Università degli Studi di Siena Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Studi in Scienze Umane, storia, filosofia, antropologia Il cerchio magico Gli animali fuori o dentro l’universo della moralità? Candidato: Giulia Giometti Relatore: Chiar. mo Prof. F. Allegri Anno Accademico 2011-2012 Sommario Ringraziamenti ........................................................................................................ 3 Premessa ................................................................................................................. 5 Introduzione............................................................................................................. 9 1. Uno sguardo agli animali nel passato e nel presente .................................... 15 1. 1 Tre esempi per tre epoche diverse .................................................................... 15 1. 2 Il limite della sensibilità.................................................................................... 25 1. 3 Il principio del rispetto ...................................................................................... 31 2. Su chi deve andare la scelta? ......................................................................... 38 3. Gli animali hanno diritti? ............................................................................. 40 Conclusioni ............................................................................................................ 45 Bibliografia dei libri citati .................................................................................... 49 Bibliografia generale ............................................................................................ 52 Sitografia ............................................................................................................... 54 Filmografia ............................................................................................................ 55 2 Ringraziamenti Il più sincero ringraziamento va a tutti i miei amici che, soprattutto in questi ultimi mesi, mi hanno sostenuto psicologicamente e moralmente. E in particolar modo alle persone a me più vicine, Laura, Piero e i miei genitori, il cui sostegno è stato indispensabile per arrivare fin qui. Ma il ringraziamento più forte va ad Alessio, che mi ha fatto ridere nei momenti di sconforto. 3 Ogni grande idea conosce tre stadi: prima viene derisa, poi discussa, infine adottata.1 Lentamente, lo riconosco; e certo ci vorrà del tempo. Nondimeno niente scoraggiamenti: i nostri sforzi, anche per ciò che riguarda i particolari, non sono mai inutili.2 1 J. S. MILL, La libertà. L’utilitarismo. L’asservismo delle donne, Milano, Rizzoli, 1999, p. 173. 2 V. HUGO, Contro la pena di morte, pref. di P. Ranieri, Milano, RCS Quotidiani, 2010, p. 210. 4 Premessa Intraprendere uno studio sul rapporto uomo – animale è un compito molto arduo, dato che le visioni etiche riguardo il nostro comportamento nei confronti di ciò e di chi ci circonda sono le più svariate. Non esistono valori immutabili accettati da tutti indiscriminatamente, ognuno infatti si comporta in conseguenza al suo modo di vedere le varie questioni che gli si presentano. La complessità dell’argomento non permette di affrontarlo per quel che meriterebbe e per includere tutte le questioni che riguardano i diritti animali, o comunque una visione critica sulla nostra posizione nel mondo come specie, sarebbe necessario uno spazio molto più ampio di quello di un lavoro di 40 – 50 pagine. L’interesse in questo ambito è scaturito in me soprattutto negli ultimi mesi, dopo essermi documentata sulle caratteristiche dello sfrenato antropocentrismo che connota la nostra società e che pare non abbia limite alcuno. L’ Homo sapiens sicuro e convinto della sua superiorità si sta comportando come se fosse il solo ad avere un valore, e come se avesse il diritto di occupare il mondo e di sfruttare gli esseri non umani a proprio piacimento, per qualsivoglia suo fine. Abbiamo creato una sorta di confine, un’area riservata a “pochi”, all’interno della quale le altre specie non sono ammesse, se non per assecondare i