Roma, Olimpiadi di filosofia, marzo 2015
Globalizzazione del bene?
Gereon Wolters (Universiät Konstanz)
I. Premesse
Il motto di questo finale della XXIIIa edizione delle “Olimpiadi di filosofia” è “La
filosofia scuola di libertà e creatività”. Devo ammettere che l’uso un po’ iperbolico
della parola “creatività” in tempi recenti mi rende spesso sospettoso: nella politica
almeno del mio paese viene usato innanzitutto dove prestazioni mancano. Nel caso
del nostro motto non è così, però: la filosofia è, infatti, una scuola per eccellenza non
solo di libertà, ma anche di creatività. Mi spiego. Alcuni di voi forse conoscono la
definizione della filosofia, che Kant ha dato più di 200 anni fa: La filosofia “si
concentra nelle tre domande seguenti: 1) Che cosa posso sapere? – 2) Che cosa
posso fare? – 3) Che cosa ho diritto di sperare?” –
A mio avviso questa definizione è un’apoteosi della domanda “perché”: perché
dovrei credere questo o quello? Perché dovrei fare questo o quello? E perché ho il
diritto di sperare questo o quello. Filosofia è per Kant - e anche per me - diffidenza
istituzionalizzata. Diffidenza nei confronti di ciò che mi viene presentato come
sapere, diffidenza verso ciò che mi viene prescritto come azione moralmente buona
e diffidenza nei confronti di comandamenti e promesse religiosi. Queste diffidenze
nei confronti di credenze e norme vigenti sono una fonte inesauribile di creatività e
libertà.
La domanda critica “perché?” in senso kantiana chiede motivazioni: motivazioni
del sapere, del agire moralmente e motivazioni delle speranze religiose. Queste
motivazioni devono essere accettabili non solo per me o per la mia famiglia o per i
miei connazionali, ma per tutti gli esseri umani. Tali motivazioni sono chiamate
universalizzate. Le motivazioni della libertà di religione ad esempio devono essere
tale di poter convincere perfino un salafista. Di seguito mi concentro sulle motivazioni
delle azioni moralmente rilevanti, vale a dire mi concentro sul bene e chiedo se c’è
un bene universalizzato.
1
II. Globalizzazione del bene?
La nostra domanda è, se esistono concezioni del bene, davvero condivisibili da
tutti, che potrebbero motivare le nostre azioni moralmente rilevanti. In altre parole:
siamo riusciti a globalizzare il bene come ad esempio le leggi della fisica? Il gran
numero di concezioni distinte del bene fino a oggi suggerisce, che come in cucina,
anche con riferimento al bene vale il motto “non si deve discutere sui gusti”.
Dubito però che sia veramente così. Esistono, infatti, azioni che sono reputate
dappertutto e in qualsiasi società come mali, per esempio l’omicidio, il furto, la frode
e così via. Altre azioni, invece, vengono considerate dappertutto come bene, per
esempio l’onestà, la prontezza nel soccorrere, l’amore verso i genitori ecc. Inoltre, in
tutte le culture troviamo uno strumento affascinante per giudicare moralmente le
azioni. Noi stessi l’abbiamo imparato fin da bambini: la cosiddetta regola aurea, la
regola d’oro. Una delle tante formulazioni è: “Fa’ agli altri quello che vorresti fosse
fatto a te!”. Con la regola d’oro facciamo un primo passo di là dell’idea che il bene
fosse solo una questione di gusto. Possiamo dire, piuttosto, che la regola d’oro è una
formulazione semplice di ciò che abbiamo chiamato “universalizzazione”. Degli
orientamenti possono essere morali e quindi buoni solo se in situazioni equivalenti
essi valgono per tutti. Questa idea troviamo nella storia della filosofia abbastanza
tardi, nel settecento sia nella deontologia del imperativo categorico di Kant, sia nel
utilitarismo di Jeremy Bentham. Di seguito mi limiterò a trattare della globalizzazione
del bene nella forma della globalizzazione dei diritti dell’uomo.
