi: la
prima, di riduzione parziale della deformità mediante azioni indotte dall’esterno, viene seguita
da una seconda fase di correzione dinamica.
Inizialmente vengono usati uno o più apparecchi gessati, mentre il paziente viene posizionato
semiseduto, così da ottenere l’appianamento della lordosi lombare, e posto in lieve trazione,
mediante mentoniera.
Nella figura seguente si evidenzia il posizionamento del paziente e la disposizione delle stecche
gessate durante il confezionamento del busto.
Due stecche gessate, agganciate alla barra di appoggio, hanno il compito di stabilizzare il
bacino (stecca A) e di deflettere la curva (stecca B). Alcune bende gessate vengono usate per
imprimere un momento derotante. Al completamento del gesso, prima della sua solidificazione,
vengono applicate manualmente le ultime spinte. Sul lato convesso si agisce dall’alto verso il
basso e in senso postero-laterale in corrispondenza del tratto di rachide al di sotto dell’apice
della curva, mentre dal lato opposto si esercita una controspinta più in alto, in corrispondenza
delle coste fluttuanti. In tal modo si genera una coppia torcente che completa l’azione derotante
delle fasce gessate e permette di ottenere, a gesso consolidato, sezioni orizzontali asimmetriche
di tipo ellittico, necessarie alla realizzazione della correzione dinamica della seconda fase.
Questa è indirizzata ad ottenere un continuo sviluppo di azioni correttive. L’effetto dinamico
del corsetto si realizza imponendo al tronco del paziente direzioni obbligate, durante gli
spostamenti che questo compie nello svolgimento della sua attività quotidiana.
L’aspetto innovativo del P.A.S.B. è caratterizzato da una geometria che renda liberi i
movimenti della colonna che favoriscono un’azione correttiva nei confronti della rotazione
delle vertebre e della deviazione laterale della curva; vengono invece impediti tutti i movimenti
che potrebbero contribuire ad un’ulteriore flessione e torsione del rachide, responsabili
dell’ingobbamento e della cuneizzazione dei dischi.
La geometria del corsetto lascia il paziente libero di effettuare i movimenti di flessione laterale
del tronco nel verso della convessità, inducendo sul rachide scoliotico, per i vincoli costituiti
dal corsetto, una duplice azione: deflessione del segmento di curva sovrastante la vertebra
apice; spostamento del tratto sottostante verso la perduta verticalità. Questo spostamento viene
stimolato dall’azione di un insieme di forze distribuite, generate dal vincolo della zona
superiore del corsetto (cfr. fig.).
Rappresentazione delle azioni indotte dal corsetto P.A.S.B. nei movimenti di flessione laterale del tronco.
Posteriormente, il bordo relativo alla zona superiore presenta un risalto attivo che fa compiere
al paziente uno spostamento in avanti per sottrarsi al fastidio di tale rilievo.
Anteriormente, la zona superiore è sagomata secondo un profilo discendente che copre le coste
dal lato della concavità, lasciando libere, nei limiti consentiti dall’estensione della curva, quelle
dal lato opposto. Questa geometria asimmetrica vincola parzialmente i movimenti di flessione
anteriore del tronco, consentendoli solo se associati ad una rotazione in direzione della
correzione della curva.
La geometria delle sezioni orizzontali del corsetto è ellittica, ma asimmetrica. Pertanto le
componenti delle forze agenti, costituite da spinte laterali, esercitano una azione derotante
grazie ai loro momenti di rotazione.
A differenza dei corsetti tradizionali, nei quali vengono applicate forze esclusivamente esterne
al rachide, il P.A.S.B. presenta un continuo sviluppo di azioni interne, risultanti dalla dinamica
imposta dal tronco. Sono queste azioni interne, poi, che permettono di esercitare forze di verso
opposto a quelle sviluppate dalla deformità, grazie alla ridistribuzione della concentrazione
delle tensioni sulla vertebra scoliotica.
