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Comunicato stampa
PARKINSON: MAGGIORI DIFFICOLTA’ PER LE DONNE
L’Istituto Neurologico “Carlo Besta” e la Regione Lombardia dedicano un convegno alle
differenze di genere nella malattia di Parkinson: le donne sono molto più colpite dagli effetti
indesiderati dei farmaci, sono bersaglio di depressione e ansia e sono messe in discussione
non solo nella vita professionale ma anche in famiglia.
Milano, 5 marzo 2015 – La malattia di Parkinson aggredisce uomini e donne in maniera diversa:
gli uomini colpiti, infatti, sono più numerosi del 50% mentre tra le donne è tre volte più frequente la
comparsa di quei movimenti involontari che costituiscono gli effetti indesiderati del farmaco più usato
per tenere sotto controllo i tremori tipici della malattia, la levodopa. Anche rispetto alla progressione
della malattia ci sono importanti differenze: nei maschi, infatti, a farne le spese sono soprattutto le
capacità di comprensione e di ragionamento mentre nel genere femminile sono più frequenti ansia e
depressione. Per le donne sono anche più gravi le ricadute sociali: oltre alla compromissione della
propria capacità lavorativa, perdono anche il ruolo all’interno della famiglia.
Proprio alla malattia di Parkinson e alle parità tra uomo e donna nella buona salute e nella cura
l’Istituto Neurologico “Carlo Besta” e la Regione Lombardia hanno dedicato oggi il convegno “Tutta
cuore e cervello – Parkinson: le donne non tremano”. Si tratta del sesto appuntamento di questo
ciclo di incontri: infatti, l’Istituto Neurologico Besta, tramite il Comitato Unico di Garanzia per le pari
opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG), dal 2009
promuove azioni formative sulla medicina di genere, organizzando ogni anno un evento su una
patologia neurologica in cui vengono affrontati sia gli aspetti medico-scientifici che gli aspetti sociali.
Spiega Barbara Garavaglia, responsabile del Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la
valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG) e direttore dell’Unità di
neurogenetica molecolare dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano: “La maggiore frequenza
degli effetti collaterali dei farmaci è una conseguenza del limitato numero di donne coinvolte nella
sperimentazione clinica delle nuove terapie, che porta a non conoscere tutte le conseguenze dell’uso
dei farmaci in entrambi i sessi. Le terapie agiscono in maniera diversa sulle donne perché hanno un
peso corporeo inferiore e quindi nel loro organismo i principi attivi sono più concentrati e hanno
quindi effetti superiori, talvolta indesiderati”.
Le differenze della malattia tra i due generi
Le donne si ammalano in misura inferiore rispetto agli uomini, anche se con problematiche più gravi:
i nuovi casi che si registrano in un anno sono circa il doppio nel genere maschile. Vi è differenza,
inoltre, nell’età in cui compare la malattia: nel genere femminile vi è un esordio ritardato in media di
circa 2 anni, con un’età di 66 anni per gli uomini a fronte di 68 anni per le donne.
La maggiore resistenza del genere femminile è dovuta alla funzione protettiva che gli ormoni
femminili, gli estrogeni, esercitano contro l’insorgenza e la progressione della malattia. Questi
ormoni, infatti, prevengono la distruzione dei neuroni che producono la dopamina, una sostanza
indispensabile per controllare con precisione i movimenti del corpo, senza tremori. Queste cellule
sono il principale bersaglio delle neurotossine che causano la malattia. Si stima che una maggiore
esposizione agli estrogeni, sia naturali, sia dovuti alle terapie ormonali, riduca il rischio di Parkinson
di circa il 43%.
Non vi sono, invece, differenze per quanto riguarda la durata media di malattia che è di circa dieci
anni.
Al contrario, il trattamento con la stimolazione cerebrale profonda, cioè l’utilizzo di piccoli elettrodi
per ridurre il tremore, ha una maggiore efficacia sulle donne e porta a un miglioramento delle
capacità nelle azioni quotidiane.
