Quella rivoluzione subdola e profonda

Guido Martinotti
Quella rivoluzione subdola e profonda
E’ in libreria La città delle reti, di Manuel Castells (Marsilio Editore – I libri di Reset, euro 7,50).
Il libro raccoglie i testi di due conferenze tenute da Castells all’ Università degli studi di MilanoBicocca e alla Luiss di Roma, e un saggio ricavato dall’integrazione di due lezioni tenute dal
sociologo catalano in America, l’una a New York, presso la Columbia University, e l’altra al Mit di
Boston.
Proponiamo qui l’introduzione al libro scritta da Guido Martinotti.
Nonostante la relativa eterogeneità delle occasioni che hanno dato vita alle tre conferenze che
compongono questo libro, il lettore coglierà facilmente un filo comune e una comune caratteristica
di esposizione nei saggi pubblicati. Il tema comune è quello che caratterizza tutta l’opera recente di
Castells, e cioè che la tecnologia dell’informazione e della comunicazione che fa perno attorno a
Internet è assai più di un “frammento” della struttura tecnologica contemporanea, ma ne è diventato
invece l’asse portante. Non solo, ma anche che Internet sta diventando l’elemento caratterizzante di
una nuova struttura economica e di una nuova organizzazione sociale che si stanno affermando
sotto i nostri occhi. Per usare le parole dello stesso Castells, che si possono leggere in uno dei saggi
pubblicati più avanti (ma lo stesso concetto è ripetuto in altre occasioni con parole leggermente
diverse): “Nell’ultimo quarto del Ventesimo secolo è emersa una nuova forma di organizzazione
socioeconomica: dopo il crollo dell’Unione Sovietica, per la prima volta nella storia, l’intero
pianeta è capitalistico, dal momento che anche le poche economie pianificate rimaste devono la
propria sopravvivenza o quantomeno il proprio sviluppo ai legami intrecciati con i mercati
capitalistici globali. Tuttavia si tratta di un tipo di capitalismo al tempo stesso molto antico e
sostanzialmente nuovo. È antico perché fa appello a una concorrenza spietata nella ricerca del
profitto e perché la soddisfazione individuale (immediata o differita) è la sua forza motrice. Ma è
sostanzialmente nuovo perché si avvale delle nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, che sono alla base di nuove fonti di produttività e di nuove forme di organizzazione
che contribuiscono alla formazione di un’economia globale”.
Con occhi e concetti di sociologo
Castells è molto attento nell’usare con un senso ben specifico termini che sono entrati nell’uso (e
nell’abuso) comune e ci mette ripetutamente in guardia dall’accettare le rappresentazioni delle
iperboli mediatiche. E sottolinea che la nuova organizzazione economica si sta sviluppando
indipendentemente dalle contingenze del mercato finanziario della “New Economy”, anche se
l’opinione pubblica rimane parzialmente accecata e frastornata dalle prospettive di collasso, come
lo era stata dalle promesse di cyberutopia.
Il secondo filo comune che lega i tre interventi è l’approccio sociologico. Si potrebbe dire che
questa è una banalità o quantomeno un’affermazione tautologica, perché Castells è un sociologo.
Ma questa qualità va riaffermata perché gran parte della letteratura cosiddetta “sociologica”
sull’argomento è basata su riflessioni che di sociologico hanno talvolta (raramente) il nome, ma
certo neppur lontanamente il metodo o i concetti. Non basta parlare di aspetti sociali di una
tecnologia per fare un discorso sociologico. Occorre, come fa Castells, anche utilizzare teorie e
metodi che permettano di costruire un approccio sociologico, cioè di collegare tra loro in modo
sistematico diversi processi sociali in corso, osservandone le interazioni e gli ulteriori processi
sociali che ne vengono generati. Ne troviamo un esempio nella conferenza sulle funzioni
dell’educazione, nella quale Castells elenca cinque principali funzioni dei sistemi educativi,
sintetizzando, peraltro piuttosto abilmente, un’ampia letteratura. Ma egli non si limita a questo, e
prosegue incrociando queste funzioni con le caratteristiche e i requisiti della società
dell’informazione, osservandone le interazioni con le funzioni tradizionali e le trasformazioni che di
queste funzioni derivano. Una tecnica analoga viene usata nel secondo saggio.
Potere dei flussi vs. flussi di potere
Ricordiamo che Castells ha una visione precisa delle trasformazioni sociali in corso, una visione
che egli sintetizza molto efficacemente nella conclusione del primo volume della trilogia, La
nascita della società in rete, in cui si dice appunto che: “La nostra esplorazione delle strutture
sociali emergenti nei diversi domini dell’attività e dell’esperienza umane conduce a una conclusione
generale: come tendenza storica, le funzioni e i processi dominanti nell’Età dell’informazione sono
sempre più organizzati intorno a reti. Le reti costituiscono la nuova morfologia sociale delle nostre
società e la diffusione della logica di rete modifica in modo sostanziale l’operare e i risultati dei
processi di produzione, esperienza, potere e cultura. Sebbene la forma di organizzazione sociale a
rete sia esistita in altri tempi e in altri spazi, il nuovo paradigma della tecnologia dell’informazione
fornisce la base materiale per la sua espansione pervasiva attraverso l’intera struttura sociale.
Inoltre, a mio avviso, la logica di rete induce una determinazione sociale di livello superiore rispetto
a quello degli interessi sociali specifici espressi nelle reti: il potere dei flussi afferma la sua priorità
sui flussi del potere. La presenza o l’assenza all’interno di una rete e le dinamiche di ciascuna rete
nei confronti delle altre rappresentano fonti critiche del dominio e del cambiamento nella nostra
società: una società che, pertanto, può essere a ragione definita società in rete, caratterizzata dalla
preminenza della morfologia sociale rispetto all’azione sociale.”
Questo cambiamento però non è un cambiamento che avverrà dolcemente come il passaggio dallo
stile moderno a quello postmoderno in architettura, con molto chiasso, ma pochi morti. La
diffusione di Internet cambia la nostra vita in molti modi subdoli, ma profondi. Tempo fa a un
dibattito pubblico il presidente di una grande banca milanese, per descrivere gli effetti e le
prospettive di questa innovazione diceva “è come se fossi su una spiaggia e guardando l’orizzonte
vedo un’onda che avanza e via via che<si avvicina ne distinguo meglio le dimensioni e capisco che
è molto grande”. Grande sì, direi io, perché quella non è un’onda, ma uno tsunami e noi ci
navighiamo sopra con leggerezza con il nostro surf, mentre sotto i nostri piedi il fondo del mare
trema cupamente.