nostri bisogni. Allo stesso identico modo in cui vengono escluse etnie diverse e classi sociali che non hanno i requisiti adatti per entrare a far parte del cerchio magico, cioè il cerchio dei privilegiati. Nel nostro caso si tratta del cerchio della moralità. Infatti quando parlo di cerchio magico non mi riferisco sicuramente a quel rituale neopagano, in cui l’obiettivo era di creare, attraverso l’energia della mente, uno spazio immaginario che dividesse il mondo del soprannaturale dal mondo materiale, al fine di facilitare la concentrazione e la comunione con le divinità. La mia scelta è stata guidata dal fatto che tale concetto, a mio giudizio, rende bene l’idea della divisione e del distacco, che, coloro che si trovano dentro il cerchio, vogliono marcare. Infatti, da secoli contrapponiamo umanità – bestialità, connotando questo ultimo termine in modo negativo, o riduttivo. Attraverso questa contrapposizione 5 abbiamo voluto creare quel confine che divide la nostra specie, la quale si considera superiore, dalle altre. In fondo lo specismo (atteggiamento di prevenzione a favore dei membri della propria specie)3 è caratterizzato da pregiudizio tanto quanto il razzismo e il sessismo. Stiamo perpetuando da sempre una schiavitù, che non è riconosciuta come tale dalla maggior parte degli uomini, allo stesso modo in cui la schiavitù dei neri era considerata una cosa normale. Quella a cui mi riferisco è la schiavitù di miliardi di esseri che non appartengono alla comunità morale umana, ma a quella degli esseri viventi, e che quindi solo indirettamente rientrano nella sfera della considerazione morale della specie umana.4 A mio parere diventare animalisti comporta un vero e proprio cambiamento della nostra visione sul mondo, condizionata come è da millenni di pregiudizio antropocentrico, e richiede di smettere di utilizzare per i nostri scopi gli esseri non umani, questi ultimi ospiti quanto noi su questa Terra. Si tratta a mio parere di una vera rivoluzione a livello culturale, che dovrebbe portare innanzi tutto a farci cessare di nutrirci di animali, di utilizzarli per scopi scientifici e per gli scopi più futili (come la cosmesi, l’utilizzo di animali all’interno dei circhi o al fine di farli diventare pellicce, indossate con una certa altezzosità e una discutibile eleganza). Forse il mio è solamente un sogno utopistico. Credo allo stesso tempo che ci sarebbe bisogno di più informazione e sono sicura che se le persone fossero a conoscenza delle reali condizioni in cui sono costretti a vivere gli animali all’interno degli allevamenti da macello o da ricerca, all’interno dei circhi e nei laboratori di sperimentazione e di pellicceria, la situazione cambierebbe notevolmente. Mi rendo conto però che soprattutto la società occidentale si basa sul guadagno e il denaro e gli animali sono proprio ideali a tale scopo. Sarà, infatti, sicuramente difficile avere un cambiamento radicale a livello politico delle condizioni animali 3 P. SINGER, Etica pratica, ed.it., Napoli, Liguori, 1989, pp. 56 – 57. 4 A. ARRIGONI, I diritti degli animali. Verso una civiltà senza sangue, Torino, Cosmopolis, 2004, p. 30. 6 sul piano legislativo, dato che le politiche nazionali odierne sono il riflesso dell’economia, e quest’ultima è basata per la maggior parte sullo sfruttamento animale. Mi pare dunque evidente che le resistenze in ambito politico non possono essere che dure. Questo dovrebbe indurre gli animalisti, i vegetariani, i vegani5 a non rimanere in ambito puramente teorico. Per questo motivo sarà indispensabile un forte attivismo da parte degli animalisti e un forte impegno, perché a mio avviso se rimaniamo semplicemente sul piano astratto, senza un riscontro sulla pratica, si tratterebbe solo di parole al vento. Esistono, infatti, molte iniziative su più fronti da parte delle associazioni animaliste che, appoggiate da medici, veterinari ed etologi, lottano per lo meno per il miglioramento delle condizioni degli animali, all’interno delle varie prigioni che noi umani gli riserviamo, ma anche per far cessare il loro utilizzo in vari ambiti. In particolar modo in Europa, ci sono molte iniziative per