N U R S I N G E A P P R O P R I AT E Z Z A : L’A S S I S T E N Z A G I U S TA A L M O M E N T O G I U S T O IN AREA CRITICA… IL CATETERE VENOSO CENTRALE : DAL PUNTO DI VISTA INFERMIERISTICO ANNAMARIA SACCONE Catetere Venoso Centrale (CVC) È un dispositivo vascolare che viene introdotto attraverso una vena centrale, ossia di grosso calibro. In letteratura un catetere venoso si definisce centrale quando la sua punta viene posizionata in prossimità della giunzione tra la vena cava superiore e l'atrio destro. A questo livello le pareti vasali sono più spesse, il rapporto diametro del vaso è maggiore del rapporto diametro del catetere, con il vantaggio che la punta "non va a parete", il catetere ha una posizione parallela al vaso, il farmaco somministrato è rapidamente diluito. E' costituito da : 1. un sottile tubicino di materiale plastico, morbido e flessibile, biocompatibile, di lunghezza variabile (circa 20 centimetri). Le dimensioni del diametro del catetere sono espresse in French o in Gauge. Il French esprime il diametro esterno (3 French = 1 mm) mentre il Gauge (G) il diametro interno del lume. Nell’adulto si utilizzano cateteri venosi centrali il cui diametro va da 6 a 9 F. 2. Hanno un design di lume singolo o multiplo. La punta del catetere può essere aperta oppure chiusa con valvola antireflusso alla punta prossimale del catetere. 3. Fino a tempi relativamente recenti era opinione corrente che il calibro dei sistemi impiantabili dovesse essere il maggiore possibile in relazione alla disponibilità vascolare, per consentire alti flussi infusionali e per diminuire il rischio di occlusione endoluminale dovuta soprattutto a depositi lipidici. Dati sperimentali più recenti hanno dimostrato che il costante contatto tra il CVC e la parete del vaso provoca un danno endoteliale importante con formazione di uno "sleeve". Il traumatismo sull’endotelio è ovviamente superiore con cateteri di maggior calibro. Rispetto a un accesso venoso periferico, il dispositivo centrale ha l’obiettivo di garantire un accesso più stabile e sicuro, di lunga durata, garantendo il mantenimento per tutto il tempo di cura, con il conseguente obiettivo della riduzione delle complicanze, di minima trombogenicità e minimo rischio infettivo, la massima biocompatibilità, e la possibilità di un utilizzo a lungo termine e discontinuo Materiale.. Lo sviluppo di nuovi materiali ad alta biocompatibilità ha portato all'abbandono progressivo dei cateteri costituiti da polietilene, PVC, che erano eccessivamente rigidi. I CVC che meglio rispondono alle necessità dei pazienti sono fabbricati in gomma siliconata (silicone/silastic o in poliuretano.) Il materiale ideale deve essere ottimo per biocompatibilità, elasticità, flessibilità e resistenza all’usura, chimicamente inerte, non trombogenico, radiopaco, trasparente. Materiale.. Il poliuretano è un materiale rigido che comporta durezza all'inserimento con maggiore rischio di danni ai tessuti vascolari, ma presenta maggiore facilità di inserzione ed ha una minor tendenza al “kinking” (inginocchiamento). A parità di Fr, ha il lume interno più grande con possibilità di infondere flussi maggiori. Il silicone possiede maggiore biocompatibilità, ha un minor rischio di interferenza con i farmaci e possiede una ridotta adesività di superficie con conseguente minore adesione batterica. E' un materiale più morbido, quindi meno traumatico all'inserzione con minor rischio di trombosi, ma per la sua elevata morbidezza presenta un rischio maggiore di "kinking" in quanto materiale più fragile e di facile rottura. A parità di Fr, ha il lume interno più piccolo con maggior spessore della parete pertanto possono essere infusi flussi più bassi. Il Catetere Venoso Centrale a Breve termine 1. Il suo utilizzo è esclusivamente ospedaliero. E' raccomandato per una terapia infusiva continua per un periodo relativamente breve (max 1 mese), particolarmente indicato quando il patrimonio vascolare periferico del paziente è inadeguato o inappropriato. 