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18/02/2014 |
Congiuntura
Il termine congiuntura indica l'andamento economico - soprattutto della domanda - in un mercato settoriale o
globale (Economia di mercato). Le scienze economiche e la storia economica studiano l'evoluzione e le
oscillazioni della congiuntura di singole aziende o settori, l'economia politica relativamente alle economie
nazionali. A partire dal XIX sec., rilevamenti statistici hanno permesso di osservare le fluttuazioni periodiche
dei Prezzi, dei Salari, dei volumi di produzione, dei livelli occupazionali, delle cifre d'affari, dei tassi di
Interesse, della massa monetaria, della Crescita economica ecc. Per l'era industriale, gli studiosi della
congiuntura distinguono cicli lunghi di 50-60 anni (di Kondrat'ev), cicli medi di 8-11 anni (di Juglar) e cicli brevi
di ca. 40 mesi (di Kitchin). Un ciclo congiunturale è composto da più fasi: crescita, alta congiuntura, Crisi,
depressione e ripresa.
1 - Dal Medioevo al XVIII secolo
In base a dati protostatistici grazie ai quali è possibile elaborare in forma seriale indicatori sensibili alla
congiuntura, la storiografia economica del ME e dell'età moderna è in grado di ricostruire in maniera molto
sommaria l'andamento congiunturale di quei sec. Questa possibilità esiste a partire dall'affermazione
graduale della divisione del lavoro fra città e campagna, dello scambio di merci nei Mercati e di un'Economia
monetaria generalizzata. Registri doganali forniscono indicazioni sulla congiuntura su scala sovraregionale o
regionale.
Dal 1281 al 1450, il traffico vallesano di merci alla dogana di Saint-Maurice ha conosciuto tre fasi distinte. La
prima, durata fino al 1310, può essere definita come periodo di alta congiuntura per il commercio. Dal 1311 al
1360 la cifra d'affari media si dimezzò rispetto alla fase precedente; dal 1361 al 1405 si ridusse ulteriormente
della metà, così come dal 1405 al 1450. L'alta congiuntura della prima fase fu dovuta principalmente al
commercio di panni di lana provenienti dalla Francia e dalla Lombardia, lana e cavalli; invece gli scambi di
merceria, cera, ferro, pelli e pesci costituirono una parte meno rilevante del traffico ordinario.
Per le fiere ginevrine, la prima metà del XV sec. rappresentò una fase di alta congiuntura; dopo il 1460 il
boicottaggio ordinato dal re franc. Luigi XI fu all'origine di una crisi, che provocò una riduzione del volume
degli scambi. Considerando solo i dazi all'importazione, a Basilea l'evoluzione congiunturale negli anni
1386-1530 fu più stabile. A parte le abituali oscillazioni di breve periodo, si notano tre eccezioni di rilievo,
ancora più evidenti per il traffico di transito. La fase di crescita iniziale è probabilmente riconducibile alla
ricostruzione della città dopo il terremoto del 1356, mentre l'alta congiuntura degli anni 1430-40 fu dovuta tra
l'altro al concilio riunito a Basilea (1431-48). La domanda originata dalla curia portò a un surriscaldamento
congiunturale non solo delle attività economiche, ma anche dei prezzi dei beni di consumo, con ripercussioni
anche sui traffici di transito. Conseguenze negative sul piano congiunturale ebbero gli eventi bellici del
periodo 1440-60; i livelli precedenti vennero raggiunti nuovamente solo attorno al 1500, al termine della
guerra di Svevia. Un indizio importante del fatto che l'evoluzione congiunturale di Basilea potrebbe
rispecchiare una tendenza più generale è costituito dall'analogo andamento degli affari della compagnia
Diesbach-Watt, che aveva filiali a Berna, San Gallo e Norimberga.
