Equità, privilegio, verità. Sono le tre parole che mi hanno maggiormente colpito nell’intervento del Presidente Monti in occasione di un recente convegno dell’Enpam, a poche ore dall’incarico del Presidente della Repubblica. Credo che la sfida che ruota attorno a queste parole vada colta, esista, debba essere declinata nella sua complessità. Qualsiasi idea di futuro si possa avere non può che partire da un concetto di equità. Equità nel sistema economico, nel mercato del lavoro, nelle dinamiche previdenziali. Nonostante il corpo del concetto di equità sia innervato da fattori complessi, da destini individuali, da scale meritocratiche noi non possiamo prescindere dalla necessità, ancor più in un momento così grave per il Paese, di incardinare riforme e visioni che tengano conto delle generazioni future. Verità. E’ necessario essere trasparenti, diretti, non demagogici. E allora cominciamo col dichiarare una verità: noi, per legge, non riceviamo contributi pubblici, non graviamo sul debito del paese, siamo pesantemente vigilati da più fonti, non abbiamo mai nascosto nulla, i nostri portafogli e le nostre proiezioni attuariali sono costantemente nelle mani dei Ministeri vigilanti. Verità significa evidenziare che in presenza di squilibri strutturali, anche a trent’anni, possiamo essere commissariati, quindi, tecnicamente e sostanzialmente non possiamo fallire. Se questi criteri fossero stati applicati all’Italia negli ultimi trent’anni saremmo in condizioni ben diverse. Nei numeri risiede un pezzo rilevante della verità: partiamo dai numeri, guardiamo ai numeri, ma non dimentichiamoci della solidarietà. Privilegio, solidarietà. I professionisti italiani, si dice, sono privilegiati, addirittura una casta paragonabile a quella politica. Usciamo dagli slogan. Il mondo dei professionisti non gode di alcun ammortizzatore sociale. E’ giusto? Si dirà: il rischio è insito nell’esercizio della libera professione. Bene ma se mi prendo tutto il rischio, se le uniche e attualmente insufficienti tutele quando mi ammalo, quando divento invalido, quando il lavoro cala, quando inizio a lavorare se le assume la mia Cassa, perché devo essere descritto come un privilegiato? Cosa sto togliendo al Paese? Posso invece dare molto all’Italia. E qui cito nuovamente il presidente Monti: non esiste alcuna evidenza scientifica che dimostri una crescita del Pil in presenza di abolizione degli ordini professionali. Le professioni hanno bisogno di una regolamentazione in Italia e nel mondo, il punto è come regolare non una guerra di religione sul nome del soggetto regolante. Non entro nel tema ordinistico, se ne parlerà nella successiva tavola rotonda. Dico solo una cosa: esistono da anni, nei polverosi cassetti parlamentari, proposte di riforma, anche radicali, avanzate dalle singole professioni o dall’associazione che le rappresenta. Perché non sono state prese in considerazione? Nessuno rifiuta il cantiere delle riforme, sappiamo tutti che la società si evolve, che tutto è più difficile, che l’occidente non è più centrale e paghiamo probabilmente un prezzo non più recuperabile. Se cancelliamo gli slogan troviamo le soluzioni. Società. E’ un’altra parola importante, a mio parere per troppo tempo dimenticata. Dobbiamo ritrovare la responsabilità comune, le ragioni di coesione, i concetti di sacrificio e di legalità. Ma usciamo da un altro enorme equivoco. La previdenza è la sintesi del tessuto economico, non si fa previdenza senza lavoro, senza sviluppo, senza investimenti, senza equità. E’ del tutto fuorviante osservare i sistemi previdenziali come mondi a se stanti, scarnificarli pensando che siano auto-sostenibili. I contributi derivano dal reddito, il reddito sta nella dinamica di un paese, noi siamo parte del paese non un mondo lunare. Anche noi abbiamo bisogno di aiuto, al pari di tutti i cittadini, anche noi soffriamo la crisi. Demografia, redditi, sistemi previdenziali, buona gestione, rendimenti dei patrimoni, andamento dei mercati, tutto sta nello stesso perimetro: noi siamo per il Paese. Chi si occupa di previdenza non può chiudere gli occhi di fronte alle enormi difficoltà che il mondo del lavoro vive ormai da qualche anno. I redditi declinanti dei professionisti, rappresentati in questo rapporto, lanciano un grido di allarme rispetto ad una fetta della società che produce una parte rilevante del Pil. I giovani professionisti vivono le stesse difficoltà di qualsiasi altro lavoratore. Il rapporto di domanda e offerta non può essere letto astrattamente, non può non essere messo in stretta relazione con le azioni di stimolo della crescita e dello sviluppo dell’Italia. I professionisti sono doppiamente vittime