2. Utilizzato per limitati periodi di tempo, fino a 4 settimane, anche se è stato sperimentato che mediante una corretta gestione da parte dell’operatore può essere utilizzato anche per periodi più prolungati, senza comparsa di complicanze. Generalmente in poliuretano, ha una lunghezza che va dai 2030 cm, può essere a lume singolo e talvolta multilume. Il Catetere Venoso Centrale a Breve termine 1. Il posizionamento non è chirurgico: il catetere viene inserito per via percutanea, ovvero la sua estremità prossimale fuoriesce dalla cute in prossimità della vena utilizzata per l'inserimento; è posizionato in tempi relativamente veloci, anche al letto del paziente e, in caso di malfunzionamento, può essere sostituito mediante un filo guida. 2. Essendo non tunnellizzato presenta un rischio infettivo più elevato rispetto ai cateteri tunnellizzati per le frequenti manipolazioni dirette al punto di inserzione. Comportano, inoltre, un più alto rischio trombotico rispetto ai più morbidi cateteri in silicone. Il Catetere Venoso Centrale a medio termine Il catetere a medio termine è rappresentato principalmente dal catetere tipo Hohn: 1. Realizzato con materiali altamente biocompatibili come il silicone o il poliuretano speciali. Viene utilizzato in pazienti non ospedalizzati o con ospedalizzazioni periodiche che richiedano l’utilizzo di un accesso venoso stabile ed affidabile per periodi medio-lunghi (da 1 a 3 mesi) o per un uso discontinuo. Talvolta può essere utilizzato anche in attesa di un dispositivo a lungo termine, quando non sia possibile procedere subito all’impianto. Ha una lunghezza di circa 20 cm, è non tunnellizzato e non valvolato 2. Il catetere Hohn è generalmente fabbricato in silicone, non tunnellizzato e non valvolato, a punta aperta. Si inserisce come un catetere a breve termine ma rispetto ad esso permette un uso discontinuo e presenta una minor incidenza di ostruzione e trombosi. Tuttavia, avendo un ancoraggio alla cute mediante fili di sutura o sistema suture-less, presenta un aumentato rischio di infezione e di rimozione accidentale. Il Catetere Venoso Centrale a medio termine Il P.I.C.C. (Peripherally Inserted Central Catheters) è un catetere venoso centrale a tutti gli effetti, in quanto la punta è posizionata nella giunzione atrio-cavale, ma ha un'inserzione da una vena periferica del braccio. Generalmente si utilizzano : vene basilica, che è quella di prima scelta per il suo diametro e perché offre il tragitto più breve e diretto alla succlavia; la vena brachiale, che anch'essa è una vena di buon calibro e di facile accesso e rappresenta la seconda scelta, la vena cefalica che è una vena larga ma provoca spesso dei problemi nell’avanzamento del catetere dato che si restringe subito al di sopra della fossa antecubitale. Fabbricato sia in poliuretano sia in silicone, è un dispositivo destinato ad un utilizzo sia continuo che discontinuo, intra ed extraospedaliero; può avere la punta aperta o la punta chiusa dotata di valvola. Ha una lunghezza compresa tra 40 e 60 cm. Può essere lasciato in sede per almeno 6 mesi, ma non viene specificato dalle ditte produttrici il termine massimo, quindi si può lasciare più a lungo se non vi sono segni di complicanze. Il Catetere Venoso Centrale a medio termine Sono utilizzabili solo su pazienti con vene integre e ben evidenziabili, in cui l’utilizzo dell’ecografo è fattibile dato che il suo posizionamento avviene mediante guida ecografica, che consente la localizzazione di vene periferiche non visibili nè palpabili. Il P.I.C.C. consente, quindi, tutti gli utilizzi tipici dei cateteri venosi centrali inseriti in succlavia o giugulare, ma evita il rischio di complicanze meccaniche legate all'inserzione, tipiche della puntura venosa centrale diretta, come ad esempio il pneumotorace. Ha un minor rischio di complicanze batteriche e di trombosi venosa centrale. Sono vantaggiosi per la possibilità di inserzione al letto del paziente. La peculiarità di questo dispositivo è che può essere posizionato dal personale infermieristico adeguatamente formato all’inserimento. Il Catetere Venoso