III. I diritti umani come globalizzazione del bene
Il Kantianismo e l’utilitarismo, vale a dire le due concezioni universalistiche del
bene di base, hanno in comune il fatto, che si tratta di approcci razionali e
illuministici. Ciò significa che, a differenza del Millennio precedente, non vengono più
invocati Dio e i suoi rappresentanti terreni per insegnarci cosa sia il bene, ma solo la
propria ragione e la propria buona volontà. Ambedue sono fallibili. Ciononostante, le
concezioni universalistiche del bene sono le migliori risposte, che si potevano fornire
da 250 anni alla domanda del bene. Non è esagerata l’affermazione che le
2
concezioni illuministiche e universalistiche del bene hanno segnato sia lo sviluppo sia
lo stato attuale dei sistemi politici e giuridici in Occidente. Tra i loro frutti più preziosi
va menzionata la teoria dei diritti fondamentali dell’uomo, che ha trovato il suo
culmine dal punto di vista politico nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”
delle Nazione Unite, firmata a Parigi nel 1948.
Il primo articolo recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità
e diritti.” Questo è nient’altro che una versione delle concezioni universalistiche del
bene, che sono iniziate con l’Illuminismo. I diritti dell’uomo secondo la “Dichiarazione”
sono per prima cosa (I) universali, cioè sono validi per tutti gli uomini; in secondo
luogo (II) sono egualitari, cioè valgono per tutti nello stesso modo; sono, poi (III),
categorici, cioè valgono in modo incondizionato e sono, infine (IV), individuali e
soggettivi, perché sono validi per ogni singolo uomo. Esempi di tali diritti universali
dell’uomo sono: il “diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”
(art. 3); la proibizione della schiavitù (art. 4); il divieto di “trattamento o punizioni
crudeli, inumani o degradanti” (art. 5); “il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di
religione” (art. 18) e “la liberta di opinione e di espressione” (art. 19).
Queste concezioni universalistiche ed egualitarie del bene non sono viste di
buon occhio da tutte le culture del mondo. Spesso sono considerate come
espressioni dell’imperialismo culturale occidentale. Innanzitutto il mondo islamico ha
grandi difficoltà nell’accettare queste “norme”. Non stupisce, quindi, che nel 1990 la
“Conferenza Islamica dei Ministri degli Esteri” ha approvato una “Dichiarazione
Islamica dei Diritti dell’Uomo”, che consiste di 25 articoli. Di particolare importanza
sono gli ultimi due:
L’Articolo 24 suona così: “Tutti i diritti e le libertà enunciate nelle presente
Dichiarazione sono soggette alla Shari’ah Islamica.”
Ciò è confermato dall’Articolo 25: “La Shari’ah Islamica è la sola fonte di
riferimento per l'interpretazione di qualsiasi articolo della presente Dichiarazione.” –
La fonte e il criterio dei diritti umani è quindi la tradizione giuridica islamica, basata
sul Corano e le hadith, vale a dire i Detti del Profeta. Questo fondamento religioso è
in forte contrasto con la concezione illuministica, egualitaria e universalizzante, che si
3
basa sulla sola ragione. Inoltre, la Shari’ah, come ogni testo - innanzitutto ogni testo
religioso - è oggetto di diverse interpretazioni, da quelle più conservatrici a quelle più
liberali, come sappiamo bene dalla storia del cristianesimo. È un fatto, però, che nella
maggior parte dei Paesi Islamici prevalgono interpretazioni più o meno conservatrici.
Particolarismi relativi ai diritti dell’uomo sono riscontabili però non solo nel
mondo islamico. Anche in ambienti non o poco democratici africani e asiatici c’è
spesso una forte polemica contro l’universalismo egualitario della “Dichiarazione
Universale” delle Nazione Unite, considerato come un’imposizione occidentale sulle
loro culture. Queste critiche hanno in comune di dare maggior valore ai diritti
collettivi, di regola definiti da dittatori e despoti, piuttosto che ai diritti individuali. Ciò è
evidente, per esempio, nella concezione dei “valori asiatici”, proposta innanzitutto in
Paesi come Cina, Indonesia, Malaysia e Singapore.
Adesso vorrei tornare alla nostra domanda sulla globalizzazione del bene.