far cessare l’utilizzo degli animali a fine scientifico. Innanzi tutto entro il 2013 sarà vietata la vendita di tutti i cosmetici con ingredienti testati sugli animali.6 Ma per quanto riguarda la vivisezione in generale, vedo, in particolar modo, uno spiraglio di speranza nell’iniziativa a livello europeo del “Comitato Stop Vivisection”, il quale si propone l’obiettivo di raccogliere un milione di firme in almeno sette Stati europei, entro il 22 giugno 2013, per poter presentare la richiesta di abrogazione dell’attuale direttiva 2010/6 3/UE. Quest’ultima non tiene conto dell’obbligo morale di rispettare i diritti fondamentali degli animali. Inoltre non ha avviato il percorso di abolizione di ogni forma di sperimentazione animale, come invece 5 “I vegani non mangiano carne, pollame, pesce, uova e latticini ed evitano tutti gli alimenti che contengono derivati di prodotti animali […]. Non indossano né lana né pelle, dimostrando così che la loro posizione non si basa solo su preoccupazioni per la propria salute”. (P. SINGER, J. MASON, Come mangiamo. Le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari, ed. it., Milano, il Saggiatore, 2011, p. 217.). I vegetariani, invece, non mangiano animali di nessuna sorta, né di terra, né di acqua, né di mare, ma, a differenza dei vegani, mangiano i loro prodotti, ovvero uova, latte e latticini in genere. (Home Page di “VeganHome”, http://www.veganhome.it/diventarevegan, 20 Agosto 2012). Anche se è bene specificare che spesso sotto il termine vegetarismo vengono inclusi sia vegetariani, che vegani. 6 Home Page di “Agire Ora. Per gli animali”, http://www.agireora.org, 14 Agosto 2012. 7 previsto dai trattati europei, che impongono alle politiche europee di tenere pienamente conto delle esigenze e del benessere degli animali, in quanto esseri senzienti.7 Per questo l’iniziativa popolare “Stop Vivisection” presenta alla Commissione Europea “una nuova proposta di direttiva che sia finalizzata al definitivo superamento della sperimentazione animale e che renda obbligatorio per la ricerca biomedica e tossicologica l’utilizzo di dati specifici per la specie umana in luogo dei dati ottenuti su animali”.8 La mia speranza, forse ingenua, è che la condizione animale vada sempre migliorando grazie a iniziative come queste, che mi auguro vadano a buon fine, dato che siamo perlomeno in una fase di apertura e discussione, considerando il fatto che solo pochi decenni fa i vegetariani, gli antivivisezionisti e gli animalisti venivano semplicemente irrisi. Spero vivamente di non sbagliarmi. 7 Home Page di “Stop Vivisection”, http://www.stopvivisection.com, 09 Agosto 2012. 8 Ibidem. 8 Introduzione La tematica animalista, in campo filosofico, è una delle novità più significative degli ultimi decenni. Potremmo dire che animalista è un filosofo che ha assunto a oggetto prioritario della sua indagine il problema del rapporto uomo/animale, e che vuole sottoporre a disamina critica le categorie di animalità e umanità, anche per trarne implicazioni normative, a livello personale e non. L’interesse è rivolto a quella contrapposizione ontologica che si è venuta a creare soprattutto a causa del mondo occidentale, secondo cui l’animale è diverso in tutto e per tutto dall’uomo.9 Molti filosofi, infatti, hanno dimostrato una forte propensione per lo specismo, termine coniato da Richard Ryder10, psicologo inglese che decise, per motivi etici, di interrompere i suoi esperimenti sugli animali, ma poi lanciato più che altro da Peter Singer in Liberazione animale.11 Quest’ultimo, infatti, estende il principio di eguaglianza oltre la nostra specie, cioè anche nei confronti degli animali non umani. Egli crede ingiustificabile trascurare gli interessi di tutti gli esseri senzienti, indipendentemente dalla specie, o dal livello d’intelligenza che possiedono.12 La visione tradizionale, definita appunto specista, considera l’uomo un essere superiore e in quanto tale giustificato a servirsi degli esseri ritenuti inferiori, ovvero gli animali, e perciò a sfruttarli, ucciderli o utilizzarli per tutti i suoi scopi.13 Questo atteggiamento è ben esemplificato in Aristotele, Tommaso d’Aquino e Descartes. Quest’ultimo, in particolare, considera gli animali come 9 R. D. RYDER, Animal revolution. Changing attitude towards speciesim, Oxford, Berg Published, 2000, passim. 