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CAPITOLO 18
Bianca Beghé
Attilio L. Boner
Cesare Braggion
Fabrizio Luppi
Uliano Morandi
Maurizio Moretti
Malattie
respiratorie
ostruttive
2
Alberto Papi
Giorgio Piacentini
Claudio Rugarli
Marina Saetta
Leonardo M. Fabbri
Asma bronchiale
Definizione
L’asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica
delle vie aeree che si manifesta clinicamente con:
• episodi ricorrenti di respiro sibilante e/o senso
di costrizione toracica, dispnea, tosse non produttiva
o accompagnata da espettorato bianco e tenace;
• ostruzione bronchiale reversibile;
• iper-reattività bronchiale.
Il carattere accessuale e reversibile delle manifestazioni
cliniche e funzionali rappresenta la caratteristica peculiare
della malattia. L’infiammazione bronchiale cronica delle
vie aeree che sottende le manifestazioni clinicofunzionali
dell’asma è costituita da una specifica infiltrazione bronchiale di cellule infiammatorie, in particolare granulociti
eosinofili e mastociti, rilascio di mediatori infiammatori
e rimodellamento strutturale delle vie aeree caratterizzato
in particolare da ipertrofia/iperplasia della muscolatura
liscia e fibrosi subepiteliale.
© 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati.
Epidemiologia
L’asma bronchiale colpisce circa 300 milioni di persone. I
dati epidemiologici basati sul questionario e/o sulle prove
di funzionalità respiratoria indicano che la prevalenza di
asma nel mondo varia tra l’1 e il 18%. Mentre in alcuni
Paesi, quali l’Italia (media generale 5%, leggermente più
alta nei bambini e negli anziani, dove tuttavia va distinta
dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva [BPCO], la
prevalenza attuale dell’asma sembra essersi stabilizzata,
dopo essere aumentata negli ultimi decenni, in altri Paesi
(per esempio, Scandinavia, Nuova Zelanda) essa è ancora
in continuo aumento. Le cause di tali variazioni descritte
nella prevalenza all’interno di una stessa popolazione e
tra popolazioni diverse non sono note.
L’asma bronchiale ha importanti conseguenze socioeconomiche non solo dovute alle spese sanitarie dirette e indirette per i farmaci e per il ricorso alle strutture sanitarie
(pari a circa l’1-2% dei costi totali del servizio sanitario
nazionale), ma anche legate all’assenza da scuola e alla
perdita di giorni lavorativi dipendenti dall’asma stesso.
Le morti per asma all’anno in tutto il mondo sono state
stimate in circa 250.000 (in Italia intorno ai 1500 casi
all’anno negli ultimi anni) e la mortalità non sembra
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B. Beghé, L.M. Fabbri, A. Papi
2
correlata alla prevalenza. Attualmente i tassi di mortalità
per asma variano da meno di 2 casi/100.000 negli Stati
Uniti e in Italia a più di 4 casi/100.000 persone in alcune
regioni della Nuova Zelanda. Due epidemie di morti per
asma sono state riportate negli anni Sessanta in Nuova
Zelanda e nel Regno Unito e negli anni Ottanta in Nuova Zelanda e sono state attribuite all’abuso dei farmaci
2-agonisti a breve durata di azione, dei broncodilatatori
usati nel trattamento dell’asma.
L’asma è più frequente sotto i 15 anni e, in questa fascia
di età, nei maschi (1,5-2:1 rispetto alle femmine, rapporto
che si parifica entro i 40 anni), e sopra i 60 anni, anche
se in questa seconda fascia vi sono dubbi sulla corretta
diagnosi differenziale con la BPCO. Circa il 50% dei casi
di asma esordisce clinicamente entro i primi 10 anni di
vita e un altro terzo entro i 40 anni.
Eziologia e fattori di rischio
L’asma è definito estrinseco quando è possibile identificare
una causa esogena. Nella maggior parte dei casi, questa
causa è costituita da un allergene che agisce attraverso un
meccanismo mediato da anticorpi della classe delle immunoglobuline E (IgE), responsabili delle sindromi allergiche.
Per questo motivo il termine di asma estrinseco viene spesso
usato come sinonimo di asma allergico. Nell’asma estrinseco
vi è spesso una familiarità allergica, le prove allergometriche cutanee per i comuni allergeni presenti nell’ambiente
sono positive e spesso coesistono altre manifestazioni allergiche quali rinite, congiuntivite o dermatite atopica.
L’asma estrinseco, in genere, esordisce clinicamente durante l’infanzia o comunque in età giovanile. Esistono tuttavia soggetti non atopici che sviluppano l’asma in seguito
all’esposizione a sostanze a basso peso molecolare come
alcune in ambito lavorativo, farmacologico o alimentare.
Un caso particolare è rappresentato dall’asma professionale.
In questa eventualità l’agente sensibilizzante è noto ed è
legato al proprio ambito lavorativo e, causato da sostanze sia
ad alto peso molecolare, che quindi si comportano come gli
allergeni, sia a basso peso molecolare che possono agire con
meccanismi IgE-mediati o non IgE-mediati. L’asma allergico
rappresenta il 70-80% dei casi di questa malattia.
L’asma è definito intrinseco quando non si identifica una causa esogena. Nella maggioranza dei casi non vi è familiarità
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
allergica e le prove allergometriche cutanee sono negative.
L’asma intrinseco, in genere, esordisce clinicamente in età
più avanzata e spesso in coincidenza o nel corso della convalescenza di un’infezione virale delle prime vie aeree.
riportate spesso non sono state replicate e inoltre non sono ancora supportate da studi funzionali che confermino
il ruolo delle diverse mutazioni genetiche nel processo
patogenetico della malattia.
Fattori genetici
Allergeni
L’asma bronchiale è considerato una malattia genetica
complessa, dovuta all’interazione tra fattori individuali
di natura genetica che predispongono il soggetto alla
comparsa della malattia e fattori esogeni scatenanti.
I fattori individuali comprendono la razza, il sesso, l’atopia,
ossia la tendenza dell’organismo a produrre un elevato numero di IgE in risposta a diversi allergeni, e l’iper-reattività
bronchiale definita come un’abnorme risposta delle vie
aeree che reagiscono con un eccessivo restringimento a
stimoli di diversa natura. L’atopia costituisce il più importante fattore di rischio di asma. In particolare, pazienti
con rinite allergica hanno un elevato rischio di sviluppare
asma bronchiale. Si stima che nel 60-70% dei pazienti con
asma sia presente la rinite e che questa preceda anche di
anni la comparsa di asma bronchiale. È un’osservazione
comune la maggiore frequenza dell’asma bronchiale in
alcune famiglie, ma il condizionamento genetico di questa
malattia non è facilmente analizzabile.
Gli studi condotti sui gemelli, dimostrando che il rischio
di comparsa di asma è maggiore nei gemelli monozigoti
rispetto ai gemelli dizigoti, hanno ulteriormente rafforzato l’ipotesi di una base genetica, per cui oggi l’asma
è considerato una malattia genetica complessa dovuta
all’interazione fra fattori genetici e ambientali. In particolare, è verosimile che la comparsa di asma sia dovuta alla
combinazione di varie mutazioni genetiche presenti in
diversi geni nello stesso soggetto. Negli ultimi decenni studi genetici sull’asma, avvalendosi del cosiddetto clonaggio
posizionale, hanno identificato diverse regioni cromosomiche associate (ossia in linkage) ad atopia, a iper-reattività
bronchiale e asma. Numerose regioni cromosomiche in
linkage con asma o con i fenotipi a essa associati sono
state recentemente osservate in diverse popolazioni. Le
associazioni con le regioni cromosomiche 2q33, 5q2331, 6p24-21, 11q21-13, 12q24-12 e 13q14-12 sono state
confermate in diversi studi ed è verosimile che in queste
regioni risiedano i geni candidati per l’asma.
Quelli sinora identificati possono essere raggruppati in
quattro classi:
• geni associati alla presentazione dell’antigene (per
esempio, HLA di classe II; si veda la parte dedicata
all’immunopatologia);
• geni espressi a livello dell’epitelio bronchiale
che codificano per chemochine coinvolte nei
meccanismi patogenetici dell’asma (si veda oltre a
proposito della patogenesi);
• geni coinvolti nel controllo della muscolatura
bronchiale, come il gene che codifica per il recettore
2-adrenergico (ADRB2), che può inoltre modulare
la risposta al trattamento farmacologico dell’asma;
• geni identificati mediante “clonaggio posizionale”
quali ADAM 33, una metallo-proteinasi coinvolta
nel rimodellamento delle vie aeree.
I fattori esogeni comprendono gli allergeni, gli agenti sensibilizzanti professionali, i farmaci e gli irritanti aspecifici
come il fumo di tabacco, l’inquinamento atmosferico, le
infezioni delle vie respiratorie e il raffreddamento delle
vie aeree dovuto all’esercizio fisico.
Gli allergeni coinvolti nell’eziologia dell’asma sono in
genere proteine di peso molecolare compreso fra i 3 e i
70 kDa, a cui i pazienti vengono esposti per inalazione,
ingestione o iniezione. Gli allergeni più frequentemente coinvolti nell’eziopatogenesi dell’asma sono dispersi
nell’aria ambiente e originano da pollini, spore fungine,
residui animali e polveri di casa. Queste ultime, oltre a
derivati animali, di insetti e spore fungine, contengono
derivati di acari quali il Dermatophagoides pteronyssinus e
il Dermatophagoides farinae, che da soli rappresentano la
causa più frequente di asma allergico nel mondo. Particolare importanza hanno per l’asma stagionale gli allergeni
contenuti nei pollini aerodispersi, la cui concentrazione
varia con le stagioni, essendo più elevata durante la primavera e l’estate per i pollini di alberi ed erbe. Le spore
fungine derivano in massima parte dal turnover della
vegetazione e sono più concentrate nel periodo compreso
fra l’estate e l’autunno. Gli allergeni animali più importanti per l’asma derivano da mammiferi quali cani, gatti,
conigli e cavalli; sono ubiquitari e relativamente stabili
nel corso dell’anno.
I geni candidati per l’asma o per i fenotipi a esso associati
sono a oggi quasi un centinaio, tuttavia le associazioni
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Fattori sensibilizzanti professionali
Gli agenti sensibilizzanti presenti nell’ambiente di lavoro, responsabili di asma professionale, sono più di 300.
L’asma è definito professionale quando si manifesta in un
paziente in precedenza non asmatico dopo un periodo
più o meno lungo di esposizione in ambito lavorativo
a uno o più agenti sensibilizzanti. Alcuni agenti professionali agiscono come antigeni completi, mentre altri si
comportano come apteni e si devono legare alle proteine
per determinare la sintesi di IgE.
Sostanze a basso peso molecolare, come gli isocianati e i
diisocianati, non danno origine a IgE specifiche, tuttavia
le alterazioni a livello bronchiale e le manifestazioni cliniche che ne seguono sono molto simili a quelle osservate
nelle reazioni allergiche IgE-mediate. Le professioni più a
rischio per la comparsa di asma professionale sono quelle
dei fornai, dei verniciatori, dei parrucchieri, degli addetti
alla stabulazione degli animali, dei lavoratori di alcuni
settori dell’industria chimica, dei falegnami, dei lavoratori dell’industria elettronica addetti alla saldatura dolce
dei circuiti elettronici e dei lavoratori di alcuni settori
dell’industria chimica.
Farmaci
Tra i farmaci che hanno un ruolo nell’induzione di asma
i più importanti sono l’acido acetilsalicilico, gli agenti coloranti come la tartrazina, i -bloccanti e i solfiti. L’acido
acetilsalicilico e molti altri antinfiammatori non steroidei
(in particolare, indometacina, ibuprofene, naproxene,
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
acido mefenamico e fenilbutazone) possono scatenare
episodi acuti di asma grazie alla loro capacità di inibire
la ciclo-ossigenasi di tipo 1. Si ritiene che a ciò consegua
una ridotta sintesi di prostaglandina E2 (PGE2), ad azione
broncodilatatrice e, indirettamente, un aumento della
produzione di cisteinil-leucotrieni, del cui ruolo nella
patogenesi dell’asma si parlerà in seguito.
Altri farmaci di questa classe, come il paracetamolo e i salicilati di sodio o di colina, sono in genere ben tollerati.
La tartrazina è un colorante giallo largamente usato
(per esempio, per colorare alimenti o farmaci), che può
cross-reagire con l’acido acetilsalicilico in pazienti sensibili a questo farmaco. Si stima che circa il 10% dei pazienti sensibili all’acido acetilsalicilico lo sia anche alla
tartrazina. I farmaci -bloccanti (prevalentemente quelli
che bloccano i recettori adrenergici 2) impediscono l’attività broncodilatatrice che si verifica stimolando questi
recettori.
I solfiti sono largamente impiegati nelle industrie alimentari e farmaceutiche come conservanti e possono
scatenare attacchi asmatici con meccanismi che non sono
ben noti. L’esposizione ha luogo ingerendo cibi o bevande
(incluso vino) contenenti queste sostanze.
Irritanti aspecifici
Il fumo di tabacco, benché non abbia un rapporto causaeffetto diretto nella patogenesi dell’asma bronchiale, è un
fattore di rischio per lo sviluppo di forme più gravi di asma
bronchiale, riduce la risposta ai farmaci antinfiammatori,
in particolare ai glucocorticoidi, ed è inoltre responsabile
dell’eccessivo declino della funzionalità respiratoria nel
tempo che si osserva negli asmatici fumatori.
Lo sforzo fisico è un importante fattore scatenante
dell’asma bronchiale, in particolare nel bambino, verosimilmente a causa dell’associata iperventilazione che porta
a raffreddamento e/o essiccamento delle vie respiratorie,
con conseguente degranulazione dei mastociti e rilascio
di mediatori attivi, quali l’istamina, e di leucotrieni.
Il ruolo delle infezioni delle vie aeree è tuttora oggetto di
discussione. Infatti, è chiaro che le infezioni respiratorie,
in particolare quelle virali, sono una causa frequente di
riacutizzazioni asmatiche, soprattutto nel bambino, ma
è possibile che abbiano anche un ruolo patogenetico più
complesso nella patogenesi della malattia. L’ipotesi igienica
(hygiene hypothesis) è una teoria sviluppata negli ultimi
dieci anni per spiegare il notevole aumento di prevalenza
dell’asma nei Paesi occidentali ad alto tenore di vita con
riduzione delle infezioni infantili, grazie a una migliore
igiene e alle vaccinazioni.
Il presupposto alla base di questa ipotesi è che il sistema
immunitario del neonato sia fisiologicamente sbilanciato verso una polarizzazione Th2. Dopo la nascita, esso
va incontro a un riequilibrio Th1-Th2 che è provocato
dalla esposizione a microrganismi stimolanti la risposta
immunitaria polarizzata verso i linfociti Th1. La riduzione
di questa stimolazione lascerebbe il sistema immunitario
nel suo stato di prevalente orientamento Th2. Non è indispensabile che i microrganismi provochino delle infezioni
clinicamente manifeste. Per esempio, la somministrazione
frequente di antibiotici per via orale può ridurre la polarizzazione Th1 attraverso l’alterazione della flora intestinale
che essi determinano.
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Patogenesi
La patogenesi dell’asma bronchiale è fondamentalmente
dipendente dalla iper-reatività delle vie aeree. Il calibro
di queste può, infatti, essere influenzato da meccanismi
neurovegetativi che, nella broncocostrizione, vedono impegnati meccanismi colinergici, come risposta riflessa allo
stimolo di recettori irritativi e, nella broncodilatazione,
recettori 2-adrenergici. Tuttavia, mentre in condizioni
normali questa regolazione non interferisce in modo significativo con la funzionalità ventilatoria, nell’asma gli
stimoli che portano alla broncocostrizione hanno effetti
notevolmente esagerati e, talora, persistenti. Ciò dipende dall’infiammazione cronica, che è presente nelle vie
aeree dei soggetti asmatici e che già di per sé può ridurre
il calibro bronchiale in conseguenza dell’edema della
mucosa, dell’accumulo di muco nel lume bronchiale e
del rimodellamento delle vie aeree.
Il meccanismo di questa infiammazione, nelle sue diverse
varianti, è molto complesso (è stato, infatti, stimato che
nella patogenesi dell’asma siano implicati 10 tipi di cellule infiammatorie e più di 100 mediatori umorali). Nel
determinare questa particolare infiammazione, i meccanismi immunologici sono rilevanti (si veda oltre la parte
di immunopatologia) e qui di seguito saranno analizzati
i loro aspetti fondamentali.
2
Linfociti T a polarizzazione Th2
risposta IgE mediata ad allergeni
È stato dimostrato, prima nel topo e poi nell’uomo, che
i linfociti T CD4+ (helper) possono assumere due polarizzazioni funzionali; sono perciò stati suddivisi in Th1,
con produzione prevalente di interleuchina-2 (IL-2) e
interferone (IFN), e Th2, con produzione prevalente di
IL-4 e IL-13. Queste ultime due citochine possono agire
direttamente sulla muscolatura liscia e sulle cellule epiteliali bronchiali inducendo iper-reattività delle vie aeree.
Perciò, una reazione immunitaria che implichi la risposta
di linfociti T CD4+ a polarizzazione Th2 ad antigeni (in
realtà, ad allergeni inalati) è di per sé in grado di indurre
iper-reattività delle vie aeree. Tuttavia l’effetto più importante è un altro. Infatti, l’IL-4 e l’IL-13 rappresentano
uno dei segnali grazie al quale i linfociti Th2 esercitano
la loro azione helper sui linfociti B in grado di produrre
anticorpi della classe IgE.
Questi, com’è noto, tendono a fissarsi con la loro regione
Fc sui recettori presenti su alcune cellule, i quali sono ad
alta affinità sui mastociti e sui granulociti basofili. Quando la molecola di un allergene si lega agli anticorpi così
fissati e stabilisce un ponte su molecole contigue, scatta
un segnale che porta alla degranulazione cellulare e alla
liberazione all’esterno di molecole dotate di attività broncocostrittrice, come l’istamina e i leucotrieni.
I mastociti producono anche varie citochine, tra le quali
le più importanti sono quelle in grado di promuovere la
produzione di cellule infiammatorie, come il GM-CSF
(Granulocyte-Macrophage Colony Stimulating Factor),
di indurre direttamente infiammazione, come l’IL-1 e il
TNF (Tumour Necrosis Factor) e, soprattutto, l’IL-5, che
agisce sugli eosinofili stimolando la proliferazione, l’attivazione, l’aumentata sopravvivenza e la degranulazione
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
di questi elementi e favorendone la concentrazione locale
nelle vie aeree.
Gli eosinofili hanno un ruolo cruciale nella patogenesi
dell’asma allergico, in quanto la proteina basica maggiore
contenuta nei loro granuli può danneggiare direttamente l’epitelio delle vie aeree, aumentare l’iper-reattività
bronchiale e favorire la degranulazione dei basofili e dei
mastociti. Queste cellule sono anche un’importante fonte
di leucotrieni, che fanno contrarre la muscolatura liscia
bronchiale, aumentano la permeabilità vascolare e reclutano altri eosinofili nelle vie bronchiali.
La concentrazione locale degli eosinofili non avverrebbe
se non fosse favorita dalle chemochine, che sono citochine capaci di attrarre specifici elementi cellulari. Nel caso
degli eosinofili, le chemochine più importanti, prodotte
da una varietà di cellule tra le quali gli stessi eosinofili, le
cellule endoteliali e quelle epiteliali, si chiamano eotassina e RANTES (Regulated upon Activation Normal T-cell
Expressed and Secreted).
Questo quadro della patogenesi dell’asma, legato all’allergia respiratoria, sembrerebbe esaustivo, ma esiste un
altro importante problema da considerare, e cioè perché
l’asma, pur essendo spesso associato alla rinite allergica,
possa presentarsi indipendentemente da essa e anche in
assenza di allergia respiratoria (asma intrinseco). Questo è
un problema complicato sul quale, in anni recenti, si sono
concentrate varie ricerche con risultati talora contraddittori. Al momento della scrittura di questo testo, molti
argomenti sono ancora in discussione. Senza giungere a
conclusioni definitive, si vogliono qui presentare ai lettori
alcune informazioni che probabilmente saranno utili per
comprendere gli sviluppi che la ricerca in questo campo
avrà nel futuro.
Fattori influenzanti la polarizzazione Th2
Si è visto che la base dell’allergia respiratoria è una risposta immunitaria con polarizzazione Th2. Ma che cosa
fa sì che la risposta abbia questa polarizzazione e non
quella Th1? Recentemente si è attribuita importanza
alla produzione locale di un fattore solubile indicato con
la sigla TSLP (Thymic Stromal LymphoPoietin). Esso è
normalmente prodotto nel timo dai corpuscoli di Hassal
e serve a differenziare i linfociti verso la funzione regolatoria (importante per prevenire l’autoimmunità). Al di
fuori del timo, la TSLP prodotta dai vari epiteli influenza
la polarizzazione dei linfociti T nelle risposte immunitarie indirizzandola verso quella Th2. In effetti, è stato
a-galattosilceramide e suoi analoghi
CD
Figura 18.1
Attivazione delle
cellule natural
killer (NK) da
parte di cellule
dendritiche (CD).
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NKT
CD1d
dimostrato che l’espressione di TSLP è aumentata nelle
vie respiratorie degli asmatici. Se la produzione locale
di questo fattore fosse essenziale per la messa in moto
dei meccanismi allergici che portano all’asma, ciò spiegherebbe l’assenza di tale malattia, anche in presenza di
una rinite allergica, nel caso in cui TSLP non è prodotto
in eccesso nelle basse vie respiratorie (perché ciò accada
non è chiaro). Ne sarebbe prova il fatto che solo circa
il 30-40% dei soggetti con rinite allergica e dimostrata
sensibilizzazione agli allergeni inalati sviluppa asma.
Cellule NKT e meccanismi infettivi
Le cellule NK (natural killer) furono descritte per la prima
volta molti anni fa e devono il nome alla loro capacità
di lisare alcune linee cellulari tumorali in assenza di una
preventiva sensibilizzazione. Fisiologicamente si pensa
che le cellule NK abbiano importanza nell’eliminazione
di cellule neoplastiche e di cellule infettate da virus.
Inizialmente si riteneva che le cellule NK fossero tutte
linfociti non T e non B, ma ora si è visto che una loro
significativa proporzione ha anche caratteristiche di
linfociti T. Questa sottopopolazione è indicata con la
sigla NKT.
Le cellule NKT, in parte CD4+ e in parte doppie negative
CD4–, CD8–, aggiungono alle funzioni NK alcune caratteristiche dei linfociti T. In particolare, sono dotate del
recettore caratteristico di queste cellule, che è un eterodimero costituito da due catene peptidiche, dette e .
Generalmente queste catene peptidiche sono polimorfe
e la loro variabilità assicura la specificità di legame con
un’ampia gamma di antigeni. Esiste, tuttavia, un repertorio altamente ristretto di cellule NKT, che hanno la catena
invariante (ossia polimorfi solo per quanto riguarda la
catena ) e che sono chiamati iNKT. Questa catena invariante è definita in termini molecolari V14-J18 nel topo
e V-24-J18 nell’uomo.
Le cellule NKT invarianti hanno alcune funzioni molto
interessanti. Infatti, con il loro recettore T non riconoscono alla superficie delle cellule che presentano gli antigeni
(cellule dendritiche) i peptidi collegati a molecole del
sistema maggiore di istocompatibilità, ma i glicolipidi collegati a una molecola che svolge funzioni di presentazione
analoghe e che è chiamata CD1d (Fig. 18.1).
Il glicolipide meglio riconosciuto è l’-galattosilceramide,
ma numerosi suoi analoghi sono stati individuati come
oggetto di riconoscimento da parte di cellule NKT invarianti. È importante ricordare che i glicolipidi che possono
effettuare questa stimolazione si trovano in vari batteri e
possono essere di origine endogena, come il prodotto del
danneggiamento cellulare.
Recentemente, alcuni autori hanno sostenuto che in ceppi
di topi privi di cellule NKT non sia possibile indurre sperimentalmente l’asma allergico, cosa che dipenderebbe
dalla capacità di queste cellule di favorire la polarizzazione
Th2; inoltre, nel liquido di lavaggio bronco-alveolare di
asmatici, la percentuale delle cellule NKT invarianti sarebbe sensibilmente aumentata e ciò avrebbe particolare importanza, perché le citochine prodotte da queste cellule,
IL-4 e IL-13, determinano iper-reattività bronchiale. Perciò, sempre secondo questi autori, tali cellule potrebbero
indurre l’asma favorendo le reazioni allergiche, ma anche
indipendentemente da meccanismi allergici (sarebbero
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
sufficienti stimoli che le concentrino a livello bronchiale),
spiegando così l’asma intrinseco.
I reperti di questi autori non sono stati confermati da
altri e il ruolo delle cellule NKT nell’asma bronchiale resta
ancora da definire.
Più recentemente, altri autori hanno sviluppato nel topo
un modello di asma e di BPCO legato all’infezione con un
virus parainfluenzale, il virus Sendai. Ciò dipenderebbe
dall’azione di cellule NKT invarianti che agiscono sui
macrofagi, inducendoli a secernere IL-13, che si è visto
hanno un’attività broncocostrittrice. Questa osservazione
porterebbe ad attribuire un ruolo alle infezioni virali, attraverso le cellule NKT, nella patogenesi dell’asma.