A parte poche eccezioni e le tendenze di lungo periodo, a causa delle differenze regionali nella Svizzera del
ME e dell'età moderna non si riscontra un andamento congiunturale omogeneo. Ciò è dimostrato dagli introiti
erariali di Sciaffusa, San Gallo, Zurigo, Lucerna, Soletta, Basilea, Berna, Friburgo e Ginevra nel XVI sec. Dopo
un andamento irregolare ed eterogeneo dei primi tre decenni del sec. e le crisi politiche del periodo della
Riforma e delle guerre confessionali sviz., che incisero negativamente sulla congiuntura, nel corso degli anni
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1530-40 si assistette a una certa stabilizzazione. Dal 1540 cominciò una fase di alta congiuntura, dovuta al
ritorno alla pace sia nella Conf. sia nel ducato di Milano, che provocò un aumento dei flussi di traffico intern. e
un rapido incremento demografico, con una conseguente crescita della domanda in Svizzera. A partire dal
1570 (a Ginevra già dal 1560) ci fu nuovamente un rallentamento. Dopo un'espansione durata ca. 40 anni, si
verificò una certa saturazione del mercato; nella Svizzera occidentale la crescente insicurezza e la guerra tra
Berna e Ginevra del 1589 rafforzarono questa tendenza. Il peggioramento delle condizioni climatiche
intervenuto alla fine degli anni 1580-90 e le epidemie di peste concomitanti causarono l'arresto della crescita
demografica e un relativo calo della domanda. Ci furono delle differenze a livello settoriale e regionale:
mentre a San Gallo continuò ad aumentare la produzione di telerie e a Zurigo quella di panni di lana e seta, a
Friburgo il declino della tradizionale produzione di panni di lana risultò inarrestabile, a causa della mancanza
di mercati di sbocco. In seguito, Friburgo si concentrò sul servizio mercenario, che prometteva ampi
guadagni, sull'allevamento e sull'altrettanto promettente produzione di formaggi a pasta dura. Sviluppi
congiunturali parzialmente differenti si verificarono persino all'interno di una stessa regione: per esempio nel
Paese di Vaud, dove nella seconda metà del XVI sec. l'andamento degli introiti dei ca. 11 posti di dogana non
fu sempre uniforme.
Dalla fine del XVI sec. al 1630 ca. si riscontrò una ripresa dei commerci; l'attività sulle strade e nella maggior
parte delle dogane, nonostante flessioni cicliche, complessivamente aumentò. La medesima tendenza venne
avvertita anche per i traffici sul San Gottardo, il Sempione e i passi retici, anche se a causa dei Torbidi
grigionesi degli anni 1620-40 molti commercianti e spedizionieri optarono per valichi più sicuri. In seguito, in
Svizzera la congiuntura fu influenzata prevalentemente dagli eventi bellici nei Paesi circostanti e, fino alla sua
scomparsa alla fine degli anni 1660-70, dalla peste. La guerra dei Trent'anni ebbe ripercussioni in prevalenza
positive da un punto di vista congiunturale: l'agricoltura beneficiò della domanda proveniente dalle regioni
limitrofe toccate dalla guerra; profitti paragonabili si ebbero nelle città grazie agli affari conclusi con i
belligeranti. L'alta congiuntura si interrompeva a intervalli regolari seguendo i cicli di Juglar, provocando un
forte calo dei prezzi sui mercati; la Svizzera fu colpita duramente soprattutto dalla depressione degli anni
1650-60, che provocò numerosi fallimenti durante la guerra dei contadini (1653). A San Gallo, il settore legato
alla produzione di telerie nel 1611 entrò in una fase regressiva che raggiunse il culmine nel 1650 ca.; in
seguito la ripresa fu palpabile perlomeno nel commercio e nella produzione di telerie, permettendo di
eguagliare attorno al 1700 i livelli raggiunti in precedenza.
