N U R S I N G E A P P R O P R I AT E Z Z A : L’A S S I S T E N Z A G I U S TA A L M O M E N T O G I U S T O
IN AREA CRITICA…
IL CATETERE VENOSO CENTRALE : DAL PUNTO DI VISTA INFERMIERISTICO
ANNAMARIA SACCONE
Catetere Venoso Centrale (CVC)
È un dispositivo vascolare che viene introdotto attraverso
una vena centrale, ossia di grosso calibro.
In letteratura un catetere venoso si definisce centrale
quando la sua punta viene posizionata in prossimità della
giunzione tra la vena cava superiore e l'atrio destro.
A questo livello le pareti vasali sono più spesse, il
rapporto diametro del vaso è maggiore del rapporto
diametro del catetere, con il vantaggio che la punta "non
va a parete", il catetere ha una posizione parallela al vaso,
il farmaco somministrato è rapidamente diluito.
E' costituito da :
1.
un sottile tubicino di materiale plastico, morbido e flessibile, biocompatibile,
di lunghezza variabile (circa 20 centimetri). Le dimensioni del diametro del
catetere sono espresse in French o in Gauge. Il French esprime il diametro
esterno (3 French = 1 mm) mentre il Gauge (G) il diametro interno del lume.
Nell’adulto si utilizzano cateteri venosi centrali il cui diametro va da 6 a 9 F.
2.
Hanno un design di lume singolo o multiplo. La punta del catetere può
essere aperta oppure chiusa con valvola antireflusso alla punta prossimale del
catetere.
3.
Fino a tempi relativamente recenti era opinione corrente che il calibro dei
sistemi impiantabili dovesse essere il maggiore possibile in relazione alla
disponibilità vascolare, per consentire alti flussi infusionali e per diminuire il
rischio di occlusione endoluminale dovuta soprattutto a depositi lipidici.
Dati sperimentali più recenti hanno dimostrato che il costante contatto tra il
CVC e la parete del vaso provoca un danno endoteliale importante con
formazione di uno "sleeve". Il traumatismo sull’endotelio è ovviamente
superiore con cateteri di maggior calibro.
Rispetto a un accesso venoso periferico, il dispositivo centrale ha
l’obiettivo di garantire un accesso più stabile e sicuro, di lunga durata,
garantendo il mantenimento per tutto il tempo di cura, con il
conseguente obiettivo della riduzione delle complicanze, di minima
trombogenicità e minimo rischio infettivo, la massima
biocompatibilità, e la possibilità di un
utilizzo a lungo termine e discontinuo
Materiale..
Lo sviluppo di nuovi materiali ad alta biocompatibilità ha
portato all'abbandono progressivo dei cateteri costituiti da
polietilene, PVC, che erano eccessivamente rigidi.
I CVC che meglio rispondono alle necessità dei pazienti
sono fabbricati in gomma siliconata
(silicone/silastic o in poliuretano.)
Il materiale ideale deve essere ottimo per biocompatibilità,
elasticità, flessibilità e resistenza all’usura, chimicamente
inerte, non trombogenico, radiopaco, trasparente.
Materiale..
 Il poliuretano è un materiale rigido che comporta durezza all'inserimento con
maggiore rischio di danni ai tessuti vascolari, ma presenta maggiore facilità di
inserzione ed ha una minor tendenza al “kinking” (inginocchiamento). A parità
di Fr, ha il lume interno più grande con possibilità di infondere flussi maggiori.
 Il silicone possiede maggiore biocompatibilità, ha un minor rischio di
interferenza con i farmaci e possiede una ridotta adesività di superficie con
conseguente minore adesione batterica. E' un materiale più morbido, quindi
meno traumatico all'inserzione con minor rischio di trombosi, ma per la sua
elevata morbidezza presenta un rischio maggiore di "kinking" in quanto
materiale più fragile e di facile rottura. A parità di Fr, ha il lume interno più
piccolo con maggior spessore della parete pertanto possono essere infusi flussi
più bassi.
Il Catetere Venoso Centrale a Breve termine
1.
Il suo utilizzo è esclusivamente ospedaliero. E' raccomandato per una terapia
infusiva continua per un periodo relativamente breve (max 1 mese),
particolarmente indicato quando il patrimonio vascolare periferico del
paziente è inadeguato o inappropriato.