Centrale a Lungo termine Fabbricato in silicone, viene utilizzato in pazienti per i quali si prevede un trattamento endovenoso cronico di durata superiore ai 6 mesi, avendo una durata teorica illimitata, e trovano indicazione soprattutto nella terapia neoplastica. I cateteri venosi centrali a lungo termine possono essere ulteriormente distinti in: 1. sistemi parzialmente impiantabili, definiti anche CVC esterni tunnellizzati 2. sistemi totalmente impiantabili, detti anche Port venosi. I Cateteri tunnellizzati Sono realizzati in silicone, più raramente in poliuretano. Sono ideali per l’uso quotidiano, sia a domicilio che in ospedale, per le terapie infusionali ad alto flusso e per la NPT domiciliare. Sono caratterizzati da una porzione intravascolare ed una porzione extravascolare tunnelizzata nel sottocute che fuoriesce di circa 7-8 cm dal sito di venipuntura. Nel tratto tunnellizzato vi è la presenza di una cuffia in Dacron, è situata solitamente a 5 cm dal sito d’uscita e il tessuto granulando intorno ad essa àncora il catetere nel sottocute riducendo il rischio di dislocamento, oltre alla funzione di barriera alla migrazione di germi dalla cute verso il tratto endovascolare del catetere. Il rischio di infezioni è pertanto minore rispetto ai non tunnellizzati. La cuffia di Dacron deve essere collocata a qualche centimetro dal punto di emergenza del catetere dalla cute. L’evidenza della cuffia al di fuori del punto di uscita deve far pensare ad una dislocazione del catetere con imminente rischio di rimozione accidentale. I cateteri Broviac, Hickman e Groshong sono i primi esempi di cateteri tunnellizzati. I cateteri tunnelizzati possono essere a punta aperta (di tipo Hickmane e Broviac) e a punta chiusa con valvola (di tipo Groshong). I cateteri di tipo Groshong è il sistema più utilizzato. Sono costituiti in silicone trasparente con banda radiopaca. La caratteristica esclusiva che contraddistingue questi CVC è la presenza della valvola. Essa è collocata in corrispondenza dell’estremità prossimale e permette le infusioni di liquidi e il prelievo ematico. Quando non è in uso la valvola rimane chiusa, agendo da barriera al reflusso ematico e all'embolia gassosa. Applicando una significativa pressione negativa (aspirazione) la valvola si introflette (il prelievo ematico); Applicando una pressione positiva all'interno del catetere la valvola si estroflette ( l'infusione di liquidi ); In condizioni di valori pressori normali , la valvola rimane chiusa e non permette il reflusso di sangue all’interno del catetere . I sistemi totalmente impiantabili (Port) Questa tipologia di cateteri sono totalmente sottocutanei. Il sistema Port è quello più frequentemente usato. In Italia è il presidio d’eccellenza per la chemioterapia in Day Hospital ed è solitamente ben tollerato dal paziente. E’ costituito da due componenti: il "serbatoio" (reservoir) alloggiato in una tasca sottocutanea ricavata con un semplice intervento chirurgico in regione pettorale, al di sotto della clavicola, e il catetere venoso centrale tunnellizzato inserito attraverso una vena del collo e spinto nella posizione prescelta (giunzione vena cava superiore/atrio cardiaco destro) e sono connessi fra loro tramite un sistema di raccordo. La struttura del Port, è generalmente prodotta in titanio, ed è simile a un piccolo disco, chiamato camera o serbatoio, con una parte centrale rialzata, costituita dal setto. La parte superiore, detta "entrata", è costituita da una membrana in una particolare tipologia di si-licone accessibile per puntura percutanea, che si richiude automaticamente definita autosigillante dopo ogni utilizzo. Essendo leggermente rialzata è facile sentirla sotto la pelle, al momento della terapia è quindi sufficiente pungerla con appositi aghi non siliconati, appositamente conformati: sono gli aghi di Huber e gli aghi di Gripper, definiti aghi "non-coring" (non carotanti), ossia senza effetto biopsia che hanno la punta conformata in modo tale che sia piegata e non rovini la membrana, preservandone l'integrità e