10 L. BATTAGLIA, Un’etica per il mondo vivente. Questioni di bioetica medica, ambientale, animale, Roma, Carocci, 2011, p. 265. 11 P. SINGER, Liberazione animale. Il manifesto di un movimento diffuso in tutto il mondo, ed.it, a cura di P. Cavalieri, Milano, Il Saggiatore, 2010, pp. 576. 12 P. SINGER, Etica pratica cit., pp. 56 – 57. 13 Ivi, p. 26. 9 delle semplici macchine, prive di qualsivoglia pensiero, il che equivale a negare loro ogni tipo di coscienza. Quindi, anche se può essere annoverato tra i filosofi con una visione tradizionale, egli è dell’avviso che questi ultimi non abbiano capacità di provare dolore e sofferenza, cosa che invece non negano Aristotele e Tommaso d’Aquino. Secondo il filosofo del ‘600, a dispetto delle apparenze, essi non sono consapevoli di nulla, tanto meno del piacere e del dolore.14 Così ci dice Cartesio: “E’ la natura che opera in essi secondo la disposizione dei loro organi: a quel modo che un orologio, composto solo di ruote e molle, conta le ore e misura il tempo più esattamente di noi con tutta la nostra intelligenza”.15 La bioetica solitamente è intesa come quella disciplina che applica la riflessione etica all’operare umano nell’ambito delle scienze biologiche e mediche.16 Alcuni ritengono che debbano esservi incluse anche questioni che riguardano specie diverse dalla nostra, mentre altri credono che debba occuparsi solamente della vita umana. Per questo motivo, rifacendomi a Barbara de Mori (filosofa che crede necessaria una riflessione etica sugli animali) penso sia necessario parlare di bioetica animale, per evitare, cioè, fraintendimenti, anche se io ritengo che sotto il semplice termine bioetica debbano essere incluse sia questioni riguardanti gli animali umani, sia gli animali non umani. L’emergere della consapevolezza dei problemi generati dal trattamento riservato al mondo animale, da parte degli uomini, assume i toni di una riflessione morale sul senso del vivere civile e di un ragionamento urgente sul nostro posto nella biosfera.17 Proveniamo da una cultura fortemente antropocentrica, che ha visto nell’animalità il disordine, il caos e, per contrasto, nell’umanità l’ordine e la ragione. Ma stiamo diventando sempre più consapevoli che l’uomo non può essere l’unico referente 14 T. REGAN, I diritti animali, ed.it., Torino, Garzanti, 1990, p. 25. 15 R. DESCARTES, Discorso sul metodo, intr. di Tullio Gregory, ed.it., Roma – Bari, Laterza, 2010, p. 79. 16 P. CAVALIERI, La questione animale. Per una teoria allargata dei diritti umani, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 17. 17 B. DE MORI, Che cos’è la bioetica animale, Roma, Carocci, 2011, p. 14. 10 del discorso morale; si tratta di andare oltre un’etica incentrata sulla persona umana. La bioetica animale, insomma, ci insegna a ripensare in termini non antagonistici la coppia umanità/animalità. In questo mio lavoro, vorrei affrontare, in maniera più approfondita, le teorie più conosciute e rilevanti riguardo la questione degli animali a partire da Aristotele, per arrivare alle principali risposte sviluppatesi nel panorama contemporaneo. Prenderò in esame sia alcune teorie dei doveri diretti, che dei doveri indiretti. Le teorie dei doveri diretti includono nell’universo della morale gli agenti morali, ma anche i pazienti morali (umani e non), i quali, dunque, vengono trattati come destinatari di doveri diretti da parte degli agenti morali.18 Mentre le teorie dei doveri indiretti limitano l’appartenenza all’universo della moralità agli agenti morali; di conseguenza questi ultimi non hanno nessun dovere diretto verso i pazienti morali, sia umani che non umani.19 È bene, però, chiarire il significato di agenti e pazienti morali. Gli agenti morali sono coloro a cui sono indirizzate le norme etiche: in sostanza, sono quegli esseri che possono ponderare moralmente le proprie azioni e il cui comportamento può essere soggetto a valutazione morale. In altre parole sono quegli individui che hanno obblighi morali. È il caso degli esseri umani normali che hanno superato una certa età.20 I pazienti morali, invece, sono quegli esseri il cui trattamento può essere oggetto di valutazione morale.21 Per quanto riguarda i principali modelli animalisti, nel panorama contemporaneo, fanno riferimento a due tradizioni filosofiche: il teleologismo, o consequenzialismo e il deontologismo. 