2.
Utilizzato per limitati periodi di tempo, fino a 4 settimane, anche se è stato
sperimentato che mediante una corretta gestione da parte dell’operatore può
essere utilizzato anche per periodi più prolungati, senza comparsa di
complicanze. Generalmente in poliuretano, ha una lunghezza che va dai 2030 cm, può essere a lume singolo e talvolta multilume.
Il Catetere Venoso Centrale a Breve termine
1.
Il posizionamento non è chirurgico: il catetere viene inserito per via
percutanea, ovvero la sua estremità prossimale fuoriesce dalla cute in
prossimità della vena utilizzata per l'inserimento; è posizionato in tempi
relativamente veloci, anche al letto del paziente e, in caso di
malfunzionamento, può essere sostituito mediante un filo guida.
2.
Essendo non tunnellizzato presenta un rischio infettivo più elevato rispetto ai
cateteri tunnellizzati per le frequenti manipolazioni dirette al punto di
inserzione. Comportano, inoltre, un più alto rischio trombotico rispetto ai
più morbidi cateteri in silicone.
Il Catetere Venoso Centrale a medio termine
Il catetere a medio termine è rappresentato principalmente dal catetere tipo Hohn:
1. Realizzato con materiali altamente biocompatibili come il silicone o il
poliuretano speciali. Viene utilizzato in pazienti non ospedalizzati o con
ospedalizzazioni periodiche che richiedano l’utilizzo di un accesso venoso
stabile ed affidabile per periodi medio-lunghi (da 1 a 3 mesi) o per un uso
discontinuo. Talvolta può essere utilizzato anche in attesa di un dispositivo a
lungo termine, quando non sia possibile procedere subito all’impianto. Ha
una lunghezza di circa 20 cm, è non tunnellizzato e non valvolato
2. Il catetere Hohn è generalmente fabbricato in silicone, non tunnellizzato e
non valvolato, a punta aperta. Si inserisce come un catetere a breve termine
ma rispetto ad esso permette un uso discontinuo e presenta una minor
incidenza di ostruzione e trombosi. Tuttavia, avendo un ancoraggio alla cute
mediante fili di sutura o sistema suture-less, presenta un aumentato rischio di
infezione e di rimozione accidentale.
Il Catetere Venoso Centrale a medio termine
Il P.I.C.C. (Peripherally Inserted Central Catheters) è un catetere venoso centrale a tutti gli
effetti, in quanto la punta è posizionata nella giunzione atrio-cavale, ma ha un'inserzione da
una vena periferica del braccio.
Generalmente si utilizzano :
vene basilica, che è quella di prima scelta per il suo diametro e perché offre il tragitto più
breve e diretto alla succlavia;
la vena brachiale, che anch'essa è una vena di buon calibro e di facile accesso e rappresenta la
seconda scelta,
la vena cefalica che è una vena larga ma provoca spesso dei problemi nell’avanzamento del
catetere dato che si restringe subito al di sopra della fossa antecubitale.
Fabbricato sia in poliuretano sia in silicone, è un dispositivo destinato ad un utilizzo sia
continuo che discontinuo, intra ed extraospedaliero; può avere la punta aperta o la punta
chiusa dotata di valvola. Ha una lunghezza compresa tra 40 e 60 cm. Può essere lasciato in
sede per almeno 6 mesi, ma non viene specificato dalle ditte produttrici il termine massimo,
quindi si può lasciare più a lungo se non vi sono segni di complicanze.
Il Catetere Venoso Centrale a medio termine
Sono utilizzabili solo su pazienti con vene integre e ben evidenziabili, in cui
l’utilizzo dell’ecografo è fattibile dato che il suo posizionamento avviene mediante
guida ecografica, che consente la localizzazione di vene periferiche non visibili nè
palpabili.
Il P.I.C.C. consente, quindi, tutti gli utilizzi tipici dei cateteri venosi centrali
inseriti in succlavia o giugulare, ma evita il rischio di complicanze meccaniche
legate all'inserzione, tipiche della puntura venosa centrale diretta, come ad
esempio il pneumotorace.
Ha un minor rischio di complicanze batteriche e di trombosi venosa centrale. Sono
vantaggiosi per la possibilità di inserzione al letto del paziente. La peculiarità di
questo dispositivo è che può essere posizionato dal personale infermieristico
adeguatamente formato all’inserimento.