rendendola utilizzabile per un lungo periodo: Le indicazioni al posizionamento di Accesso Venoso Centrale In ogni paziente dovrebbe essere sempre valutato se può essere utile posizionare un catetere venoso centrale; in ogni caso non possono essere definiti criteri assoluti per la indicazione o la controindicazione e pertanto la scelta va fatta per ogni singolo caso. La scelta di collocare un dispositivo di accesso venoso centrale dovrebbe essere fatta dopo aver considerato i rischi e i benefici per ogni paziente. Nella decisione all’impianto di un accesso venoso centrale bisogna tener conto della diagnosi del paziente; il trattamento destinato (farmaci irritanti normalmente richiedono CVC) e tenere in considerazione la scelta personale del paziente. Le indicazioni al posizionamento di Accesso Venoso Centrale Il catetere venoso centrale va inserito nelle seguenti situazioni: Somministrazione di farmaci irritanti e vescicanti, acidi o basici, ipo o iperosmolari; Infusione di terapie nutrizionali; Somministrazione di emoderivati Prestazioni di plasmaferesi Prestazioni di emodialisi Esecuzione di prelievi ematici ripetuti Impossibilità di accedere a una vena periferica per depauperamento del patrimonio venoso; Necessità di infusione per periodi di tempo prolungati, per terapie continue o discontinue, in ambiente ospedaliero o extraospedaliero; Monitoraggio PVC Emergenze che richiedono un accesso rapido e sicuro Da considerare anche l’accesso venoso centrale nelle cure palliative, il cui ruolo è stato completamente rivalutato da oncologi, chirurghi, anestesisti e palliativisti, infatti sono uno strumento fondamentale per ridurre al minimo manovre ripetute e fastidiose, come l’incannulamento di una vena periferica. Questi presidi consentono di eseguire non solo chemioterapia ma anche terapia di supporto, antalgica e sedazione palliativa. Va rispettato il principio di ridurre al minimo le manovre invasive in cure palliative. Scelta della vena per l’inserimento del Catetere Venoso Centrale Il presidio per accesso ad una vena centrale viene impiantato in una vena di grosso calibro: succlavia, giugulare interna o esterna, femorale, trans brachiale e cefalica. Per ogni sede di impianto esistono vantaggi, svantaggi e possibili complicanze che devono essere di volta in volta considerati. Dalle Raccomandazioni del CDC di Atlanta riferite alla scelta della vena si evince che bisogna pesare il rischio e i benefici di posizionare un dispositivo ad un sito raccomandato per ridurre le insorgenze di complicanze. Il rischio di contrarre infezioni ematiche associate a catetere venoso centrale è influenzato dal sito di posizionamento del CVC. Ciò è dovuto alla differente densità di colonizzazione batterica della cute in ognuno dei siti di accesso. In uno studio randomizzato multicentrico dell'anno 2010 su 289 pazienti sottoposti a cateterizzazione utilizzando la vena femorale o la succlavia, il posizionamento della vena femorale è risultato associato ad un rischio significativamente più elevato di infezioni rispetto alla vena succlavia (20 contro 3.7 per 1000 giorni/catetere). In un altro studio del 2012 multicentrico olandese su 3750 pazienti con CVC e 29.003 giorni/catetere, il posizionamento nella vena femorale e giugulare è risultato associato come fattore indipendente ad un aumento del rischio di insorgenza di infezioni. In uno studio dell'anno 2012 che ha confrontato direttamente le vene succlavia, giugulare interna e femorale, l’accesso attraverso la vena succlavia è risultato associato al rischio più basso d’infezione (rispettivamente 0.97 contro2.99 e 8.34 per 1000 giorni/catetere). Per questa ragione, ogni volta sia fattibile dal punto di vista medico, la vena succlavia è da preferire per la cateterizzazione venosa secondo le LG CDC/HICPAC (Categoria 1B, anno 2011). Complicanze del posizionamento del CVC L'inserzione e il mantenimento degli accessi venosi centrali, anche in condizioni ideali, si associano ad una certa incidenza di complicanze. Quelle infettive costituiscono la principale fonte