Un andamento ciclico è riscontrabile anche per il servizio mercenario, che costituiva una delle principali
attività nell'ambito delle relazioni economiche con l'estero. Fino al 1630 ca., i mercenari sviz. impegnati nelle
attività belliche erano 10'000, con una punta di 20'000 nel 1619, allo scoppio della guerra dei Trent'anni; nella
fase finale del conflitto gli Svizzeri che combattevano per le potenze straniere si aggiravano sulle 30'000
unità. Ondate di nuovi arruolamenti si successero nella seconda metà del XVII sec. dalla guerra di
Devoluzione (1667-68) alla guerra del Palatinato (1688-97), quando oltre 60'000 Svizzeri prestavano servizio
all'estero, con un soldo comunque appena sufficiente per sopravvivere. Per l'economia sviz., l'industria della
guerra costituiva una fonte di introiti aggiuntivi in un sec., il XVII, conosciuto comunemente come l'era del
mercantilismo. Nonostante margini di profitto in diminuzione, l'alta congiuntura nel settore persistette: anche
nel XVIII sec. gli imprenditori militari sviz. furono al servizio di potenze straniere con un numero di uomini
variabile da 30'000 a 50'000.
Il XVIII sec. fu contraddistinto da una crescita marcata indotta dal commercio. Il fatto che a livello regionale
singoli settori subissero una tendenza al ribasso non contrasta comunque con il quadro generale, che vedeva
tutta la Svizzera, da Ginevra a San Gallo, beneficiare di un andamento congiunturale favorevole. Gli
imprenditori erano messi alla prova, dato che dovevano rendersi conto dei mutamenti strutturali di volta in
volta necessari ed eventualmente introdurre nuove produzioni al posto di quelle ormai obsolete. Mentre nella
seconda metà del XVIII sec. nel cant. Berna la produzione di telerie risultò in forte espansione, nella Svizzera
orientale calò fino a diventare trascurabile, venendo però compensata dalla lavorazione di nuovi tessuti quali
cotone, mussola e fustagno nelle zone di San Gallo e Appenzello Esterno. Casi simili si verificarono anche
nelle altre regioni sviz. A risentire particolarmente dei cambiamenti strutturali e delle crisi occupazionali di
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breve periodo che si verificarono ciclicamente erano gli intermediari dipendenti dai grandi imprenditori e i
lavoratori a domicilio, che a causa della compressione dei prezzi e dei salari non raggiungevano il minimo
esistenziale. L'ultima crisi congiunturale dell'epoca preindustriale colpì la Svizzera dopo il crollo degli scambi
con la Francia rivoluzionaria.
Autrice/Autore: Martin Körner / vfe
2 - XIX e XX secolo
Mentre per la prima metà del XIX sec. esistono stime quantitative solo per singoli anni e settori economici, per
gli anni successivi al 1850 (e fino al 1959 risp. al 1965) sono disponibili le stime elaborate dal centro di ricerca
per la storia sociale ed economica dell'Univ. di Zurigo e le statistiche ufficiali sviz., avviate nel 1924 e
pubblicate regolarmente dal 1929. Di seguito, non verrà operata la distinzione, usuale nelle scienze
economiche, tra tendenze di crescita e variazioni congiunturali, vista la mancanza di dati e l'inutilità di un tale
approccio nell'ambito della storia economica. Certo è che la Svizzera, analogamente ad altri Paesi
dell'emisfero occidentale, già nel corso del XIX sec. raggiunse un livello di sviluppo relativamente elevato, che
in seguito riuscì a conservare.
2.1 - Crescita ed evoluzione congiunturale nella prima metà del XIX secolo
In Svizzera, l'Industrializzazione si affermò già nella prima metà del XIX sec., nonostante i presupposti
economici sfavorevoli (mancanza di materie prime, elevati costi di trasporto) e la frammentazione sul piano
politico (cant. in larga misura autonomi con un gran numero di posti doganali e valute). Questo precoce
decollo industriale è riconducibile all'avanzato grado di protoindustrializzazione raggiunto dal settore tessile
sviz. nel XVIII sec.