Il Catetere Venoso Centrale a Lungo termine
Fabbricato in silicone, viene utilizzato in pazienti per i quali si prevede un
trattamento endovenoso cronico di durata superiore ai 6 mesi, avendo una durata
teorica illimitata, e trovano indicazione soprattutto nella terapia neoplastica.
I cateteri venosi centrali a lungo termine possono essere ulteriormente distinti in:
1. sistemi parzialmente impiantabili, definiti anche CVC esterni tunnellizzati
2. sistemi totalmente impiantabili, detti anche Port venosi.
I Cateteri tunnellizzati
Sono realizzati in silicone, più raramente in poliuretano. Sono ideali per
l’uso quotidiano, sia a domicilio che in ospedale, per le terapie infusionali
ad alto flusso e per la NPT domiciliare.
Sono caratterizzati da una porzione intravascolare ed una porzione
extravascolare tunnelizzata nel sottocute che fuoriesce di circa 7-8 cm dal
sito di venipuntura.
Nel tratto tunnellizzato vi è la presenza di una cuffia in Dacron, è situata
solitamente a 5 cm dal sito d’uscita e il tessuto granulando intorno ad essa
àncora il catetere nel sottocute riducendo il rischio di dislocamento, oltre
alla funzione di barriera alla migrazione di germi dalla cute verso il tratto
endovascolare del catetere. Il rischio di infezioni è pertanto minore rispetto
ai non tunnellizzati.
La cuffia di Dacron deve essere collocata a qualche centimetro dal punto di
emergenza del catetere dalla cute. L’evidenza della cuffia al di fuori del punto di
uscita deve far pensare ad una dislocazione del catetere con imminente rischio di
rimozione accidentale.
I cateteri Broviac, Hickman e Groshong sono i primi esempi di cateteri
tunnellizzati. I cateteri tunnelizzati possono essere a punta aperta (di tipo
Hickmane e Broviac) e a punta chiusa con valvola (di tipo Groshong).
I cateteri di tipo Groshong è il sistema più utilizzato. Sono costituiti in
silicone trasparente con banda radiopaca. La caratteristica esclusiva che
contraddistingue questi CVC è la presenza della valvola.
Essa è collocata in corrispondenza dell’estremità prossimale e permette le
infusioni di liquidi e il prelievo ematico. Quando non è in uso la valvola
rimane chiusa, agendo da barriera al reflusso ematico e all'embolia gassosa.
Applicando una significativa pressione negativa (aspirazione) la valvola si
introflette (il prelievo ematico);
Applicando una pressione positiva all'interno del catetere la valvola si
estroflette ( l'infusione di liquidi );
In condizioni di valori pressori normali , la valvola rimane chiusa e non
permette il reflusso di sangue all’interno del catetere .
I sistemi totalmente impiantabili (Port)
Questa tipologia di cateteri sono totalmente sottocutanei. Il sistema Port è
quello più frequentemente usato. In Italia è il presidio d’eccellenza per la
chemioterapia in Day Hospital ed è solitamente ben tollerato dal paziente.
E’ costituito da due componenti: il "serbatoio" (reservoir) alloggiato in una
tasca sottocutanea ricavata con un semplice intervento chirurgico in
regione pettorale, al di sotto della clavicola, e il catetere venoso centrale
tunnellizzato inserito attraverso una vena del collo e spinto nella posizione
prescelta (giunzione vena cava superiore/atrio cardiaco destro) e sono
connessi fra loro tramite un sistema di raccordo.
La struttura del Port, è generalmente prodotta in titanio, ed è simile a un
piccolo disco, chiamato camera o serbatoio, con una parte centrale rialzata,
costituita dal setto.
La parte superiore, detta "entrata", è costituita da una membrana in una
particolare tipologia di si-licone accessibile per puntura percutanea, che si
richiude automaticamente definita autosigillante dopo ogni utilizzo.