Valutazione sull'uso dei corsetti
Nonostante si abbiano buoni risultati con l'uso delle tecniche incruente, la loro applicabilità è
limitata: come valori di riferimento si può dire che il trattamento con gessi e/o corsetti inizia da
valori angolari di deviazione di 15° con tendenza evolutiva e strutturazione clinica e
radiografica, fino ad arrivare a valori di 40°-45°, oltre i quali si ritiene necessario l'intervento
chirurgico.
All'interno di questo intervallo vengono utilizzati diversi tipi di corsetti, in base alla
localizzazione della curva scoliotica, alla sua strutturazione, al valore angolare, etc..
E' sufficiente, per esempio, l'uso del corsetto basso, per valori fino a 25°-30°, se la
deformazione interessa solo il rachide lombare; se è presente invece una curva dorsale di
compenso è preferibile l'uso del Milwaukee Brace. Per valori superiori a 30°, ben strutturati e
con elevata rigidità si adotta, invece, il localizer cast corto di Risser.
Altre situazioni richiedono invece interventi combinati: nel caso, per esempio, in cui la
correzione con corsetto amovibile si presenti insufficiente occorre ricorrere all'uso di busti
gessati a spinte localizzate. Ancora, si può invertire l'ordine di applicazione, cominciando con
l'applicazione del busto gessato, seguito dal corsetto amovibile.
Questi metodi sono sicuramente efficaci, sempre che vengano adottati in modo tempestivo, in
particolare hanno il miglior risultato nel periodo di massima crescita vertebrale, durante il quale
si ottiene una più corretta ristrutturazione dei corpi vertebrali.
Altro particolare da evidenziare è che il raggiungimento di buone correzioni non è sufficiente,
se queste non si mantengono nel tempo: si ha infatti un regresso fisiologico, che si cerca di
mantenere a livelli più bassi possibile (si sono osservate regressioni di circa 1°-2°, cioè
contenute, in pazienti che hanno seguito scrupolosamente le indicazioni terapeutiche);
particolarmente dannosa, in relazione a questo fenomeno, è la precoce rimozione del corsetto,
che può provocare sia la perdita della correzione fin lì ottenuta, sia una progressione delle
curve.
Per evitare questo fenomeno si cerca di rendere progressivo l'abbandono del mezzo correttivo,
anche alla fine del trattamento.
3. INTERVENTI
Lo scopo della tecnica chirurgica, che si avvalga o meno dell'uso di strumentali, è quello di
eliminare la deformità della colonna, riportandola il più possibile nella corretta posizione
tridimensionale: si vuole eliminare la deviazione laterale, ma anche la rotazione del rachide,
inoltre se ne vuole raggiungere una compensazione statica.
A tal fine con l'uso delle tecniche operatorie si cerca di raggiungere una completa e
perfettamente delimitata fusione delle vertebre interessate dalla deformità, solo così infatti si
può avere una correzione stabile nel tempo.
E' importante però stabilire correttamente il numero di vertebre da bloccare con la fusione: è
auspicabile ridurre al minimo il numero di vertebre coinvolte, in modo da non produrre una
eccessiva e dannosa limitazione funzionale del rachide; d'altro canto, però, un'artrodesi troppo
corta può portare ad una perdita di correzione, a causa di un'insufficiente stabilizzazione della
curva, o ancora può causare un peggioramento della scompensazione statica, aggravando le
curve di compenso.
In genere si deve evitare di coinvolgere nell'artrodesi le vertebre delle curve di compenso.
Altri fattori molto importanti da controllare con l'applicazione delle diverse tecniche
chirurgiche sono quelli che riguardano le eventuali modificazioni delle curve di lordosi.
Anche qui, come nel caso della valutazione dell'azione dei busti, bisogna elaborare i dati in
base alla maturità scheletrica del paziente.
Risser, senza strumentali
Nonostante i progressi della tecnica chirurgica nel campo dell'utilizzo dei mezzi di sintesi,
molti considerano tuttora valido l'approccio di Risser.