Le ricerche future faranno luce su questi problemi. Qui basta
ricordare che l’identificazione di meccanismi aggiuntivi,
oltre a quelli legati all’allergia respiratoria, potrebbe avere
importanti ricadute cliniche. Infatti, secondo alcuni autori,
questa doppia componente patogenetica avrebbe un corrispettivo anatomopatologico, ossia l’infiltrazione bronchiale,
principalmente rappresentata da eosinofili quando prevale
la componente allergica, e da neutrofili quando prevale la
componente non allergica. Tuttavia, tale componente ha
anche un importante corrispettivo terapeutico.
Infatti, si sostiene che le cellule NKT, a differenza di quelle
T convenzionali, siano resistenti all’azione dei cortisonici,
il che darebbe ragione di importanti difficoltà nel trattamento di forme gravi di asma. Perciò, la classificazione
clinica dell’asma in base alla sua gravità ha una certa
corrispondenza con i suoi diversi aspetti patogenetici.
di cellule infiammatorie, in particolare linfociti CD4+,
mastociti, granulociti eosinofili e neutrofili), dello strato
muscolare (ipertrofia e iperplasia, con frequente infiltrazione di mastociti) e delle strutture muco-secernenti
(iperplasia delle ghiandole mucose) (Figg. 18.2 e 18.3).
L’intenso infiltrato infiammatorio è spesso presente
nello strato esterno della parete bronchiale, soprattutto
nei piccoli bronchi.
Nei pazienti asmatici deceduti per altre cause e nelle biopsie
bronchiali, si è osservato che le alterazioni infiammatorie
erano presenti nelle vie aeree anche nelle forme lievi di asma
e di stabilità tra le crisi. In questi casi le alterazioni riscontrate erano simili a quelle rilevate nelle forme fatali di asma,
ma di grado più lieve. È interessante ricordare che le biopsie
eseguite in coincidenza di attacchi asmatici dimostrano che
il primo evento a verificarsi è l’incremento dell’infiltrato
cellulare peribronchiale, rappresentato prima da granulociti
neutrofili e poi da eosinofili. Ciò conferma che tutte le altre
alterazioni sono conseguenti a questo infiltrato.
Fase intercritica
Il quadro funzionale respiratorio di un paziente asmatico in
fase intercritica varia in rapporto alla gravità della malattia.
Nella maggioranza dei pazienti asmatici, indipendentemente dalla gravità del quadro funzionale di base, è tuttavia
presente un’iper-reattività bronchiale.
L’ostruzione del flusso aereo può essere dovuta fondamentalmente a quattro meccanismi:
• ispessimento delle pareti bronchiali da ipertrofia
e/o iperplasia della muscolatura liscia e/o presenza
di edema della mucosa e/o della sottomucosa;
• accumulo di muco e di essudato nel lume delle vie
bronchiali;
• fibrosi subepiteliale;
• disaccoppiamento fra parenchima e parete
bronchiolare creato dall’infiltrato infiammatorio
e dall’edema dell’avventizia delle vie aeree.
Quest’ultimo elemento comporta la perdita
o la riduzione della trazione elastica che le pareti
alveolari esercitarono fisiologicamente sui bronchioli
contigui, contribuendo così al mantenimento della
loro pervietà.
Le alterazioni morfologiche nell’asma bronchiale sono state ben descritte, sia usando campioni autoptici di soggetti
deceduti per asma o di soggetti asmatici deceduti per altre
cause, sia attraverso lo studio delle biopsie bronchiali, che
tuttavia hanno dato poche informazioni sull’interessamento delle parti più esterne della parete bronchiale.
Nelle autopsie dei soggetti deceduti per asma si sono
osservate gravi alterazioni infi ammatorie. Sono state
descritte alterazioni a carico del lume bronchiale (spesso completamente occluso e riempito di secrezioni),
dello strato epiteliale (diffusa disepitelizzazione), della
mucosa bronchiale (fibrosi subepiteliale e infiltrazione
b
2
Fisiopatologia
Anatomia patologica
a
435
c
Figura 18.2
Quadri
anatomopatologici
di biopsie di
vie aeree di
bambini asmatici:
si evidenzia
l’aumento di
spessore della
lamina reticolare
della membrana
basale (a)
e l’infiltrato
eosinofilico
(c) rispetto ai
bambini non
affetti da asma
con normale
spessore della
membrana basale
(b) e assenza
di infiltrato
eosinofilo (d).
d
(Da: Barbato A et al. Airway inflammation in childhood asthma. Am J Respir Crit Care Med 2003 Oct 1;168(7):798:803.)
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436
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
Figura 18.3
Quadro
anatomopatologico di
un soggetto
morto per asma
bronchiale.
a
b
c
d
(Da: Saetta M et al. Fatal asthma in a young patient with severe bronchial hyperresponsiveness but stable peak flow records. Eur Respir J 1989 Nov;2(10):1008-12.)
L’eccessiva variabilità giornaliera del picco di flusso espiratorio è espressione della abnorme responsività bronchiale
dei pazienti asmatici.
Se in un soggetto normale la variabilità giornaliera dei valori
di picco di flusso espiratorio (PEF, Peak Expiratory Flow) è
limitata al 10% dei valori basali, nell’asmatico essa è maggiore, a causa di episodi di bronco-ostruzione indotti da stimoli
scatenanti o dei valori abnormemente bassi del PEF osservabili nelle prime ore del mattino, il cosiddetto asma notturno,
il cui meccanismo non è stato completamente chiarito,
anche se in parte è stato attribuito alla caduta mattutina
della cortisolemia e all’accentuarsi, sempre al mattino, del
grado di infiammazione della mucosa delle vie aeree.
Riacutizzazione asmatica
Nel corso di riacutizzazione asmatica, alle alterazioni di base
già descritte si sovrappone un’acuta e transitoria ostruzione
del flusso aereo, dovuta verosimilmente a tre meccanismi:
1. la contrazione della muscolatura liscia;
2. la formazione di edema della mucosa e/o della
sottomucosa;
3. l’accumulo di muco, cellule ed essudato nel lume
delle vie aeree.
Questa ostruzione è obiettivabile con una caduta dei
valori di PEF e di volume espiratorio massimo al primo
secondo (VEMS) e comporta maggiori resistenze al flusso
e all’aumento del volume a livello del quale il soggetto
respira, obiettivabile con un aumento della capacità funzionale residua (CFR).
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L’ostruzione acuta del flusso aereo causa alterazioni emogasanalitiche che possono essere particolarmente rilevanti da
un punto di vista clinico. A causa della disomogenea distribuzione dell’ostruzione nelle diverse vie aeree, si sviluppa
un’alterazione della distribuzione della ventilazione, con
conseguenti turbe del rapporto ventilazione/perfusione che
portano a ipossiemia. Il paziente asmatico reagisce all’ipossiemia iperventilando, il che da una parte normalizza i livelli
di PaO2, mascherando l’ipossiemia, ma dall’altra porta a ipocapnia. Quando il quadro si aggrava, l’iperventilazione mantiene una normale PaO2, ma la gravità dell’ostruzione del
flusso aereo e l’affaticamento dei muscoli respiratori portano
dapprima a normocapnia e poi a ipercapnia. È importante
sottolineare che in pazienti con gravi riacutizzazioni asmatiche possono essere presenti valori solo lievemente aumentati
di PaCO2, da considerare segni premonitori di insufficienza
respiratoria ingravescente e come tali da trattare.
Quando il compenso viene meno, si hanno ipossiemia,
ipercapnia e acidosi respiratoria, un vero e proprio quadro
di insufficienza respiratoria. Purtroppo i segni clinici di insufficienza respiratoria (cianosi, sudorazione, tachicardia,
polso paradosso) compaiono spesso tardivamente rispetto
alle alterazioni dei flussi espiratori ed emogasanalitiche,
il che rende necessario misurare i flussi espiratori e i gas
arteriosi in tutti i casi in cui questo sia possibile, senza
però ritardare l’intervento terapeutico.
Riacutizzazione asmatica grave
Nella riacutizzazione asmatica grave e nella morte per
asma operano gli stessi meccanismi descritti sopra,
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
ovviamente con intensità diversa. È possibile tuttavia che,
in particolare nelle riacutizzazioni asmatiche gravi, intervengano altre modificazioni fisiopatologiche responsabili
della morte, quali gravi aritmie cardiache e scompenso
cardiaco destro da ipertensione polmonare acuta. Segni
funzionali prognostici negativi sono l’uso da parte del
paziente dei muscoli respiratori accessori e la presenza di
polso paradosso.
Sia l’uso dei muscoli respiratori accessori sia il polso paradosso riflettono la necessità di ricorrere a elevate pressioni
intratoraciche negative inspiratorie in corso di riacutizzazione asmatica grave.
Il polso paradosso consiste nella caduta della pressione arteriosa sistemica sistolica durante l’inspirazione.
Nei soggetti normali, durante l’inspirazione vi è una
fisiologica caduta di 5-10 mmHg della pressione arteriosa sistemica sistolica, mentre tale caduta è paradossa
nell’asmatico, in quanto arriva a valori di 30-40 mmHg.
Il polso paradosso può essere quantificato calcolando,
mediante un semplice sfigmomanometro, la differenza
fra la pressione arteriosa quando si odono i primi battiti
solo in fase espiratoria e quella in cui i battiti si odono
per tutto il ciclo respiratorio.
Manifestazioni cliniche dell’asma
L’asma bronchiale può presentarsi in entrambi i sessi a
qualsiasi età della vita; tuttavia, nei soggetti atopici, esordisce più frequentemente nell’età infantile, in particolare in
soggetti con familiarità per le malattie allergiche e l’asma
in particolare, o addirittura con una storia individuale di
allergopatia, soprattutto di rinite e dermatite allergica.
L’asma intrinseco, invece, insorge preferenzialmente dopo
i 30 anni di età, spesso senza una chiara causa scatenante,
prevalentemente in soggetti non atopici e nelle donne.
Le manifestazioni cliniche dell’asma dipendono dalla fase
della malattia.
Fase intercritica
Nella fase intercritica l’asma è silente nella maggior parte
dei pazienti asmatici e comunque lo è in tutti i pazienti
con asma intermittente. Il paziente è asintomatico, ma
può sviluppare episodi di ostruzione del flusso aereo obiettivabili solo strumentalmente in seguito all’esposizione
a fattori scatenanti quali lo sforzo, l’esposizione ad aria
fredda, allergeni, agenti sensibilizzanti professionali e
non. In alcuni casi l’unico sintomo di asma intermittente
è la tosse, ma nella maggioranza dei casi anche l’asma
intermittente si manifesta con segni tipici quali dispnea,
senso di costrizione/oppressione toracica, in particolare
dietro il manubrio sternale, e respiro sibilante. L’esame
obiettivo di un soggetto in fase intercritica è solitamente
negativo.
Riacutizzazione asmatica (attacco asmatico)
I sintomi caratteristici dell’asma bronchiale sono le crisi
ricorrenti di tosse, respiro sibilante, senso di oppressione toracica e dispnea (“fame d’aria”) conseguenti
all’ostruzione acuta del flusso aereo. La tosse è, a volte,
accompagnata da scarse quantità di espettorato bianco e
denso. Il paziente si presenta in genere agitato, tossisce
in maniera stizzosa, è tachipnoico, fa fatica a respirare
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e usa i muscoli respiratori accessori. Prima ancora di
auscultarlo si odono sibili e si può vedere e sentire che il
paziente espira con difficoltà, in maniera prolungata. La
riacutizzazione asmatica può comparire in tempi molto
variabili, spesso nel giro di minuti, e anche la sua durata
è estremamente variabile da alcuni minuti ad alcune
ore, se non trattata prontamente. L’esame obiettivo di
un paziente con una riacutizzazione asmatica in atto è
caratteristico. Il paziente appare sofferente, in posizione
semiortopnoica (spesso con i gomiti appoggiati al tavolo) per agevolare l’espirazione o, se si trova a letto, in
posizione ortopnoica. Il torace si presenta iperespanso
in atteggiamento inspiratorio e spesso con i muscoli
respiratori accessori contratti. Alla palpazione, peraltro
poco indicativa, può essere evidente una riduzione del
fremito vocale tattile. Alla percussione si apprezzano
un’iperfonesi plessica dovuta all’iperinflazione e un abbassamento degli emidiaframmi che risultano ipomobili.
All’auscultazione si riconoscono gemiti e sibili prevalentemente espiratori.
La condizione più grave è rappresentata dal cosiddetto
stato di male asmatico, in cui l’ostruzione del flusso aereo e
la dispnea possono raggiungere livelli tali che il paziente
ha difficoltà a parlare, si riducono i sibili fino al silenzio
respiratorio all’auscultazione e la tosse si trasforma in rantolo. In questa fase, anche se raramente, la riacutizzazione
asmatica può esitare in un quadro di insufficienza respiratoria globale, che può diventare fatale per il paziente,
che si presenta sudato, tachipnoico, con cianosi labiale
o ungueale. Tipico è il silenzio auscultatorio.
Il quadro funzionale respiratorio della riacutizzazione
asmatica è tipicamente ostruttivo, con riduzione del PEF,
del VEMS e del rapporto VEMS/capacità vitale (CV). Tuttavia, nel corso di una riacutizzazione asmatica spesso non
è possibile eseguire le prove di funzionalità respiratoria
per la necessità di non ritardare l’intervento terapeutico o
per la gravità della dispnea e della tosse, che impediscono
al paziente di eseguire manovre respiratorie forzate. La
radiografia del torace eseguita per escludere la presenza di
complicanze, quali il pneumotorace, il pneumomediastino, le polmoniti, e/o per scartare l’ipotesi che l’episodio
di broncocostrizione sia causato da altre patologie (per
esempio, la presenza di cardiomegalia deve fare sospettare
l’asma cardiaco, mentre il riscontro di atelettasie è compatibile con la sindrome da tappi di muco o con la malattia
fungina allergica broncopolmonare, la tromboembolia
polmonare) è spesso poco indicativa, ma può porre in
evidenza l’iperinflazione dei polmoni, un cuore ridotto
di volume e di forma allungata.
L’elettrocardiogramma di solito mostra solo una tachicardia sinusale, ma, in caso di gravi riacutizzazioni asmatiche, possono essere presenti anche una deviazione a
destra dell’asse cardiaco con rotazione oraria, segni di
sovraccarico ventricolare destro, blocco di branca destra
ed extrasistoli ventricolari. Tali alterazioni indicano un
sovraccarico ventricolare destro e la possibilità di scompenso cardiaco destro.
La formula leucocitaria non è indicativa; l’eosinofilia può,
infatti, essere mascherata dal trattamento con glucocorticosteroidi sistemici che portano neutrofilia, mentre la
stessa neutrofilia può essere suggestiva di una concomitante infezione batterica. Nel corso di riacutizzazione
437
2
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
asmatica, l’espettorato, quando presente, è di solito denso
e mucoso, contiene un elevato numero di eosinofili (nei
pazienti non trattati con alte dosi di glucocorticoidi), che
possono essere riscontrati in numero sufficiente da conferire all’espettorato un aspetto purulento. Possono inoltre
essere rilevati nell’espettorato le spirali di Curschmann e
i cristalli di Charcot-Leyden. Nel corso di riacutizzazioni
asmatiche particolarmente gravi sono presenti anche i
corpi di Creola.
Diagnosi
La diagnosi clinica di asma è relativamente facile, combinando i sintomi del paziente, i fattori di rischio (la familiarità allergica e/o la storia pregressa di malattie allergiche)
e le alterazioni funzionali che dimostrino la presenza di
ostruzione bronchiale reversibile e/o ampiamente variabile nel tempo o, in assenza di ciò, la presenza di iperreattività bronchiale.
I sintomi principali dell’asma bronchiale sono il respiro
sibilante, la dispnea, il senso di costrizione toracica, la
tosse e l’espettorato. Il sospetto diagnostico di asma si
pone quando questi sintomi sono presenti in maniera
variabile, si manifestano in particolare durante la notte
o nelle prime ore del mattino e sono scatenati da stimoli
quali l’aria fredda, l’attività fisica, gli allergeni o altre
sostanze sensibilizzanti.
La spirometria e la misura del PEF sono indispensabili
per una conferma obiettiva della diagnosi e per la misurazione della gravità della malattia e della risposta
alla terapia. La misurazione del VEMS e della CV mediante spirometria consente di evidenziare la presenza
di bronco-ostruzione, indicata da un indice di Tiffenau
< 70% (VEMS/CV < 70%). In presenza di ostruzione
bronchiale, si deve eseguire il test di reversibilità, che
consiste nel far inalare al paziente un broncodilatatore
a breve durata d’azione, solitamente salbutamolo alla
dose di 400 g e nel ripetere la spirometria dopo 20 min.
La bronco-ostruzione viene considerata reversibile se
il VEMS ritorna entro i valori normali o migliori del
soggetto, parzialmente reversibile se il VEMS migliora
di 200 mL o > 15% rispetto al valore basale, ma il rapporto VEMS/CVF rimane inferiore a 70%. In caso di
un sospetto clinico di asma bronchiale, è consigliabile
fare il test della broncodilatazione anche in presenza
di un quadro spirometrico normale, in quanto il soggetto può avere un quadro spirometrico ottimale sopra
i limiti della norma. In presenza di una chiara storia
di asma e di una mancata risposta al broncodilatatore,
si procede a un ciclo di 1-2 settimane di terapia con
steroidi orali (per esempio, 50 mg/die di prednisone per
os), o 1 mese di piena terapia antiasmatica inalatoria
combinata broncodilatatrice e steroidea, per valutare
la reversibilità della bronco-ostruzione al termine del
trattamento.
La misurazione del PEF, anche se è un indice meno sensibile del VEMS se misurato estemporaneamente, può
essere utile nel confermare la diagnosi di asma bronchiale,
quando alla misura ripetuta rivela una variabilità tra i
valori misurati al mattino e alla sera maggiore del 20%.
La variabilità giornaliera del PEF deve essere calcolata sulla
base di almeno due valori (mattutino e serale), ottenuti
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prima e dopo l’assunzione di un farmaco broncodilatatore
(se il paziente ne fa uso) per almeno 1 mese, usando la
seguente formula:
(PEF serale – PEF mattutino) × 100
(PEF serale + PEF mattutino)/2
Variabilità giornaliera = ___________________________
Se il paziente viene osservato in una fase intercritica, in
cui non è dimostrabile la presenza di ostruzione bronchiale e in cui la variabilità del PEF è nella norma e il test
di broncodilatazione è negativo, è utile effettuare il test
di provocazione bronchiale, in particolare con metacolina,
per documentare la presenza di iper-reattività bronchiale.
I test di provocazione bronchiale consistono nella misura
del VEMS prima e dopo la somministrazione di dosi crescenti di stimoli broncocostrittori, fino a quando viene
raggiunta una significativa riduzione del parametro di
funzionalità respiratoria (riduzione del 20% del VEMS).
Minore è la dose dello stimolo broncocostrittore in grado
di causare la riduzione del VEMS, maggiore sarà il grado
di iper-responsività bronchiale.
I test di provocazione bronchiale vengono definiti aspecifici in quanto gli stimoli usati agiscono in maniera uguale, non mediata immunologicamente, sia nei soggetti
normali sia negli asmatici. Questi stimoli sono in grado
di causare solo una risposta immediata, cioè entro pochi
minuti, che regredisce spontaneamente o con broncodilatatori entro poche decine di minuti.
I test di provocazione bronchiale specifici, al contrario,
pur eseguiti in maniera simile, vengono fatti con stimoli
che agiscono con un meccanismo immunologico (per
esempio, allergeni, alimenti, agenti sensibilizzanti di
origine professionale), che quindi provocano ostruzione
del flusso aereo solo nei pazienti specificamente a essi
sensibilizzati. I test specifici possono provocare ostruzione sia immediata (entro pochi minuti) sia ritardata
(dopo 1-2 ore), che regredisce più lentamente e può
richiedere non solo broncodilatatori, ma anche steroidi
sistemici.
Il grado di responsività bronchiale aspecifica può essere misurato nei laboratori di fisiopatologia respiratoria
mediante i test di provocazione bronchiale con stimoli
aspecifici diretti, quali l’istamina o la metacolina, che agiscono direttamente sulla muscolatura liscia, o mediante
stimoli aspecifici indiretti, quali la nebbia ultrasonica di
acqua distillata, le soluzioni di adenosina o propanolo,
o il test da sforzo. Questi stimoli sono definiti indiretti,
in quanto inducono nelle vie aeree inferiori il rilascio di
mediatori infiammatori (per esempio, istamina, prostaglandine, cisteinil-leucotrieni), responsabili a loro volta
dell’ostruzione bronchiale. Solo il test con la metacolina
è sufficientemente standardizzato ed esente da rischi
e viene quindi utilizzato, ove necessario, nella pratica
clinica (si veda il Capitolo 15). I test di provocazione
bronchiale con stimoli indiretti, anche se più specifici in
quanto positivi quasi esclusivamente nei pazienti asmatici, non sono ancora adeguatamente standardizzati e
privi di rischi e il loro uso deve essere limitato ai centri
di ricerca.
Analogamente, i test di provocazione con allergeni vengono eseguiti solo per ricerca, mentre i test con agenti
professionali possono essere effettuati anche per motivi
medicolegali (si veda il Capitolo 19).
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
439
Figura 18.4
Prove
allergometriche
cutanee o prick
test.
a
b
Prove allergologiche
Dopo un’attenta anamnesi mirata a identificare le possibili cause o i possibili fattori scatenanti l’asma, si ricerca
in genere la presenza di eventuali allergie mediante prove
allergometriche cutanee (Fig. 18.4).
Il gruppo di allergeni che è utilizzato comprende gli estratti di acari, di pelo di cane, di gatto o di altri animali,
di pollini e/o funghi caratteristici della regione in cui il
paziente risiede, insetti e qualsiasi altro materiale potenzialmente responsabile identificato dall’anamnesi.
Nel sangue periferico può essere dosata la concentrazione
sierica delle IgE totali, in particolare delle IgE specifiche (RAST,
Radio-Allergo-Sorbent Test). Le prove allergometriche cutanee
e il dosaggio della concentrazione sierica delle IgE specifiche
mettono solo in evidenza la presenza in quel paziente di anticorpi IgE specifici per determinati allergeni, e quindi non costituiscono una prova di causa-effetto con l’asma bronchiale.
Tuttavia, permettono di dare al paziente indicazioni relative
ai fattori di rischio da evitare e di definire i pochi pazienti nei
quali è indicata un’immunoterapia specifica.
Altri esami
Ogni paziente in cui si sospetta la presenza di asma dovrebbe, in fase iniziale, essere sottoposto a una radiografia del
torace per escludere le possibilità che altre patologie toraciche siano responsabili della sintomatologia. La tomografia
computerizzata ad alta risoluzione (HRCT, High-Resolution
Computed Tomography) del torace può risultare utile nei
casi dubbi di asma e BPCO, in quanto l’enfisema è in genere assente nell’asma anche grave, mentre si riscontra spesso
nella BPCO. In corso di gravi riacutizzazioni asmatiche, è
importante eseguire l’emogasanalisi (EGA) arteriosa per la
valutazione dei gas ematici (Tab. 18.1).
Tabella 18.1
Alterazioni emogasanalitiche durante
una crisi asmatica prima del trattamento
Riacutizzazione lieve
Ipossiemia
Normocapnia
Riacutizzazione
Ipossiemia moderata
Ipocapnia
Riacutizzazione grave
Ipossiemia
Ipercapnia
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c
Infine, sono stati recentemente sviluppati marcatori di
infiammazione bronchiale ottenibili con metodi non o
minimamente invasivi, quali la misurazione della concentrazione di ossido nitrico nell’aria espirata, la percentuale
di eosinofili nell’espettorato spontaneo o indotto, che
potrebbero assumere un ruolo integrativo a quello delle
valutazioni clinicofunzionali nella gestione dell’asma, ma
che a tutt’oggi non hanno un ruolo preciso nella pratica
clinica.
L’algoritmo diagnostico che combina la spirometria, il
test di reversibilità e il test alla metacolina è riportato
nella figura 18.5.
2
Diagnosi differenziale
Nei pazienti con asma persistente moderato-grave, l’ostruzione del flusso aereo permane anche negli intervalli fra
le riacutizzazioni e occorre fare una diagnosi differenziale
con le altre cause di ostruzione delle vie aeree (Tab. 18.2),
di cui la più comune è la BPCO.
L’asma e la BPCO sono le più frequenti malattie croniche ostruttive delle vie aeree, entrambe caratterizzate da
un’infiammazione broncopolmonare cronica, nei casi
clinicamente tipici sostanzialmente diverse. Dal punto
di vista clinico la diagnosi differenziale è molto semplice.
L’asma si sviluppa fin dall’infanzia, spesso causato da allergeni, e si manifesta con sintomi ricorrenti e reversibili,
in particolare respiro sibilante e tosse non produttiva. La
BPCO si sviluppa in genere dopo i 40 anni di età, quasi
esclusivamente in fumatori o ex fumatori di lungo corso, e
si manifesta con sintomi respiratori cronici, in particolare
dispnea da sforzo e tosse produttiva.