di una burocrazia per certi versi ottocentesca, come cittadini e come professionisti: liberalizzare significa anche ridurre gli ostacoli all’esercizio delle professioni, non solo focalizzare i presunti privilegi. Molto tempo è passato dal primo dopoguerra quando i sistemi previdenziali si configuravano in parte come ammortizzatori sociali tout court: bisognava far fronte alla povertà, oggi si deve affrontare la coesione sociale e la possibilità di creare progetti di vita. Nessuna copertura pensionistica o di welfare può vivere e prosperare in un mercato del lavoro recessivo, nessuna tutela vive senza un tessuto economico in cui si sviluppano opportunità, ancorché legate alla capacità individuale di impegnarsi e di fare sacrifici. Questo è un giorno importante per l'Adepp e le 20 Casse che rappresenta. Per la prima volta siamo di fronte ad uno studio articolato ed omogeneo sul mondo della previdenza privata che ne fotografa il perimetro permettendoci di delineare le sfide future. Enasarco, che dell'Adepp non fa parte, ha gentilmente concesso i propri dati donando completezza al lavoro che il Centro Studi ha condotto con grande professionalità. Lo sforzo condotto a termine rappresenta l'inizio di un percorso di approfondimento al nostro interno che si evolverà in linee specifiche di studio che l'Assemblea dei Presidenti deciderà, ma segna in modo chiaro e definitivo una volontà di trasparenza verso gli iscritti e la società intera sui contenuti del nostro agire e sulla tenuta del nostro impianto sociale. Cosa siamo, cosa vogliamo essere. Se dovessi osservare lo stato dell'Italia, la sua credibilità in ambito internazionale, l'attacco anche di speculatori senza scrupoli, potrei dire che siamo un pezzo della spina dorsale della nostra società, nonostante alcune criticità di cui non eviterò di parlare. Siamo solidi, solvibili, controllati nelle proiezioni a 50 anni: se emettessimo dei Bop, buoni ordinari della previdenza, non ci sarebbero problemi di collocamento. La spinta riformatrice in atto nei diversi istituti che non presentano garanzie assolute in termini di lungo periodo è forte e inequivocabile. Alcune riforme sono state fatte, altre sono in dirittura d'arrivo, tutte tendono a garantire enormi riserve, 5 annualità delle pensioni pagate ogni anno in un orizzonte di 30 anni, che hanno pochi paragoni in altri ambiti economici. Un altro pezzo del nostro sistema, in equilibrio dalla nascita come le casse del 103 o per riforme precedenti, si sta ponendo il problema dell'adeguatezza delle prestazioni, dell'aumento delle aliquote contributive, della crescita di coperture ulteriori di welfare. La responsabilità messa in campo ci rende orgogliosamente gelosi dell'ambito della nostra autonomia che, ancor prima di essere sancito dalle leggi di privatizzazione, sta nella tutela di due milioni di professionisti italiani e delle loro famiglie. Gli oltre 42 miliardi di euro che rappresentano il perimetro dei nostri patrimoni al 2010 sono un bene da proteggere in una visione moderna delle strategie di investimento. Oltre 4 miliardi di investimenti diretti in debito pubblico, altrettanti attraverso fondi o asset che hanno come sottostante patrimonio pubblico. Non mi pare che l’attenzione al Paese sia mancata fino ad oggi. E se non basta alcune Casse hanno recentemente aumentato gli acquisti di titoli governativi italiani, altre probabilmente seguiranno. E’ evidente che una semplice logica di acquisto del debito risulta limitativa, ancorché preziosa, mentre una condivisione delle sfide di sviluppo infrastrutturale potrebbe apparire un punto di incontro tra le esigenze di remunerazione dei montanti degli iscritti e il valore più ampio del tessuto economico. Molto si è detto e scritto sulla nuova vigilanza dei nostri investimenti. Prima di tutto devo ancora una volta con grande forza esprimere la totale contrarietà dell'Adepp all'aumento della tassazione degli utili finanziari, dal 12,5 al 20 per cento, incardinata nell'ultima finanziaria. Si è trattato di una scelta miope, ingiusta e ingiustificata rispetto a qualsiasi altro sistema pensionistico europeo. Siamo i più tassati d'Europa, a proposito di equità, con il rischio che, nel tanto decantato valore dell'unione degli Stati, un professionista tedesco, a parità di versamenti, si veda riconosciuto un trattamento sensibilmente superiore. Credo che se questa dinamica non verrà invertita non si possa escludere un ricorso alla Corte europea dei diritti umani. Si sono voluti sottrarre decine di milioni di euro ogni anno, circa 60 con mercati efficienti e non è questo il momento, ai montanti dei nostri iscritti che un giorno saranno pensionati un po’ più