La tecnica di Risser consiste nel consentire la formazione di un'area di artrodesi grazie ad un
trapianto osseo preceduto e seguito da un periodo di immobilizzazione con busti di gesso,
rispettivamente di 2 e 7 mesi, per mantenere la colonna nella posizione corretta, non scoliotica.
Lo scopo dell'immobilizzazione pre-operatoria è quello di mobilizzare la curva e scegliere
l'area di artrodesi.
Con la tecnica Risser si è osservata una riduzione della lordosi lombare indotta dall'artrodesi,
che, però, viene compensata grazie all'azione dei segmenti mobili, anche se in modi diversi nei
soggetti più o meno giovani: nel gruppo più giovane si ha una maggior apertura dell'angolo
discale tra le vertebre L5-S1, rispetto a quello tra L4-L5 (spiegabile con un diverso
comportamento elastico dei dischi poiché nei soggetti più adulti il tratto L5-S1 risulta meno
elastico).
Si ha inoltre una bassa correzione della rotazione; anche in questo caso si nota una sostanziale
differenza tra i soggetti giovani ed adulti: per i primi si ha una correzione del 26%, che si
mantiene nel tempo, per gli altri l'iniziale correzione del 22% si perde nel tempo.
Un ulteriore vantaggio nell'uso di questa tecnica sta nel trattamento delle scoliosi a doppia
curva, in quanto permette di limitare l'artrodesi ad una sola delle due; ciò è possibile quando il
paziente è molto giovane, perché si deve agire prima che le curve di compenso si aggravino e
perché si può sfruttare il potenziale accrescitivo del rachide per la correzione della curva
scoliotica non artrodesizzata.
La massima correzione possibile ottenibile con Risser può essere calcolata dai parametri
radiologici pre-operatori:
COBB STANDING - 3*(COBB STANDING - COBB RECUBMENT) = RISULTATO
FINALE
Ciò permette di valutare a priori se intraprendere questo tipo di intervento, o se applicare altre
tecniche correttive.
Per valutare questa tecnica a fronte di quelle più recenti si può considerare un raffronto con i
risultati ottenuti con la tecnica Harrington, la più documentata anche per quanto riguarda il
follow up.
I parametri utilizzati per valutare la riuscita dell'intervento sono l'entità della curva lombare
primitiva e di quella di compenso, la rotazione vertebrale, l'angolo discale all'apice della curva
e l'entità della lordosi.
Da tali confronti è emerso un favorevole giudizio per i risultati ottenuti con Risser; in
particolare si evince dai dati statistici che la perdita di correzione si mantiene intorno ai 2.5°,
ottenendo risultati migliori di quelli di Harrington.
Sempre confrontando i due approcci, a sfavore di Risser si sottolinea la necessità di
immobilizzazione relativamente lunga con busti gessati, sia in fase pre, che post-operatoria.
In realtà questa necessità spesso sorge anche con l'uso della strumentazione, inoltre la validità
dei risultati, unita a scarse complicanze, anche nel follow up, porta a considerare come relativo
il disagio dell'immobilizzazione.
Un ulteriore punto a favore di Risser è proprio dato dall'assenza dello strumentale, cioè
dall'assenza di un voluminoso apparato metallico che sottrae spazio per la formazione della
massa di fusione; Risser quindi permette lo svilupparsi di un'artrodesi qualitativamente
migliore, sia perché vi è maggior spazio per l'attecchimento dei trapianti, sia perché si
realizzano microsollecitazioni funzionali, che danno un contributo positivo alla formazione
dell'artrodesi.
Per quanto riguarda la lunghezza della fusione, Risser permette di limitare maggiormente il
numero di vertebre coinvolte, quindi permette una migliore mobilità del rachide.
L'assenza dello strumentale inoltre evita il manifestarsi di sovraccarichi funzionali in altre parti
della colonna, che spesso causano una sintomatologia dolorosa.