Essendo leggermente rialzata è facile sentirla sotto la pelle, al momento
della terapia è quindi sufficiente pungerla con appositi aghi non siliconati,
appositamente conformati: sono gli aghi di Huber e gli aghi di Gripper,
definiti aghi "non-coring" (non carotanti), ossia senza effetto biopsia che
hanno la punta conformata in modo tale che sia piegata e non rovini la
membrana, preservandone l'integrità e rendendola utilizzabile per un lungo
periodo:
Le indicazioni al posizionamento di Accesso Venoso Centrale
 In ogni paziente dovrebbe essere sempre valutato se può essere utile posizionare
un catetere venoso centrale; in ogni caso non possono essere definiti criteri
assoluti per la indicazione o la controindicazione e pertanto la scelta va fatta per
ogni singolo caso.
 La scelta di collocare un dispositivo di accesso venoso centrale dovrebbe essere
fatta dopo aver considerato i rischi e i benefici per ogni paziente.
 Nella decisione all’impianto di un accesso venoso centrale bisogna tener conto
della diagnosi del paziente; il trattamento destinato (farmaci irritanti
normalmente richiedono CVC) e tenere in considerazione la scelta personale
del paziente.
Le indicazioni al posizionamento di Accesso Venoso Centrale
Il catetere venoso centrale va inserito nelle seguenti situazioni:
 Somministrazione di farmaci irritanti e vescicanti, acidi o basici, ipo o
iperosmolari;
 Infusione di terapie nutrizionali;
 Somministrazione di emoderivati
 Prestazioni di plasmaferesi
 Prestazioni di emodialisi
 Esecuzione di prelievi ematici ripetuti
 Impossibilità di accedere a una vena periferica per depauperamento del
patrimonio venoso;
 Necessità di infusione per periodi di tempo prolungati, per terapie
continue o discontinue, in ambiente ospedaliero o extraospedaliero;
 Monitoraggio PVC
 Emergenze che richiedono un accesso rapido e sicuro
 Da considerare anche l’accesso venoso centrale nelle cure palliative, il cui ruolo
è stato completamente rivalutato da oncologi, chirurghi, anestesisti e
palliativisti, infatti sono uno strumento fondamentale per ridurre al minimo
manovre ripetute e fastidiose, come l’incannulamento di una vena periferica.
Questi presidi consentono di eseguire non solo chemioterapia ma anche terapia
di supporto, antalgica e sedazione palliativa. Va rispettato il principio di ridurre
al minimo le manovre invasive in cure palliative.
Scelta della vena per l’inserimento del
Catetere Venoso Centrale
 Il presidio per accesso ad una vena centrale viene impiantato in una vena di
grosso calibro: succlavia, giugulare interna o esterna, femorale, trans brachiale e
cefalica.
 Per ogni sede di impianto esistono vantaggi, svantaggi e possibili complicanze
che devono essere di volta in volta considerati.
 Dalle Raccomandazioni del CDC di Atlanta riferite alla scelta della vena si
evince che bisogna pesare il rischio e i benefici di posizionare un dispositivo ad
un sito raccomandato per ridurre le insorgenze di complicanze.
 Il rischio di contrarre infezioni ematiche associate a catetere venoso centrale è
influenzato dal sito di posizionamento del CVC. Ciò è dovuto alla differente densità di
colonizzazione batterica della cute in ognuno dei siti di accesso.

In uno studio randomizzato multicentrico dell'anno 2010 su 289 pazienti sottoposti a
cateterizzazione utilizzando la vena femorale o la succlavia, il posizionamento della vena
femorale è risultato associato ad un rischio significativamente più elevato di infezioni
rispetto alla vena succlavia (20 contro 3.7 per 1000 giorni/catetere). In un altro studio
del 2012 multicentrico olandese su 3750 pazienti con CVC e 29.003 giorni/catetere, il
posizionamento nella vena femorale e giugulare è risultato associato come fattore
indipendente ad un aumento del rischio di insorgenza di infezioni.
 In uno studio dell'anno 2012 che ha confrontato direttamente le vene succlavia,
giugulare interna e femorale, l’accesso attraverso la vena succlavia è risultato associato al
rischio più basso d’infezione (rispettivamente 0.97 contro2.99 e 8.34 per 1000
giorni/catetere). Per questa ragione, ogni volta sia fattibile dal punto di vista medico, la
vena succlavia è da preferire per la cateterizzazione venosa secondo le LG
CDC/HICPAC (Categoria 1B, anno 2011).