La ripartizione settoriale dell'economia e le relative specificità regionali apparentemente cambiarono poco
nella prima metà del XIX sec. Intorno al 1850, ben oltre la metà della pop. attiva lavorava nel settore
primario, mentre il secondario ne assorbiva meno di un terzo e il terziario meno del 15%. Le industrie tessili
che producevano prevalentemente semilavorati e prodotti finiti di cotone, seta e lana, erano concentrate nei
cant. nordoccidentali e nordorientali (nell'Altopiano bernese si produceva ad esempio lino), l'industria
dell'intreccio della paglia e quella dei cappelli di paglia nel Freiamt, nella valle Onsernone e a Friburgo,
l'industria delle macchine per lungo tempo ebbe il suo baricentro a Zurigo e dintorni, il comparto orologiero
nei com. del Giura vodese, neocastellano, bernese e solettese e la produzione di gioielli a Ginevra. Nei cant.
agrari dell'Altopiano, nella Svizzera centrale e nei tre grandi cant. di montagna forme di crescita industriale si
svilupparono solo a partire dalla seconda metà del XIX sec. L'andamento congiunturale era contraddistinto
dall'irregolare alternanza di fasi di crescita e depressione. In base a una stima sugli investimenti in campo
edilizio, che riflettono la domanda di spazio abitativo e quindi anche l'andamento dei redditi, negli anni
1814-20, 1833 e 1851 la depressione raggiunse il culmine. Nei centri dell'industria tessile, le fasi di crescita e
depressione furono particolarmente accentuate. Anche il settore primario esercitò comunque un'influenza non
trascurabile: i cattivi raccolti degli anni 1816, 1845-46 e 1850-53, che provocarono massicci aumenti nei
prezzi degli alimenti di base, in alcuni cant. agrari della Svizzera ted. furono all'origine di grandi ondate
migratorie verso gli Stati Uniti e altri Paesi d'oltreoceano.
All'inizio del XIX sec., l'economia sviz. attraversò un momento di crisi, dovuto alla modernizzazione
dell'industria tessile inglese, alle guerre napoleoniche e agli sconvolgimenti politici interni. Successivamente,
la situazione migliorò grazie alla protezione assicurata dal blocco continentale franc. (1806-14). Dopo il crollo
dell'Impero napoleonico il Paese fu però invaso da prodotti tessili inglesi a buon mercato, che mandarono in
rovina moltissime fam. dedite alla filatura o alla tessitura manuale. Salvo una breve contrazione dal 1830 al
1833, gli anni 1820-40 furono caratterizzati da una nuova fase espansiva, che coincise con un'ulteriore
espansione del ramo cotoniero, la nascita e la diffusione di nuovi comparti industriali e la penetrazione di
nuovi mercati di sbocco oltremare. Negli anni 1840-50, l'andamento dell'economia fu eterogeneo. Rilevamenti
su scala nazionale delineano un quadro tendenzialmente positivo; dalle statistiche doganali si desume una
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crescita del commercio estero, mentre altre fonti mostrano una simultanea vivacizzazione del commercio
interno. Dall'altra parte, però, i produttori di ferro grezzo, l'industria della lana e delle tessiture di cotone
furono confrontati con difficoltà nella vendita, dato che in Svizzera, a differenza di altri Paesi, l'era delle
ferrovie era ancora di là da venire. Nel 1845-47 una pesante crisi agraria su scala europea (cattivi raccolti
nella cerealicoltura, prima comparsa della famigerata malattia delle patate), il crescente protezionismo degli
Stati confinanti e l'inasprimento dei conflitti politici interni frenarono temporaneamente il trend positivo. Dopo
la sconfitta delle forze conservatrici riunite nel Sonderbund e la fondazione dello Stato fed. (1848), lo
schieramento liberale riuscì in brevissimo tempo a creare condizioni-quadro stabili a livello istituzionale
(Mercato interno), che indubbiamente favorirono in seguito la crescita economica.