Questa soluzione chirurgica, quindi, rappresenta un valido metodo correttivo; con ciò, però,
non si può dire che sia la risposta a tutti i casi di scoliosi, in particolare per i casi di più gravi
deformità e nelle ipercifosi; in tal caso infatti si ha un peggioramento della cifosi, causata da un
cedimento dell'artrodesi, poiché viene sollecitata in modo abnorme a flessione.
Harrington
La tecnica di Harrington e quelle successive si avvalgono dell'utilizzo di strumentali di metallo,
che agiscono effettuando una distrazione del tratto di colonna interessata dalla deformazione
scoliotica.
Progenitrice di queste tecniche è l'osteosintesi vertebrale ideata da C.M. Zuco, realizzata
attraverso due placche metalliche dentellate, ricurve all'estremità, a formare un uncino, che
venivano fatte scorrere l'una sull'altra con una speciale pinza detrattrice, e solidarizzate con
l'estensione voluta.
Tale tecnica non si è diffusa per i problemi di rottura a fatica, in corrispondenza degli uncini, e
per la necessità della saldatura elettrica durante l'intervento.
La tecnica di Harrington si basa sull'elongazione applicata dagli uncini agli estremi della curva.
Anche in questo caso l'entità della correzione dipende dall'età cui è stato praticato l'intervento: i
risultati migliori si hanno con pazienti al di sotto dei 15 anni circa.
La massima correzione si ottiene per le scoliosi lombari, perché non è presente la rigidità data
dalla gabbia toracica deformata; l'efficacia del metodo diminuisce inoltre nei casi in cui
aumenta molto il numero di vertebre coinvolte. I risultati peggiori si hanno se si usano due
barre giustapposte per le scoliosi con curve doppie, poiché si instaura una curva cifotica nella
zona di transizione tra le due barre.
Oltre a ciò, legato al fatto che con questo metodo si può solo effettuare un'elongazione della
curva, si ha un effetto derotante molto esiguo e si ha poco controllo delle curve sagittali, a
meno di non usare barre sagomate e cerchiaggi metallici sublaminari.
Altro svantaggio si presenta a causa della poca stabilità nel post-operatorio, che comporta la
necessità di un periodo, seppur breve, di immobilizzazione.
Tra le complicazioni riscontrate sono da sottolineare 2 casi di sganciamento dell'uncino (su 165
casi raccolti) e 3 casi di rottura di barra.
Harrington, però, è semplice, di veloce applicazione e, non da ultimo, economica.
Uno dei maggiori vantaggi che offre è quello di essere poco ingombrante, di lasciare quindi
ampio spazio ai trapianti, che poi sono lo scopo dell'intervento, in quanto permettono la fusione
vertebrale.
Harrington Luque
Rappresenta un passo in avanti rispetto alla tecnica di Harrington, per avere una migliore
correzione sui tre piani; in particolare modellando il distrattore in cifosi e mantenendo la
convessità della cifosi dal lato opposto della convessità della curva, nelle lordoscoliosi si abbia
una buona azione derotante.
Il distrattore posizionato con la
convessità rivolta dal lato opposto
alla convessità della scoliosi
impedisce che si verifichi una
significativa rotazione del distrattore
stesso, una volta messi in trazione i fili
segmentari nonostante l'uncino
poligonale
Si utilizza quindi la barra di Harrington, modellata, collegata al rachide con gli uncini e con i
fili di Luque (fissazione segmentaria sublaminare). Ciò consente una buona stabilità della
strumentazione, che porta a una riduzione dell'immobilizzazione post-operatoria, e una
sufficiente derotazione, nelle scoliosi flessibili.
La derotazione delle vertebre si rileva con la TAC
Un'altra importante modifica è stata apportata utilizzando un uncino superiore con un incavo
più basso, per evitare l'affondamento dello stesso nel canale, dopo aver messo in tensione i fili
sottolaminari.