La BPCO è caratterizzata da un’ostruzione bronchiale
non o poco reversibile, solitamente evolutiva, associata a
un’abnorme risposta infiammatoria all’esposizione cronica, in particolare al fumo di sigaretta, ma anche in alcuni
casi a inquinanti professionali, ambientali o domestici. I
soggetti con asma che sono esposti ad agenti nocivi (specialmente fumo di sigaretta) possono sviluppare un’ostruzione bronchiale cronica, con uno stato infiammatorio
delle vie aeree intermedio tra l’asma e la BPCO. Quindi,
anche se l’asma è di solito facilmente distinguibile dalla BPCO, in alcuni individui asmatici che manifestano
sintomi respiratori cronici e ostruzione bronchiale poco
reversibile, la distinzione può risultare più problematica.
Analogamente, alcuni soggetti con un chiaro quadro di
BPCO possono presentare sintomi di asma, ostruzione
parzialmente ma significativamente reversibile, e risposta
agli steroidi (inusuale nei pazienti con BPCO), e vanno
quindi trattati come asmatici.
6/9/10 9:43:43 PM
440
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
Figura 18.5
Algoritmo per la
diagnosi di asma
bronchiale.
Sintomi: tosse, sibili, dispnea
intolleranza allo sforzo
Sospetto clinico
di asma
Spirometria
Test di
broncostimolazione
No
Sindrome
ostruttiva?
Sì
Diagnosi
alternative
all’asma
No
Test di reversibilità
Iperattività
bronchiale
Sì
Ostruzione
reversibile?
No
Sì
No
Diagnosi
alternative
all’asma
Diagnosi
di asma
Nei soggetti anziani o cardiopatici una sindrome clinica
simile a una riacutizzazione asmatica può comparire nei
pazienti con scompenso del ventricolo sinistro (asma
cardiaco); l’anamnesi, la presenza di un quadro funzionale respiratorio normale e i segni di scompenso cardiaco
permettono di distinguere i due quadri.
Un’ostruzione delle vie aeree superiori (per esempio, edema della laringe, neoplasia) può essere occasionalmente
confusa clinicamente con l’asma; in questi casi in genere,
però, è presente stridore e i rumori secchi sono localizzati
in corrispondenza della trachea, anche se, in alcuni casi,
per dirimere il dubbio diagnostico può essere necessario
eseguire una laringoscopia o una fibrobroncoscopia.
Soggetti con episodi di adduzione paradossa delle corde
vocali, e quindi chiusura della glottide durante l’inspirazione, si possono presentare con sintomi di asma, ma
non rispondono al trattamento. In questi casi la diagnosi
richiede l’esecuzione di una laringoscopia mentre il paziente è sintomatico. Rumori secchi persistenti localizzati
a un’area del torace, associati a accessi di tosse, devono
fare sospettare la presenza di una patologia endobronchiale (corpi estranei, neoplasie).
Una sindrome clinicamente simile all’asma può essere
infine riscontrata anche in altre patologie quali embo-
Tabella 18.2 Altre cause di ostruzione bronchiale
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Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)
Asma cardiaco (scompenso cardiaco congestizio)
Disfunzione delle corde vocali
Neoplasie endobronchiali
Corpi estranei endobronchiali
Reflusso gastroesofageo
Fibrosi cistica
Bronchiolite
Trattamento ex
adiuvantibus
4-6 settimane
lie polmonari, vasculiti polmonari (sindrome di ChurgStrauss , poliarterite nodosa ), alcune connettiviti con
interessamento polmonare (per esempio, sindrome di
Sjögren, lupus eritematoso sistemico, dermatomiositepolimiosite), polmoniti eosinofile, malattia fungina allergica broncopolmonare, strongiloidiasi disseminata,
sindrome della Larva migrans viscerale, sindrome da tappi
di muco, sindrome da carcinoide, mastocitosi sistemica,
intossicazione da farmaci colinergici o da inibitori delle
acetil-colinesterasi, tutti quadri rari e comunque in genere
facilmente identificabili.
Nei bambini, ma anche in giovani adulti con frequenti
riacutizzazioni infettive batteriche, va tenuta presente
la possibile manifestazione in forma di asma di quadri
atipici di fibrosi cistica (FC). Nei primi due anni di vita,
pur con tutti gli elementi sopra descritti, può risultare
difficile distinguere una riacutizzazione asmatica da una
bronchiolite acuta e la diagnosi di asma viene posta solo
retrospettivamente per il ripetersi degli episodi.
Classificazione di gravità
dell’asma bronchiale
La classificazione clinica della gravità dell’asma si basa
sulla distinzione di quattro livelli di gravità (Tab. 18.3).
Tra i parametri presi in considerazione è compresa la valutazione della funzionalità respiratoria, misurata come VEMS
o con il PEF, espressa al primo accertamento in termini di
percentuale del valore teorico calcolato per razza, sesso,
età e altezza, e in seguito come percentuale del miglior
valore osservato nel soggetto in esame. Il motivo di questi
due diversi modi di espressione risiede nella variabilità del
valore di normalità (circa ± 20%); quindi un soggetto asmatico che, come spesso succede, risponde al trattamento,
pur rientrando nell’ambito della normalità, prima di essere
trattato può passare a valori più elevati, i quali vanno a
costituire il suo valore di riferimento migliore per le future
calibrazioni della terapia.
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
Tabella 18.3
441
Classificazione di gravità dell’asma basata sui sintomi e sul quadro funzionale respiratorio in assenza
di trattamento in atto
LIVELLO 4
Grave persistente
Sintomi
Continui
Attività fisica limitata
Sintomi notturni
Frequenti
Variabilità PEF > 30%
FEV1 o PEF
FEV1 ≤ 30%
LIVELLO 3
Moderato persistente
Quotidiani
attacchi che limitano l’attività
> 1 volta/settimana
Variabilità PEF > 30%
FEV1 60-80% teorico
LIVELLO 2
Lieve persistente
> 1 volta/settimana
ma > 1 volta/die
> 2 volte/mese
FEV1 ≥ 80% teorico
Variabilità PEF 20-30%
LIVELLO 1
Intermittente
< 1 volta/settimana
≤ 2 volte/mese
FEV1 ≥ 80% teorico
Variabilità PEF < 20%
2
FEV1 = volume espiratorio forzato al primo secondo; PEF = picco di flusso espiratorio.
1
Su tale classificazione di gravità sono impostati i più recenti schemi di trattamento dell’asma. Questa classificazione richiede che il paziente faccia uso di diari clinici per
la raccolta dei sintomi e per la registrazione delle misure
del PEF, che sono divenuti strumenti educativi e di lavoro
indispensabili a pazienti e medici per la corretta impostazione del trattamento. La classificazione per gravità
prevede quattro stadi.
• Asma intermittente: È caratterizzato da episodi
intermittenti, meno frequenti di una volta alla
settimana, con riacutizzazioni di breve durata, da
poche ore a pochi giorni, ed episodi di asma notturno
meno di 2 volte al mese. In presenza dei sintomi, il
VEMS o il PEF rimane superiore all’80% del teorico
o del miglior valore personale, e la variabilità
giornaliera del PEF, calcolata dalla formula:
PEF max – PEF min
_________________
× 100
sono frequenti. Il VEMS o il PEF sono inferiori al 60%
del teorico o del miglior valore personale, la variabilità
giornaliera del PEF è superiore al 30%.
L’applicazione di questa classificazione clinica al trattamento
dell’asma sarà discussa nel paragrafo dedicato alla terapia.
Deve essere tuttavia anticipato che questa classificazione si
applica al paziente che giunge dal medico per la prima volta,
che è in fase intercritica e che non è in trattamento farmacologico. Infatti, se il paziente è in trattamento e la terapia
funziona, egli potrà avere una funzionalità respiratoria nella
norma e nessuno o pochi sintomi, pur persistendo la malattia, e quindi bisognerà tener conto del livello di trattamento
farmacologico per mantenere l’asma sotto controllo. In breve,
pertanto, nel paziente in trattamento, la valutazione clinica di
gravità è essenzialmente costituita dall’intensità della terapia
necessaria a tenere l’asma sotto controllo.
PEF max
è inferiore al 20%. Nelle fasi intercritiche il paziente
è asintomatico e la funzionalità respiratoria normale.
• Asma lieve persistente: è caratterizzato da uno o più
episodi di asma a settimana, ma meno di uno al
giorno, con riacutizzazioni che possono interferire
con le normali attività quotidiane e il sonno e con
due o più episodi di asma notturno al mese. In
presenza dei sintomi, il VEMS o il PEF sono superiori
all’80% del teorico o del miglior valore personale, e
la variabilità giornaliera del PEF è compresa tra il 20
e il 30%.
• Asma moderato persistente: è caratterizzato da episodi
quotidiani, con riacutizzazioni che interferiscono con
le normali attività quotidiane e il sonno e con episodi
di asma notturno più di una volta alla settimana.
È peculiare l’uso quotidiano di 2-agonisti a breve
durata di azione. Il VEMS o il PEF sono compresi fra
il 60 e l’80% del teorico o del miglior valore personale,
la variabilità giornaliera del PEF è superiore al 30%.
• Asma grave persistente: è caratterizzato da episodi
continui, le riacutizzazioni interferiscono con
la normale attività fisica, e gli episodi di asma notturno
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Terapia
Prevenzione dell’asma
Ogni qualvolta sono identificati fattori scatenanti specifici, siano essi allergeni, farmaci o agenti professionali, il primo provvedimento è insegnare ai pazienti a
evitarne accuratamente, nei limiti del possibile, l’esposizione. Questo non vale per lo sforzo fisico, in quanto
la terapia farmacologica dovrebbe essere calibrata per
annullarne gli effetti. Inoltre, considerati gli effetti
negativi del fumo e degli inquinanti atmosferici, o
anche dei semplici temporali, i pazienti vanno istruiti
a non fumare, a non frequentare ambienti fumosi, a
evitare l’esposizione a inquinanti o di uscire in giorni
con temporali particolarmente violenti.
Trattamento farmacologico
della fase stabile
L’obiettivo del trattamento farmacologico dell’asma è di
raggiungere e mantenere il controllo clinico, definibile
in accordo con i criteri descritti nella tabella 18.4.
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442
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
Tabella 18.4 Livelli di controllo dell’asma
Caratteristiche
Sintomi giornalieri
Controllato
Nessuno (o minimo)
Limitazioni delle attività
Nessuno
Qualche
Sintomi notturni/risvegli
Nessuno
Qualche
Necessità di farmaco al bisogno
Nessuno (o minimo)
> 2 volte/settimana
Funzione polmonare
Normale
< 80% del teorico o del personal
best (se noto) in ogni giorno
Riacutizzazioni
Nessuna
1 o più/anno
I farmaci per trattare l’asma sono classificati in farmaci
di controllo o di fondo e sintomatici. I primi vanno
assunti giornalmente, allo scopo di mettere e mantenere l’asma sotto controllo clinico. Farmaci di fondo
di prima scelta sono i glucocorticosteroidi inalatori
(beclometasone, fluticasone, budesonide, flunisolide,
ciclesonide, mometasone) o, nei casi gravi, sistemici
(prednisolone), e come seconda scelta, gli antagonisti
del recettore dei cisteinil-leucotrienici (montelukast),
i farmaci broncodilatatori 2-agonisti a lunga durata
d’azione (formoterolo, salmeterolo) associati ai glucocorticosteroidi inalatori in uno stesso erogatore, la
teofillina a lento rilascio e i monoclonali umanizzati
anti-IgE (omalizumab). I glucocorticosteroidi inalatori,
da soli o associati ai 2-agonisti a lunga durata d’azione,
sono i farmaci di fondo attualmente più efficaci e quindi di prima scelta. L’asma viene trattato quasi esclusivamente per via inalatoria, in quanto consente il massimo
beneficio con i minimi effetti collaterali, in particolare
con farmaci 2-agonisti e glucocorticosteroidi.
I farmaci sintomatici sono quelli usati al bisogno, che
quindi rimuovono l’ostruzione bronchiale a insorgenza acuta e i sintomi acuti che l’accompagnano. Questa
classe comprendere i broncodilatatori 2-agonisti a
rapida azione inalatori (salbutamolo, formoterolo),
che attualmente sono i farmaci di prima scelta, gli
anticolinergici inalatori, la teofillina a rapida insorgenza d’azione, i broncodilatatori 2-agonisti a rapida
insorgenza d’azione, somministrati per via orale.
I glucocorticosteroidi sono attualmente i farmaci
antinfiammatori più efficaci nel trattamento dell’asma
persistente; infatti è stato dimostrato che ne riducono i
sintomi, migliorano la qualità di vita e la funzionalità
respiratoria, diminuiscono l’iper-reattività bronchiale,
l’infiammazione delle vie aeree, la frequenza e la gravità
delle riacutizzazioni, e quindi la mortalità per asma,
pur non eliminando la malattia. In effetti, la loro sospensione determina un peggioramento del controllo
clinico, che sopraggiunge entro settimane-mesi nella
maggioranza dei pazienti. La maggior parte dei benefici
dei glucocorticosteroidi inalatori è raggiunta negli adulti a dosi relativamente basse, equivalenti a una dose
giornaliera < 500 g di beclometasone. L’aumento di
queste dosi comporta ulteriori benefici di scarsa entità
in termini di controllo dell’asma, ma innalza il rischio
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Parzialmente controllato
> 2 volte/settimana
Non controllato
Tre o più aspetti presenti nell’asma
parzialmente controllato
Uno in qualsiasi settimana
di effetti collaterali. Tuttavia, c’è un’evidente variabilità
individuale nella risposta al trattamento con glucocorticosteroidi inalatori e, a causa di ciò e della scarsa
aderenza al trattamento che spesso si riscontra con
tali farmaci, molti pazienti richiedono dosaggi ancora
più alti per raggiungere la piena risposta terapeutica.
Poiché il fumo di tabacco riduce la risposta ai glucocorticosteroidi inalatori, è spesso necessario aumentare il
dosaggio nei pazienti fumatori. Per raggiungere il controllo clinico, comunque, piuttosto che incrementare la
dose di glucocorticosteroide, è preferibile aggiungere un
farmaco 2-stimolante a lunga durata d’azione. Esiste,
tuttavia, una chiara relazione tra la dose di glucocorticosteroidi per via inalatoria e la prevenzione delle
riacutizzazioni gravi dell’asma. Per tale motivo, alcuni
pazienti con asma grave possono trarre beneficio da
un trattamento a lungo termine con più alte dosi di
glucocorticosteroidi per via inalatoria. Per contro, i farmaci 2-stimolanti a lunga durata d’azione non vanno
mai somministrati da soli senza glucocorticosteroide,
in quanto meno efficaci e potenzialmente pericolosi
(possono aggravare l’asma e in alcuni casi portare a
riacutizzazioni fatali).
Il trattamento farmacologico dell’asma è un trattamento a stadi basato sulla gravità della malattia e atto
a raggiungere il controllo della stessa.
Il livello del controllo dell’asma attribuito al paziente
in un determinato momento e il trattamento corrente
determinano la selezione del trattamento farmacologico. Per esempio, se l’asma non è controllato con il
regime di trattamento attuale, questo va aumentato
fino al raggiungimento del controllo. Al contrario, se il
controllo è stato raggiunto e mantenuto per almeno 3
mesi, il trattamento potrebbe essere ridotto allo scopo
di stabilire la minima dose efficace di trattamento che
mantenga il controllo dell’asma (Tab. 18.5, Fig. 18.6).
In pazienti con sintomi occasionali, il trattamento è
puramente sintomatico, quindi con farmaci 2-agonisti
a rapida azione usati per rimuovere i sintomi o per
prevenirli (per esempio, in caso di asma da sforzo,
frequente nei bambini).
In un paziente con sintomi persistenti si possono adottare due strategie. La prima consiste nell’instaurare
il trattamento necessario in rapporto alla gravità
dell’asma in atto (per esempio, solo steroidi inalatori
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
Tabella 18.5
Raccomandazioni sulle modalità di trattamento iniziale del paziente basato sul livello di gravità dell’asma
in assenza di trattamento
Opzione principale
Altre opzioni
(in ordine
decrescente
di efficacia)
Livello 1
2-agonisti a breve
azione al bisogno
Livello 2
CSI a bassa dose
Livello 3
CSI a bassa dose
+ LABA
Livello 4
CSI a media dose
+ LABA
Livello 5
CSI a alta dose
+ LABA
Controllo ambientale e immunoterapia, quando indicati
Antileucotrieni*
Cromoni
2-agonisti a breve
azione al bisogno
Programma
di educazione
CSI a bassa dose
+ antileucotrieni*
CSI a bassa dose +
teofilline-LR CSI
a dose medio-alta
Aggiungere uno
o più: antileucotrieni
teofilline-LR
Aggiungere uno o
più: antileucotrieni
anti-IgE
(omalizumab)
Teofilline-LR CS
orali
CSI = corticosteroidi inalatori; LABA = long-acting 2-agonisti; LR = a lento rilascio.
*
Nei pazienti con asma e rinite rispondono bene agli antileucotrieni.
2 volte/die più 2-agonisti a breve durata d’azione solo
al bisogno) e poi si aumenta l’intensità del trattamento (per esempio, sostituendo il glucocorticosteroide
con la combinazione glucocorticosteroide-2 a lunga
durata), in rapporto al grado di controllo verificato
a intervalli di settimane nei pazienti gravi o di mesi
in quelli lievi. La seconda strategia prevede una terapia più aggressiva fin dall’inizio (per esempio, con la
combinazione glucocorticosteroide-2 a lunga durata
d’azione, solo il formoterolo) al fine di ottenere in
breve il controllo della malattia, e si diminuisce a
intervalli di mesi (per esempio, 3 mesi) fino a ottenere
il massimo controllo con la minima dose di farmaci.
I farmaci sintomatici 2 a rapida azione costituiscono
in questi casi un buon termometro della malattie, in
quanto il loro impiego testimonia il mancato controllo, mentre la mancanza di necessità di ricorrere
alla loro assunzione è un ottimo segno di controllo.
Parzialmente controllato
Non controllato
Riacutizzazione
L’immunoterapia specifica con allergeni consiste nella
somministrazione per via intradermica o sublinguale
di estratti allergenici purificati Questa immunoterapia
ha un ruolo importante, ma è utilizzabile da un numero molto limitato di pazienti, in quanto:
• richiede l’identificazione del singolo allergene
responsabile dell’asma;
• va somministrata in dosi progressive per lunghi
periodi;
• induce un miglioramento clinico significativo,
ma limitato;
• può causare, se non somministrata da personale
specificamente addestrato, importanti effetti collaterali (reazioni cutanee immediate e ritardate,
crisi d’asma, reazioni anafilattiche e in casi eccezionali morte);
RIDURRE
Controllato
2
Immunoterapia specifica
di pazienti con asma allergico
AUMENTARE
Livello di controllo
Livelli di trattamento
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443
Piano di trattamento
Mantenimento della terapia
Aumentare per migliorare il controllo
Aumentare per raggiungere il controllo
Trattare la riacutizzazione
Figura 18.6
Livello di controllo
dell’asma e piano
di trattamento.
6/9/10 9:43:46 PM
444
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
• non porta a remissione dell’asma, ma lo mette
sotto controllo come la terapia farmacologia;
• pur in assenza di studi diretti di confronto, il livello di controllo desumibile dagli studi esistenti
appare inferiore rispetto a quello raggiungibile
con i farmaci.
Per tutti questi motivi viene limitata ai pazienti sensibilizzati a singoli allergeni ritenuti causa della sintomatologia, in base alla storia clinica, e ai pazienti
con asma lieve intermittente o lieve persistente non
controllabili con la terapia farmacologica inalatoria.
Trattamento della riacutizzazione
asmatica
Le riacutizzazioni lievi-moderate possono essere trattate
ambulatorialmente. I cardini del trattamento sono i
broncodilatatori a breve durata d’azione, da 2 a 4 puff
(per esempio, salbutamolo spray, 200-400 g) ogni 3-4
ore più glucocorticosteroidi per via sistemica per brevi cicli di 7-10 giorni (per esempio, prednisone, 50 mg/die). In
genere il quadro regredisce nel corso dei primi 2-3 giorni,
ma il trattamento va continuato per almeno 1 settimana,
per evitare ricadute. L’algoritmo del trattamento delle
riacutizzazioni gravi è riportato nella figura 18.7.
Asma fatale e anafilassi
Le riacutizzazioni gravi sono rare, ma sono vere e
proprie emergenze mediche, potenzialmente fatali;
l’assistenza deve quindi essere immediata e il trattamento va somministrato preferenzialmente in ospedale o in un Pronto Soccorso. Oltre alla terapia con
broncodilatatori e glucocorticoidi per via sistemica,
in molti casi è necessario somministrare ai primi sintomi o segni ripetute dosi di adrenalina, alti flussi di
ossigeno, monitorando costantemente la saturazione
ossimoglobinica e l’EGA arteriosa, e può rendersi necessario ricorrere all’intubazione e alla ventilazione
meccanica del paziente. Le reazioni anafilattiche sono
eventi patologici potenzialmente fatali, in grado di
simulare asma nei pazienti non asmatici o scatenare
asma in quelli asmatici. La tempestività del trattamento
è fondamentale ed è quindi indispensabile porre la
diagnosi in maniera rapida. Le cause più frequenti sono
punture di insetti (per esempio, imenotteri), farmaci
(per esempio, acido acetilsalicilico o antinfiammatori
non steroidei, inibitori dell’enzima di conversione,
antibiotici), alimenti, iniezioni di estratti allergenici
o vaccini e anche il semplice sforzo fisico. Le reazioni
anafilattiche si manifestano in genere con vampate
di calore, prurito, orticaria e/o angioedema, stridore
laringeo o dispnea acuta, perdita di coscienza associata
o meno a ipotensione, nausea e/o diarrea. Il trattamento richiede adrenalina, steroidi sistemici, alte dosi di
broncodilatatori per via inalatorie e/o sistemica e, se
necessario, intubazione e ventilazione meccanica.
Educazione del paziente
Considerata la meticolosità richiesta nell’accurata
prevenzione e nella terapia, sono utili la distribuzione
di materiale didattico ed eventuali corsi ai pazienti su
natura, prevenzione e terapia dell’asma. In particolare, i pazienti vanno accuratamente istruiti sull’uso
dei farmaci e sulle modalità con le quali devono essere affrontate le crisi asmatiche gravi. In pazienti a
rischio di gravi attacchi asmatici, è utile consigliare
di avere sempre con sé, oltre alla bomboletta spray
di salbutamolo (per esempio, tutti i puff necessari),
anche una fiala pronto uso di adrenalina e un blister
di compresse di prednisone da 25 mg (per esempio, 2
compresse per via orale ogni ora), da assumere prima
di raggiungere il medico o il Pronto Soccorso.
Valutazione iniziale, anamnesi,
esame obiettivo, EGA, PEF o VEMS
Trattamento iniziale con broncodilatatori,
cortisonici sistemici, O2 se necessario
Figura 18.7
Algoritmo del
trattamento delle
riacutizzazioni
gravi dell’asma.
Buona risposta
Risposta inadeguata
Osservazione
per almeno 1 ora
Consulenza specialistica pneumologica
Se stabile,
dimissione
con consiglio
di controllo
specialistico
entro 20 giorni
Risposta adeguata
Dimissione
Insufficienza respiratoria
Risposta inadeguata
Ricovero
Ricovero in
pneumologia
UTIR o in unità
di terapia
intensiva
EGA = emogasanalisi; PEF = picco di flusso espiratorio; VEMS = volume espiratorio massimo al primo secondo.
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
Aspetti particolari
445
di steroidi sistemici, se moderati-gravi, prima di eseguire
interventi chirurgici e anestesie.
Gravidanza
La gravidanza ha effetti variabili sulle manifestazioni
cliniche dell’asma. Alcuni farmaci antiasmatici (citerizina, adrenalina, steroidi sistemici) sono sconsigliati nel
corso della gestazione e in particolare nel primo trimestre.
Tuttavia, per la donna gravida affetta da asma il pericolo
rappresentato dai farmaci è di gran lunga inferiore ai potenziali effetti negativi sul feto di un asma non controllato
della madre stessa, ivi compreso l’uso di steroidi sistemici
in caso di gravi crisi.
Rinite, sinusite e polipi nasali
La simultanea presenza di queste condizioni patologiche
costituisce un fattore aggravante dell’asma e quindi va
sempre presa in considerazione e trattata adeguatamente. La rinosinusite cronica, con o senza polipi nasali, è
caratteristicamente presente nell’asma da acido acetilsalicilico, che tende più comunemente a verificarsi in adulti
di mezza età non atopici.
Reflusso gastroesofageo
Interventi chirurgici e anestesia
negli asmatici
Considerati i potenziali problemi respiratori, in genere gli
asmatici vengono sottoposti a un trattamento intensivo
antiasmatico, ivi comprese le ripetute somministrazioni
Il reflusso gastroesofageo spontaneo o indotto da farmaci (antiasmatici, per esempio teofillina e 2-agonisti) è
un fattore scatenante l’asma e va quindi sempre preso
in considerazione ed eventualmente trattato (si veda il
Capitolo 45).