Complicanze del posizionamento del CVC
 L'inserzione e il mantenimento degli accessi venosi centrali, anche in
condizioni ideali, si associano ad una certa incidenza di complicanze.
Quelle infettive costituiscono la principale fonte di complicanze e di
mortalità per il paziente portatore di tali dispositivi.
 Il personale medico e infermieristico ha la responsabilità di prevenire le
complicanze correlate alla presenza del dispositivo, di riconoscerle
precocemente e attuare, nell’ambito delle rispettive competenze, gli
interventi adeguati.
 La gestione dei cateteri venosi centrali è un’attività prevalentemente
infermieristica, occorre pertanto essere a conoscenza del dispositivo, del
suo funzionamento, delle indicazioni e delle complicanze. Per la
sicurezza del paziente, l'operatore sanitario deve essere in grado di
riconoscere i segni e i sintomi delle complicanze correlate ai dispositivi
intravascolari durante l'impianto, la gestione e la rimozione e deve saper
intervenire in modo appropriato.
 Occorre uniformare le pratiche e i comportamenti del personale sanitario
riguardo la gestione di tali dispositivi endovasali secondo criteri basati
sull’evidenza scientifica nazionale ed internazionale per raggiungere e
mantenere i seguenti standard di risultato:
1. Mantenimento del presidio venoso per tutto il tempo necessario alla cura del
paziente
2. Assenza di complicanze
3. Tutela della salute del paziente
Le complicanze correlate agli Accessi Venosi Centrali
a) legate alla manovra d'inserzione e posizionamento, distinte in
complicanze immediate e precoci,
b) legate al mantenimento in sede del dispositivo e alla sua gestione,
definite complicanze tardive, a loro volta, distinte in complicanze
meccaniche (non infettive, che comportano il malfunzionamento del
dispositivo) e infettive.
Le complicanze immediate e precoci, con un'incidenza > 0.5 %, sono
generalmente legate all’operatore ma anche al tipo di vena prescelta.
Le complicanze immediate sono quelle strettamente legate al
posizionamento del CVC, che possono verificarsi al momento stesso
dell'inserzione o evidenziarsi nelle 24/48 ore successive all'impianto
del catetere, in questo caso vengono definite precoci.
Vantaggi e svantaggi e/o
complicanze secondo la sede d’impianto
Vena succlavia
VANTAGGI
1. Facile reperibilità;
2. Permette una incannulazione a
lungo termine;
3. Maggiore confort per il paziente:
 risulta più comoda la gestione della
medicazione;
 la medicazione risulterà meno
visibile perché coperta dai vestiti.
SVANTAGGI E /O COMPLICANZE
1. Pneumotorace, puntura della cupola
pleurica e conseguente introduzione
di aria;
2. Emotorace lacerazione dell’arteria o
della vena succlavia;
3. Embolia gassosa per aspirazione di
aria nella vena;
4. Aumento rischio di stenosi e
trombosi venosa;
5. Non utilizzare questo sito in pazienti
in emodialisi con malattia renale
avanzata per evitare la stenosi della
vena succlavia.
Vena giugulare interna
VANTAGGI
SVANTAGGI E /O COMPLICANZE
1. Facile reperibilità;
1. Possibilità
di
puntura
2. La posizione anatomica della
accidentale dell’arteria carotide;
vena per permettere al catetere 2. La gestione della medicazione
di scendere più facilmente;
(adesione dei cerotti) è più
3. In caso di puntura accidentale
scomoda per la presenza dei
dell’arteria carotide è più facile
capelli o della barba (vengono
eseguire la compressione;
medicati più volte);
4. Minore rischio di stenosi e 3. E’ meno accettata dal paziente
trombosi venosa rispetto alla
perché meno bene si nasconde
succlavia.
la medicazione sotto i vestiti.
Vena femorale (poco raccomandato)
VANTAGGI
SVANTAGGI E /O COMPLICANZE
1. E’ di largo calibro e superficiale; 1. Rischio aumentato di infezione
2. Facilmente reperibile anche in
per la presenza del catetere
un paziente in stato di shock;
nell’area
inguinale,
3. Assenza di complicanze mortali.
maggiormente
esposta
alla
crescita batterica;
2. Particolare
suscettibilità
all’infezione del catetere;
3. Notevole rischio di trombosi
venosa profonda;
4. Scarsa possibilità di mobilizzare il
paziente;
5. Poco gradito dal paziente perché
limita la sua privacy.