di complicanze e di mortalità per il paziente portatore di tali dispositivi. Il personale medico e infermieristico ha la responsabilità di prevenire le complicanze correlate alla presenza del dispositivo, di riconoscerle precocemente e attuare, nell’ambito delle rispettive competenze, gli interventi adeguati. La gestione dei cateteri venosi centrali è un’attività prevalentemente infermieristica, occorre pertanto essere a conoscenza del dispositivo, del suo funzionamento, delle indicazioni e delle complicanze. Per la sicurezza del paziente, l'operatore sanitario deve essere in grado di riconoscere i segni e i sintomi delle complicanze correlate ai dispositivi intravascolari durante l'impianto, la gestione e la rimozione e deve saper intervenire in modo appropriato. Occorre uniformare le pratiche e i comportamenti del personale sanitario riguardo la gestione di tali dispositivi endovasali secondo criteri basati sull’evidenza scientifica nazionale ed internazionale per raggiungere e mantenere i seguenti standard di risultato: 1. Mantenimento del presidio venoso per tutto il tempo necessario alla cura del paziente 2. Assenza di complicanze 3. Tutela della salute del paziente Le complicanze correlate agli Accessi Venosi Centrali a) legate alla manovra d'inserzione e posizionamento, distinte in complicanze immediate e precoci, b) legate al mantenimento in sede del dispositivo e alla sua gestione, definite complicanze tardive, a loro volta, distinte in complicanze meccaniche (non infettive, che comportano il malfunzionamento del dispositivo) e infettive. Le complicanze immediate e precoci, con un'incidenza > 0.5 %, sono generalmente legate all’operatore ma anche al tipo di vena prescelta. Le complicanze immediate sono quelle strettamente legate al posizionamento del CVC, che possono verificarsi al momento stesso dell'inserzione o evidenziarsi nelle 24/48 ore successive all'impianto del catetere, in questo caso vengono definite precoci. Vantaggi e svantaggi e/o complicanze secondo la sede d’impianto Vena succlavia VANTAGGI 1. Facile reperibilità; 2. Permette una incannulazione a lungo termine; 3. Maggiore confort per il paziente: risulta più comoda la gestione della medicazione; la medicazione risulterà meno visibile perché coperta dai vestiti. SVANTAGGI E /O COMPLICANZE 1. Pneumotorace, puntura della cupola pleurica e conseguente introduzione di aria; 2. Emotorace lacerazione dell’arteria o della vena succlavia; 3. Embolia gassosa per aspirazione di aria nella vena; 4. Aumento rischio di stenosi e trombosi venosa; 5. Non utilizzare questo sito in pazienti in emodialisi con malattia renale avanzata per evitare la stenosi della vena succlavia. Vena giugulare interna VANTAGGI SVANTAGGI E /O COMPLICANZE 1. Facile reperibilità; 1. Possibilità di puntura 2. La posizione anatomica della accidentale dell’arteria carotide; vena per permettere al catetere 2. La gestione della medicazione di scendere più facilmente; (adesione dei cerotti) è più 3. In caso di puntura accidentale scomoda per la presenza dei dell’arteria carotide è più facile capelli o della barba (vengono eseguire la compressione; medicati più volte); 4. Minore rischio di stenosi e 3. E’ meno accettata dal paziente trombosi venosa rispetto alla perché meno bene si nasconde succlavia. la medicazione sotto i vestiti. Vena femorale (poco raccomandato) VANTAGGI SVANTAGGI E /O COMPLICANZE 1. E’ di largo calibro e superficiale; 1. Rischio aumentato di infezione 2. Facilmente reperibile anche in per la presenza del catetere un paziente in stato di shock; nell’area inguinale, 3. Assenza di complicanze mortali. maggiormente esposta alla crescita batterica; 2. Particolare suscettibilità all’infezione del catetere; 3. Notevole rischio di trombosi venosa profonda; 4. Scarsa possibilità di mobilizzare il paziente; 5. Poco gradito dal paziente perché limita la sua privacy. La maggior parte delle complicanze possono essere evitate utilizzando la venipuntura centrale ECOGUIDATA, oggigiorno fortemente raccomandata dalle linee guida di tutte le