Autrice/Autore: Heiner Ritzmann-Blickenstorfer / vfe
2.2 - Andamento congiunturale dopo la metà del XIX secolo
Questo periodo si può suddividere in quattro parti. Dapprima vi fu una lunga fase di crescita dalla metà del
XIX sec. fino alla prima guerra mondiale, interrotta solo dalla cosiddetta Grande Depressione e
contrassegnata da una crescita prima tranquilla e poi sempre più impetuosa. Nei tre decenni successivi,
complessivamente si assistette a una stagnazione, con un'unica fase di crescita intensa negli anni 1920-30. Il
secondo dopoguerra fu caratterizzato da un favoloso periodo di alta congiuntura, durato fino alla crisi
petrolifera del 1973-75 e seguito infine da una fase di rallentamento della crescita, trasformatasi in
stagnazione nel corso degli anni 1990-2000. All'origine dei marcati mutamenti a medio termine nella curva
della crescita vi è una molteplicità di fattori, la cui importanza relativa non appare ancora sufficientemente
chiarita.
Nella seconda metà del XIX sec., si rafforzò la dipendenza sviz. dall'estero (Commercio estero).
Parallelamente alla continua perdita di peso del settore agrario, soggetto nel contempo a cambiamenti
strutturali duraturi come per esempio la diffusione dell'allevamento a scapito delle coltivazioni, si verificò una
forte espansione di quei settori industriali i cui prodotti venivano venduti prevalentemente all'estero. Ciò
rafforzò la dipendenza della piccola Svizzera liberal-federalista sia sul fronte delle importazioni di materie
prime (tessili, metalli grezzi e metalli preziosi, sostanze chimiche, prodotti alimentari per la trasformazione
industriale), sia per quanto riguarda la domanda estera di semilavorati e prodotti finiti. Come nei decenni
precedenti, le tipiche branche esportatrici erano quelle del cotone, della seta, della paglia e dei cappelli
intrecciati e l'industria orologiera (che nel periodo prebellico produceva soprattutto orologi da tasca in oro e
argento, mentre più tardi orologi da polso in nichel), oltre alla produzione di formaggi. All'estero, inoltre, si
stava ormai diffondendo un crescente interesse anche per i prodotti dell'industria alimentare (cioccolato, latte
condensato, farina lattea), dell'industria delle macchine, dei ricami, delle calzature, dei coloranti e non da
ultimo per l'offerta turistica. Di conseguenza, in alcune regioni nuove produzioni assunsero un'importanza
rilevante. Negli anni 1870-1910, l'espansione dell'industria dei ricami assunse ad esempio un ruolo decisivo
per lo sviluppo economico nella Svizzera nordorientale. Nella regione di Basilea prese piede la produzione di
coloranti, mentre nei Grigioni, nell'Oberland bernese e sui laghi dei Quattro cant., di Ginevra e di Lugano fiorì
l'industria alberghiera. Negli anni a cavallo del 1900, la Svizzera assunse pienamente i connotati di una
piccola economia aperta (small open economy). Lo dimostra il suo grado di apertura, ossia il rapporto tra
l'interscambio totale con l'estero e il prodotto interno lordo (PIL), che negli anni 1891-1916 fu in media del
67%. Nella seconda metà del XIX sec., anche il mercato interno accrebbe la sua importanza, con tra l'altro
l'industria dell'abbigliamento, della carta, del legno, del cemento e dei metalli, le arti grafiche, l'edilizia, il
settore energetico e il commercio al dettaglio. La crescita economica conobbe un'impennata soprattutto
all'inizio degli anni 1870-80; oltre a gran parte dell'industria, essa investì anche l'intero settore delle
costruzioni, per esempio con il boom delle costruzioni ferroviarie.
Nel 1876 cominciò la Grande Depressione, che nei due decenni successivi si manifestò con un calo della
produzione e dei prezzi. Sintomi di crisi nell'industria, un lungo trend negativo nell'edilizia abitativa e il
fallimento della Ferrovia nazionale contribuirono a far sì che anche in Svizzera il PIL reale diminuisse (Prodotto
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nazionale lordo). All'inizio degli anni 1880-90 ci fu però nuovamente una robusta crescita in termini reali, e nei
dieci anni successivi si registrarono pur sempre tassi di crescita medi. Sul finire degli anni 1890-1900
l'economia sviz. conobbe una forte espansione; contemporaneamente aumentò l'immigrazione dalla
Germania e dall'Italia. Il contraccolpo congiunturale verificatosi subito all'inizio del nuovo sec. venne
riassorbito rapidamente.