Broncopneumopatia cronica ostruttiva
Definizione e classificazione
La BPCO è una malattia polmonare prevenibile e trattabile, caratterizzata da ostruzione bronchiale persistente,
spesso associata a significativi effetti extrapolmonari,
che nei singoli pazienti possono contribuire alla gravità
delle manifestazioni cliniche. L’ostruzione bronchiale è in
genere evolutiva e accompagnata da un’abnorme risposta
infiammatoria broncopolmonare a inquinanti ambientali,
in particolare al fumo di sigaretta.
L’ostruzione bronchiale viene definita in base a un rapporto VEMS/CVF (capacità vitale forzata) inferiore al 70%.
Questo sta a indicare che, di tutta l’aria mobilizzabile in
una manovra espiratoria completa, meno del 70% viene
mobilizzata nel primo secondo. Caratteristica peculiare nella BPCO è che questa ostruzione, a differenza di
quella presente nei pazienti con asma bronchiale, non è
completamente reversibile dopo la somministrazione di
un broncodilatatore. Un altro carattere distintivo della
malattia è l’accelerata caduta nel tempo della funzionalità
respiratoria; infatti, la caduta annua del VEMS, che è di
circa 10-40 mL nel soggetto normale non fumatore, può
arrivare a 100 mL/anno nel paziente con BPCO sia fumatore sia ex-fumatore (Fig. 18.8).
In realtà l’acronimo BPCO non identifica una malattia,
ma riassume in un termine aspecifico due diversi quadri patologici, la malattia delle piccole vie (o bronchiolite
ostruttiva), dovuta alla flogosi cronica e al rimodellamento delle vie aeree periferiche, e l’enfisema polmonare,
cioè la distruzione della superficie deputata agli scambi
gassosi (parenchima polmonare). Queste alterazioni costituiscono le basi strutturali dell’ostruzione bronchiale.
Infatti, il flusso durante una manovra espiratoria forzata
è determinato dal rapporto tra la forza di ritorno elastico
del polmone (che promuove il flusso) e la resistenza delle
vie aeree (che si oppone al flusso) (si veda oltre, Fisiopato-
C0090.indd 445
2
F. Luppi, M. Saetta, L.M. Fabbri
logia). L’enfisema polmonare contribuisce alla riduzione
del flusso diminuendo la forza di retrazione elastica del
polmone (per distruzione delle pareti alveolari), mentre
la bronchiolite vi contribuisce aumentando le resistenze
delle vie aeree periferiche (per restringimento del lume).
Va infine sottolineato che le lesioni a carico delle vie aeree
e del parenchima polmonare si sviluppano progressivamente con il progredire della malattia, ma possono essere
presenti in proporzioni disuguali nei diversi individui.
Tosse e dispnea sono i due sintomi principali, per cui il
paziente con BPCO consulta il medico, ma l’esordio della
malattia può essere totalmente asintomatico. La dispnea
compare gradualmente nell’arco di diversi anni e nelle fasi
avanzate limita le normali attività quotidiane. All’anamnesi risulta spesso difficile identificare il momento preciso
in cui si è manifestata la dispnea, perché il paziente riduce
progressivamente la propria attività fisica e in questo
modo non avverte, se non in fase molto avanzata, la limitazione della propria performance fisica. In molti pazienti
sono presenti tosse ed espettorato, più intensi al mattino,
che possono essere i sintomi dominanti. Questi sintomi
si definiscono cronici quando sono presenti per almeno
3 mesi all’anno per 2 anni consecutivi, per cui si pone la
diagnosi clinica di bronchite cronica.
In sintesi la diagnosi di BPCO va posta in presenza di
un’ostruzione bronchiale non completamente reversibile
al trattamento con farmaci broncodilatatori in soggetti
con fattori di rischio (principalmente fumo di sigaretta, ma
anche esposizione ambientale o deficit di 1-antitripsina),
indipendentemente dal fatto che questi soggetti lamentino sintomi respiratori cronici. L’eventuale concomitanza
di sintomi di bronchite cronica fa aggiungere la diagnosi
di “bronchite cronica” a quella di BPCO. Analogamente,
considerati i notevoli progressi della HRCT, in presenza
di segni radiologici di enfisema polmonare la diagnosi di
“quadro radiologico di enfisema polmonare” si aggiunge
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Figura 18.8
Storia naturale
dell’ostruzione
bronchiale
cronica.
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
Volume espiratorio massimo al primo secondo (% dei valori a 25 anni)
446
100
75
Fumatori regolari
e suscettibili agli
effetti del fumo
Stop
a 45 anni
Non fumatori
o non suscettibili
agli effetti del fumo
50
Invalidità
Stop
a 65 anni
25
Morte
†
†
0
25
75
50
Età (anni)
a quella di BPCO. È importante infine sottolineare che sia
la bronchite cronica sia il quadro radiologico di enfisema
polmonare possono essere presenti anche in assenza di
ostruzione bronchiale.
Un altro importante aspetto in evoluzione della BPCO
è la sua frequente concomitanza con altre malattie croniche legate sia al fumo sia all’età avanzata dei pazienti,
in particolare le malattie cardiovascolari, metaboliche e
neoplastiche, che possono contribuire, se non addirittura
causare, gli stessi sintomi della BPCO (per esempio, la
dispnea), per le quali si rimanda allo specifico capitolo a
esse dedicato (si veda il Capitolo 15).
Le più recenti linee guida (GOLD) limitano le loro indicazioni alla BPCO indotta da irritanti respiratori, in
particolare dal fumo di sigaretta, associata a flogosi cronica delle vie aeree periferiche e/o enfisema polmonare,
escludendo quindi le forme di ostruzione dovute ad altre
malattie quali gli esiti di tubercolosi (TBC), le bronchiectasie (BR), le neoplasie e la FC in età adulta. In presenza di
ostruzione bronchiale (VEMS/CVF < 70%), le linee guida
propongono una classificazione di gravità della BPCO in
quattro stadi (Tab. 18.6) sulla base del quadro spirometrico
misurato dopo broncodilatatore. È opportuno ricordare
che, in qualsiasi stadio di gravità, i sintomi di bronchite
cronica possono essere presenti o assenti.
• Stadio I – BPCO lieve: presenza di una lieve riduzione
del flusso aereo espiratorio con un rapporto VEMS/
CVF ridotto (< 70%), ma VEMS ancora nei limiti
di normalità (> 80% del teorico).
• Stadio II – BPCO moderata: caratterizzato da un VEMS
che è compreso fra il 50 e l’80% del valore teorico,
associato di solito a sintomi respiratori, in particolare
dispnea, che compare principalmente sotto sforzo.
Si tratta dello stadio nel quale più spesso il paziente
richiede l’intervento del medico a causa della dispnea
da sforzo o per una riacutizzazione della malattia.
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Tabella 18.6 Classificazione di gravità della BPCO basata
sulla spirometria (VEMS postbroncodilatazione)
Stadio I
Lieve
VEMS/CVF < 70%
VEMS ≥ 80% del teorico
Stadio II
Moderato
VEMS/CVF < 70%
50% VEMS < 80%
del teorico
Stadio III
Grave
VEMS/CVF < 70%
30% VEMS < 50%
del teorico
Stadio IV
Molto grave
VEMS/CVF < 70%
VEMS <30% del teorico
o VEMS < 50% del teorico
in presenza di insufficienza
respiratoria cronica
VEMS = volume espiratorio massimo al primo secondo; CVF =
capacità vitale forzata; insufficienza respiratoria = pressione parziale
dell’ossigeno arterioso (PaO2) < 8,0 kPa (60 mmHg) con o senza una
pressione parziale della CO2 (PaCO2) > 6,7 kPa (50 mmHg) a livello
del mare.
(Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease.
US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.)
• Stadio III – BPCO grave: caratterizzato da un ulteriore
aggravamento dell’ostruzione bronchiale (30% VEMS < 50% del teorico), con una dispnea da sforzo
più grave, una ridotta capacità di esercizio, astenia
e ripetute riacutizzazioni, che molto spesso
influiscono negativamente sulla qualità di vita del
paziente.
6/9/10 9:43:46 PM
Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
• Stadio IV – BPCO molto grave: caratterizzata da
un’ostruzione bronchiale grave (VEMS < 30% del
teorico) o dalla presenza di insufficienza respiratoria
cronica.
Va sottolineato che questa classificazione nasce dalla necessità di fare riferimento a un parametro oggettivo e misurabile, anche se, naturalmente, le indicazioni di questa
classificazione devono sempre essere filtrate dal giudizio
clinico. Per esempio, la BPCO viene considerata molto
grave (stadio IV) anche nei casi in cui non lo sia dal punto
di vista spirometrico (VEMS > 30% del teorico), ma sia
presente un’insufficienza respiratoria cronica.
L’insufficienza respiratoria si instaura quando il polmone è incapace di sostenere i normali scambi gassosi, cioè il trasporto
dell’ossigeno dall’aria ai tessuti o la rimozione dell’anidride
carbonica dai tessuti. Nella pratica clinica, l’insufficienza
respiratoria è definita da una pressione parziale dell’ossigeno arterioso (PaO2) < 60 mmHg (ipossiemia) in presenza o meno di una pressione parziale della CO2 (PaCO2) >
50 mmHg (ipercapnia), corretti per condizioni a livello del
mare. L’insufficienza respiratoria può anche avere effetti sul
cuore, come nel caso del cuore polmonare (insufficienza
cardiaca destra), che può essere presente in corso di BPCO,
non necessariamente nelle forme più gravi di malattia.
L’attuale definizione di BPCO esclude i pazienti affetti da
sintomi respiratori cronici e quadro spirometrico normale
o restrittivo, una popolazione non ancora studiata in maniera adeguata. È importante ricordare che la correlazione
fra le alterazioni spirometriche e il quadro clinico è debole
e che la valutazione di gravità individuale e le decisioni
terapeutiche vanno comunque riferite sempre ai sintomi
e alle malattie concomitanti. Infatti, a differenza di altre
malattie, quali ipertensione o diabete, nelle quali il trattamento viene instaurato e calibrato sulla base di alterazioni
dei rispettivi biomarcatori (per esempio, pressione arteriosa, glicemia/emoglobina glicosilata), nella BPCO la terapia
viene essenzialmente instaurata e calibrata sulla base delle
3,0
Patologia coronarica
Ictus cerebrale
447
manifestazioni cliniche, in particolare sintomi e riacutizzazioni degli stessi; questo anche perché la terapia attualmente disponibile è in grado di migliorare la sintomatologia e la qualità di vita e di diminuire le riacutizzazioni,
sebbene nessuno dei farmaci possa impedire il progressivo
deterioramento della funzionalità respiratoria.
Epidemiologia
La BPCO è un problema di sanità pubblica a livello mondiale e rappresenta una delle principali cause di morbilità
e mortalità nel mondo. Prevalenza, mortalità e morbilità
della BPCO variano in modo significativo nei diversi Paesi,
anche per le differenze nei criteri diagnostici utilizzati nei
vari studi (come definizione, metodi di campionamento,
tassi di risposta, controllo di qualità dell’esame spirometrico e sua esecuzione in presenza o assenza di broncodilatazione). Pur tenendo conto di ciò, la prevalenza della
BPCO è significativamente più elevata nei fumatori e negli
ex-fumatori rispetto ai non fumatori, nei soggetti di età
pari e superiore a 40 anni rispetto a quelli di età inferiore
e nei maschi rispetto alle femmine.
La BPCO è una delle più importanti cause di morte nella
maggior parte dei Paesi industrializzati. Nel 1990 occupava
il sesto posto come causa di morte, ma si prevede che diverrà la terza causa di morte a livello mondiale nel 2020 (Fig.
18.9), preceduta solo dai tumori e dalle patologie cardiovascolari. Questo aumento di mortalità è dovuto all’espansione dell’epidemia tabagica e ai cambiamenti demografici
che si verificano nella maggior parte dei Paesi, caratterizzati
soprattutto dall’aumento dell’età media. In Italia vengono
attribuite a BPCO più di 18.000 morti ogni anno.
Attualmente la distribuzione della mortalità nella popolazione dimostra una predilezione per le fasce di età più
avanzate e per il sesso maschile (dove la mortalità è 2-3
volte maggiore rispetto alle femmine), anche se negli ultimi anni vi è stata un’inversione di tendenza, con un aumento di mortalità per BPCO nelle donne, verosimilmente
Altre vasculopatie
BPCO
2
Tutte le altre cause
2,5
2,0
1,5
1,0
0,5
0
–59%
–64%
–35%
+163 %
–7%
1965-1998
1965-1998
1965-1998
1965-1998
1965-1998
Figura 18.9
Variazioni
percentuali dei
tassi di mortalità
corrette per età
negli Stati Uniti.
(Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.)
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
legata alla diversa abitudine al fumo (sempre più uomini
smettono di fumare, sempre più donne fumano o non
smettono) (Fig. 18.10).
La morbidità, misurata in termini di visite mediche, ricoveri in pronto soccorso o in ospedale conseguenti a
BPCO, aumenta con l’età e, fino a una decina di anni fa,
era maggiore negli uomini rispetto alle donne. Nell’ultimo decennio però la morbidità nei due sessi è divenuta
simile.
Sia la mortalità sia la morbidità per BPCO sono influenzate
dalle comorbidità croniche a essa spesso associate (per
esempio, malattie muscoloscheletriche malattie cardiovascolari e metaboliche, neoplasie), al punto che le principali
cause di morte in pazienti con BPCO sono cardiovascolari
e neoplastiche e non l’insufficienza respiratoria.
non fumatori. L’esposizione passiva al fumo di sigaretta
aumenta la frequenza di insorgenza dei sintomi respiratori
nell’adulto, ma il suo rapporto con lo sviluppo di BPCO è
meno chiaro rispetto a quello del fumo attivo.
Inquinamento ambientale
In Italia, come nella maggior parte dei Paesi sviluppati,
la BPCO è causata nella quasi totalità dei casi dal fumo di
sigaretta. Altri fattori di rischio riconosciuti sono l’inquinamento domestico (soprattutto nei Paesi in via di sviluppo), l’esposizione lavorativa e l’inquinamento ambientale.
Questi fattori, pur importanti a livello mondiale, hanno
oggi un impatto inferiore rispetto al fumo di sigaretta.
In tutto il mondo, ma in maniera sempre più preoccupante nei Paesi in via di sviluppo, un importante fattore
di rischio per lo sviluppo della BPCO è rappresentato
dall’esposizione a inquinanti degli ambienti interni, in
particolare ai prodotti della combustione dei materiali
utilizzati per il riscaldamento e per cucinare. In alcuni
Paesi in via di sviluppo, nei quali si cucina e ci si riscalda
in abitazioni poco ventilate, si osservano elevati livelli
di inquinamento degli ambienti interni per accumulo
di particolato ambientale. Le donne sono maggiormente
esposte a questi fattori di rischio e ciò può spiegare perché,
in India, Cina e America Latina, la prevalenza di BPCO
sia simile nei due sessi, nonostante la netta prevalenza
dell’abitudine tabagica nel sesso maschile.
Il ruolo dell’inquinamento atmosferico nell’insorgenza della BPCO non è del tutto chiaro, ma sembra avere
un peso minore rispetto al fumo. Più chiaro, invece, è il
rapporto fra i picchi di inquinamento atmosferico e le
riacutizzazioni di BPCO.
Fumo di sigaretta
Esposizione professionale
Il fumo di sigaretta rappresenta il principale fattore di
rischio per lo sviluppo di BPCO. Le persone che fumano
presentano più sintomi respiratori, un’accelerata caduta
del VEMS e un più elevato tasso di mortalità per BPCO
e comorbidità croniche cardiovascolari e neoplastiche
rispetto ai non fumatori. L’età di inizio, il numero totale
di sigarette fumate e lo stato di fumatore attuale sono
predittivi della mortalità per BPCO. Smettere di fumare
rallenta la caduta del VEMS e quindi l’evoluzione della
BPCO (si veda Fig. 18.8). I fumatori di pipa e sigaro presentano tassi di morbidità e mortalità per BPCO, seppur
inferiori ai fumatori di sigaretta, comunque più elevati dei
L’esposizione professionale a polveri (inorganiche e organiche), gas o fumi aumenta il rischio di BPCO, sia indipendentemente sia in maniera sinergica con il fumo nei lavoratori
esposti. I rischi più elevati si hanno per gli operatori dei
settori agricolo, tessile, chimico, della carta, del legno e dei
processi alimentari, ma soprattutto edile e metallurgico.
Eziologia e fattori di rischio
Predisposizione individuale
Nonostante sia noto che il rischio di contrarre la BPCO
dipenda essenzialmente da quantità, qualità e durata
dell’esposizione al fumo, non tutti i fumatori sviluppano
la malattia, suggerendo che altri fattori possano conferire
70
Numero di morti per 1000
60
Uomini
Donne
50
40
30
20
Figura 18.10
Mortalità legata
alla BPCO in
rapporto al sesso.
10
0
1980
1985
1990
1995
2000
Anni
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
una suscettibilità individuale. Tra i fattori individuali, il
deficit ereditario grave dell’1-antitripsina, uno dei principali inibitori circolanti delle serin-proteasi, è quello meglio
documentato. Tale condizione, che in Italia e in Europa
ha una prevalenza di circa 1 caso/5000 individui, è l’unica condizione genetica che ha una relazione certa con la
comparsa di BPCO. Infatti, è stato dimostrato che il deficit
di 1-antitripsina determina la degenerazione del parenchima polmonare, conducendo a un quadro enfisematoso
in giovane età anche in soggetti non fumatori. Anche i
parenti di primo grado di pazienti che presentano un tale
grave deficit hanno un rischio aumentato di ammalarsi.
I numerosi studi genetici fino a ora condotti non hanno
identificato nessun altro singolo gene chiaramente responsabile dell’insorgenza della BPCO, ma hanno confermato il
contributo multigenico allo sviluppo della malattia.
Patogenesi e anatomia patologica
La BPCO è una patologia complessa, i cui meccanismi
patogenetici non sono stati ancora completamente noti.
Fumo e altri inquinanti provocano una risposta infiammatoria sia broncopolmonare sia sistemica, che può essere
considerata la risposta fisiologica dell’immunità innata
agli irritanti presenti nel fumo di sigaretta. Nei pazienti
con BPCO si sviluppa invece una risposta infiammatoria
anomala, perché amplificata e in grado di automantenersi
anche una volta rimosso l’agente irritante, per esempio
in seguito alla cessazione dell’abitudine tabagica. Questa
reazione infiammatoria cronica e anomala può indurre la
distruzione del tessuto parenchimale (causando enfisema
polmonare) e perturbare i normali meccanismi di difesa e
delle vie aeree, con conseguente fibrosi e rimodellamento
delle stesse (Fig. 18.11).
Studi pionieristici condotti negli anni Sessanta hanno
dimostrato che il sito responsabile dell’aumento delle
resistenze nei fumatori con BPCO è rappresentato dalle
vie aeree periferiche (bronchioli di diametro inferiore
ai 2 mm). Negli anni successivi numerosi studi hanno
osservato la presenza in questi bronchioli di alterazioni
morfologiche in grado di spiegare l’aumento delle resistenze al flusso aereo e, quindi, l’ostruzione bronchiale.
Queste alterazioni comprendono l’infiammazione cronica, l’ipertrofia del muscolo liscio, l’iperplasia delle cellule
caliciformi mucipare e la fibrosi della parete e possono
contribuire al restringimento del lume sia aumentando lo
spessore della parete sia occludendo il lume con tappi di
muco. La riduzione di flusso non dipende soltanto dalle
alterazioni delle vie aeree periferiche, ma anche dalla
distruzione del parenchima polmonare (enfisema), che è
una componente determinante soprattutto nelle forme
più gravi di BPCO. I fumatori possono sviluppare due tipi
di enfisema polmonare che presentano distinte caratteristiche funzionali e un diverso contributo del processo
infiammatorio: l’enfisema centroacinare e il panacinare.
L’enfisema centroacinare è caratterizzato da aree di distruzione parenchimale localizzate attorno ai bronchioli terminali e nella zona centrale dell’acino, circondate da aree
di parenchima intatto. Questa forma si localizza prevalentemente ai lobi superiori e si differenzia notevolmente
449
2
Fumo di sigaretta
Particelle della biomassa
Particolati
Fattori genetici
Meccanismi di amplificazione
INFIAMMAZIONE POLMONARE
Antiossidanti
Antiproteinasi
Stress ossidativo
Proteinasi
Meccanismi di riparazione
ALTERAZIONI ANATOMOPATOLOGICHE DELLA BPCO
Figura 18.11
Alterazioni
anatomopatologiche della
BPCO.
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
dalla forma panacinare caratterizzata da aree di distruzione
parenchimale omogeneamente distribuite nell’acino e
che è tipica dei soggetti con deficit di 1-antitripsina. La
perdita di forza di retrazione elastica è più marcata nell’enfisema panacinare rispetto al centroacinare, mentre le
alterazioni infiammatorie delle vie aeree periferiche sono
più evidenti nell’enfisema centroacinare.
Nel loro insieme queste alterazioni anatomopatologiche
portano a riduzione del calibro delle vie aeree, intrappolamento aereo nelle vie aeree periferiche e negli alveoli e a
distruzione e allargamento degli spazi alveolari, alterazioni strutturali che contribuiscono alla riduzione del flusso
aereo (Fig. 18.12). La fibrosi e il rimodellamento delle vie
aeree periferiche, assieme all’enfisema polmonare, sono
ritenuti responsabili della componente dell’ostruzione
bronchiale completamente irreversibile. Viceversa, la contrazione della muscolatura liscia, gli accumuli di cellule
infiammatorie nelle vie aeree e di muco e di essudato plasmatico a livello bronchiale sono ritenuti responsabili della componente dell’ostruzione bronchiale potenzialmente
reversibile, spontaneamente o in seguito a terapia.
Ipotesi proteasi/antiproteasi
L’ipotesi tradizionale che uno squilibrio del sistema proteasi/antiproteasi abbia un ruolo fondamentale nella patogenesi del danno polmonare nella BPCO nasce, da una
parte, dalle osservazioni di studi clinici che dimostravano
la presenza di enfisema polmonare in soggetti con bassi
livelli sierici di 1-antitripsina e, dall’altra, da studi sperimentali che riportavano lo sviluppo di enfisema polmonare
in animali da esperimento, in seguito all’instillazione di
enzimi proteolitici. Secondo questa ipotesi, l’inalazione di
agenti nocivi quali il fumo di sigaretta causa il richiamo e
l’attivazione nel polmone di cellule infiammatorie, come i
macrofagi alveolari e i neutrofili, in grado di secernere proteinasi. Nel parenchima polmonare, queste proteinasi, se
non neutralizzate dalle antiproteinasi tissutali, degradano
le diverse componenti del tessuto connettivo, in particolar
modo l’elastina, dando luogo a enfisema polmonare. Tra le
INFIAMMAZIONE
Patologia delle piccole
vie aeree
Infiammazione
bronchiale
Rimodellamento
bronchiale
Figura 18.12
Patogenesi della
BPCO.
Distruzione del parenchima
polmonare
Perdita degli attacchi
alveolari
Riduzione del ritorno
elastico polmonare
OSTRUZIONE
BRONCHIALE
(Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for
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proteasi, particolare attenzione è stata riservata allo studio
di due serin-proteasi di origine neutrofila – l’elastasi neutrofila e la proteinasi – che, unitamente alle catepsine, sono
in grado di indurre enfisema polmonare negli animali da
laboratorio. Crescenti evidenze indicano inoltre che anche
le metalloproteinasi prodotte dai macrofagi e dai neutrofili
sono implicate nello sviluppo dell’enfisema polmonare.
Ruolo dei linfociti T
A partire dagli anni Sessanta, lo squilibrio del sistema
proteasi/antiproteasi è stato considerato l’ipotesi più accreditata in grado di spiegare il danno polmonare nei
pazienti con BPCO. Tuttavia, pazienti con malattie del
polmone caratterizzate da un’importante neutrofilia, come la polmonite e il distress respiratorio acuto, in cui ci
si potrebbe aspettare un danno rilevante per eccesso di
proteasi neutrofila, non sviluppano in realtà enfisema
polmonare. Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare
che altri meccanismi siano coinvolti nella patogenesi
della malattia.
Tra le cellule coinvolte nel processo infiammatorio presente nel polmone dei soggetti affetti da BPCO, si è visto che
quelle più rappresentate, sia nelle vie aeree periferiche sia
nel resto dell’albero bronchiale e nel parenchima, sono
i linfociti T CD8+. Questi non sono solo aumentati di
numero, ma sono anche correlati direttamente al grado
di ostruzione delle vie aeree, suggerendo un ruolo centrale
di tali cellule e dei loro mediatori nella patogenesi della
riduzione del flusso aereo.
Così come i linfociti CD4+, anche i linfociti CD8+ si caratterizzano, sulla base delle citochine prodotte, in linfociti
di tipo 1 (che producono IFN-, coinvolto nella risposta
alle infezioni batteriche e virali e nell’attivazione dei macrofagi) e di tipo 2 (che producono IL-4 e IL-5, coinvolte
nella genesi delle patologie allergiche come l’asma). Studi recenti hanno evidenziato nella vie aeree periferiche
di soggetti con BPCO un aumento del recettore CXCR3
espresso dai linfociti T IFN- positivi e caratteristico di
una risposta immunitaria di tipo 1.