18 S. CASTIGNONE, La questione animale tra etica e diritto, in Teorie etiche contemporanee, a cura di C. A. Viano, intr. di C. A. Viano, Torino, Bollati – Boringhieri, 1995, p. 228. 19 T. REGAN, I diritti animali cit., pp. 217 – 218. 20 P. CAVALIERI, La questione animale cit., p. 40. 21 Ivi, p. 41. 11 - Secondo i consequenzialisti contano solamente gli effetti che un’azione produce, in termini di benefici e danni. Per le teorie teleologiche il criterio ultimo per valutare che cosa è moralmente giusto, sbagliato, obbligatorio ecc. è di considerare la quantità comparata tra il bene e il male prodotto. Se ci dovessimo trovare a fare una scelta, si dovrebbe compiere quell’atto che produce una rimanenza di bene sul male maggiore di quella prodotta da qualsiasi altra alternativa.22 Ma i teleologi si trovano discordi di fronte ad una decisiva questione, e cioè a favore di chi debba andare il bene che si deve cercare di promuovere. L’egoismo etico sostiene che si debba fare sempre quello che procurerà il maggior bene personale, in altre parole un atto è giusto se e solo se promuove per l’individuo stesso una rimanenza di bene sul male maggiore, o per lo meno uguale, a quella che promuoverebbe qualsiasi altra alternativa.23 L’universalismo etico, comunemente chiamato utilitarismo, invece asserisce che il fine ultimo è il maggior bene generale.24 Secondo l’utilitarismo bisogna massimizzare i benefici e minimizzare i danni. Non si tratta di egoismo e neanche di altruismo, è una sorta di sintesi tra i due. Il padre fondatore dell’utilitarismo è considerato il filosofo settecentesco Jeremy Bentham, il quale si oppone all’idea dominante secondo cui solo gli esseri dotati di raziocinio e linguaggio possono entrare nell’universo della morale. Tutti gli altri esseri viventi non vi sono inclusi, oppure vi rientrano in via indiretta. Al centro dell’analisi di Bentham vi è la capacità di soffrire, la quale, appunto, non è peculiare dell’essere umano, ma appartiene anche alla maggior parte degli animali.25 Nel suo libro Introduzione ai principi della morale e della 22 W. K. FRANKENA, Etica. Un’introduzione alla filosofia morale, ed. it., intr. di M. Mori, Milano, Edizioni di Comunità, 1981, p. 64. 23 Ivi, p. 66. 24 Ibidem. 25 Mi sembra molto significativa una frase di Jeremy Bentham, in cui vedo anche una speranza di cambiamento: “Verrà il giorno in cui il resto del creato potrà acquisire quei diritti che solo la mano della tirannia ha potuto negare loro. I francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è una ragione per abbandonare senza protezione un essere umano ai capricci di un torturatore. Si potrà un giorno giungere a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la 12 legislazione, Bentham connette il principio di utilità ad una teoria edonistica, basata sul confronto di piaceri e dolori. Questo è l’utilitarismo classico.26 Esistono però tanti tipi di utilitarismo, ma a noi, in particolar modo, interessa l’utilitarismo della preferenza. Quest’ultimo appare negli anni ‘30 del Novecento con Harrod27, ma negli anni ’70 viene accolto da tanti: il più conosciuto è Peter Singer. Nell’utilitarismo della preferenza sono in ballo i desideri, le preferenze: il criterio è il soddisfacimento delle preferenze in termini quantitativi. Secondo Peter Singer le conseguenze migliori, quelle che dobbiamo cercare di produrre, sono quelle che, complessivamente, favoriscono gli interessi (cioè i desideri e le preferenze) delle persone che ne risentono, di tutti coloro che sono toccati da una possibile decisione.28 - Secondo le teorie deontologiche, invece, un’azione può essere giusta indipendentemente dalle sue conseguenze.29 Ma anche riguardo le teorie deontologiche è necessario fare una