La malattia di Parkinson: origine e caratteristiche
Il Parkinson è una patologia che deriva da fattori sia ambientali (come stili di vita, inquinamento,
alimentazione, infezioni etc) sia genetici. Si è recentemente osservato, infatti, che il 10-20% dei
pazienti ha più di un caso nella propria famiglia e che quindi c’è un coinvolgimento di fattori genetici
nella nascita della malattia. In precedenza, invece, si riteneva che fosse causata esclusivamente da
fattori ambientali.
Si tratta di una patologia più frequente in età avanzata. I casi in cui la malattia si manifesta prima dei
45-50 anni rappresentano circa il 3-4% dei pazienti. Un esiguo numero tra questi presenta un
esordio prima dei 21 anni, si parla in questo caso di parkinsonismo giovanile.
I trials clinici
I farmaci sono sperimentati prevalentemente sugli uomini e per tale ragione non sempre sono adatti
alle donne. La scelta di non arruolare le donne è stata presa in passato per ragioni etiche, per timore
di una gravidanza durante la sperimentazione. Un caso eclatante sono stati gli oltre 12.000 bambini
nati focomelici negli anni ’60 a causa del talidomide, un farmaco antiemetico usato anche nelle donne
in gravidanza. Vi sono però anche ragioni economiche, in quanto le donne non sono una categoria
omogenea in considerazione della variabilità ormonale che caratterizza la loro vita e questa variabilità
aumenta il numero dei campioni e prolunga la ricerca aumentando i suoi costi. La mancanza di una
sperimentazione clinica sufficientemente approfondita nelle donne porta che il numero delle reazioni
avverse ai farmaci nella fascia di età 35-44 anni è quasi doppio nel genere femminile.
Alcuni casi di “dispari” sperimentazioni
Tra gli anni ’70-80, per proteggere la donna e il nascituro la Food and Drug Administration americana
ha escluso le donne dagli studi clinici di fase III, tra cui una sperimentazione sugli effetti (Physicians‘
Health Study) dell'aspirina sulle malattie cardiovascolari in cui furono arruolati 22.071 uomini e
nessuna donna (1989 N. Engl. J. Med. 321:129–135). Anche nel Multiple Risk Factor Intervention
Trial (MRFIT), condotto tra il 1973-1982 per valutare le correlazioni tra pressione arteriosa, fumo,
colesterolo e malattie coronariche, non fu coinvolta nessuna donna a fronte di 12.866 uomini.
Nel Longitudinal Study sull’invecchiamento del National Institute on Aging di Baltimore (1958-1975)
le donne erano escluse, nonostante costituissero i 2/3 della popolazione con più di 65 anni. Infine il
primo studio (1984) sul ruolo degli estrogeni come possibile trattamento nella prevenzione delle
malattie cardiache fu condotto esclusivamente su uomini con gravi conseguenze in termini di tumori
e femminilizzazione.
Le differenze tra uomo e donna
L’organismo maschile e quello femminile rispondono in maniera diversa ai farmaci a causa delle
diversità fisiologiche e anatomiche: le donne hanno un minore peso corporeo, una maggiore massa
grassa e in generale hanno più difficoltà nell’assorbimento gastrico dei farmaci. Spesso i sintomi di
una malattia possono essere diversi tra uomo e donna. Un esempio tipico è l’infarto del miocardio
che nella donna non si presenta quasi mai con il “classico” dolore toracico che i testi medici riportano
ma con disturbi simil-influenzali: astenia profonda, nausea, a volte vomito, sudorazione profusa e un
dolore più frequentemente dorsale, irradiato alle braccia e al collo. Ma queste differenze non sono
così note e quindi l’infarto nella donna non viene subito riconosciuto, anche se uno studio condotto
negli Stati Uniti ha dimostrato che tra il 1979 e il 2000 la mortalità delle donne per patologie
cardiovascolari ha superato quella degli uomini.
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