Occupandoci dei diritti dell’uomo, abbiamo visto che in culture diverse ci possono
essere concezioni contrastanti e rivali sul bene. Non vedo, però, come noi in
Occidente potremmo trarre giovamento dall’importazione del bene nella forma dei
cosiddetti diritti dell’uomo non universali e non egualitari. Lo dico francamente:
quanto alla concezione del bene concernente i diritti dell’uomo, l’Occidente non ha
niente da imparare dall’Oriente o da altre parti del mondo. Anzi, mi sembra che la
strada dovrebbe andare nella direzione opposta. A mio avviso, la “Dichiarazione
Universale” è un progresso enorme nel percorso della civilizzazione. Per la prima
volta nella storia dell’umanità ogni essere umano diventa un soggetto portatore di
diritti fondamentali, indipendentemente dalla sua razza, sesso, religione, nazionalità,
posizione sociale e così via.
Anche se in Europa, dal punto di vista teorico, quanto al bene non possiamo
imparare nulla da altre culture, è comunque assai opportuno essere modesti.
Innanzitutto vorrei ricordare qui la differenza tra l’ideale e la realtà. La realtà dei diritti
dell’uomo in Occidente lascia molto a desiderare. I nostri amici americani gestiscono
sempre il lager di Guantanamo, dove da anni tengono in prigionia persone senza
processarle. L’anno scorso (2013) una commissione del Parlamento Europeo su
criminalità organizzata, riciclaggio di denaro sporco e corruzione ha rilevato che
4
nell’Unione Europea circa 880.000 persone lavorerebbero come schiavi e un quarto
di loro come schiavi del sesso. Potrei continuare col massacro a Srebrenica nel
1995, in cui 7000 musulmani bosniaci furono uccisi da parte dei Serbi. Invece di
continuare sul presente vorrei, per un attimo, dare uno sguardo al passato.
Centocinquantuno anni fa, nel 1864, e sette anni prima di farsi dichiarare
infallibile, Papa Pio IX, nel cosiddetto Syllabus Errorum forniva un elenco di
esattamente 80 errori dei suoi tempi, tra i quali la libertà di religione (15);
l’uguaglianza del protestantesimo (o delle altre confessioni cristiane) come forma di
cristianesimo rispetto al cattolicesimo (16); dubbi sulla competenza della Chiesa nel
“definire la religione cattolica come la unica vera religione” (21); lo stato secolarizzato
(19 seg.) e così via. Il Sillabo del 1864 ricorda in molti punti la “Dichiarazione
Islamica” del 1990. – Un altro esempio storico per la differenza tra l’ideale e la realtà
del bene è la Grande Guerra che cominciò cento anni fa. Per le futili ragioni delle
élite europee fu tolta la vita a circa 10 milioni di persone, mentre il doppio ne uscì
ferito. - Il Fascismo italiano poi certamente non fu una sorgente di bene nella forma
dei diritti dell’uomo, mentre nel Nazismo tedesco con la Seconda Guerra Mondiale e
lo sterminio degli Ebrei europei fu raggiunto il livello civilizzatore più basso della
storia.
In breve, sia la storia dei diritti dell’uomo in Occidente, sia il presente esortano
alla modestia. In prima battuta dobbiamo evitare di dare avvio a nuove missioni
armate a difesa dei diritti dell’uomo basati sulla ragione. L’esempio più disastroso è
quella “crociata” (ipsissimum verbum) nell’Iraq del fondamentalista cristiano (bornagain Christian, cristiano rinato) G.W. Bush, assistito da una “coalizione dei
volenterosi” (coalition of the willing) europei. L’attacco fu giustificato con una
menzogna (armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein) e
pretendeva di introdurre nell’Iraq la democrazia stile americano e i diritti dell’uomo. Il
risultato fino adesso è più di 200.000 morti, un paese distrutto e il terrorismo islamico
che avanza. Ripeto: i diritti universali dell’uomo sono forse il frutto più buono del
pensiero razionale e illuministico occidentale. E un’offerta al resto del mondo; la loro
accettazione deve basarsi solo su motivi razionali e sul proprio interesse etico degli
altri.
5