Ufficio Promozione e Sviluppo della Comunicazione Solenne inaugurazione dell’Anno Accademico 2015-2016 465° anno dalla fondazione del Collegio Romano “Va’ e fa’ anche tu così” (Lc 10,25-37) Omelia del Rettore Magnifico P. François-Xavier Dumortier, S.I. Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio – Roma, 5 ottobre 2015 “Va’ e anche tu fa’ così”. Questa parola del Signore al dottore della Legge echeggia fino a noi come un invito che non possiamo non sentire. Echeggia fino a oggi, nel contesto attuale che ben conosciamo, come un ordine al quale non possiamo sottrarci. La questione posta dal dottore della Legge era: “Chi è mio prossimo?”. Quel prossimo che è da amare come se stesso. La risposta di Gesù non è astratta, teorica, astrusa: si tratta di atteggiamenti concreti, quali vedere, compatire, fermarsi e agire. Vedere, cioè avere quegli occhi aperti – gli occhi del Samaritano – che possano guardare le situazioni per affrontarle, che sappiano puntare lo sguardo sulle persone che incrociamo lungo la nostra esistenza. Non è scontato “vedere”: ci sono occhi che sono chiusi, ci sono persone che guardano senza vedere. Perché questa cecità di coloro che tuttavia non sono ciechi? Perché vedere richiede tutta l’attenzione e l’apertura di un cuore capace di stupirsi e di meravigliarsi. C’è sempre il rischio di passare sulle vie del mondo e della storia con occhi serrati, rinchiusi su di sé, assorti nella lettura del proprio i-pad o smartphone… gli occhi di un cuore distratto che si è probabilmente un po’ o molto impietrito. La carità comincia con occhi che sanno vedere e che ci fanno uscire dal nostro “io” individuale. Compatire. La compassione non spunta dalla drammaticità esterna di un evento, ma dall’intimo dell’essere umano che è colpito e commosso dal dolore e dalla sofferenza dell’altro... un altro che non è qualificato secondo l’apparenza o – in qualche modo – pesato e giudicato prima di essere considerato nella sua assoluta unicità e riconosciuto come quest’altro di cui sono responsabile, di cui devo rispondere. “Compatire” significa lasciarsi implicare e coinvolgere nella sofferenza degli altri, e nei problemi del nostro mondo. È sempre possibile sfuggire le avversità, la sfortuna, il dolore, la prova... ma questo significa sfuggire la propria umanità. Ufficio Promozione e Sviluppo della Comunicazione Fermarsi. Il Samaritano si è fermato: ha interrotto il suo viaggio. Non è passato accanto all’uomo lasciato mezzo morto. Tra proseguire il proprio cammino e fermarsi, ha preso la sua decisione senza esitare: la priorità non è il suo programma di viaggio, né le sue attività. Si impone ciò che soltanto l’ospitalità del cuore può imporre: prendersi cura dell’altro. Non c’è spazio nella sua mente per l’indifferenza fredda di chi sussurra: “non è colpa, non sono io il responsabile, ci sarà qualcun altro che verrà”. Il Samaritano sa sospendere il suo cammino per vivere la sollecitudine di chi ha il coraggio e l’audacia di chinarsi sopra colui che è abbandonato sul ciglio della strada. Agire. Gli occhi che vedono, il cuore che compatisce, l’attenzione che avvicina portano ad agire. Gli occhi che vedono aprono l’intelligenza, il cuore che compatisce non si crogiola nelle lamentele ma fa prendere cura, l’attenzione che avvicina spinge ad impegnarsi per assumere le decisioni e compiere gli atti che testimoniano la verità della nostra solidarietà. Lo sappiamo bene: l’intelligenza ha bisogno del cuore per capire veramente, il cuore ha bisogno della nostra libertà messa a rischio per curare, cambiare, trasformare ciò che deve essere curato, cambiato, trasformato. ***** Vedere, compatire, fermarsi, agire: quattro verbi che puntano a ciò che è “Principio e fondamento” nella nostra vita. Vivere significa camminare... imboccare queste vie piene di incertezze, sulle quali siamo spesso portati ad affrontare l’imprevedibile. Si tratta di vedere: sappiamo bene che Gesù libera i nostri occhi da noi stessi e li volge verso l’altro, perché diventiamo capaci di riconoscerlo. Essere presente agli altri esprime la nostra prossimità al Signore stesso che potrebbe talvolta essere questa figura lasciata mezza morta ai margini delle nostre società. Si tratta della compassione, che non è un vago sentimento effimero: si tratta del cuore che si impegna, perché sa ascoltare la richiesta di aiuto che viene dal fondo della disperazione e della miseria. La compassione è la scuola dove impariamo il servizio disinteressato. Si tratta di fermarsi mentre andiamo sempre di fretta senza sapere dove porta il cammino. Prendere il tempo di vedere e di ascoltare presuppone avere il coraggio di fermarsi. Quando rischiamo di passare accanto all’altro e nell’ “hic et nunc” di oggi senza fermarci, rischiamo di uscire fuori strada dalla nostra vita. Si tratta di agire: è il tempo della cura umile che non lascia altra traccia che la memoria straordinaria di chi si è fatto prossimo a colui che era abbandonato, a chi ha mostrato ciò che è originario e prioritario. Si tratta quindi di riconoscere che il Signore ci visita nell’altro sconosciuto e ci spinge a «porre l’amore più nei fatti che nelle parole» (cf. E.S. n°. 230). “Va’ e fa’ anche tu così”. Sì, farsi prossimo all’altro in ogni circostanza e in ogni luogo durante questo Anno Accademico è un camminare semplice e umile, un cammino del cuore e dell’intelligenza, il cammino del Signore per noi e con noi.