Gravi problemi economici emersero nella fase conclusiva della prima guerra mondiale e durante la
depressione, breve ma molto intensa, dei primi anni 1920-30. Ne risultarono indeboliti soprattutto l'industria
leggera tradizionale, l'edilizia e il turismo, mentre l'ascesa del settore chimico, metallurgico e meccanico non
si arrestò, diventando ancora più rapida dopo il 1922 grazie alla ripresa congiunturale. Il ramo finanziario e
quello assicurativo cominciarono a espandersi sui mercati esteri; l'edilizia si rimise in moto e a partire dalla
fine del decennio funse da traino per il mercato interno.
In Svizzera, il crollo successivo alla Crisi economica mondiale fu meno violento che altrove, ma durò più a
lungo (dalla metà del 1929 alla metà del 1936), toccando in maniera particolare i settori legati
all'esportazione e tra di essi soprattutto le industrie che producevano beni di lusso (ricami, sete, cappelli
intrecciati, orologi), ma anche parti dell'industria chimica e meccanica. Il grado di apertura scese quindi da un
tasso di poco inferiore al 50% negli anni 1920-30 a un minimo del 26% nel 1936. Anche il settore turistico fu
colpito duramente dalla crisi, mentre l'agricoltura e i rami del settore secondario e terziario rivolti
principalmente al mercato interno ne risentirono meno. Fino agli inizi del decennio 1930-40, l'edilizia visse al
contrario una fase di rialzo senza precedenti, per poi affondare quasi del tutto negli anni successivi. I motivi
della durata particolarmente lunga della depressione in Svizzera costituiscono oggetto di dibattito: alcuni
studiosi fanno notare che i principali partner commerciali della Svizzera adottarono politiche fortemente
protezionistiche (contingentamento delle importazioni, controllo dei cambi) e svalutarono le proprie monete,
aumentando così il divario tra i prezzi interni e quelli esteri; altri sottolineano invece l'effetto paralizzante
esercitato sugli investimenti dai conflitti scoppiati in Svizzera in merito alla Politica economica e
all'ordinamento economico da adottare in futuro (politica finanziaria, monetaria e occupazionale, iniziativa di
crisi). Sicuramente la ripresa fu ritardata dal fatto che il governo sviz., sostenuto da ampie fasce della pop.,
rifiutò categoricamente la svalutazione del franco sviz. Nel settembre del 1936, quando venne infine messa in
atto (Svalutazione del 1936), i settori legati all'esportazione e al turismo tornarono immediatamente a essere
competitivi.
Una ripresa di breve durata, indotta dal riarmo dei Paesi esteri, dopo il 1940 si tramutò in una sorta di
congiuntura di guerra, di cui beneficiarono però solo pochi rami produttivi (industrie del legno, del ferro,
dell'acciaio, delle munizioni e delle armi). Nel complesso, durante la seconda guerra mondiale la diminuzione
del PIL reale fu contenuta. A termine di paragone, la pop. svedese sembra aver sofferto un po' meno delle
conseguenze economiche del conflitto, mentre per quella danese, sottoposta all'occupazione nazista, le
ripercussioni negative furono molto maggiori.
La fine della guerra nel 1945 innescò una fase di robusta e duratura espansione. Durante il periodo bellico,
all'estero erano state sviluppate tecnologie nuove che incentivarono la crescita, diffusesi in seguito su scala
mondiale. Negli anni 1950-60, le industrie esportatrici sviz. risentirono ancora delle restrizioni all'importazione
adottate da diversi Paesi, ma poi le riduzioni doganali discusse nell'ambito dei negoziati GATT indirizzarono
definitivamente il commercio mondiale sulla strada della liberalizzazione. Il settore secondario sviz. poté
prosperare per lungo tempo anche grazie all'afflusso di operai dell'Europa meridionale.