poveri, cittadini con meno risorse da spendere, anziani che necessitano di assistenza continua a causa dell'allungamento vigoroso della vita media. Tutto questo è miope: una fiscalità di vantaggio per fondazioni senza scopo di lucro come le nostre porterebbe un vantaggio, sul lungo periodo, di notevole valore per la collettività. Certo, per ragionare in questi termini, ci vuole una politica che riesca a valutare i decenni non i giorni. La vigilanza, recentemente arricchita dalla presenza della Covip, resta uno dei passaggi rilevanti rispetto alla costruzione di un'idea di futuro. Vigilanza omogenea, senza sovrapposizioni e doppioni, secondo le migliori pratiche internazionali, rispettosa delle scelte autonome di ciascun ente che vanno adeguate ai rapporti rischio-rendimento che appaiono diversi nelle storie delle singole professioni: lo abbiamo detto, lo ripetiamo. L'idea caricaturale di un settore che vuole libertà assoluta va spazzata via. Abbiamo fornito sempre tutti i dati ai Ministeri Vigilanti, sono stati vagliati e approvati con poche e mirate osservazioni, quasi sempre sul versante delle regole previdenziali, non della congruenza degli investimenti. Corte dei Conti, Commissione Bicamerale di controllo, collegi sindacali, società di revisione, hanno fatto il loro legittimo lavoro. Basta con il tiro al piccione, lavoriamo insieme, siamo pronti! La recente e chiara apertura al dialogo da parte delle direzioni generali dei ministeri e della stessa Covip tramite il suo presidente ci dicono che siamo sulla strada giusta. L'annuncio che la bozza dei decreti che affideranno i poteri alla Covip sarà messa in consultazione pubblica è importante. L'aver chiarito da parte del Ministero del lavoro il fatto che l'Autorità indipendente renderà sistematico un flusso di informazioni, esistente ma scomposto, senza creare ulteriori fonti di controllo, è altrettanto importante. Infine aver salutato i principi di autoregolamentazione che l'Adepp ha deliberato come utili e positivi rende chiaro il fatto che esistono tutti gli ingredienti per dar forma ad una normativa più moderna e garantista nei confronti degli iscritti. Controllo del rischio costante, obiettivi di rendimento sostenibili e adeguati alle singole realtà, dati omogenei e comparabili fanno parte di un programma preciso in un presente nel quale sono molte le realtà che si sono dotate di strumenti di alta professionalità. Gli errori, minoritari, compiuti in passato devono essere una lezione, ma lo devono essere per tutto il sistema istituzionale, Comuni e Regioni in testa, dove si sono verificate ben altre problematiche. Gli strutturati e i derivati sono alle nostre spalle, nonostante questi termini si possano applicare a prodotti garantiti da titoli di stato, ma non posso evitare di sottolineare l'aggressività e la poca trasparenza di una certa finanza che merita profondi esami di coscienza e una definitiva emarginazione. Prodotti semplici, trasparenti sul sottostante, calibrati per un investitore previdenziale rappresentano, a mio parere, un ritorno ai fondamentali inevitabile. Certo, va detto, la Covip è nata per vigilare sui fondi di secondo pilastro, ha una governance costruita in questo senso, manca di professionalità specifiche per portafogli molto più complessi quali i nostri. La somma di previdenza obbligatoria e integrativa porta, oggi, ad una massa di investimenti che supera i 130 miliardi di euro, in crescita per svariati miliardi anno. Un ambito di queste dimensioni e delicatezza merita forse un nuovo soggetto, se si vuole davvero un controllo unificato e coerente. L’ambito immobiliare resta regolato da norme diverse. I piani triennali incardinati in leggi recenti, l’utilizzo dei fondi immobiliari, la necessità di osservare i patrimoni nella loro interezza se si vuole ragionare seriamente sui profili di rischio e rendimento. Con Assoimmobiliare, l’associazione istituzionale che raccoglie gli operatori di mercato, stiamo ragionando su un decalogo di trasparenza ed efficienza che verrà sottoposto ai presidenti. Non esiste un obbligo in questo senso, ma delimitare il campo da gioco nel quale si muovono gli operatori finanziari significa avere maggiori garanzie sulla qualità degli investimenti e far emergere i migliori. Valutazioni del prezzo, commissioni, efficienza energetica, variazioni di mercato: l’elenco dei parametri di qualità è lungo e può essere stilato. Ancora una volta: non temiamo la trasparenza, ma sia ben chiaro, non siamo noi a determinare i mercati, la volatilità, le speculazioni, noi ne siamo vittime. L’industria Italia, economica e finanziaria, va aiutata, sarà aiutata nel momento in cui fa emergere le proprie