 La maggior parte delle complicanze possono essere evitate utilizzando la
venipuntura centrale ECOGUIDATA, oggigiorno fortemente raccomandata
dalle linee guida di tutte le Società Scientifiche che trattano tale argomento. Le
raccomandazioni disponibili in letteratura indicano che la venipuntura
ecoguidata, associandosi a enormi benefici in termini di sicurezza, costoefficacia ed efficienza, andrebbe adottata in modo assiduo e costante,
nell’interesse del paziente, nell’interesse dell’operatore e nell’interesse
dell’azienda ospedaliera.
Accanto alle complicanze immediate ve ne sono alcune definite tardive, in
quanto compaiono oltre la settimana dal posizionamento. In letteratura è
riportato che circa il 75% di tali complicanze sono dovute a manovre scorrette
degli operatori, sia in fase di posizionamento, ma soprattutto durante la
gestione infermieristica. La corretta gestione dei dispositivi centrali è
fondamentale, in quanto da essa dipende la durata del catetere e la percentuale
di insorgenza delle complicanze.
 Qualunque segnale di mal funzionamento del dispositivo va considerato come
indice di una possibile complicanza.
 In fase tardiva, le complicanze più frequenti sono di natura meccanica e infettiva .
Un malfunzionamento del catetere può essere dovuto a:
 sindrome del “pinch-off ” , che si deve alla compressione del catetere tra la clavicola e la 1° costa
quando esso viene inserito nella vena succlavia. Questo problema è maggiore nei cateteri a
lungo termine, con una frequenza dell'1% circa. Il “pinch-off ” si può manifestare con la
presenza di un frammento distale parzialmente o totalmente distaccato. La complicanza
evolutiva è la rottura del catetere e la sua embolizzazione. I segni di allarme sono la difficoltà
durante l'infusione o l'aspirazione, di solito maggiore durante la posizione seduta rispetto a
quella supina. La diagnosi è radiologica.
 “kinking” individuato come l'inginocchiamento del tratto esterno del catetere.
L'inginocchiamento si verifica per la formazione di un angolo acuto sul catetere venoso
centrale. Tale evenienza può verificarsi nel tratto esterno e più raramente nel tratto
endovascolare. In genere un “kinking” nel tratto esterno si verifica quando, stabilizzando il
dispositivo alla cute, non viene rispettata la linearità del tratto esterno del catetere; la rigidità
del materiale ne predispone la creazione. L'inginocchiamento del tratto esterno è facilmente
riconoscibile, mentre se si sospetta nel tratto endovasale, è necessario eseguire una radiografia;
in questo caso si rende necessario il riposizionamento del catetere ex novo.
 malposizione secondaria, è la migrazione della punta del catetere dalla vena cava superiore in un
vaso più piccolo, che si disloca e assume una posizione non corretta, a causa di un incremento
della pressione intratoracica. Questo generalmente accade quando il catetere è troppo corto.
Dislocazioni successive al corretto posizionamento si possono verificare nell'immediato per
manovre inadeguate durante le manipolazioni del catetere stesso. Nella maggior parte dei casi è
asintomatica. Viene diagnosticata con radiografia del torace; nel caso sia positiva per
malposizione, il CVC non deve essere utilizzato ma sostituito quanto prima.
 Il danneggiamento del dispositivo (in parte o in toto) può avvenire sia al momento




dell'inserzione sia durante il suo utilizzo e può verificarsi in diversi punti:
nell'estremità terminale, in prossimità del clamp nei cateteri a punta aperta e lungo
il tratto del dispositivo.
Ogni danno del device è una potenziale porta di ingresso per batteri, virus o aria.
Un CVC danneggiato implica la rimozione del dispositivo in uso, disagi e
preoccupazione all'utente, ritardi nel trattamento terapeutico e incremento dei
costi dovuti alla gestione aggiunta del dispositivo.
Il rischio di rottura del catetere è correlato principalmente con le manipolazioni
durante un inserimento difficoltoso, in corso di utilizzo o per un difetto del
materiale del CVC.