È interessante osservare che nei pazienti con BPCO è presente un’espansione oligoclonale dei linfociti che, nei
soggetti più gravi, appaiono organizzati in veri e propri
follicoli, con un centro germinativo ricco di linfociti B,
circondato da una regione periferica con numerosi linfociti T. Questa particolare organizzazione patologica ha
suggerito l’ipotesi che, con l’aggravamento della malattia, si sviluppi una risposta immunologica acquisita nei
confronti di un antigene specifico. In considerazione del
fatto che la colonizzazione batterica è frequente nelle vie
aeree dei pazienti con BPCO grave, è stato inizialmente
proposto che questo antigene fosse di natura infettiva.
Tuttavia, visti i risultati controversi degli studi che hanno cercato di identificare antigeni infettivi, l’attenzione
è stata successivamente rivolta verso antigeni endogeni
modificati dal fumo di sigaretta. È plausibile che, in tutti
i fumatori, il fumo di tabacco induca l’attivazione della
risposta immune innata caratterizzata dal reclutamento
di neutrofili e macrofagi. Questo processo infiammatorio
danneggia le cellule strutturali polmonari e degrada l’interstizio, liberando elastina, collagene e proteoglicani.
Nei fumatori suscettibili, i peptidi derivati da questo processo potrebbero attivare la risposta immune acquisita,
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
inducendo la proliferazione di cellule T e cellule B autoreattive ed eludendo i meccanismi di tolleranza immunologica. Secondo questa linea di ricerca, nel polmone dei
pazienti con BPCO sarebbero presenti degli autoantigeni
e la risposta infiammatoria sarebbe caratterizzata da una
componente autoimmune.
Ruolo dello stress ossidativo
Lo stress ossidativo sembra avere un ruolo importante
nella patogenesi della malattia. Nei fumatori e nei pazienti
con BPCO si assiste a uno squilibrio tra agenti ossidanti
e antiossidanti a favore dei primi, potendo contribuire
all’insorgenza della malattia attraverso differenti meccanismi, tra i quali l’attivazione del fattore di trascrizione
nucleare kB (NF-kB) che induce la trascrizione di Tumor
Necrosis Factor (TNF)-, di IL-8 e di altri mediatori infiammatori. Caratteristica centrale nella patogenesi della
BPCO è inoltre la diminuita produzione, indotta dal fumo
di sigaretta, di glutatione (GSH, Reduced-Glutathione), un
importante antiossidante, a livello alveolare e polmonare.
Una misura diretta dello stress ossidativo a livello delle vie
aeree è rappresentata dal riscontro nell’esalato di perossido di idrogeno, che è presente in alte concentrazioni in
corso di riacutizzazione e nei pazienti con BPCO rispetto
ai soggetti normali.
Infiammazione in fase di riacutizzazione
La BPCO è spesso caratterizzata da episodi di riacutizzazione della sintomatologia. Una riacutizzazione di BPCO
si definisce come un evento, nel decorso naturale della
malattia, caratterizzato da una variazione dei sintomi di
base del paziente (dispnea, tosse e/o espettorazione) di
entità superiore alla normale variabilità giornaliera, con
esordio acuto e che può richiedere un cambiamento nella
terapia regolare.
Le cause più frequenti delle riacutizzazioni sono le infezioni dell’albero tracheo-bronchiale (virali e batteriche)
e l’inquinamento atmosferico. I meccanismi attraverso
cui questi agenti eziologici possono causare le riacutizzazioni della malattia sono poco conosciuti. Tuttavia, i
risultati degli studi esistenti evidenziano la presenza di
un’amplificazione del processo infiammatorio associato
a un’aumentata produzione di citochine proinfiammatorie. Le riacutizzazioni di BPCO sono caratterizzate,
infatti, da un marcato aumento di granulociti neutrofili
nel polmone, che si associa a un’aumentata espressione di IL-8 (o CXCL-8), che ha un’azione chemotattica
sui neutrofili, e dell’enzima mieloperossidasi, che è un
indice di attivazione di tali cellule. In corso di riacutizzazione, si osserva inoltre un aumento del TNF-, una
molecola in grado di aumentare l’espressione delle molecole di adesione sulle cellule endoteliali, facilitando così
la migrazione dei leucociti dai vasi del circolo bronchiale
al tessuto polmonare. Oltre a CXCL8, anche CXCL5
(detto anche ENA-78, Epithelial-derived Neutrophil
Activating peptide) sembra avere un ruolo cruciale nel
reclutamento dei neutrofili durante le riacutizzazioni
della malattia, soprattutto in quelle più gravi. Poiché
la neutrofilia e i livelli di IL-8 sono correlati al numero
di unità formanti colonie batteriche, si è ipotizzato che
le infezioni batteriche avessero un ruolo causale nelle
riacutizzazioni di BPCO.
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D’altra parte, durante le riacutizzazioni, in alcuni pazienti
la neutrofilia si associa a una marcata eosinofilia, soprattutto in presenza di infezioni virali. Infatti, l’induzione di
citochine chemotattiche per gli eosinofili come eotassina
e RANTES rientra tra i meccanismi di risposta ai virus ed
è in grado di promuovere l’apoptosi delle cellule infette, agendo in sinergia con i linfociti citotossici CD8+.
È quindi possibile che in una malattia come la BPCO,
caratterizzata da un’infiltrazione di linfociti T CD8+, riacutizzazioni virali ripetute possano favorire la distruzione
del tessuto alveolare. Chiarire gli eventi che sono alla
base delle riacutizzazioni di BPCO è fondamentale sia per
prevenirle sia per sviluppare nuove e più efficaci terapie.
Questo obiettivo è di primaria importanza, poiché si è
osservato che, tra i pazienti con gravi riacutizzazioni di
BPCO che richiedono il ricovero ospedaliero, la mortalità
a 2 anni è del 49%, un tasso drammatico, simile a quello
del tumore del polmone.
451
2
Infiammazione sistemica
Studi recenti sembrano indicare che nella BPCO l’infiammazione non sia confinata al polmone, ma sia
riscontrabile anche a livello sistemico, determinando
quindi manifestazioni cliniche extrapolmonari, che
comprendono la debolezza muscolare, le patologie
dell’apparato cardiovascolare, l’osteoporosi, l’ipertensione arteriosa, la depressione, il peggioramento delle
funzioni cognitive, i disturbi del sonno, le disfunzioni
sessuali e il diabete. Il giudizio di gravità del paziente affetto da BPCO dovrebbe pertanto comprendere
anche una valutazione delle manifestazioni extrapolmonari.
Nel sangue periferico dei pazienti affetti da BPCO sono
riscontrabili elevati livelli di diverse molecole proinfiammatorie. Le concentrazioni di proteina C reattiva (PCR)
sono aumentate nel siero dei pazienti affetti da BPCO,
indipendentemente dal fatto che questi fossero o meno
fumatori. Nel sangue periferico si è inoltre osservato un
aumento del numero dei granulociti neutrofili, i quali
risultano anche attivati, e dei linfociti T CD4+ e CD8+.
Infine, anche le concentrazioni del TNF- e del suo recettore solubile sono elevate nel paziente affetto da BPCO,
soprattutto in quelli che presentano un basso indice di
massa corporea (BMI, Body Mass Index). Questa osservazione è particolarmente interessante, perché un basso BMI
è un importante fattore prognostico negativo, in grado
quindi di individuare i pazienti con BPCO a maggior
rischio di mortalità.
Fisiopatologia
La fisiopatologia rappresenta l’anello di congiunzione
tra le alterazioni anatomopatologiche prima descritte e
le manifestazioni cliniche della malattia. Come si è già
visto, l’elemento fisiopatologico cardine che definisce la
BPCO è l’ostruzione al flusso aereo, non completamente
reversibile. Poiché il flusso è dato dal rapporto tra la pressione che lo genera e le resistenze che vi si oppongono
(flusso = ΔP/R), una diminuzione del flusso può essere
determinata sia da una riduzione della pressione di spinta
sia da un aumento delle resistenze. Poiché la pressione
che genera il flusso è determinata dalla forza di ritorno
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452
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
elastico del polmone, la perdita di tessuto polmonare, che
caratterizza l’enfisema polmonare, causa una riduzione
di questa pressione e, di conseguenza, una riduzione del
flusso. L’infiammazione cronica che determina l’ispessimento della parete delle vie aeree con accumulo di cellule,
muco ed essudato a livello intraluminale (bronchiolite)
contribuisce invece alla riduzione del flusso aumentando
le resistenze (Fig. 18.12).
Inoltre, è importante ricordare che il calibro bronchiale
non dipende unicamente dalle condizioni anatomiche e
funzionali delle pareti bronchiali, ma anche dalla loro relazione con il parenchima circostante (interdipendenza).
Le pareti bronchiali, soprattutto nelle vie aeree periferiche, sono strutture flessibili e sono sottoposte a una forza
di trazione da parte del parenchima; questa a sua volta
dipende dalla forza di retrazione elastica del polmone e
dall’integrità strutturale della zona di connessione tra le
vie aeree e il parenchima. L’enfisema polmonare contribuisce alla riduzione del flusso non soltanto diminuendo
la forza di retrazione elastica del polmone, ma anche
attraverso la rottura degli attacchi alveolari, cioè di quelle
pareti alveolari che ancorandosi alle vie aeree contribuiscono a mantenerle pervie.
La presenza di un’ostruzione bronchiale poco reversibile
viene rilevata con le prove di funzionalità respiratoria e
in particolare con la spirometria. Le linee guida nazionali e
internazionali indicano il VEMS e il rapporto VEMS/CVF
come i parametri funzionali principali per la diagnosi, la
valutazione di gravità e il monitoraggio della malattia.
Un valore del rapporto VEMS/CVF < 70% dopo somministrazione di un broncodilatatore indica la presenza di
una broncostruzione poco reversibile.
Il soggetto con broncostruzione, per completare la normale espirazione, ha bisogno di un tempo espiratorio più
lungo (tanto più prolungato quanto più basso è il flusso
espiratorio). In queste condizioni l’inspirazione successiva
potrebbe iniziare prima che il polmone raggiunga il punto di equilibrio elastico (cioè il punto in cui il richiamo
elastico del polmone verso l’interno è controbilanciato dal richiamo della parete toracica verso l’esterno). Il
respiro a volumi polmonari più elevati determina uno
stato di iperinsufflazione polmonare caratterizzato da un
aumento del volume residuo e della capacità funzionale
residua e da una diminuzione della capacità inspiratoria.
A questa conseguono un incremento del lavoro respiratorio e un aumento della sensazione di dispnea, che negli
stadi iniziali della malattia compare tipicamente durante
l’esercizio, ma negli stadi più avanzati è presente anche
a riposo.
Nei soggetti con BPCO, le alterazioni anatomopatologiche sono responsabili anche delle alterazioni fisiopatologiche che condizionano gli scambi gassosi. La perdita del
letto capillare contenuto nelle pareti alveolari distrutte è
responsabile della riduzione della capacità di diffusione
alveolo-capillare (DLco). Inoltre, a causa dell’ostruzione
delle vie aeree periferiche e della distruzione della rete capillare, si ha una distribuzione disomogenea della
ventilazione e della perfusione nel polmone. L’alterato
rapporto ventilazione/perfusione risultante è responsabile delle anomalie degli scambi gassosi che si manifestano
dapprima con ipossiemia e poi con ipercapnia. Nelle
fasi più avanzate, l’affaticamento dei muscoli respira-
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tori riduce la ventilazione, contribuendo ad aggravare
l’ipercapnia.
Infine, negli stadi più avanzati di BPCO si può sviluppare
ipertensione polmonare, che è di solito lieve o moderata
(molto raramente si riscontra un quadro di ipertensione
polmonare grave). L’ipertensione polmonare è prevalentemente dovuta a vasocostrizione ipossica delle piccole
arterie polmonari, ma anche ad alterazioni strutturali,
quali il rimodellamento della tonaca intima e della tonaca media, associate a un processo infiammatorio della
parete e a disfunzione delle cellule endoteliali. Inoltre,
la perdita del letto capillare polmonare nell’enfisema
può contribuire all’aumento della pressione nella circolazione polmonare. L’ipertensione polmonare accresce
il postcarico e quindi il lavoro del ventricolo destro, cui
fanno seguito l’ipertrofia e, eventualmente, l’insufficienza
cardiaca destra (cuore polmonare).
Manifestazioni cliniche
I sintomi più frequenti nel paziente con BPCO sono dispnea, tosse ed espettorato cronici.
La dispnea, descritta dai pazienti come “mancanza di
respiro” o “fame d’aria”, costituisce il sintomo cardine
della BPCO, il motivo principale per il quale i pazienti
richiedono l’intervento medico. La dispnea è tipicamente progressiva e diviene sempre più invalidante con il
graduale peggioramento della funzionalità respiratoria.
Inizialmente si manifesta solo sotto sforzo (camminando, salendo le scale), poi diventa costante ed è la causa
principale della limitazione delle attività quotidiane (per
esempio, vestirsi e lavarsi); infine, è presente anche a
riposo e confina il paziente a casa.
La tosse cronica può costituire il primo sintomo che insorge
in corso di BPCO. La tosse può manifestarsi in maniera
prima saltuaria, per divenire poi con il progredire della
malattia quotidiana; è di solito associata a escreato, ma
occasionalmente può presentarsi come tosse secca. Tosse
ed escreato cronici possono precedere di anni lo sviluppo
dell’ostruzione bronchiale, ma è anche vero che, in alcuni
soggetti, i sintomi cronici possono persistere per tutta la
vita senza che si sviluppi bronco-ostruzione. D’altra parte,
può anche succedere che l’ostruzione bronchiale insorga
anche in assenza di tosse cronica ed espettorazione.
Respiro sibilante, costrizione e/o oppressione toracica
sono sintomi meno specifici, che possono essere talvolta
presenti nella BPCO, ma sono più caratteristici dell’asma
bronchiale. La loro assenza non esclude la diagnosi di
BPCO, né la loro presenza indica necessariamente una
diagnosi di asma.
Pur se i sintomi e l’ostruzione si sviluppano di solito in
maniera graduale, in alcuni pazienti la malattia sembra
avere un esordio acuto. In realtà, si tratta di pazienti in cui
la BPCO viene diagnosticata in occasione di un episodio
acuto, spesso associato a infezioni virali e/o batteriche,
ma un’accurata anamnesi in queste occasioni dovrebbe
permettere di rilevare la presenza di sintomi cronici esistenti da mesi o anni.
I pazienti affetti da BPCO vanno incontro a ricorrenti
episodi di riacutizzazione della sintomatologia respiratoria, caratterizzati da aumento di dispnea e/o tosse ed
escreato produttivo di entità superiore alla normale varia-
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
bilità giornaliera. Questi eventi hanno un esordio acuto
o subacuto e richiedono l’uso di farmaci broncodilatatori
e, spesso, di steroidi sistemici, in aggiunta alla terapia
in corso. L’incidenza delle riacutizzazioni è di circa un
episodio per paziente per anno, con frequenza minore
nei pazienti con BPCO lieve (< 0,5) e maggiore nei pazienti con BPCO grave (> 2). Le riacutizzazioni hanno un
importante impatto sulla qualità di vita e sulla prognosi
di questi pazienti; la regressione della sintomatologia e
delle alterazioni funzionali richiede da diversi giorni a
settimane e alcuni pazienti non ritornano mai allo stato
funzionale precedente la riacutizzazione.
Le cause più comuni di riacutizzazione sono le infezioni
dell’albero tracheo-bronchiale (sia batteriche sia virali) e
l’esposizione a inquinanti ambientali o domestici. Nella
maggioranza dei casi è impossibile identificare la causa principale della riacutizzazione e si ritiene che concause legate
alle frequenti comorbilità dei pazienti con BPCO (malattie
cardiovascolari, metaboliche, osteomuscolari, ematologiche) possano contribuire al peggioramento dei sintomi.
Diagnosi
La diagnosi clinica di BPCO va sempre presa in considerazione nei pazienti che si presentano con dispnea, tosse ed escreato cronici, in particolare se con un’anamnesi positiva per
fumo o esposizione a inquinanti. La diagnosi va comunque
confermata con l’esame spirometrico (Fig. 18.13). È tuttavia
utile considerare anche gli ulteriori dati che seguono.
Anamnesi
Nei soggetti in cui si sospetta la BPCO, un’anamnesi accurata deve indagare:
• l’esposizione al fumo o a polveri e gas inquinanti
presenti nell’ambiente di lavoro;
• l’analisi patologica remota, con particolare
attenzione alle infezioni delle basse vie respiratorie
contratte durante l’infanzia e ad altre malattie
dell’apparato respiratorio (per esempio, storia
di asma, allergie, sinusiti);
• l’eventuale familiarità per la BPCO;
• le riacutizzazioni e i precedenti ricoveri in ospedale
per malattie respiratorie;
• la presenza dei sintomi caratteristici (dispnea, tosse
ed escreato cronici) e la loro evoluzione nel tempo.
È inoltre importante indagare l’impatto della sintomatologia in relazione alle attività quotidiane (chiedendo,
per esempio, quale sia l’entità dello sforzo in seguito al
quale compare dispnea), così come l’eventuale presenza
di comorbidità, i trattamenti farmacologici in atto e la
sensazione di ansietà o depressione.
In fase di riacutizzazione una corretta anamnesi consente,
in genere, di definire il livello di gravità della riacutizzazione stessa. In questi pazienti l’informazione più importante
da ottenere è il peggioramento dei sintomi (tosse, espettorato e soprattutto dispnea) rispetto alle condizioni di base.
È inoltre utile chiedere al paziente se ha febbre e indagare
le caratteristiche dell’espettorato (volume e colore). Lo
stato febbrile e il viraggio del colore dell’espettorato verso
il giallo/verde depongono a favore di una natura infettiva
della riacutizzazione.
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Esame obiettivo
Nelle fasi iniziali della malattia l’esame obiettivo può essere completamente negativo e i pazienti possono presentare
soltanto i segni dell’abitudine tabagica (odor di fumo, dita,
denti o baffi gialli). Nelle fasi più avanzate della malattia
l’esame obiettivo evidenzia una riduzione del murmure
vescicolare, con espirio prolungato, respiro variamente
sibilante con ronchi e fischi prevalentemente nella fase di
espirio. Segni di iperinsufflazione comprendono la presenza di un torace “a botte”, iperfonesi e ridotta escursione
delle basi polmonari e degli emidiaframmi, come è possibile valutare attraverso la percussione polmonare.
Solitamente i pazienti con BPCO grave respirano a labbra
socchiuse, creando una pressione intriseca, per evitare il
collasso delle vie aeree periferiche durante l’espirazione.
Questi pazienti possono anche presentare un interessamento dei muscoli accessori, con attivazione di intercostali e
sternocleidomastoideo, cianosi, visibile soprattutto a livello
labiale e del letto ungueale, perdita della massa muscolare,
con significativo calo ponderale e perdita diffusa del grasso
sottocutaneo. Il riscontro di dita a “vetrino di orologio” non è
un segno specifico di BPCO, ma dell’insufficienza respiratoria
cronica che può essere presente anche in altre patologie.
In corso di riacutizzazione, l’esame obiettivo consente di
verificare l’uso dei muscoli accessori, l’eventuale presenza
di cianosi, tachicardia e tachipnea. È importante indagare la capacità di pronunciare frasi complete e di senso
compiuto e lo stato mentale. L’esame obiettivo consente
inoltre di stabilire l’eventuale presenza di focolai broncopneumonici, respiro sibilante e asimmetrie dinamiche fra i
due emitoraci, attribuibili ad atelettasia da ostruzione di
un grosso bronco o pneumotorace, che vanno comunque
confermate radiologicamente.
453
2
Esami strumentali
Esami di funzionalità respiratoria La spirometria, secondo
le linee guida, è l’esame essenziale per la diagnosi di BPCO,
in quanto permette di evidenziare l’ostruzione bronchiale
(VEMS/CVF < 70% dopo broncodilatatore o terapia) e di
graduarne la gravità sulla base del VEMS (percentuale teorica). In fase di riacutizzazione si può assistere a un peggioramento del grado di ostruzione bronchiale, con un ulteriore
aumento degli indici di iperinsufflazione polmonare.
L’EGA arteriosa permette di valutare lo stato degli scambi
gassosi e di evidenziare l’eventuale presenza di insufficienza
respiratoria, che può essere associata o meno ad acidosi
respiratoria. L’EGA è particolarmente importante nella
valutazione clinica dei pazienti con BPCO riacutizzata, che
spesso non sono in grado di effettuare una manovra spirometrica, perché consente di stimare la gravità dello scom-
ESPOSIZIONE
A FATTORI DI RISCHIO
Tabacco
Lavoro
Inquinanti ambientali
SINTOMI
Tosse
Espettorato
Dispnea
SPIROMETRIA
Figura 18.13
Diagnosi di
BPCO.
6/9/10 9:43:47 PM
454
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
penso respiratorio dei pazienti e di intervenire con presidi
terapeutici adeguati (per esempio, ventilazione meccanica
non invasiva; si veda oltre, Trattamento della BPCO).
Il test del cammino è un esame semplice e utile per valutare
la tolleranza allo sforzo dei pazienti con BPCO durante
un esercizio submassimale. Il test consiste nel far eseguire al paziente una marcia della durata complessiva di 6
min, eseguita in piano e a ritmo sostenuto, misurando la
distanza percorsa, il grado di dispnea all’inizio e al termine della prova e monitorando il livello di saturazione
ossiemoglobinica.
Studio radiologico Lo studio radiologico del torace è
parte integrante nella valutazione diagnostica dei soggetti
affetti da BPCO.
La radiografia del torace, da eseguirsi in due proiezioni
(postero-anteriore e latero-laterale), consente di individuare
i segni di enfisema polmonare (aumentata trasparenza del
polmone, appiattimento degli emidiaframmi, orizzontalizzazione delle coste, incremento dello spazio retrosternale,
perdita della normale sinuosità dei vasi con riduzione dei
rami collaterali) e di bronchite cronica (ispessimento delle
pareti bronchiali e dell’interstizio polmonare). È importante valutare alla radiografia anche l’ingrandimento delle
sezioni destre del cuore e del cono di efflusso dell’arteria
polmonare, segni di cuore polmonare cronico e di ipertensione polmonare. In fase di riacutizzazione della malattia,
questi reperti possono diventare ancora più evidenti per il
peggioramento dell’iperinsufflazione, dell’infiammazione
bronchiale e, talvolta, del sovraccarico cardiaco destro. Inoltre, durante le riacutizzazioni di BPCO, nella valutazione
della radiografia del torace è importante porre attenzione
all’eventuale presenza di segni radiologici tipici degli eventi
patologici scatenanti o conseguenti alla riacutizzazione (per
esempio, focolai broncopneumonici, edema polmonare e/o
versamento pleurico da scompenso cardiaco ecc.).
La HRCT del torace non è un esame di routine nel paziente
con BPCO. Tuttavia, può essere utile per confermare i segni
di enfisema polmonare riscontrati alla radiografia, permettendo di definirne le caratteristiche morfologiche e l’estensione. È inoltre di particolare utilità nei pazienti candidati
alla terapia chirurgica (bullectomia, riduzione chirurgica
del volume polmonare e trapianto polmonare).
Indice BODE Il BODE è un indice multidimensionale
utile nella valutazione della gravità della BPCO. Le variabili
impiegate per calcolare l’indice BODE (Body mass index,
Obstruction, Dyspnoea, Exercise capacity) sono l’indice di
massa corporea, il grado di ostruzione del flusso aereo, la
dispnea (punteggio assegnato sulla base del grado di affaticamento respiratorio) e la tolleranza all’esercizio (distanza
percorsa durante il test del cammino). Il BODE rappresenta
un ottimo indice prognostico di mortalità ed è un criterio
importante di inserimento in lista per il trapianto polmonare del paziente affetto da BPCO.
Esami di laboratorio
L’emocromo può evidenziare una policitemia con aumento dell’ematocrito, come conseguenza di ipossiemia
cronica, e, in fase di BPCO riacutizzata, può essere utile
nella valutazione di un’eventuale leucocitosi. La velocità
di eritrosedimentazione e la PCR, indici sistemici di flogosi, possono superare i livelli normali anche nella fase
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di stabilità dei sintomi respiratori, ma aumentano tipicamente durante le riacutizzazioni della malattia.
Il dosaggio della concentrazione sierica dell’1-antitripsina
consente di individuare i soggetti con deficit di questo
enzima, di determinarne il genotipo e, ove disponibile,
di attuare la terapia sostitutiva.
Diagnosi differenziale
La BPCO, data l’aspecificità della sintomatologia respiratoria, va posta in diagnosi differenziale con numerose
patologie (Tab. 18.7), anche se la più frequente è con
l’asma bronchiale (Fig. 18.14).
• Asma bronchiale:
– esordio precoce (spesso nell’infanzia);
– sintomatologia variabile a seconda dei giorni;
– frequenti sintomi notturni o nelle prime ore del
mattino;
– spesso presenti allergia, rinite e/o eczema;
– storia familiare di asma;
– limitazione al flusso aereo ampiamente reversibile.
• Insufficienza cardiaca congestizia:
– fini rantoli crepitanti basali all’auscultazione del
torace;
– la radiografia del torace mostra aumento
dell’ombra cardiaca ed edema polmonare;
– le prove di funzionalità respiratoria rilevano una
sindrome restrittiva e non ostruttiva.