qualità, le rende disponibili, accetta utili inferiori e più duraturi. Il tema dei controlli si lega a quello dell’applicazione del codice degli appalti incardinato recentemente per via normativa. Di fronte al nuovo Governo non possiamo che ribadire la necessità stringente di aprire una interlocuzione su una visione sistematica del settore previdenziale privato, abbandonando definitivamente la strada della stratificazione di leggi e decreti spesso non armonizzati tra loro e di difficile interpretazione. Così come l’attrazione nell’ambito della pubblica amministrazione, attraverso interventi al livello del personale, appare incongrua, inefficace e deleteria in virtù di una contrattazione privatistica che non può essere superata. E’ possibile aprire un nuovo corso nel quale responsabilità, autonomia e controlli si intreccino attribuendo compiti chiari anche nella “zona grigia” della nostra finalità pubblica? La mia risposta è sicuramente sì. In Parlamento, nella commissione preposta, è stata incardinata una proposta che riassume quella dell’onorevole Damiano, integrata bipartisan da una serie di osservazioni. Il cuore di quella proposta deriva da un protocollo che firmammo proprio nello spirito di modernizzazione del sistema e di manutenzione delle norme a quasi 15 anni dalla privatizzazione. La prova provata che le risposte si possono trovare nel confronto. Il ruolo dei professionisti e dei loro Istituti previdenziali nel Paese è evidente in termini di massa economica, migliorabile in termini prospettici. L’invito ad essere parte, insieme al sistema bancario e assicurativo, di alcune sfide strategiche e infrastrutturali, di essere portatori di valori sociali positivi come nel caso dell’Housing gestito da Cassa Depositi e Prestiti, è stato raccolto. L’aver ottenuto l’approvazione parlamentare della legge che permette l’elevazione del contributo integrativo da un minimo del 2 ad un massimo del 5 per cento è stato importante. A questo elemento molte Casse stanno affiancando una spinta riformatrice che riguarda le aliquote di versamento, adeguandole pur in presenza di un’economia sostanzialmente stagnante ormai da molti anni. Tra il 2008 e il 2010 i professionisti appartenenti al perimetro Adepp hanno subito una perdita di circa il 6 per cento in termini di reddito medio reale, con punte che supera ilo 10 per cento in singole professioni. D’altro canto esiste una fetta molto consistente di iscritti all’ordine professionale che non risultano iscritti alla Casse di appartenenza, a sottolineare le grandi difficoltà ad intercettare spazi di mercato, non una chiusura del mercato. In ultima analisi il Rapporto descrive un mondo variegato, con soggetti di antica data ed altri di più recente costituzione, che si evolve secondo alcune essenziali linee comuni: maggiore o totale sostenibilità, maggiore efficienza e tracciabilità negli investimenti, allargamento del concetto di previdenza in una sfera più ampia di tutela, attenzione alle dinamiche professionali e alle loro specificità di esercizio. Tutto questo è storia, tutto questo è un valore che va traghettato nei tempi moderni, senza chiusure aprioristiche e senza giudizi preconcetti che a volte arrivano dall’esterno. Credo e spero che il nuovo Governo del paese voglia guardare a questo mondo con attenzione ed equilibrio, in una assunzione reciproca di responsabilità e di apertura al dialogo. Non si giudica un Governo a priori: il più volte richiamato confronto con le Parti Sociali è il metodo giusto, anche noi siamo parte sociale, anche se spesso lo si dimentica. In queste ore si sono diffuse voci incontrollate di ogni genere sul mondo delle professioni e sul futuro della loro previdenza. Cassa unica, contributivo per tutti, abolizione degli ordini in forza dei quali iscriviamo i professionisti e chi più ne ha più ne metta. Questo non fa altro che aumentare preoccupazioni e nervosismo. Le Casse di nuova generazione sono già al contributivo puro, altre più antiche lavorano su sistemi misti. Travolgere questo sistema, che ricordo per l’ultima volta deve garantire sostenibilità a 30 anni, significherebbe travolgere innumerevoli leggi, l’intero impianto della privatizzazione, smentire lo stesso legislatore senza portare alcun beneficio alla solidità dei conti pubblici. Non credo che sia utile, non credo che sia possibile, nessun tipo di informazione del genere ci è giunta dai Ministeri dell’Economia e del Lavoro. Nessuno si salva da solo, la storia europea ce lo insegna, noi vogliamo essere parte attiva di un’idea di futuro che deve crescere. La nostra autonomia non è di ostacolo a nulla, le prove contrarie non sono mai emerse. Siamo una risorsa. Grazie