Società Scientifiche che trattano tale argomento. Le raccomandazioni disponibili in letteratura indicano che la venipuntura ecoguidata, associandosi a enormi benefici in termini di sicurezza, costoefficacia ed efficienza, andrebbe adottata in modo assiduo e costante, nell’interesse del paziente, nell’interesse dell’operatore e nell’interesse dell’azienda ospedaliera. Accanto alle complicanze immediate ve ne sono alcune definite tardive, in quanto compaiono oltre la settimana dal posizionamento. In letteratura è riportato che circa il 75% di tali complicanze sono dovute a manovre scorrette degli operatori, sia in fase di posizionamento, ma soprattutto durante la gestione infermieristica. La corretta gestione dei dispositivi centrali è fondamentale, in quanto da essa dipende la durata del catetere e la percentuale di insorgenza delle complicanze. Qualunque segnale di mal funzionamento del dispositivo va considerato come indice di una possibile complicanza. In fase tardiva, le complicanze più frequenti sono di natura meccanica e infettiva . Un malfunzionamento del catetere può essere dovuto a: sindrome del “pinch-off ” , che si deve alla compressione del catetere tra la clavicola e la 1° costa quando esso viene inserito nella vena succlavia. Questo problema è maggiore nei cateteri a lungo termine, con una frequenza dell'1% circa. Il “pinch-off ” si può manifestare con la presenza di un frammento distale parzialmente o totalmente distaccato. La complicanza evolutiva è la rottura del catetere e la sua embolizzazione. I segni di allarme sono la difficoltà durante l'infusione o l'aspirazione, di solito maggiore durante la posizione seduta rispetto a quella supina. La diagnosi è radiologica. “kinking” individuato come l'inginocchiamento del tratto esterno del catetere. L'inginocchiamento si verifica per la formazione di un angolo acuto sul catetere venoso centrale. Tale evenienza può verificarsi nel tratto esterno e più raramente nel tratto endovascolare. In genere un “kinking” nel tratto esterno si verifica quando, stabilizzando il dispositivo alla cute, non viene rispettata la linearità del tratto esterno del catetere; la rigidità del materiale ne predispone la creazione. L'inginocchiamento del tratto esterno è facilmente riconoscibile, mentre se si sospetta nel tratto endovasale, è necessario eseguire una radiografia; in questo caso si rende necessario il riposizionamento del catetere ex novo. malposizione secondaria, è la migrazione della punta del catetere dalla vena cava superiore in un vaso più piccolo, che si disloca e assume una posizione non corretta, a causa di un incremento della pressione intratoracica. Questo generalmente accade quando il catetere è troppo corto. Dislocazioni successive al corretto posizionamento si possono verificare nell'immediato per manovre inadeguate durante le manipolazioni del catetere stesso. Nella maggior parte dei casi è asintomatica. Viene diagnosticata con radiografia del torace; nel caso sia positiva per malposizione, il CVC non deve essere utilizzato ma sostituito quanto prima. Il danneggiamento del dispositivo (in parte o in toto) può avvenire sia al momento dell'inserzione sia durante il suo utilizzo e può verificarsi in diversi punti: nell'estremità terminale, in prossimità del clamp nei cateteri a punta aperta e lungo il tratto del dispositivo. Ogni danno del device è una potenziale porta di ingresso per batteri, virus o aria. Un CVC danneggiato implica la rimozione del dispositivo in uso, disagi e preoccupazione all'utente, ritardi nel trattamento terapeutico e incremento dei costi dovuti alla gestione aggiunta del dispositivo. Il rischio di rottura del catetere è correlato principalmente con le manipolazioni durante un inserimento difficoltoso, in corso di utilizzo o per un difetto del materiale del CVC. Le cause più comuni di rottura sono: una pressione eccessiva durante l'infusione, un sistema di ancoraggio alla cute non appropriato, tagli accidentali. Le lesioni dei sistemi tunnellizzati esterni vengono risolte mediante appositi kit di