• Bronchiectasie:
– espettorato abbondante e purulento;
– comunemente associate a infezioni batteriche;
– rantoli grossolani/clubbing all’auscultazione;
– la radiografia/TC del torace mostra dilatazioni
bronchiali e ispessimento delle pareti bronchiali.
• Carcinoma polmonare:
– esordio in qualunque età;
– la radiografia del torace mostra un infiltrato
polmonare o lesioni nodulari;
– esami microbiologici di conferma;
– elevata prevalenza locale di malattia.
• Tubercolosi polmonare:
– esordio in età giovanile in soggetti non fumatori;
– può essere presente una storia di artrite
reumatoide o di esposizione a fumi;
– la TC del torace in espirio mostra aree ipodense.
• Bronchiolite obliterante:
– la maggior parte dei pazienti sono maschi e non
fumatori;
– quasi tutti i pazienti presentano sinusite cronica;
– la radiografia del torace e l’HRCT mostrano
piccole opacità nodulari centrolobulari diffuse
e iperinflazione.
Trattamento della BPCO
Gli obiettivi principali della terapia sono volti a prevenire
e a gestire i sintomi, a ridurre la frequenza e la gravità delle
riacutizzazioni, a migliorare lo stato di salute e ad aumentare la tolleranza allo sforzo. La cessazione dell’abitudine
tabagica, l’ossigenoterapia a lungo termine (nei pazienti con
insufficienza respiratoria cronica) e la riduzione chirurgica
dei volumi polmonari (in casi molto selezionati di enfisema
polmonare) sono gli unici interventi in grado di modificare
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
Tabella 18.7
455
Diagnosi differenziale della BPCO*
Diagnosi
BPCO
Elementi distintivi
Esordio in età media
Sintomi lentamente progressivi
Lunga storia di fumo
Dispnea da sforzo
Limitazione al flusso aereo scarsamente o non reversibile
Asma
Esordio precoce (spesso nell’infanzia)
Sintomatologia variabile a seconda dei giorni
Frequenti sintomi notturni o nelle prime ore del mattino
Spesso presenti allergia, rinite e/o eczema
Storia familiare di asma
Limitazione al flusso aereo ampiamente reversibile
Scompenso cardiaco
congestizio
Fini rantoli crepitanti basali all’auscultazione del torace
La radiografia del torace mostra un aumento dell’ombra cardiaca ed edema polmonare
Le prove di funzionalità respiratoria evidenziano una sindrome restrittiva, non ostruttiva
Bronchiectasie
Espettorato abbondante e purulento
Comunemente associate a infezioni batteriche
Rantoli grossolani all’auscultazione, dita “a bacchetta di tamburo”
La radiografia/TC del torace mostra dilatazioni bronchiali, ispessimento delle pareti bronchiali
Tubercolosi
Esordio a qualunque età
La radiografia del torace mostra un infiltrato polmonare o lesioni nodulari
Esami microbiologici di conferma
Elevata prevalenza locale di malattia
Bronchiolite obliterante
Esordio in età giovanile, in soggetti non fumatori
Può essere presente una storia di artrite reumatoide o di esposizione a fumi
La TC del torace in espirio mostra aree ipodense
Panbronchiolite diffusa
La maggior parte dei pazienti sono maschi e non fumatori
Quasi tutti i pazienti presentano sinusite cronica
La radiografia del torace e l’HRCT mostrano piccole opacità nodulari centrolobulari diffuse e iperinsufflazione
2
*Questi elementi tendono a essere caratteristici delle rispettive patologie, ma non sono presenti in tutti i casi. Per esempio, un soggetto che non ha mai
fumato può sviluppare BPCO (specie nei Paesi in via di sviluppo dove altri fattori di rischio possono essere più importanti del fumo di sigaretta); l’asma può
esordire in età adulta e anche senile.
(Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.)
la storia naturale della BPCO. Tutte le altre terapie farmacologiche, comportamentali o riabilitative, migliorano i sintomi
e riducono la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni della
malattia senza però influenzare la storia naturale del paziente
affetto da questa malattia. Il grado di ostruzione bronchiale,
misurato con la spirometria postbroncodilatatore, rappresenta una guida generale all’impostazione del trattamento, che
però deve tenere conto anche della risposta individuale alle
diverse terapie e delle eventuali comorbilità (Tab. 18.8).
cerotti che erogano il farmaco per via transdermica, per
via inalatoria e come spray nasale), il bupropione, originariamente impiegato per la sua azione antidepressiva,
e più di recente la vareniclina, un farmaco che agisce in
modo analogo alla nicotina a livello cerebrale.
Terapia
Terapia farmacologica
Cessazione dell’abitudine tabagica
La cessazione dell’abitudine tabagica è la singola misura
più efficace, ed economicamente più vantaggiosa, per
ridurre il rischio di sviluppare BPCO e per rallentarne
la progressione. L’educazione sanitaria, che comprende
i supporti medico e psicologico, e una specifica terapia
farmacologica sono interventi cardine che dovrebbero
essere proposti a tutti i pazienti con BPCO. I presidi farmacologici includono la terapia sostitutiva con nicotina
(disponibile in diverse formulazioni: gomma da masticare,
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Come già esposto, la terapia farmacologia attualmente disponibile è volta a prevenire e a gestire i sintomi,
a ridurre la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni,
ad aumentare la tolleranza allo sforzo e a migliorare
la qualità di vita del paziente con BPCO. I farmaci al
momento disponibili non sono in grado di ridurre
la progressiva e patologica perdita della funzionalità
respiratoria né la mortalità di questi pazienti, e quindi
di modificare la storia naturale della malattia.
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456
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
Tabella 18.8 Terapia della BPCO stabile
I – lieve
VEMS/CVF < 0,7
VEMS ≥ 80% del teorico
Riduzione attiva dei fattori
di rischio; vaccinazione
antinfluenzale
Aggiungere broncodilatatori
a breve durata di azione
(quando necessario)
II – moderata
VEMS/CVF < 0,7
50% ≤ VEMS < 80%
del teorico
Riduzione attiva dei fattori
di rischio; vaccinazione
antinfluenzale
Aggiungere broncodilatatori
a breve durata di azione
(quando necessario)
Aggiungere un trattamento
regolare con uno o più broncodilatatori a lunga durata
di azione (quando necessario)
Aggiungere riabilitazione
III – grave
VEMS/CVF < 0,7
30% ≤ VEMS < 50%
del teorico
Riduzione attiva dei fattori
di rischio; vaccinazione
antinfluenzale
Aggiungere broncodilatatori
a breve durata di azione
(quando necessario)
Aggiungere un trattamento
regolare con uno o più broncodilatatori a lunga durata
di azione (quando necessario)
Aggiungere riabilitazione
Aggiungere glucocorticosteroidi inalatori in caso di ripetute
riacutizzazioni
VEMS = volume espiratorio forzato al primo secondo; CVF = capacità vitale forzata.
(Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease.
US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.)
Broncodilatatori
I farmaci 2-stimolanti adrenergici e gli anticolinergici sono i farmaci broncodilatatori di più frequente
utilizzo nella BPCO e svolgono un ruolo centrale nel
controllo dei sintomi. Si somministrano sia come
terapia regolare sia al bisogno.
I broncodilatatori più comunemente usati sono i
2-agonisti a breve (salbutamolo, terbutalina) o
lunga (formoterolo e salmeterolo) durata di azione
e gli anticolinergici (ipratropio, oxitropio e tiotropio). I broncodilatatori di tutte le categorie riducono i sintomi e aumentano la tolleranza allo sforzo
anche in assenza di un miglioramento dei volumi
polmonari alla spirometria. La scelta dipende dalla disponibilità dei farmaci e dalla risposta del paziente. La terapia prevede un broncodilatatore a
BPCO
Fumo
di sigaretta
ASMA
Allergeni
Y
Cellule
epiteliali
Linfociti T
CD4+(Th2)
Y Y
Mast
cellule
Macrofagi
alveolari
Cellule
epiteliali
Eosinofili
T linfociti
CD8+ (Th1)
Neutrofili
Riduzione del calibro
delle piccole vie aeree
Distruzione alveolare
Broncocostrizione
Iper-reattività bronchiale
Figura 18.14
Diagnosi
differenziale tra
asma e BPCO.
IV – molto grave
VEMS/CVF < 0,7
VEMS < 30% del teorico
o VEMS < 50% del teorico con
insufficienza respiratoria cronica
Riduzione attiva dei fattori
di rischio; vaccinazione
antinfluenzale
Aggiungere broncodilatatori
a breve durata di azione
(quando necessario)
Aggiungere un trattamento regolare con uno o più broncodilatatori a lunga durata di azione
(quando necessario)
Aggiungere riabilitazione
Aggiungere glucocorticosteroidi
inalatori in caso di ripetute
riacutizzazioni
Aggiungere ossigenoterapia
a lungo termine in caso
di insufficienza respiratoria
Prendere in considerazione
la terapia chirurgica
Ostruzione bronchiale
Reversibile
Irreversibile
(Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.)
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
breve durata di azione al bisogno per i pazienti con
pochi sintomi (a partire dallo stadio I). Negli stadi
successivi si aggiunge la terapia regolare con broncodilatatori a lunga durata di azione, aumentando
la dose a mano a mano che i sintomi diventano più
gravi. La combinazione di broncodilatatori a differente meccanismo e durata d’azione può aumentare
il grado di broncodilatazione. Gli effetti collaterali
dei broncodilatatori, come i tremori e la tachicardia,
sono dose-dipendenti e devono essere indagati nei
pazienti durante le visite di follow-up.
Nel trattamento delle riacutizzazioni di BPCO, i
broncodilatatori preferiti sono i 2-agonisti a breve
durata di azione somministrati con nebulizzatori.
Se non vi è una pronta risposta a questi farmaci, è
consigliata l’aggiunta di un anticolinergico; questi
farmaci possono essere somministrati separatamente
o nello stesso nebulizzatore e la frequenza di somministrazione dipende essenzialmente dalla gravità
della riacutizzazione. Le metilxantine (teofillina e
aminofillina) sono considerate attualmente una terapia di seconda scelta, da somministrare in infusione
endovenosa, quando la risposta ai broncodilatatori a
breve durata di azione è inadeguata o insufficiente.
Glucocorticoidi
Per il trattamento dei pazienti con BPCO grave, che
vanno incontro a frequenti riacutizzazioni, le linee
guida suggeriscono l’uso di steroidi inalatori in aggiunta alla terapia regolare con broncodilatatori. Evidenze
recenti, ma limitate, indicano che l’impiego prolungato
di un’associazione inalatoria di un broncodilatatore
a lunga durata di azione e di uno steroide inalatorio
possa ridurre la mortalità e l’evoluzione della BPCO in
pazienti moderato-gravi; tuttavia, questo dato necessita
di ulteriori conferme. L’uso degli steroidi sistemici, in
passato frequente nel trattamento regolare della BPCO,
è oggi ritenuto poco efficace e associato a inaccettabili
effetti collaterali, tra i quali fratture ossee in seguito a
osteoporosi, insorgenza di diabete mellito, ipertensione
e gastropatie. Cicli di steroidi somministrati per via
orale o parenterale sono invece raccomandati nel trattamento ospedaliero delle riacutizzazioni della BPCO.
Ossigenoterapia
L’ossigenoterapia continuativa e a lungo termine è indicata solo per i pazienti con insufficienza respiratoria
cronica. Ha effetti positivi sull’emodinamica polmonare, sul profilo ematologico e sulla tolleranza allo sforzo
e viene in genere prescritta ai pazienti con BPCO molto
grave (stadio IV), che presentano una PaO2 55 mmHg
a riposo a livello del mare e/o una SaO2 88%, associate
o meno a ipercapnia. L’obiettivo primario è di aumentare la PaO2 di base ad almeno 60 mmHg e/o ottenere una
SaO2 almeno del 90%. La decisione di instaurare l’ossigenoterapia a lungo termine dovrebbe essere presa sulla
scorta dei valori di PaO2 basali, in aria ambiente durante
la veglia. La prescrizione dovrebbe sempre contenere
la durata dell’uso e il flusso di ossigeno da utilizzare a
riposo, durante lo sforzo fisico e nel sonno.
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L’ossigenoterapia rappresenta inoltre il caposaldo
del trattamento ospedaliero di una riacutizzazione di
BPCO che dovrebbe essere basata sull’entità dell’ipossiemia. Adeguati livelli di ossigenazione (PaO2 > 60
mmHg o SaO2 > 90%) sono facili da raggiungere nelle
riacutizzazioni non complicate. Bisogna però tenere
conto del fatto che la ritenzione di CO2 può comparire insidiosamente, anche in assenza di un importante
peggioramento dei sintomi. A distanza di 30-60 min
dall’inizio dell’ossigenoterapia deve essere eseguita
un’EGA per controllare i livelli di ossigenazione e la
ritenzione di CO2.
Altre terapie farmacologiche
Il vaccino antinfluenzale riduce del 50% l’incidenza
di malattie gravi e la mortalità nei pazienti affetti da
BPCO. È raccomandato l’impiego di vaccini contenenti virus uccisi o attenuati, più efficaci nei pazienti
anziani. I ceppi si modificano annualmente, quindi
la somministrazione dovrebbe avvenire una volta
all’anno.
Il vaccino polisaccaridico antipneumococcico è raccomandato nei pazienti con BPCO di età superiore ai 65
anni e nei pazienti di età inferiore a 65 anni con un
VEMS < 40% del teorico, in quanto riduce l’incidenza
delle polmoniti acquisite in comunità.
457
2
Antibiotici
L’uso preventivo continuo degli antibiotici non ha
mostrato effetti benefici sulla frequenza delle riacutizzazioni; il loro impiego dovrebbe essere quindi
riservato al trattamento delle riacutizzazioni sulla
base dei seguenti criteri:
• pazienti in fase di riacutizzazione con i tre seguenti segni/sintomi cardinali: aumento della
dispnea, aumento del volume dell’escreato e aumento della purulenza dell’escreato;
• pazienti in fase di riacutizzazione con due segni/
sintomi cardinali, uno dei quali è l’aumento della
purulenza dell’escreato;
• pazienti in fase di riacutizzazione grave che richiedano ventilazione meccanica (invasiva e non
invasiva).
Farmaci mucolitici (mucocinetici,
mucoregolatori) e antitussigeni
Sebbene alcuni pazienti con escreato molto denso
possano trarre beneficio dall’uso di mucolitici, il loro
impiego non è raccomandato, in quanto non comporta miglioramenti eclatanti della sintomatologia
del paziente affetto da BPCO.
Nonostante la tosse sia talvolta un sintomo fastidioso,
ha un significativo ruolo protettivo. Per questo motivo l’uso regolare di antitussigeni non è raccomandato
nella BPCO stabile.
Agenti antiossidanti e immunoregolatori
(immunostimolanti, immunomodulatori)
Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato un effetto
di questi farmaci sulla gravità e sulla frequenza delle
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458
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
riacutizzazioni della BPCO, la loro efficacia è ancora
controversa e sono necessari ulteriori studi a lungo
termine prima di raccomandarne un uso regolare.
Terapia non farmacologica
Riabilitazione
La riabilitazione comporta, nei soggetti con BPCO a
tutti gli stadi, una riduzione dei sintomi, il miglioramento della tolleranza allo sforzo, e quindi della
qualità della vita, con una maggior partecipazione
fisica e psichica alle attività quotidiane. Questi risultati possono essere ottenuti anche dopo un singolo
ciclo di riabilitazione, ma per poterli mantenere il
paziente deve continuare gli esercizi appresi sempre,
anche a domicilio.
Ventilazione meccanica non invasiva
L’uso della ventilazione meccanica non invasiva
(NIMV, Non Invasive Mechanical Ventilation) nell’insufficienza respiratoria acuta che si verifica in corso
di riacutizzazione ha dato risultati positivi con tassi
di successo di circa l’80-85%. Questi studi forniscono
l’evidenza che la NIMV riduce l’acidosi respiratoria (aumentando il pH e diminuendo la PaCO2), la
frequenza respiratoria, la gravità della dispnea e la
durata della degenza ospedaliera. Tuttavia, l’evidenza
più importante è la riduzione della mortalità in corso
di riacutizzazione di BPCO. Le principali indicazioni
all’impiego della ventilazione non invasiva sono la
presenza di dispnea di grado moderato o grave con
utilizzo dei muscoli accessori e del movimento addominale paradosso, una frequenza respiratoria > 25
atti respiratori/min e l’ipercapnia (PaCO2 > 6 kPa, 45
mmHg) associata ad acidosi respiratoria scompensata
(pH < 7,35) da moderata a grave.
Le indicazioni a iniziare, invece, la ventilazione meccanica invasiva durante una riacutizzazione di BPCO
sono molteplici e includono il fallimento di un tentativo iniziale con NIMV. L’impiego della ventilazione
invasiva in pazienti con BPCO allo stadio terminale
è condizionato dalla verosimile reversibilità dei fattori precipitanti, dalla volontà del paziente e dalla
disponibilità dei servizi di terapia intensiva. I rischi
maggiori sono la polmonite da ventilatore (specialmente quando abbiano alta prevalenza le infezioni
da microrganismi multiresistenti), il barotrauma e
Fibrosi cistica
Definizione
La fi brosi cistica (FC) è la più frequente malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva della razza
caucasica. È coinvolto un singolo gene, identificato
nel braccio lungo del cromosoma 7, denominato CFTR
(Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator); esso codifica per una proteina, anch’essa chiamata CFTR, che
ha una funzione di “canale” delle membrane cellulari
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l’impossibilità di svezzare il paziente. Lo svezzamento
o l’interruzione della ventilazione meccanica può
essere particolarmente difficile e rischioso in pazienti
con BPCO ed è ancora dibattuto quale sia il metodo
migliore. Nei pazienti con BPCO in cui l’estubazione
fallisce, la NIMV facilita lo svezzamento e previene la
reintubazione, ma non riduce la mortalità.
Riduzione chirurgica dei volumi polmonari
La riduzione chirurgica dei volumi polmonari è
un intervento che implica la resezione chirurgica
di porzioni periferiche di polmone, con l’obiettivo
di rimuovere le aree enfisematose e permettere al
tessuto rimanente di ventilare in maniera più efficace. Essa rappresenta un’opzione terapeutica per i
pazienti con ridotta tolleranza allo sforzo ed enfisema
polmonare eterogeneo localizzato soprattutto ai lobi
superiori. Risulta invece meno efficace nei pazienti
con enfisema polmonare omogeneamente distribuito,
in cui va preferita la terapia medica. I pazienti, attentamente selezionati, dopo l’intervento chirurgico presentano un incremento della capacità dell’esercizio
massimale, con conseguente miglioramento anche
della qualità di vita.
Trapianto polmonare
In pazienti con BPCO avanzata, adeguatamente selezionati, il trapianto polmonare si è dimostrato in
grado di migliorare la qualità di vita e la funzionalità
respiratoria. Non sembra tuttavia in grado di modificare la sopravvivenza di questi pazienti. Le più
recenti linee guida in tema di trapianto hanno modificato i criteri di inclusione in lista per il trapianto
polmonare, introducendo tra i parametri da valutare
anche l’indice BODE, che riflette il grado di compromissione generale del paziente. Secondo gli attuali
criteri, i soggetti con BPCO vengono inseriti in lista
per il trapianto quando hanno un BODE maggiore di
7 oppure con un BODE compreso tra 5 e 7 e almeno
una delle seguenti condizioni:
• storia di frequenti ospedalizzazioni con ipercapnia acuta (PCO2 > 50 mmHg);
• ipertensione polmonare e/o cuore polmonare
cronico, nonostante ossigenoterapia in atto;
• VEMS < 20% e DLco < 20% con una distribuzione omogenea dell’enfisema polmonare.
C. Braggion, G. Piacentini, A.L. Boner
per il trasporto del cloro e probabilmente anche altre
funzioni non ancora comprese. A oggi sono note circa
1500 mutazioni del gene CFTR, la maggior parte delle
quali è rara o molto rara. L’anomalia della proteina
CFTR è responsabile delle particolari densità e viscosità
del prodotto mucoso delle ghiandole esocrine; sono
interessati perciò le vie aeree, le ghiandole sudoripare,
il pancreas, il fegato, l’intestino e i vasi deferenti del
testicolo.
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
In assenza di farmaci specifici per correggere il difetto di
base, la FC è una malattia cronica ed evolutiva; una terapia palliativa applicata precocemente, intensivamente e
con approccio multidisciplinare nei centri specialistici ha
migliorato negli ultimi decenni la sopravvivenza mediana, che attualmente è assestata nella seconda metà della
quarta decade di vita. Un’attesa realistica è che i progressi
nella ricerca dei farmaci correttivi il difetto di base e le sue
conseguenze, l’applicazione sempre più mirata e precoce
delle terapie disponibili e il trapianto d’organo solido
migliorino ulteriormente nei prossimi anni il profilo prognostico di questa malattia.
Epidemiologia
I dati sull’incidenza della FC si riferiscono alla forma classica (si veda oltre); nella razza caucasica l’incidenza è di 1
caso/2500-3000 nati, mentre nelle razza nera e asiatica è
rispettivamente 1 caso/17.000 e 1 caso/90.000. Anche in
Italia, nelle regioni dove si applica lo screening neonatale,
l’incidenza è di 1 caso/3000 nati. Nel nostro Paese erano
censiti al 31 dicembre 2004 circa 4100 pazienti con FC; la
prevalenza è perciò pari a 7-8 casi/100.000 abitanti.
Dai numeri sopra riportati si può ricavare una prevalenza
dei portatori sani (o eterozigoti) del 4%. Una coppia di
eterozigoti ha, per ogni nascita, un rischio del 25% che il
bambino sia affetto (due mutazioni del gene CFTR), del
50% che sia portatore sano (una sola mutazione del gene
CFTR) e del 25% che sia sano e non portatore. Un’elevata
frequenza del gene mutato, come quella degli eterozigoti,
non trova spiegazione in un aumentato tasso di mutazione; infatti le mutazioni ex novo sono considerate piuttosto
rare. La teoria del vantaggio selettivo dei portatori sani
può meglio spiegare la loro elevata frequenza; è possibile che una ridotta conduttanza del cloro nell’epitelio
intestinale abbia comportato una maggiore resistenza
alla diarrea indotta da tossine batteriche e virali. L’identificazione degli eterozigoti nella popolazione generale
italiana richiederebbe di poter identificare tutte o quasi
le mutazioni del gene CFTR; a oggi, utilizzando i test genetici più semplici, rapidi e meno costosi, che valutano
una trentina di mutazioni del gene CFTR, la capacità di
identificare le mutazioni in Italia varia dal 70 all’85%.
Solo con indagini di genetica di secondo livello, come il
sequenziamento del gene, si può arrivare a individuare il
90-95% delle mutazioni.
Eziologia e fisiopatologia
Studi in vitro degli epiteli delle ghiandole sudoripare e
bronchiali, condotti tra il 1983 e il 1986, concordano
nell’identificare nell’abnormale permeabilità al cloro il
difetto di base della malattia. Nel 1989 è stato identificato
il gene anomalo, denominato CFTR, costituito da 180.000
paia di basi e 27 esoni. La proteina CFTR, codificata dal
gene CFTR, è costituita di 1480 aminoacidi, attivata dalla
fosforilazione prodotta dalla protein-chinasi A, dipendente dall’AMP ciclico; questa proteina funziona come
un “canale” per il trasporto del cloro a livello della membrana apicale degli epiteli, ma regola anche il trasporto
del sodio e ha probabilmente altre funzioni, non ancora
ben definite.
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La direzione del trasporto di cloro dipende dalla specifica
funzione del tessuto epiteliale interessato; nel tubulo
delle ghiandole sudoripare avviene dal lume del tubulo
al citoplasma, mentre nell’epitelio intestinale e in quello
respiratorio la direzione del flusso è tradizionalmente
considerata dall’interno delle cellule verso l’esterno. A
livello del dotto sudorale, il difetto di CFTR comporta
un’alterazione dell’assorbimento di cloro e secondariamente di sodio, da cui deriva una concentrazione di sale
nel sudore da 3 a 5 volte il normale; questa condizione
viene utilizzata per attuare il test più sensibile che oggi
si conosca per questa malattia, il test del sudore. A livello
respiratorio, il difetto di secrezione di cloro, accoppiato
ad aumentato riassorbimento di sodio, comporterebbe la
disidratazione del liquido della superficie dell’epitelio delle vie aeree (ASL, Airway Surface Liquid) e l’ispessimento
del muco; questa è la teoria patogenetica più accreditata,
definita del “ridotto volume” di ASL.