Si ha però un maggior rischio di complicazioni neurologiche.
Luque
A Luque è attribuita l'introduzione dei fili metallici nella fissazione della colonna ad una
strumentazione posteriore, costituita da due barre di acciaio.
Ciò consente di avere una notevole stabilità meccanica, che consente di eliminare
l'immobilizzazione post-operatoria; questa maggior stabilità è data dal fatto che la lamina, cui
sono ancorati i fili, è la componente più resistente della vertebra per sostenere le sollecitazioni
trasmesse proprio dai fili.
Questa tecnica ha inoltre il vantaggio di preservare o ripristinare le curve sagittali.
Le condizioni necessarie per poter utilizzare questo approccio sono l'assenza di un'importante
cifosi e la correggibilità dell'obliquità pelvica.
L'applicazione dello strumentale viene eseguita con il paziente in trazione. Questo permette di
diminuire la deformazione, anche a livello del bacino; dopo aver scoperto il tratto di colonna da
trattare, per ogni livello vengono passati due fili molto flessibili sotto le lamine; si utilizzano
due fili invece di uno perché questo consente di limitare la possibilità di tagliare la lamina.
Le barre vengono accuratamente modellate per rispettare, o ripristinare, la lordosi lombare.
In genere la strumentazione è piuttosto estesa e comprende tutta la deformità.
Lo strumentale ha la fissazione pelvica con la parte trasversa angolata di 100°/110°, le due
barre sono tra loro incrociate e allacciate tra loro, per limitare i rischi di sfilamento, che si
verificano se le due barre rimangono separate.
Caso di sfilamento di una delle due barre
Fissazione pelvica con le barre incrociate
Questo metodo viene in prevalenza usato per deformità gravi, in particolare per scoliosi non
idiopatiche, ma derivanti da patologie neuromuscolari;
Cotrel Dubousset
Da Harrington in poi gli strumentali si sono evoluti per la necessità di ottenere una correzione
sempre migliore dal punto di vista tridimensionale; da un semplice meccanismo di distrazione
si è passati a tecniche che permettessero un certo grado di derotazione (Luque).
Un ulteriore passo in avanti viene fatto da Cotrel e Dubousset, che sfruttano sia forze di
trazione, che di compressione e di rotazione; in questo modo si riesce ad avere una buona
artrodesi nel corretto assetto del rachide.
Ciò garantisce un corretto equilibrio biomeccanico tridimensionale, per cui le sollecitazioni non
generano stress o carichi di punta nei segmenti di movimento confinanti con l'area di artrodesi.
Rispetto alle tecniche fin qui analizzate, l'utilizzo di questa permette di rispettare e correggere
anche le curve fisiologiche sagittali, di ridurre l'area dell'artrodesi e di eliminare la contenzione
post-operatoria, grazie alla maggior stabilità dello strumentale.
La metodologia C.D. impiega, come l'Harrington, un sistema di distrazione lungo la concavità
della curva, uno di compressione sul lato convesso, con l'aggiunta di due o più dispositivi di
fissazione trasversale, che raccordano e stabilizzano i due sistemi precedenti.
Gli elementi fondamentali dell'impianto sono:
le barre
gli uncini, che hanno diverse forme, a seconda della sede dell'impianto
i dispositivi di trazione trasversale, che fissano le due barre in distrazione od in
compressione trasversale, realizzando un montaggio di estrema solidità.
Le barre, di diametro costante, possono essere modellate, e la lavorazione a punta di diamante
permette di eseguire, sulla stessa barra, compressioni e distrazioni segmentarie.
Gli uncini non poggiano solo sulle lamine, si possono usare uncini peduncolari, laminari
lombari e toracici, trasversari. Per ogni tipo di uncino esistono due realizzazioni: quelle a corpo
aperto vengono applicate nel tratto intermedio della barra, quelle a corpo chiuso si trovano alle
estremità.