Le cause più comuni di rottura sono: una pressione eccessiva durante l'infusione, un
sistema di ancoraggio alla cute non appropriato, tagli accidentali.
Le lesioni dei sistemi tunnellizzati esterni vengono risolte mediante appositi kit di
riparazione, specifici per ogni tipo di catetere.
coaguli di sangue
mezzo di contrasto
precipitato di farmaci
Occlusione del CVC
Il buon funzionamento di un catetere è confermato dall’aspirazione di sangue; se questa manovra
non riesce o è difficoltosa si deve ipotizzare un’occlusione. L’ostruzione del lume (parziale o
completa) può essere dovuta a: coaguli di sangue refluito, è l'evenienza più frequente, aggregati
lipidici in corso di NPT, depositi minerali precipitati per incompatibilità tra farmaci, occlusioni
meccaniche da strozzamento (“pinch-off ” e “kinking”).
Le misure di prevenzione da attuare per evitare
l’occlusione del catetere sono:
 fissare bene il catetere in modo da evitare strozzature, torsioni e trazioni;
 somministrare i liquidi mediante pompe di infusione, garantendo sempre una




pressione positiva all’interno del lume;
in caso di allarmi ripetuti e ravvicinati della pompa d’infusione, considerare
sempre una possibile occlusione del device, intervenendo il più rapidamente
possibile con un controllo della sua pervietà;
escludere cause meccaniche esterne al lume controllando la linea infusionale,
dal set di somministrazione fino al sito di emergenza sotto la medicazione (per
escludere ad es. un catetere clampato o inginocchiato).
controllo della eventuale incompatibilità tra farmaci che vengono infusi
simultaneamente; nel dubbio, consultare un farmacista;
identificare i farmaci o le soluzioni ad alto rischio di precipitazione nel lume.
Citiamo a questo proposito farmaci alcalini quali la Fentoina, il Diazepam, il
Ganciclovir, l’Acyclovir, l’Ampicillina, l’Iminepem e l’Eparina; farmaci acidi
quali la Vancomicina e le soluzioni per nutrizione parenterale; il Ceftriaxone ed
il Calcio Gluconato; i sali minerali (es: calcio e fosfato) immessi in soluzione
nutritive parenterali;
 Le misure di prevenzione da attuare per evitare
l’occlusione del catetere sono:
 tenere presente il rischio di occlusione da residui lipidici quando si somministrano
soluzioni per nutrizione parenterale;
 ridurre il rischio di precipitati mediante un adeguato “flush” con soluzione
fisiologica prima e dopo ogni infusione; oppure utilizzare cateteri con lumi separati
se disponibili.
 usare siringhe di capacità maggiore di 10 ml, per evitare pressioni eccessive che
possono lesionare il sistema;
 adozione di una appropriata sequenza di clampaggio del catetere e deconnessione
della siringa, allo scopo di ridurre il volume di reflusso ematico nel lume.
Decidere in medicina
Through Nursing View: Central Venous
Catheterization
 Jessica Canepa, Onorina Consiglio, Martina Gallo,
Elisa Gremi, Deborah Falzone, Paola Massobrio,
Antonietta Piras, Elena Puglisi, Ana Shiella Rivera e
Annamaria Saccone
 Infermieri della Medicina Interna 1 ed Ematologia
 ASL 2 Savonese - Ospedale San Paolo
GRAZIE a SHIELLA, ANTO, ELISA, MARTINA,
DEBORAH, ONO, ELENA , JESSICA E PAOLA……..
Bibliografia
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Protocollo aziendale PQA 118 ASL 2 Savonese
Procedura aziendale Gestione Cateteri Venosi Centrali ASL 2 Savonese
Linee Guida CDC Atlanta 2011
Linee Guida Cliniche Associazione GAVECELT
Linee Guida INS 2016
Linee Guida EPIC 2014
Protocollo ISALT 2
Linee Guida ESPEN 2009
Quality Improvement Guidelines for Central Venous Access Sean R. Dariushnia, MD, Michael J. Wallace, MD,
Nasir H. Siddiqi, MD, Richard B. Towbin, MD, Joan C. Wojak, MD, Sanjoy Kundu, MD, FRCPC, and John F.
Cardella, MD J Vasc Interv Radiol 2010; 21:976 –981
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patency of occluded catheter lumens