Dalla fine del decennio 1960-70, si avvertirono le prime avvisaglie di un surriscaldamento congiunturale (tassi
di inflazione in crescita, penuria di manodopera estera dovuta ai decreti sugli stranieri di quel periodo). A
metà degli anni 1970-80, cambiamenti strutturali nell'economia mondiale (crollo del sistema monetario
intern., choc dei prezzi petroliferi, maggiore competitività dei Paesi emergenti) provocarono una crisi
straordinariamente grave; poiché ad essa non seguì il varo di misure protezionistiche, l'industria esportatrice
sviz. - salvo il ramo orologiero, afflitto da problemi di ordine strutturale - riuscì comunque a incrementare la
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propria quota sul PIL. L'edilizia, che aveva a lungo beneficiato di elevatissimi tassi di crescita, fu confrontata
al contrario con un calo della domanda di spazi abitativi, dovuta all'inversione di tendenza in ambito
demografico (calo della natalità, ritorno in patria di lavoratori immigrati).
La crescita intervenuta negli anni 1980-90 è stata resa possibile soprattutto dalla rapida terziarizzazione del
Paese. La crisi economica del decennio 1990-2000 ha colpito la Svizzera in maniera particolarmente
accentuata, ma con forti differenze settoriali; se da parte padronale veniva deplorata la perdita della
competitività intern. e si premeva per una riduzione dei costi (salari, prestazioni sociali, imposte), da parte
sindacale invece veniva criticata la politica monetaria restrittiva, chiedendo inoltre una politica economica più
attiva e misure per la creazione di posti di lavoro.
Autrice/Autore: Heiner Ritzmann-Blickenstorfer / vfe
3 - Politica congiunturale
Viene definito politica congiunturale l'ambito della politica economica che mira a smorzare gli eccessi del ciclo
congiunturale e a prevenire le Crisi economiche o a mitigarne gli effetti. Ne sono attori principali lo Stato e la
Banca nazionale; i principali obiettivi parziali perseguiti sono la piena occupazione, la stabilità dei prezzi e
l'equilibrio dei conti con l'estero. Essendo praticamente impossibile pilotare l'offerta sul breve periodo, la
politica congiunturale agisce sul lato della domanda, che lo Stato cerca di influenzare con l'aumento o la
riduzione della spesa pubblica.
In Svizzera, misure di politica congiunturale vennero adottate a partire dalla fine del XIX sec. Inizialmente, si
trattava di lavori di emergenza sul piano comunale, poi di programmi di Occupazione e azioni di sostegno
patrocinati dalla Conf. e dai cant. Durante la crisi economica mondiale soprattutto i sindacati e i socialisti
chiesero, a lungo senza successo, una politica congiunturale attiva; tale istanza venne però recepita su vasta
scala solo alla fine degli anni 1930-40. Il credito speciale di 400 milioni di frs. previsto per il periodo 1939-41
servì in pari misura al potenziamento della difesa nazionale e alla lotta contro la Disoccupazione. Per la prima
volta, tale programma si prefisse il mantenimento dell'occupazione al posto del semplice alleviamento degli
effetti della crisi. Durante la seconda guerra mondiale, la politica congiunturale, che ebbe come priorità il
mantenimento, l'ampliamento e la creazione di nuove opportunità lavorative oltre alla prevenzione
dell'inflazione (decreto del Consiglio fed. del 29.7.1942), acquisì grande importanza. Nel 1940 e nel 1941, la
nuova politica economica ebbe ripercussioni sul piano istituzionale con la nomina della commissione risp. del
delegato per le occasioni di lavoro.