La correzione della curva scoliotica si ottiene facendo ruotare, entro gli uncini ancorati sui
peduncoli e sulle lamine, una barra precedentemente modellata sulla curva.
Una volta terminata questa procedura, gli uncini sono fissati alla barra nella posizione e nella
tensione voluta, con viti a rompere.
Si può confrontare questo approccio con quello di Harrington, nel caso delle scoliosi lombari:
l'applicazione del solo distrattore con due uncini portava alla progressiva scomparsa della
lordosi lombare e, a volte, alla comparsa di una curva cifotica; C.D. permette di recuperare la
curva fisiologica tramite un meccanismo che si basa sulla rotazione in avanti e verso la
concavità dell'asta, inserita nei ganci dal lato convesso.
Una delle innovazioni di questa metodica sta nella doppia sollecitazione cui è sottoposta la
vertebra di appoggio: due uncini sulle due emilamine generano una coppia di forze, che
riportano la vertebra in posizione orizzontale. Ciò permette di limitare l'artrodesi escludendo
almeno una vertebra, poiché con Harrington l'uncino va posizionato su una vertebra in cui
l'inclinazione non sia accentuata.
Sulla vertebra di appoggio si hanno due uncini che creano una coppia di forze, il terzo
uncino evita il rischio di cifosi
Questo metodo non elimina del tutto la possibilità di comparsa di una curva cifotica nella zona
di passaggio tra l'artrodesi ed il segmento libero. Un ulteriore miglioramento si ha quindi se si
introduce un uncino sulla vertebra immediatamente sottostante a quella di appoggio.
E' importante inoltre sottolineare che, grazie al corretto assetto della curva di lordosi lombare,
si può ottenere un recupero spontaneo della cifosi sovrastante.
Questo approccio presenta, dunque, numerosi vantaggi, sia per quanto riguarda le correzioni
ottenute, sia per la notevole stabilità dell'impianto, che permette un veloce consolidamento
dell'artrodesi.
Ciò però si deve valutare alla luce della notevole complicazione del montaggio: gli uncini
peduncolari devono essere inseriti con estrema precisione e continuamente controllati durante
la manovra di derotazione, per evitare la dislocazione; in un caso si è addirittura verificata la
rottura delle lamine sulle quali appoggiavano alcuni uncini intermedi; si sono riscontrate inoltre
delle difficoltà nelle manovre di derotazione delle curve rigide.
4. CONCLUSIONI
La cosa più evidente, che emerge dalla lettura di articoli riguardanti la scoliosi idiopatica, è la
complessità del comportamento del rachide, che modifica la propria struttura in modo
tridimensionale a seconda dei carichi che la sollecitano.
In presenza di una deformità scoliotica questi carichi sollecitano i dischi e le vertebre in punti e
lungo direzioni diverse da quelle fisiologiche.
Le vertebre hanno quindi una risposta meccanica inferiore e a lungo andare modificano la loro
struttura ossea. Da ciò nasce la cuneizzazione e la strutturazione della colonna, che si blocca in
posizione scorretta.
Bisogna sottolineare infatti che non è tanto importante il grado di scoliosi, ma la rigidità, la
strutturazione e il grado di evolutività.
Questa plasticità del rachide però può rappresentare un punto a vantaggio per le cure: in
presenza di pazienti giovani, nei quali la crescita vertebrale non sia ancora completa, si sfrutta
il potenziale accrescitivo del corpo vertebrale per poter far crescere la colonna nella posizione
giusta, con l'ausilio di busti.
Quindi è molto importante una diagnosi precoce anche per non avere pazienti con gradi di
strutturazione elevati; in questo modo si può evitare di ricorrere all'intervento chirurgico.
Nonostante infatti l'impatto psicologico che questi hanno, riteniamo che evitare una complessa
operazione chirurgica sia auspicabile.