La figura 18.15 riporta la classificazione delle mutazioni in cinque classi e il loro meccanismo di interferenza
sulla sintesi e sulla funzione della proteina CFTR. Sono
indicati il difetto di base della FC (anomalo trasporto del
cloro mediante la proteina CFTR attraverso la membrana
cellulare) e i meccanismi per i quali le mutazioni del
gene CFTR possono inibire la sintesi nucleare (classe I),
la maturazione (classe II), la regolazione (classe III), la
conduttanza (classeIV), o possono ridurre la sintesi della
proteina CFTR (classe V). La mutazione più frequente,
presente in circa il 70-90% degli alleli nei pazienti degli
Stati Uniti e Nord Europa, è denominata F508del ed è
una mutazione di classe II, in cui manca il residuo di
fenilalanina nella posizione 508. In Italia e nei Paesi del
Sud Europa questa mutazione è meno frequente, rappresentando circa il 50% degli alleli. Le mutazioni delle
classi I e II sono dette severe e si associano a insufficienza
pancreatica, mentre le mutazioni di classe III, IV e V sono
dette lievi, poiché si associano a sufficienza pancreatica, a
una diagnosi tardiva, spesso in età adulta, e perciò a un
decorso più mite della malattia. Alcune di queste mutazioni lievi sono collegate a un test del sudore borderline
o normale (si veda oltre). L’associazione tra un particolare
genotipo e il fenotipo (sintomi e andamento) è abbastanza definita per quanto riguarda la compromissione
pancreatica; è sufficiente che una delle due mutazioni sia
lieve per determinare la presenza di sufficienza pancreatica. Non vi è invece un’associazione ben definita tra le
mutazioni specifiche e l’evolutività della malattia polmonare; quando sono stati esaminati soggetti omozigoti per
una sola mutazione, per esempio la F508del, l’andamento
della malattia polmonare è risultato molto eterogeneo
nei diversi soggetti. Ciò ha avviato un importante filone
di ricerca, che consiste nell’identificare altri geni, cosiddetti modificatori, che con i loro prodotti possano influire
direttamente sulla proteina CFTR o su altri aspetti della
malattia polmonare, come le risposte immunologica e
infiammatoria. L’eterogeneità del fenotipo polmonare
dipende anche da fattori ambientali; è stato dimostrato
che il fumo passivo, le condizioni socioeconomiche sfavorevoli, una scarsa aderenza alla terapia e l’acquisizione
di alcuni germi patogeni, come Pseudomonas aeruginosa e
Burkhoderia cepacia complex, hanno effetti negativi sull’andamento della malattia polmonare.
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2
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460
Figura 18.15
Classificazione
delle mutazioni
e meccanismi di
interferenza sulla
sintesi e sulla
funzione della
proteina CFRT.
Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
Proteina CFTR
–
Cl
Gene
CFTR
I
II
III
IV
V
Assenza
di sintesi
Blocco nella
maturazione
Blocco nella
regolazione
Ridotta
conduttanza
Ridotta
sintesi
G542X
1717-1G → A
349delTT
F508 del
N1303K
G85E
G551D
R117H
R347P
A455E
3849+10kbC → C
(Modificata da: Cystic Fibrosis Mutation Data Base: http://www.genet.sickkids.on.ca/cftr/).
Patogenesi
La malattia polmonare è responsabile della gran parte della
morbidità e della mortalità nei pazienti con FC. L’ipotesi
prevalente per spiegare la presenza e l’evolutività della
pneumopatia considera l’assenza della secrezione del cloro
e l’eccesso di riassorbimento del sodio a livello del versante
luminale dell’epitelio respiratorio come responsabili di
un ridotto volume dell’ASL (nella Fig. 18.16, è indicata la
sequenza di eventi che, a partire dal difetto genetico, porta
al danno polmonare). Ciò comporta una ridotta clearance
mucociliare, che rappresenta un meccanismo di difesa
contro le infezioni. Il muco bronchiale, più disidratato e
viscoso, si accumula nelle vie aeree. Alcuni microrganismi,
tipicamente Staphylococcus aureus e Pseudomonas aeruginosa,
trovano nell’ambiente polmonare condizioni particolari,
come la presenza di basse concentrazioni di ossigeno nel
muco bronchiale, che induce la loro trasformazione in un
fenotipo “mucoide”; le colonie batteriche sono immerse
Gene mutato
Proteina CFTR
difettosa
Figura 18.16
Eventi che dal
difetto genetico
portano al danno
polmonare
e relativa
identificazione
della terapia.
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Anomalo trasporto
di cloro e acqua:
muco denso e riduzione
della clearance mucociliare
Terapia genica
e terapia cellulare
Farmaci “correttori”
e “potenziatori”
Modulatori dei canali
ionici e sostanze
ad azione osmotica
Infezione
↑↓
Infiammazione
Nuovi antibiotici
e antifiammatori
Danno
Trapianto
in una matrice di alginato (biofilm), che conferisce loro
resistenza agli antibatterici e alle difese cellulari. Un altro
aspetto rilevante del biofilm è la perdita dell’invasività dei
batteri; l’infezione cronicizza ma resta isolata al polmone
e non si verificano batteriemie. Il quadro polmonare è dominato dal circolo vizioso tra infezione e infiammazione;
quest’ultima è caratterizzata dall’accumulo di neutrofili
nella mucosa e nel lume bronchiale. La figura 18.17 mostra
come l’ostruzione e il danno bronchiale, caratterizzato soprattutto da bronchiectasie (BR), si verifichino in presenza
di enzimi, come proteasi ed elastasi, e radicali dell’ossigeno,
prodotti dai neutrofili. L’IL-8 e il leucotriene B4 (LTB4) stimolano la chemiotassi dei neutrofili, che rappresentano le
cellule dominanti nei bronchi, nella sottomucosa e in sede
peribronchiolare. I prodotti dei neutrofili (elastasi, proteasi,
DNA, radicali dell’ossigeno) e dei batteri, che infettano cronicamente le vie aeree, sono responsabili dell’ostruzione e
del danno bronchiale (BR). L’infiammazione è inefficiente a
eliminare i batteri, anzi ne favorisce la persistenza e l’espansione clonale. La malattia polmonare è essenzialmente una
malattia delle vie aeree e solo nell’evoluzione tardiva vi può
essere un interessamento degli alveoli e dell’interstizio.
Anatomia patologica
La peculiarità della malattia polmonare è la presenza di BR,
che tendono a essere diffuse, di aspetto inizialmente cilindrico ma successivamente varicoso e pseudocistico, specie
nei lobi superiori (si veda oltre, Bronchiectasie). Il muco
bronchiale, purulento e viscoso, tende a ostruire le piccole
vie aeree e le ghiandole sottomucose, che presentano dotti
dilatati e sono iperplasiche. Anche l’epitelio bronchiale
mostra un’iperplasia delle cellule mucose. L’infiltrazione
di neutrofili, in minor misura di linfociti e plasmacellule,
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
è evidente nel lume bronchiale e interessa anche la mucosa
e il tessuto peribronchiolare. All’infiltrazione cellulare si
alternano aree di riparazione fibrosa, metaplasia squamosa
o ulcerazioni dell’epitelio.
Il danno pancreatico responsabile della maldigestione è
presente in genere alla nascita in almeno l’80-85% dei
pazienti. I dotti pancreatici sono ostruiti dall’impatto mucoso e ciò porta ad atrofia degli acini, che possono dilatarsi
a formare microcisti. Vi è inoltre fibrosi del parenchima
e il tessuto pancreatico è rimpiazzato da tessuto adiposo.
Le isole di Langerhans sono ridotte di numero e possono
diventare atrofiche; ciò è responsabile, in età adolescenziale e adulta, di una ridotta secrezione di insulina, fino al
quadro del diabete. Anche nel fegato l’ostruzione dei dotti
biliari provoca una stasi biliare e una reazione infiammatoria e poi fibrosa periportale; queste lesioni sono in genere
focali. L’infiltrazione grassa del fegato, la steatosi epatica,
è l’alterazione epatica più comune. In un 5-10% dei casi
la fibrosi epatica può evolvere in cirrosi con la formazione
di noduli di rigenerazione multipli; queste alterazioni aumentano con l’età e determinano ipertensione portale nel
2% circa dei pazienti. Nella colecisti si accumula materiale
mucoide, che può essere responsabile della formazione di
calcoli biliari; la colecisti è inoltre atrofica (microcolecisti).
Un’ostruzione da meconio dell’ileo distale, in rapporto a
un suo ridotto contenuto di acqua, ad assenza di attività
proteolitica e aumento di albumina nel lume intestinale,
può produrre una distensione delle anse intestinali a monte, rilevabile ecograficamente anche in epoca prenatale;
questa alterazione dell’intestino può essere responsabile
di quadri occlusivi neonatali (ileo da meconio) in circa il
10% dei pazienti. Tali quadri possono essere presenti anche in età adolescenziale e adulta (equivalenti meconiali);
Figura 18.17
Circolo vizioso
infezioneinfiammazione
nella patogenesi
della
pneumopatia.
Infezione
Infiammazione
NEUTROFILI
↑ Dna
↓ Clearance
mucociliare
↑ Elastasi
↑ Proteasi
↓ Fagocitosi
↑ IL-8
↑ LTB4
↑ Radicali
di ossigeno
↑ Secrezioni
bronchiali
OSTRUZIONE BRONCHIALE
Infezione
461
BRONCHIECTASIE
Danno strutturale
2
nell’ileo distale e nel fondo cecale si formano fecalomi,
che rallentano il transito intestinale e possono essere
responsabili di quadri subocclusivi o occlusivi. In quasi
tutti i maschi l’occlusione in utero dei vasi deferenti comporta alla nascita atresia o agenesia degli stessi; il corpo e
la coda dell’epididimo e le vescichette seminali possono
essere abnormemente dilatati o assenti. La spermatogenesi
è attiva, ma le alterazioni descritte sono responsabili di
azoospermia ostruttiva e perciò di infertilità.
Manifestazioni cliniche
Il quadro clinico della malattia nella sua forma classica è
ben noto (Tab. 18.9). L’ileo da meconio, presente alla nascita, richiede per la risoluzione un intervento chirurgico.
Tabella 18.9 Quadro clinico della fibrosi cistica classica*
Malattia cronica
delle vie aeree
Malattia del tratto
gastrointestinale
Fisiopatologia
Circolo vizioso infezione – infiammazione
(neutrofili)
Segni clinici
Tosse cronica produttiva (90%)
Infezioni recidivanti (97%)
Batteri patogeni presenti cronicamente§ (97%)
Bronchiectasie (97%)
Ostruzione bronchiale progressiva (90%)
Pansinusite (95%)
Poliposi nasale (25%)
Ostruzione dei duttuli pancreatici
Maldigestione (85%)
Pancreatite ricorrente (se sufficienza digestiva)
Malnutrizione (polifattoriale)
Atrofia delle isole di Langerhans
Intolleranza al glucosio e diabete
Ostruzione da muco denso dell’intestino
Ileo da meconio (10-15%); equivalenti meconiali
Ostruzione duttuli biliari e bile litogena
Steatosi epatica (30-50%)
Aumento nel siero di enzimi epatici (40-70%)
Microcolecisti e litiasi colecistica (20-30%)
Cirrosi biliare con ipertensione portale (2-4%)
Ghiandole sudorali
Ipersalinità del sudore
Sindrome della perdita di sali e alcalosi metabolica cronica (10%)
Organi genitali
Azoospermia da atresia-agenesia dei vasi
deferenti
Infertilità del maschio (97%)
*Sono riportate la fisiopatologia e la frequenza dei segni clinici principali.
§
I germi più frequentemente isolati nelle vie aeree sono Haemophylus influenzae, Staphylococcus aureus e Pseudomonas aeruginosa;
i primi due sono più comuni nei primi 10 anni di vita, il secondo è più frequente in età adolescenziale e adulta.
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
I sintomi di maldigestione pancreatica sono presenti fin
dalla nascita nella maggior parte dei pazienti; le feci sono
abbondanti, maleodoranti, contengono grassi e si associa
meteorismo intestinale. L’appetito vorace non riesce a compensare la perdita fecale di nutrienti e si rendono evidenti
precocemente una scarsa crescita e una malnutrizione, che
può comportare anemia e ipoalbuminemia. I sintomi respiratori hanno una variabilità di esordio ma sono presenti
invariabilmente in tutti i pazienti; la tosse ha carattere produttivo e tende a essere abituale specie al mattino e sotto
sforzo. Il lattante e il bambino in età prescolare possono
avere vomiche di catarro e l’espettorazione diventa abituale
con il crescere dell’età. I sintomi di sinusite sono frequenti
e il quadro radiologico di sinusite è costante. La poliposi
nasale, bilaterale e progressivamente ingravescente, tende
a recidivare anche dopo l’intervento di bonifica chirurgica.
L’interessamento epatico, pur essendo quasi sempre evidente all’ecografia e/o con aumento nel siero degli enzimi
epatici, solo raramente ha una espressione grave con cirrosi
biliare. Il reflusso esofageo è comune nei primi mesi di vita
e, facilitato dalla tosse, può comportare esofagite. Il reflusso
di succo duodenale può essere responsabile di gastrite e
antrite. La malnutrizione ha una genesi polifattoriale; una
variabile perdita calorica avviene anche se la maldigestione
è trattata con gli enzimi pancreatici. Possono essere presenti
inoltre una ridotta introduzione calorica da inappetenza,
specie nelle fasi di infezione respiratoria, e un aumentato
consumo energetico a causa della malattia polmonare e
forse del difetto genetico. La malnutrizione è più evidente
quando la malattia polmonare si aggrava.
Diversi studi hanno esaminato il liquido di broncolavaggio, raccolto in pazienti di età inferiore ai 2 anni; pur
essendo i piccoli pazienti asintomatici, i neutrofili erano
abbondanti e vi era un aumento significativo di IL-8,
IL-1 e di attività dell’elastasi prodotta dai neutrofili.
Questo quadro espresso di infiammazione si associava al
riscontro di batteri patogeni in un 30-70% dei pazienti
(soprattutto Haemophylus influenzae e S. aureus; P. aeruginosa in un 10-30% dei pazienti), ma era presente anche
in assenza di essi. Ciò sottolinea la necessità di avviare
la terapia il più precocemente possibile. La comparsa dei
patogeni nelle vie aeree avviene inizialmente in modo
intermittente. In un secondo tempo, i germi infettano
cronicamente le vie aeree, secondo la modalità del biofilm
e del fenotipo mucoide, già descritto; la loro eradicazione
con gli antibiotici può avvenire perciò solo nella fase di
infezione iniziale e intermittente. Aspergillus fumigatus
può essere responsabile della reazione infiammatoria IgEmediata (aspergillosi broncopolmonare allergica) con
focolai broncopneumonici peri-ilari, sintomi asmatiformi,
che recedono solo con la terapia steroidea.
La pneumopatia evolve con fasi acute o subacute, dette di
esacerbazione broncopolmonare, caratterizzate dai sintomi indicati nella tabella 18.10. La gravità dell’esacerbazione può
essere graduata, per facilitare la scelta della modalità della
terapia antibiotica e l’eventuale necessità di un ricovero
ospedaliero. L’infezione da parte di virus o l’acquisizione di
nuovi batteri può provocare un’esacerbazione polmonare.
La maggior parte di esse peraltro è causata dall’espansione
clonale di un patogeno presente cronicamente nelle vie
aeree; la carica batterica aumenta e i fenomeni caratteristici dell’infiammazione si accentuano. Il trattamento
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Tabella 18.10
Sintomi, segni e dati di laboratorio tipici
di un’esacerbazione broncopolmonare*
Sintomi
Aumentata frequenza, intensità e durata della
tosse
Aumento o comparsa dell’espettorazione
Aumento della purulenza dell’espettorato
Comparsa di striature ematiche dell’espettorato
o di emottisi
Percezione di congestione al torace e/o dispnea
Comparsa di dolori toracici
Ridotta tolleranza allo sforzo
Senso di malessere, astenia, mialgie
Perdita di appetito
Febbre
Segni fisici
Comparsa o accentuazione di segni di distress respiratorio (aumento della frequenza respiratoria,
comparsa di rientramenti giugulari, intercostali)
Comparsa o accentuazione dei rumori umidi
e secchi apprezzabili all’auscultazione del torace
Febbre
Perdita di peso o nessun guadagno in peso
Rilievi di
laboratorio
Riduzione del FEV1§ maggiore del 10% rispetto
al valore migliore negli ultimi 4-6 mesi
Comparsa di nuovi infiltrati o accentuazione
dei rilievi tipici alla radiografia del torace
Riduzione di SpO2#
Leucocitosi e neutrofilia
*La comparsa di almeno tre cinque di questi è utilizzata per indicarne
la presenza.
§
Il FEV1 (volume espiratorio forzato al primo secondo) è un parametro
della spirometria, indicativo di ostruzione bronchiale.
#
La saturazione in ossigeno dell’emoglobina, misurata con l’ossimetria
pulsatile (SpO2), è monitorata ai controlli specie nei bambini non in
grado di collaborare all’esecuzione della spirometria o quando la
malattia è avanzata e vi è il rischio di insufficienza respiratoria.
antibatterico riduce la carica batterica, l’infiammazione
e il consumo energetico. Si comprende perciò come il
monitoraggio periodico e, in fase di esacerbazione, dei
parametri indicati nella tabella 18.10, sia fondamentale per
modulare la terapia sia della fase acuta sia del trattamento
cronico. La spirometria, in particolare, assume un ruolo
rilevante per stimare obiettivamente l’entità della broncoostruzione, le “perdite”, associate alle esacerbazioni, e i
“guadagni” ottenuti dal trattamento nell’immediato e
nel medio-lungo termine. Mediamente si registra una
riduzione dell’1-2% del valore teorico del FEV1/anno; ogni
incremento di questa perdita merita un’attenta valutazione e un’intensificazione della terapia.
La pneumopatia si può complicare con emottisi, in rapporto al danno sui rami delle arterie bronchiali, che diventano più superficiali e varicosi. Anche il pneumotorace
può complicare l’evoluzione della malattia polmonare;
è prodotto dalla rottura di bolle aeree subpleuriche, che
si formano in rapporto al danno progressivo soprattutto
nei lobi superiori. Per evitare la recidivanza del pneumotorace, attualmente si esegue una pleurodesi chirurgica
con bullectomia e/o apicectomia, per rimuovere le bolle
subpleuriche. Come per le altre malattie broncopolmonari
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
ostruttive, l’insufficienza respiratoria è inizialmente prodotta dallo squilibrio ventilazione/perfusione; nelle fasi
avanzate della malattia essa è inzialmente intermittente,
presente durante le fasi acute della malattia, il sonno e lo
sforzo, e poi diventa persistente. Con l’aggravamento ulteriore della bronco-ostruzione si associa ipoventilazione
alveolare, responsabile di ipercapnia. Il test del cammino
per 6 min e il test da sforzo cardiopolmonare contribuiscono a quantificare la riduzione delle capacità funzionali,
che è un aspetto rilevante nella valutazione del timing per
il trapianto polmonare.
Diagnosi
La diagnosi della FC classica è clinica, basata sui sintomi
indicati nella tabella 18.9 e confermata dal risultato patologico del test del sudore (cloro sudorale > 60 mEq/L). Il
test del sudore consiste nella stimolazione delle ghiandole
sudoripare con pilocarpina, fatta assorbire dalla cute con
una leggera corrente elettrica, nella raccolta e pesatura del
sudore e nella titolazione del cloro; questo test è tuttora
il più sensibile e specifico per la diagnosi.
La diagnosi genetica consiste nell’identificazione delle
mutazioni associate alla malattia. Poiché circa il 5-10%
delle mutazioni resta tuttora non identificato, nonostante
lo scanning completo del gene, la sensibilità della diagnosi genetica è minore rispetto al test del sudore. Il suo
potenziale diagnostico è riservato ai seguenti scopi: (1)
identificazione delle mutazioni nei neodiagnosticati per
poter procedere alla consulenza genetica nei genitori e a
un’eventuale diagnosi prenatale per future gravidanze;
(2) identificazione delle mutazioni nei neodiagnosticati
per poter estendere la ricerca delle mutazioni ai familiari
per la diagnosi di eterozigote; (3) identificazione delle
mutazioni nei soggetti positivi allo screening neonatale (si veda oltre); (4) identificazione delle mutazioni
nei soggetti con sintomi compatibili e test del sudore
dubbio (cloro sudorale 40-60 mEq/L) o normale (cloro
sudorale < 40 mEq/L). Quest’ultima indicazione è emersa
dagli studi genetici di soggetti che presentavano sintomi compatibili con l’FC, seppur isolati, come l’assenza
congenita bilaterale dei vasi deferenti, causa di azoospermia e infertilità, la pancreatite cronica/ricorrente,
le BR disseminate cosiddette idiopatiche o associate ad
aspergillosi broncopolmonare allergica, la rinosinusite
cronica e/o la poliposi nasale. In questi soggetti è stata
identificata una percentuale più elevata di mutazioni del
gene CFTR rispetto alla popolazione normale; alcuni di
essi, pur avendo un test del sudore normale o borderline, presentavano due mutazioni di CFTR. Queste forme
mono- o oligo-sintomatiche sono state definite come FC
atipica o, più correttamente, patologia CFTR-associata. La
diagnosi di queste forme avviene per lo più in età adulta;
esse sono caratterizzate da mutazioni lievi e hanno perciò
una prognosi migliore rispetto alle forma classica. La
frequenza delle forme atipiche è destinata ad aumentare
a mano a mano che i soggetti con sintomi compatibili
vengono indagati. Nel caso di sintomi compatibili, una
sola mutazione di CFTR identificata e test del sudore
non conclusivo, il processo diagnostico dovrebbe essere
indirizzato anche alle altre cause della patologia di fondo
e dovrebbe essere completato da un’altra misura di ano-
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malia della proteina CFTR, come quella della differenza
di potenziale elettrico transepiteliale dell’epitelio nasale
o della mucosa rettale (queste misure sono molto complesse e non ancora ben standardizzate).
Vi è ormai accordo sull’utilità dello screening neonatale
di FC, sulla base del vantaggio nutrizionale, prodotto
dall’applicazione precoce della terapia, e della possibilità
di fare una diagnosi di eterozigote ai genitori, con le conseguenze sulle ulteriori scelte procreative. Attualmente
lo screening prevede la determinazione della tripsina nel
sangue, prelevato con puntura del tallone del neonato nel
secondo-terzo giorno di vita, e la ricerca delle mutazioni
del gene CFTR nei neonati che presentano un aumento
della tripsina. La diagnosi genetica ha aumentato la sensibilità e la specificità dello screening neonatale. Questi
accertamenti conducono, anche se singolarmente positivi,
al test del sudore, che è il test di conferma della diagnosi.
Nel caso della presenza di una sola mutazione e test del
sudore negativo, si conclude per la diagnosi di eterozigote;
questa informazione può consentire di allargare la ricerca
di eterozigosi nei genitori e nei familiari. L’inserimento
della diagnosi genetica nei programmi di screening neonatale ha consentito di rilevare una maggior frequenza di
eterozigoti tra i neonati con ipertripsinemia rispetto alla
popolazione normale. Ciò ha condotto a ipotizzare che
l’aumento della tripsina nel primo mese di vita sia una
manifestazione fenotipica di FC atipica.
La diagnosi prenatale è offerta alle coppie di eterozigoti,
come i genitori di un affetto; è una diagnosi genetica
eseguita su materiale prelevato con biopsia dei villi coriali
alla decima settimana di gravidanza.
Attualmente vi sono programmi solo sperimentali di diagnosi di eterozigote nella popolazione generale. Sussistono
diversi problemi aperti in questa area di prevenzione primaria: il momento più adatto per realizzare lo screening
(nell’età adolescenziale? nelle coppie che hanno avviato o
devono avviare una gravidanza?), il tipo di test da utilizzare e il suo potenziale predittivo e le modalità per effettuare
la consulenza genetica a un numero rilevante di soggetti.
Come si è visto, nella prassi corrente, si propone la diagnosi genetica di eterozigote nei familiari di una persona
affetta o nei genitori e familiari di un neonato sottoposto
a screening alla nascita e identificato come eterozigote.
Ciascuna di queste opportunità deve accompagnarsi alla consulenza genetica, poiché la mancata conoscenza
di tutte le mutazioni del gene CFTR non consente delle
diagnosi certe, ma solo di quantificare il rischio di essere
portatore e di avere un figlio affetto.
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2
Terapia
La terapia è palliativa e rivolta a tutti gli aspetti clinici più rilevanti. Il trattamento dell’insufficienza
pancreatica si basa sulla somministrazione di estratti
pancreatici ad alte dosi a ogni pasto e di vitamine
liposolubili. La strategia nutrizionale tiene conto di un fabbisogno energetico aumentato, pari al
120-150% rispetto a quello dei soggetti sani, e di
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
un’alimentazione equilibrata nella composizione
percentuale dei nutrienti. È raccomandato un trattamento del diabete con insulina.
Il trattamento della malattia polmonare riveste priorità e prevede un trattamento sia delle esacerbazioni
broncopolmonari sia di base. Per quanto riguarda il primo, l’antibiotico va somministrato sulla
base dei risultati delle colture di espettorato e del
relativo antibiogramma; la dose degli antibiotici,
come degli altri farmaci, è più elevata, circa doppia
rispetto a quella utilizzata nei soggetti sani, poiché
il volume di distribuzione e la clearance renale dei
farmaci sono aumentati nei pazienti con FC. Il trattamento di base prevede l’applicazione quotidiana
di una tecnica per facilitare la rimozione del muco bronchiale, che deve essere modulata sulla base
dell’entità dell’espettorazione, dell’estensione e della
gravità delle BR, della frequenza delle esacerbazioni
respiratorie e del loro impatto sull’andamento della
funzione respiratoria. Le BR e la riduzione dei flussi
espiratori rappresentano infatti un ostacolo alla clearance del muco bronchiale (si veda oltre, Bronchiectasie). La terapia mucolitica, che precede l’esecuzione
delle tecniche drenanti, prevede due alternative,
validate da studi clinici controllati e randomizzati;
la prima è rappresentata dal RhDNase, un enzima
ricombinante che rompe le molecole di DNA, di
cui è ricco l’espettorato e che contribuisce alla sua
viscosità; la seconda è rappresentata dall’inalazione
di una soluzione salina ipertonica (3-6%), che per il
suo effetto osmotico aumenta l’ASL, facilitando la
rimozione del muco bronchiale. La terapia di base
prevede inoltre una “soppressione” dell’infezione
polmonare cronica, utilizzando la tobramicina per
via inalatoria. Se questa risulta poco incisiva, si può
integrare con l’inalazione di colistina oppure con
Figura 18.18
Immagini di
bronchiectasie
(BR) alla HRCT.
a
trattamenti antibatterici per os o con cicli di antibiotico endovena ogni 3-4 mesi.