Con gli Articoli sull'economia, nel 1947 venne ampliato il ventaglio degli strumenti di politica economica. Sulla
base dell'art. 31quinquies della Costituzione fed. allora in vigore (art. 100 di quella del 1999), che autorizzava la
Conf. a varare misure per prevenire crisi economiche e combattere la disoccupazione, vennero approvate la
legge fed. sulle misure preparatorie intese a combattere le crisi e a procurare lavoro (1954), quella sulla
costituzione di riserve di crisi da parte dell'economia privata (1951) e quella concernente la garanzia dei rischi
delle esportazioni (1958). Tuttavia, le misure preventive anticrisi inizialmente si rivelarono di poca utilità, dato
che fino alla metà degli anni 1970-80 si cercò soprattutto di frenare l'alta congiuntura in modo da contenere
l'inflazione. In assenza di basi costituzionali, nel 1964 vennero emanati decreti fed. urgenti per porre un freno
all'attività edilizia e alla creazione di moneta e credito; seguendo la medesima procedura, nel 1971-72 venne
adottata una seconda ondata di provvedimenti per raffreddare la congiuntura. Visto il mutamento delle
priorità, dalla metà degli anni 1960-70 il delegato per le occasioni di lavoro si trasformò in delegato alle
questioni congiunturali. Poiché gli strumenti necessari alla programmazione economica in un'ottica di
Economia keynesiana non vennero mai potenziati, la politica congiunturale sviz. si limitò principalmente alla
politica degli stranieri. Seguendo la cosiddetta teoria del cuscinetto, ai crolli congiunturali veniva fatto fronte
con la riduzione della manodopera estera; fu così che durante la recessione del 1948-50 i lavoratori stranieri
diminuirono quasi del 25%. In seguito al surriscaldamento congiunturale, nel decennio 1960-70 l'obiettivo
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principale fu il contenimento dell'immigrazione. Dato che gli appelli alla moderazione non ottennero alcun
esito, nel 1963 e nel 1965 il Consiglio fed. stabilì un tetto massimo per la manodopera su base aziendale, e
nel 1970 su scala nazionale (Mercato del lavoro).
A causa di un monitoraggio della congiuntura in larga misura inesistente, gli indicatori precoci della crisi degli
anni 1974-76 passarono del tutto inosservati. Il peso maggiore di tale crisi fu sopportato nuovamente dai
lavoratori stranieri, il cui numero diminuì di ca. 250'000 unità dal 1974 al 1977; nel contempo i programmi di
investimento per riattivare la domanda (1975-76) ebbero effetti relativamente modesti. Dopo che una prima
versione venne respinta dalla maggioranza dei cant. nel 1975, le modifiche apportate nel 1978 all'art. 31quinquies
- il cosiddetto articolo congiunturale - della Costituzione fed. obbligarono la Conf. ad adottare misure per un
andamento congiunturale equilibrato. Nel 1979 la carica di delegato alle questioni congiunturali venne
elevata di grado con la creazione dell'ufficio fed. dei problemi congiunturali.
Dalla fine degli anni 1970-80, è cresciuta l'importanza delle correnti neoliberiste, che sostengono una Politica
monetaria e finanziaria non incentrata sull'azione anticiclica, ma su uno sviluppo equilibrato dei bilanci
pubblici e della Massa monetaria (Monetarismo). I programmi avviati durante la recessione dei primi anni
1980-90 sono stati quindi di entità modesta (liberazione delle riserve di crisi nel 1982; programma di rilancio
nel 1983). Durante la crisi del decennio 1990-2000, la posizione dei sostenitori di una politica congiunturale
attiva si è fatta ancora più difficile, a causa delle prolungate critiche allo Statalismo che hanno ridotto il
consenso nei confronti dell'intervento pubblico. Nel 1997 l'ufficio fed. dei problemi congiunturali è stato
soppresso e integrato nel segretariato di Stato dell'economia (seco). Dato che non è più stato possibile
addossare gli effetti della crisi sulla manodopera straniera, la disoccupazione ha raggiunto livelli analoghi a
quelli registrati durante la crisi economica mondiale. I mezzi per attuare programmi anticiclici (bonus sugli
investimenti e promozione dell'edilizia nel 1993; programma di investimenti nel 1997) erano limitati; fino al
1996 la politica monetaria è stata addirittura accusata di aver assecondato il ciclo economico. La recessione
iniziata nel 2001 non è stata seguita da alcuna misura di politica congiunturale; alla fine del 2001 la dottrina
dell'equilibrio budgetario ha conosciuto un consolidamento derivante dall'accettazione popolare del nuovo art.
126 della Costituzione fed., detto del "freno all'indebitamento".
Autrice/Autore: Bernard Degen / vfe
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