In tutti gli articoli da noi affrontati si cerca di paragonare l'efficacia di un metodo con un altro:
la scelta tra i vari approcci terapeutici disponibili, quindi, viene fatta di volta in volta
dall'ortopedico, in base a come si presenta la deformità, sia per quanto riguarda la
strutturazione, la localizzazione, la presenza di curve di compenso ed i gradi Cobb, sia per
quanto concerne l'età del paziente.
Comunque vi sono dei criteri "assoluti" per valutare le diverse terapie: in particolare per quanto
riguarda gli interventi chirurgici si prediligono i nuovi metodi, che sono stati sviluppati con
l'obbiettivo di correggere la curva nella sua tridimensionalità.
Da Harrington, che effettuava una semplice distrazione, si è arrivati a Cotrel Dubousset, che ha
un importante effetto derotante, inoltre è più stabile.
Quest'ultima caratteristica è molto importante perché elimina la necessità di immobilizzazione
post-operatoria e velocizza il consolidamento dell'artrodesi.
Un'altra tecnica valida dal punto di vista del rispetto delle curve sagittali è quella introdotta da
Luque, che utilizza i fili sublaminari, i quali, però, comportano rischi di danni neurologici.
Tali metodi vengono inoltre valutati in base alla perdita di correzione nel lungo periodo, infatti
la colonna si modifica nel tempo, quindi bisogna valutare con un lungo follow up i risultati.
Per i trattamenti cruenti questi dati sono disponibili solo per le tecniche più datate, cioè per
Risser ed Harrington; dal raffronto risulta migliore, seppur non di molto, il primo.
Un maggior rischio di perdita di correzione si ha con l'uso dei corsetti, in particolare se il busto
non viene rimosso progressivamente.
L'obbiettivo primario, che gli ortopedici tentano di conseguire, è il corretto assetto
tridimesionale del rachide, che riporti la colonna nella posizione ottimale per reggere i carichi,
senza che si generino forze di taglio sui dischi.
Con CD si è inoltre cercato di eliminare l'instaurarsi di stress o carichi di punta nelle vertebre
confinanti con lo strumentale. Ciò che sembrano non affrontare gli ortopedici negli articoli da
noi analizzati è il problema di come si distribuiscano i carichi tra lo strumentale ed il rachide da
artrodesizzare, in particolare cioè il fatto che si deve fare in modo che lo strumentale non
sostituisca il rachide, ma serva solo a mantenerlo in posizione corretta.
Ci sembra che però ciò non avvenga, se non in minima parte, poiché se l'osso fosse
completamente scarico si decalcificherebbe.
Ancora, non viene affrontato il problema del corretto posizionamento degli uncini, che, se
applicati in modo non corretto, potrebbero generare dei carichi concentrati sull'osso, facendolo
morire.
Poiché ciò dipende dall'abilità del chirurgo sono stati introdotte le viti, non analizzate nei nostri
articoli.
Proprio per facilitare il montaggio si cerca di migliorare gli strumentali, ci pare però a scapito
della quantità di metallo inserita.
Per quanto riguarda l'utilizzo dello strumentale in metallo ci sembra opportuno sottolineare che
secondo noi ciò sia da evitare, se possibile, con l'uso dei corsetti o con il metodo Risser, per
non inserire corpi estranei.
Questi, seppur biocompatibili, a lungo andare possono generare fenomeni di corrosione e
rilascio di ioni potenzialmente tossici o irritanti.
Tra le valutazioni a lungo termine dei risultati degli strumentali, nessun articolo accennava alla
rimozione degli stessi, nonostante ormai avessero esaurito il loro compito, cioè quello di
permettere la fusione vertebrale nella corretta posizione, e fossero potenzialmente dannosi.
Ci sembra auspicabile, quindi, per evitare tali rischi, la rimozione degli strumentali, oppure
l'uso di materiali non più solo biocompatibili, ma bioriassorbibili; resta da vedere se tali
materiali esistono e se hanno le stesse proprietà meccaniche dei metalli; potrebbe però essere
un interessante campo di ricerca.