Nei centri specialistici il rischio di infezioni crociate è
elevato; per questa ragione i pazienti che hanno un’infezione cronica da P. aeruginosa sono separati dagli altri. Attualmente vi sono dati che suggeriscono di isolare anche
i pazienti con infezione cronica da Burkholderia cepacia
complex, da P. aeruginosa multiresistente e da S. aureus
meticillino-resistente. Le linee guida per il trattamento
di base raccomandano inoltre di utilizzare l’ibuprufene
e l’azitromicina, come farmaci antinfiammatori; l’azitromicina, un antibiotico inefficace contro batteri come P.
aeruginosa, ha probabilmente effetti antinfiammatori e
per questa ragione ha dimostrato di stabilizzare la situazione clinica. Sono impiegati inoltre i broncodilatatori a
lunga durata d’azione, mentre non vi è evidenza sull’efficacia degli steroidi per via inalatoria e sono noti gli effetti
collaterali derivati dalla somministrazione prolungata
degli stessi per via orale. Il trapianto bipolmonare rappresenta una opportunità terapeutica in presenza di insufficienza respiratoria, scarsa risposta alla terapia medica
e riduzione delle capacità funzionali; esso infatti offre
un vantaggio per la sopravvivenza e la qualità di vita di
questi pazienti, che probabilmente possono migliorare
ulteriormente con i progressi nella terapia immunosoppressiva e nella profilassi antinfettiva. Il trapianto di
fegato si propone in presenza di cirrosi con ipertensione
portale e riduzione della funzione epatica.
La ricerca si sta muovendo a largo raggio per comprendere la fisiopatologia della malattia, quella polmonare in particolare, e per identificare le terapie che
incidano sul difetto di base. La figura 18.16 illustra le
principali linee di terapia; sulla destra, si evidenzia
come la ricerca sia indirizzata a identificare farmaci
e/o modalità terapeutiche in grado di intervenire a
ciascun livello della “cascata” di eventi; è perciò una
b
(a) BR localizzate: immagini di ipertrasparenza rotondeggianti sono evidenti in un contesto di atelettasia subsegmentaria del lobo inferiore sinistro (freccia a destra); il diametro dei
bronchi (immagini “ad anello”) è maggiore del diametro dei vasi (immagine di opacità circolare), che decorrono paralleli ai bronchi. La freccia a sinistra indica un bronco normale; non vi
è differenza tra il diametro bronchiale e il diametro del vaso contiguo. (b) BR “cistiche”: la dilatazione dei bronchi è molto accentuata (frecce). In questa sezione di HRCT si osserva inoltre
una diversa trasparenza dei lobi polmonari di destra e sinistra.
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
ricerca affascinante, ma che trova ancora difficoltà e
aspetti non chiariti a ciascun livello. La terapia è infatti tuttora essenzialmente palliativa. La terapia genica
consiste nell’utilizzare dei vettori, in cui si inserisce
il DNA normale; i vettori sono inalati per raggiungere l’epitelio respiratorio, penetrare nelle cellule e
arrivare al loro nucleo. Sono stati usati vettori virali
(per esempio, adenovirus, virus adeno-associati) o
inerti (liposomi); in entrambi i casi è stata dimostrata
una scarsa espressione della proteina CFTR normale
nell’epitelio respiratorio e, nel caso di vettori virali,
un’attivazione del sistema immune anche con effetti
collaterali. Dopo gli entusiasmi iniziali, si stanno studiando nuovi vettori e soluzioni per vincere le barriere
che si frappongono al loro arrivo al nucleo cellulare.
Ancora ai suoi albori è la terapia cellulare; in vitro è
stato dimostrato che si può applicare la terapia genica alle cellule staminali midollari, le quali vengono
poi condizionate a trasformarsi in cellule staminali
dell’epitelio respiratorio. Sono allo studio farmaci correttori del difetto di maturazione (VX809, curcumina) e
del difetto di sintesi della proteina CFTR (PT124), che
interessano rispettivamente le mutazioni di classe II e
I. Un altro filone promettente interessa anche i farmaci
potenziatori (VX770), mirati a correggere l’effetto delle
mutazioni di classe III, IV e V. In fase più avanzata di
studio sono alcuni farmaci che hanno l’obiettivo di
inibire il canale del sodio e stimolare canali alternativi
del cloro, calcio-dipendenti (denufosol, Moli1901):
l’effetto sui “canali” della membrana cellulare dovrebbe aumentare il volume dell’ASL e perciò migliorare
la clearance mucociliare e del muco bronchiale, che
diventa più scorrevole. Lo stesso effetto può essere
prodotto da altre sostanze che agiscono con azione
osmotica, come il mannitolo.
L’assistenza si sta oggi rivolgendo, nel contesto dei
centri specialistici, a nuovi aspetti, considerando che
gli adulti rappresentano circa il 50% dei pazienti, allo
scopo di ottimizzare la diagnosi per le forme atipiche,
migliorare i processi diagnostici e terapeutici delle
complicanze dell’età adulta, assistere la procreazione
sia nelle femmine sia nei maschi (fecondazione in
vitro dopo prelievo di spermatozoi dal testicolo), migliorare la capacità di definire la prognosi, come nel
caso del timing per i trapianti di organo, e migliorare
gli esiti e la qualità di vita dopo il trapianto.
Si richiede ancora un grande sforzo alla ricerca, per
validare molte delle terapie utilizzate e identificare
nuovi farmaci. In questo ambito si deve riconoscere il ruolo rilevante di alcune organizzazioni laiche
di genitori e pazienti o delle fondazioni Onlus nel
sensibilizzare gli enti e la popolazione generale sulla
malattia e nella raccolta di fondi per sostenere la ricerca e una più efficiente assistenza.
Bronchiectasie
Definizione
Il termine bronchiectasie (BR) indica una dilatazione abnorme e persistente dei bronchi in rapporto a un danno
delle strutture della parete. Il termine equivalente, usato
dagli autori anglosassoni, di suppurative lung rievoca maggiormente i sintomi associati alle BR; la tosse produttiva,
l’espettorazione mucopurulenta e l’emoftoe possono essere presenti anche nei periodi di benessere e si accentuano
in concomitanza di infezioni respiratorie. Altra caratteristica di questa patologia è rappresentata dal carattere
recidivo delle infezioni delle basse vie respiratorie, con
conseguente recrudescenza della sintomatologia.
Le bronchiectasie sviluppano una vera e propria “sindrome”, ben definita dai punti di vista anatomopatologico e sintomatologico, ma che può essere ricondotta a
condizioni eziopatogenetiche diverse. È utile comunque
considerarle in modo omogeneo per i comuni profili diagnostico, fisiopatologico e terapeutico. La FC è la causa
più frequente di BR; questa malattia genetica ha un suo
definito e specifico profilo diagnostico, clinico e prognostico e ha avuto una trattazione a parte. Molte rassegne e
trattazioni sulle BR infatti non includono la FC.
Epidemiologia
La prevalenza delle BR non è ben definita. Stime recenti
riportano negli Stati Uniti una prevalenza variabile tra 4,2
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2
C. Braggion, M. Moretti, U. Morandi
casi/100.000 abitanti in età compresa tra i 18 e i 34 anni
fino a 271,8 casi/100.000 abitanti di età superiore ai 75
anni. Questo dato è correlabile alla presenza di alterazioni
alla TC del torace compatibili con BR nei pazienti affetti
da BPCO in una percentuale variabile tra il 29 e il 50%.
Su 4000 bambini valutati per problemi respiratori in un
periodo di 8 anni al Brompton Hospital di Londra, in
41 (1%) sono state identificate BR, escludendo i pazienti
con FC.
Eziologia
La quasi totale scomparsa della TBC e la diffusione dell’immunizzazione contro il morbillo e la pertosse hanno contribuito a una riduzione progressiva della prevalenza delle
BR nei Paesi europei. La tabella 18.11 riporta le cause più
comuni di BR. Le infezioni rappresentano ancora una causa rilevante di BR localizzate; gli agenti eziologici chiamati
in causa oggi sono gli adenovirus, il Mycoplasma pneumoniae e i micobatteri tipici e atipici. L’Aspergillus fumigatus
può essere responsabile di ipersensibilità IgE e IgG mediata
con formazione di BR; questa condizione è detta aspergillosi broncopolmonare allergica (ABPA) ed è caratterizzata da
BR disseminate e sintomi “asmatiformi”.
Alcune malattie congenite sono causa di BR; oltre alla FC,
occorre ricordare la sindrome di dismotilità ciliare primitiva
(PCD, Primary Ciliary Dyskinesia). Questa condizione si
eredita con modalità autosomica recessiva a penetranza
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
Tabella 18.11
Eziologia delle bronchiectasie (modificata
da Barker, op. cit.)
Infezione
Bordetella pertussis, Mycoplasma pneumoniae
Micobatteri tipici e atipici
Adenovirus, virus del morbillo
Aspergillus fumigatus
Malattie
congenite
Fibrosi cistica classica o “atipica” (patologia
CFTR-associata)
Sindrome da dismotilità ciliare primitiva (PCD)
Difetto 1-antitripsina, sindrome di WilliamsCampbell
Sequestro polmonare, sindrome di Marfan
Difetti immunitari
Primitivi (ipogammaglobulinemia, difetto
di IgA e di sottoclassi IgG)
Secondari (sindrome da immunodeficienza
acquisita, tumori, chemioterapia, trapianto)
Varie
Inalazione (tossici, corpi estranei, reflusso
gastroesofageo)
Malattie reumatiche
Malattie infiammatorie dell’intestino
variabile. Il difetto di base consiste in anomalie primitive della struttura delle cilia dell’epitelio respiratorio; ne
consegue un’alterazione della clearance mucociliare, che
è responsabile della ritenzione di secrezioni bronchiali e
delle infezioni respiratorie ricorrenti. Nel 50% dei casi si
associa anche la presenza di situs viscerum inversus, sinusite
cronica e sterilità tipica della sindrome di Kartagener. La
rara sindrome di Williams-Campbell è caratterizzata da
assenza o diminuita formazione delle cartilagini bronchiali. Un’altra malattia congenita è il sequestro polmonare,
una malformazione che si può complicare con infezioni
ricorrenti e BR. Tra i difetti immunologici primitivi, i
deficit umorali con difetto di sintesi di Ig, per esempio
la sindrome di Bruton, o con difetto isolato di IgA e di
sottoclassi IgG, sono quelli più frequentemente associati
a BR. Queste condizioni hanno trovato nella terapia sostitutiva con gammaglobuline un presidio fondamentale per
ridurre la frequenza e la gravità delle infezioni respiratorie.
Per quanto riguarda i difetti delle sottoclassi IgG, specie
delle IgG2, associati a un livello normale di IgG totali,
la terapia sostituiva con immunoglobuline è giustificata
nel caso si dimostri una ridotta sintesi di IgG specifiche
contro antigeni polisaccaridici dell’Haemophylus influenzae
o pneumococco, che è possibile verificare dopo immunizzazione attiva. Anche gli immunodeficit acquisiti possono
essere responsabili di polmone suppurativo.
Come già detto, il difetto genetico della FC consiste in
un’alterazione di un gene localizzato nel cromosoma 7
(gene CFTR), che codifica per la sintesi di una proteinacanale; ne risulta un’alterato trasporto di cloro e sodio
a livello degli epiteli, responsabile dei sintomi. Le BR e
altre condizioni morbose, caratterizzate da alcuni sintomi di FC, sono state studiate indagando la frequenza
delle mutazioni del gene CFTR; è stato dimostrato che
la frequenza di soggetti con una o due mutazioni del
gene CFTR era significativamente maggiore rispetto alla
popolazione normale. Queste osservazioni implicano che
alcuni pazienti con BR possono avere una patologia del
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gene CFTR, nella sua forma classica o atipica. In queste
ultime forme il valore del cloro sudorale può essere anche normale (< 40 mEq/L) o borderline (40-60 mEq/L)
e la diagnosi è pertanto genetica; inoltre, la diagnosi
viene posta in età adolescenziale o adulta e la prognosi
è decisamente migliore rispetto alla FC classica.
Circa l’1-3% dei pazienti con artrite reumatoide presenta
una pneumopatia suppurativa con BR. Recidivanza di
infezioni respiratorie e BR sono state osservate nelle malattie infiammatorie dell’intestino, soprattutto la colite
ulcerosa. Anche la patologia da inalazione si può associare
a polmone suppurativo.
Considerando due casistiche dell’età adulta, rispettivamente di 146 e 123 pazienti con documentate BR, quelle
postinfettive riguardavano il 30-50% dei pazienti, mentre
quelle idiopatiche il 30-53% dei pazienti. Una casistica
pediatrica di 136 bambini mostra invece che un’immunodeficit, una patologia da inalazione o la PCD sono cause
di BR nel 67% dei pazienti, mentre sono meno frequenti
le forme idiopatiche e postinfettive.
Fisiopatologia e patogenesi
Alla base delle BR vi è un danno dello stroma di sostegno (fibre elastiche, muscolari e connettivali) della parete bronchiale, prodotto dalla persistenza di infezione
e infiammazione. Indipendentemente dall’eziologia, si
instaura un circolo vizioso infezione-infiammazione, che
è caratterizzato dall’accumulo a livello della mucosa e
del lume bronchiale di neutrofili stimolati da diversi fattori chemiotattici (IL-8, LTB4). L’accumulo di neutrofili
comporta un eccesso di proteasi, elastasi e radicali liberi
rispetto ai relativi sistemi compensativi (antiproteasi, antiossidanti), responsabile del danno alla parete bronchiale.
Le proteasi e le elastasi prodotte dai granulociti neutrofili o di origine batterica stimolano anche una maggior
produzione di muco bronchiale, alterano la fagocitosi e
contribuiscono a ridurre la clearance mucociliare; questi
fattori possono spiegare la ricorrenza e la persistenza di
infezioni polmonari. Le alterazioni della parete bronchiale
e l’eccessiva produzione di muco sono responsabili della
bronco-ostruzione e della conseguente modificazione
della distribuzione della ventilazione. L’andamento cronico della sindrome rende queste alterazioni persistenti
e progressive.
L’alterata morfologia bronchiale può comportare un’accentuazione della normale variazione del calibro bronchiale
durante gli atti respiratori. Infatti, in fase inspiratoria, l’abnorme dilatazione bronchiale implica la dislocazione di
un maggiore volume di aria nello spazio morto anatomico.
Durante l’espirazione forzata la compressione dinamica è
accentuata a livello delle bronchiectasie fino al collasso
della parete; questo meccanismo ostacola la progressione
del muco verso le alte vie respiratorie.
Dal punto di vista pratico può essere utile differenziare le
BR in localizzate e disseminate. Nel primo caso l’eziologia
è in genere postinfettiva; l’infezione, per la virulenza del
patogeno o per le condizioni anatomiche predisponesti
(ostruzione bronchiale intrinseca o estrinseca), produce
un danno localizzato, spesso con caratteristiche di atelettasia lobare o segmentaria. Spesso le BR localizzate interessano il lobo medio (sindrome del lobo medio); in questa
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Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE
sede i bronchi lobari sono angolati e di calibro più sottile
rispetto agli altri bronchi e la loro stenosi, per effetto della
compressione da parte di linfonodi ingrossati (per esempio, TBC), può causare una suppurazione localizzata. Le
forme disseminate sono generalmente secondarie a forme
congenite o associate alla BPCO, interessando nel primo
caso soggetti in giovane età e nel secondo in prevalenza
individui anziani.
sono in genere localizzati, variabili e scompaiono con
un colpo di tosse. È comune un’obiettività toracica poco
significativa.
Diagnosi
Sintomatologia
L’elemento centrale del processo diagnostico è la dimostrazione delle BR. Spesso il sospetto nasce da una radiografia
del torace eseguita per documentare la risoluzione di un
processo broncopneumonico acuto. L’indagine definitiva
per precisare la presenza, la localizzazione e l’entità delle
BR è la HRCT del torace (Fig. 18.18). I segni indicativi di
BR sono i seguenti:
• immagini “ad anello”, nel caso i bronchi siano
visualizzati in una sezione trasversale, caratterizzate
da un diametro bronchiale di circa 1,5 volte quella
del vaso (immagine di densità perfettamente
circolare), che corre parallelo e adiacente al bronco;
• immagini “a binario”, se il bronco è visualizzato in
una sezione longitudinale, con un calibro bronchiale
che non si riduce lungo il suo decorso verso la
periferia e ispessimenti della parete con dilatazioni
fusiformi (aspetto varicoso);
• nelle forme più gravi di BR la dilatazione bronchiale
è abnorme, sferica o semisferica, con aspetti pseudocistici, spesso raggruppati (si veda Fig. 18.18 b).
Il quadro clinico che conduce a sospettare le BR e a indagare la loro eziologia è abbastanza tipico, seppur variabile e più conclamato nelle BR disseminate e su base
congenita. Il sintomo più frequente è rappresentato dalla
tosse cronica produttiva, presente soprattutto al risveglio
o durante lo sforzo fisico anche nei periodi di maggior
benessere. La tosse a carattere produttivo si accentua nelle
fasi di infezione respiratoria. L’espettorato ha carattere
mucopurulento o francamente purulento, contrariamente
a quanto si osserva nella BPCO.
Un’altra caratteristica delle BR è data dalla recidiva di infezioni respiratorie delle basse vie aeree. La caratteristica
peculiare della sindrome bronchiectasica è l’alternanza
tra le fasi di quiescenza e le fasi di riacutizzazione, in
cui la tosse produttiva e l’espettorazione si accentuano e l’espettorato incrementa la componente purulenta rispetto alle fasi di stabilità. Nelle riacutizzazioni si
possono associare sintomi generali come inappetenza,
svogliatezza, febbre a carattere settico e calo ponderale.
Nelle fasi di esacerbazione respiratoria, l’espettorato può
contenere piccole tracce di sangue o, più raramente, vi
possono essere vere e proprie emottisi con emissione
di solo sangue in quantità variabile. Vengono descritti
rari casi di emottisi a evoluzione fulminante con morte
improvvisa da inondazione emorragica di entrambi gli
emisistemi bronchiali.
È utile ricercare sintomi compatibili con una rinosinusite
cronica; l’essudazione mucopurulenta nelle fosse nasali
e secondariamente in ipofaringe può accompagnarsi a
cefalea e a otiti recidivanti, fino al quadro dell’otite media cronica. La sintomatologia asmatiforme caratterizza
soprattutto l’ABPA.
All’auscultazione del torace si possono apprezzare rumori
umidi localizzati e presenti anche al di fuori delle fasi di
infezione acuta, oppure ronchi o sibili espiratori, che
L’HRCT consente inoltre di evidenziare presenza di anomalie
associate, come aree di consolidamento, riduzione del volume di un segmento o lobo (atelettasia), aumento di volume
dei linfonodi mediastinici e differenza di trasparenza tra aeree
o lobi contigui (aspetto “a mosaico”), che indica la disomogeneità della distribuzione della ventilazione.
Definita la presenza, l’entità e la localizzazione delle BR,
è necessario fare una diagnosi eziologica, con le indagini
specifiche per le diverse cause, indicata nella tabella 18.11.
La spirometria mostra un quadro ostruttivo in genere di
lieve-moderata entità nelle BR disseminate, mentre può
essere normale in quelle localizzate; è importante monitorare nel tempo la spirometria per valutare l’entità delle
esacerbazioni infettive e la risposta alla terapia. È importante anche eseguire periodiche colture microbiologiche
dell’espettorato, per valutare la presenza di batteri, micobatteri tipici e atipici e di Aspergillus fumigatus. I batteri
più comumente isolati sono, in ordine di frequenza, H.
influenzae, S. aureus e P. aeruginosa.
La diagnostica della FC si deve basare sulla quantità del
cloro nel sudore (patologico se > 60 mEq/L), ma se questo
è normale o borderline va completata con la ricerca di mutazioni del gene CFTR per identificare forme atipiche. La
diagnosi di PCD si può sospettare con un basso valore di
ossido nitrico nasale, ma va confermata con lo studio alla
microscopia elettronica delle cilia nasali e/o bronchiali.
L’identificazione di un difetto di Ig o di sottoclassi IgG,
specie delle IgG2, è giustificato anche dalla possibilità di
una terapia sostitutiva con Ig. La broncoscopia è un’indagine di secondo livello e va considerata in presenza di BR
localizzate, per documentare fattori locali (broncostenosi
intrinseche o estrinseche), che giustifichino il ricorrere di
infezioni respiratorie nella stessa sede o come trattamento
preoperatorio necessario per la rimozione delle abbondanti secrezioni bronchiali. Nel caso di BR localizzate, occorre
Anatomia patologica
Le BR interessano i bronchi di calibro superiore ai 2 mm.
Con l’eccezione della FC, le BR coinvolgono prevalentemente i lobi inferiori. Nelle BR cilindriche la dilatazione riguarda tutta la circonferenza bronchiale. Se la
dilatazione è fusiforme e irregolare, le BR sono dette
varicose, mentre se è abnorme e sferica le BR sono dette
pseudocistiche . Nel lume bronchiale è spesso presente
muco purulento e la mucosa può essere estesamente
ulcerata. Istologicamente si alternano aree di necrosi
della parete ad aree di riparazione con tessuto fibroso,
il quale sostituisce le fibre elastiche e muscolari alterate
in modo irreversibile.
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Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
fare indagini microbiologiche e sierologiche (morbillo,
pertosse, adenovirus e micoplasma), oltre che eseguire la
reazione di Mantoux.
Terapia
Con l’eccezione degli immunodeficit, per i quali è
disponibile un trattamento specifico, per tutte le altre condizioni associate a BR non è disponibile una
terapia mirata. Il trattamento è perciò palliativo e
indirizzato al circolo vizioso infezione-infiammazione
polmonare, allo scopo di limitare l’evoluzione della
pneumopatia. La FC rappresenta un riferimento per
il trattamento delle BR. Per tutti o quasi gli aspetti
terapeutici manca il supporto di evidenze basate sulla
ricerca clinica controllata e randomizzata; questa è la
conclusione di una serie di revisioni sistematiche.
La fisioterapia-riabilitazione respiratoria è un aspetto
centrale del trattamento; l’applicazione di tecniche per
la rimozione del muco bronchiale può essere utile quando vi è un’espettorazione mucopurulenta o purulenta
abituale. Programmi di allenamento allo sforzo possono
aumentare e/o mantenere la prestazione fisica.
Quando i batteri patogeni sono isolati abitualmente o
frequentemente nelle basse vie aeree, l’antibioticoterapia mirata va proposta sempre, quando vi sono sintomi
e segni di riacutizzazione della malattia e conseguenti
ripercussioni respiratorie. Se la frequenza delle infezioni
respiratorie è elevata e il declino della funzione polmonare è documentato dalla progressiva alterazione dei valori spirometrici, trova indicazione la terapia antibiotica
“soppressiva” dell’infezione cronica. In questi casi si
possono utilizzare antibatterici per via orale a cicli programmati o aminoglicosidi per via aerosolica quando
l’infezione cronica è sostenuta da P. aeruginosa. La terapia
steroidea per via orale, eventualmente associata a itraconazolo, è indicata nelle fasi di esacerbazione di ABPA.
In presenza di instabilità clinica e funzionale può essere
anche indicato un trattamento prolungato per via inalatoria con steroidi, associati a broncodilatatori a lunga
durata d’azione. Come antinfiammatori possono essere
somministrati cronicamente i macrolidi.
La terapia chirurgica con exeresi lobare trova oggi una
indicazione nelle BR localizzate, monolaterali, secondarie a malformazioni congenite, a bronco-ostruzione
da corpi estranei e in quelle postinfettive, che comportano una significativa morbidità, nonostante il
ricorso a fisioterapia respiratoria e a terapia medica.
Una considerazione a parte meritano le BR diffuse
non operabili emoftoizzanti. In questi casi, l’obiettivo
più importante è di eliminare il sanguinamento, che
in qualche caso può assumere caratteri di notevole
gravità, tanto da mettere in pericolo la vita stessa del
paziente (emottisi fulminanti). Il trattamento terapeutico di scelta si basa sull’embolizzazione dell’arteria
bronchiale tributaria del territorio polmonare sanguinante. Essenziale, per una corretta esecuzione della
metodica da parte del radiologo interventista, è la definizione dell’emisistema bronchiale sede dell’emorragia. L’esecuzione della fibro-broncoscopia e/o della TC
con mezzo di contrasto può fornire, a questo riguardo,
elementi essenziali sul distretto da embolizzare.
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