riparazione, specifici per ogni tipo di catetere. coaguli di sangue mezzo di contrasto precipitato di farmaci Occlusione del CVC Il buon funzionamento di un catetere è confermato dall’aspirazione di sangue; se questa manovra non riesce o è difficoltosa si deve ipotizzare un’occlusione. L’ostruzione del lume (parziale o completa) può essere dovuta a: coaguli di sangue refluito, è l'evenienza più frequente, aggregati lipidici in corso di NPT, depositi minerali precipitati per incompatibilità tra farmaci, occlusioni meccaniche da strozzamento (“pinch-off ” e “kinking”). Le misure di prevenzione da attuare per evitare l’occlusione del catetere sono: fissare bene il catetere in modo da evitare strozzature, torsioni e trazioni; somministrare i liquidi mediante pompe di infusione, garantendo sempre una pressione positiva all’interno del lume; in caso di allarmi ripetuti e ravvicinati della pompa d’infusione, considerare sempre una possibile occlusione del device, intervenendo il più rapidamente possibile con un controllo della sua pervietà; escludere cause meccaniche esterne al lume controllando la linea infusionale, dal set di somministrazione fino al sito di emergenza sotto la medicazione (per escludere ad es. un catetere clampato o inginocchiato). controllo della eventuale incompatibilità tra farmaci che vengono infusi simultaneamente; nel dubbio, consultare un farmacista; identificare i farmaci o le soluzioni ad alto rischio di precipitazione nel lume. Citiamo a questo proposito farmaci alcalini quali la Fentoina, il Diazepam, il Ganciclovir, l’Acyclovir, l’Ampicillina, l’Iminepem e l’Eparina; farmaci acidi quali la Vancomicina e le soluzioni per nutrizione parenterale; il Ceftriaxone ed il Calcio Gluconato; i sali minerali (es: calcio e fosfato) immessi in soluzione nutritive parenterali; Le misure di prevenzione da attuare per evitare l’occlusione del catetere sono: tenere presente il rischio di occlusione da residui lipidici quando si somministrano soluzioni per nutrizione parenterale; ridurre il rischio di precipitati mediante un adeguato “flush” con soluzione fisiologica prima e dopo ogni infusione; oppure utilizzare cateteri con lumi separati se disponibili. usare siringhe di capacità maggiore di 10 ml, per evitare pressioni eccessive che possono lesionare il sistema; adozione di una appropriata sequenza di clampaggio del catetere e deconnessione della siringa, allo scopo di ridurre il volume di reflusso ematico nel lume. Decidere in medicina Through Nursing View: Central Venous Catheterization Jessica Canepa, Onorina Consiglio, Martina Gallo, Elisa Gremi, Deborah Falzone, Paola Massobrio, Antonietta Piras, Elena Puglisi, Ana Shiella Rivera e Annamaria Saccone Infermieri della Medicina Interna 1 ed Ematologia ASL 2 Savonese - Ospedale San Paolo GRAZIE a SHIELLA, ANTO, ELISA, MARTINA, DEBORAH, ONO, ELENA , JESSICA E PAOLA…….. Bibliografia Protocollo aziendale PQA 118 ASL 2 Savonese Procedura aziendale Gestione Cateteri Venosi Centrali ASL 2 Savonese Linee Guida CDC Atlanta 2011 Linee Guida Cliniche Associazione GAVECELT Linee Guida INS 2016 Linee Guida EPIC 2014 Protocollo ISALT 2 Linee Guida ESPEN 2009 Quality Improvement Guidelines for Central Venous Access Sean R. Dariushnia, MD, Michael J. Wallace, MD, Nasir H. Siddiqi, MD, Richard B. Towbin, MD, Joan C. Wojak, MD, Sanjoy Kundu, MD, FRCPC, and John F. Cardella, MD J Vasc Interv Radiol 2010; 21:976 –981 Guidelines Association of Anaesthetists of Great Britain and Ireland* Safe vascular access 2016; A. Bodenham (Chair),1 S. Babu,2 J. Bennett,3 R. Binks,4 P. Fee,5 B. Fox,6 A. J. Johnston,7 A. A. Klein,8 J. A. Langton,9 H. Mclure10 and S. Q. M. Tighe11 Royal College of Nursing. Standards for infusion therapy 2005 Making Health Care Safer II: An Updated Critical Analysis of the Evidence for Patient Safety Practices; Chapter 10. Prevention on Central Line-Associated Bloodstream Infections: Brief Update Review; Vineet Chopra, M.D., M.Sc.; Sarah L. Krein, Ph.D., R.N.; Russell N. 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