suddivisione, perché si diversificano secondo il ruolo che assegnano alle norme generali. Le teorie deontologiche dell’atto asseriscono che i giudizi basilari di obbligo sono tutti e solo particolari, e che i giudizi generali sono inutili, o comunque derivati dai casi particolari. I deontologi dell’atto più estremisti sostengono che terminazione dell’osso sacro, sono ragioni ugualmente insufficienti per abbandonare un essere senziente allo stesso fato. Che altro dovrebbe tracciare il limite invalicabile? La facoltà della ragione, o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulto sono, oltre ogni paragone, più razionali e più capaci di comunicare di un bambino di un giorno, o di una settimana, o perfino di un mese. Ma supponiamo pure che sia altrimenti, che importa? Il problema non è ‘possono ragionare?’, e neppure ‘possono parlare?’, ma ‘possono soffrire?’.” (J. BENTHAM, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, a cura di E. Lecaldano, ed. it., Torino, UTET, 1998, p. 185). 26 27 Ivi, passim. R. MORDACCI, Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 96. 28 29 P. SINGER, Etica pratica cit., p. 23. P. CAVALIERI, La questione animale. Per una teoria allargata dei diritti umani, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 76. 13 dobbiamo decidere separatamente in ogni situazione particolare quale sia l’azione giusta da compiere, senza fare riferimento ad alcuna norma.30 I deontologi della norma sono dell’avviso che il codice del giusto e dell’ingiusto consista in una o più norme. E in contrasto con i deontologi dell’atto, affermano che queste norme sono basilari, e non derivano per induzione dai casi particolari. Immanuel Kant rientra tra i deontologi della norma. Egli divide il suo imperativo categorico in tre formule, in particolare la seconda riguarda l’umanità come fine in sé. L’uomo non è considerato solo un mezzo, ma anche come fine in sé, come essere che ha dignità in sé. Questa concezione, di stampo deontologico, è stata ampliata da Tom Regan, il quale adotta il principio del rispetto, ma crede che, nella versione kantiana, sia discriminatorio, perché si limita agli esseri umani. Regan nel suo sostegno alla causa animalista, rifiuta l’approccio utilitarista e imposta la questione sulla base dei diritti morali. 30 W. K. FRANKENA, Etica cit., p. 67. 14 1. Uno sguardo agli animali nel passato e nel presente 1. 1 Tre esempi per tre epoche diverse Il primo filosofo che affronterò è Aristotele, per quanto riguarda il periodo greco – classico, il quale è visto come momento in cui si è generato il pensiero razionale e occidentale; molto materiale riguardante la questione animale è andato perduto, ma da alcuni testi e alcuni frammenti sappiamo che era al centro di continue riflessioni.31 Il secondo filosofo di cui mi occuperò è Tommaso d’Aquino, per l’epoca cristiana e quindi medievale, e infine mi occuperò di Cartesio, per quel che riguarda l’età moderna. Ho scelto di trattare in maniera più approfondita solamente questi tre filosofi, perché, a mio parere, rappresentativi di vari passaggi che si sono avuti nel corso della storia dell’umanità. Mentre gran parte del resto di questo mio lavoro sarà incentrato su due filosofi contemporanei. Per cominciare, Aristotele è uno di quei pensatori che si distingue dal pensiero dei suoi predecessori, tra cui per esempio Anassimandro di Mileto, Eraclito di Efeso, Empedocle, Anassagora e Platone, i quali includono nel discorso morale anche gli animali.32 Aristotele, al contrario del suo maestro Platone, scrive molte opere biologiche. Formula una scala naturale dei viventi per classificare gli animali, secondo cui gli enti discendono via via sempre meno perfetti dalla Causa Prima, cioè Dio.33 Aristotele nel De Anima34 parla delle facoltà dell’anima e le divide in facoltà nutritiva, sensitiva, appetitiva, locomotoria e razionale.35 Attribuisce alle piante 31 A. ARRIGONI, I diritti animali cit., p. 60. 32 Ivi, pp. 61 – 62. 33 Ivi, p. 60. 34 ARISTOTELE, De Anima, a cura di G. Movia, intr. di G. Movia, Milano, Rusconi, 1998, pp. 379. 35 Ivi, B2, 414 a 30, p. 127. 15 solo la facoltà nutritiva, mentre agli altri viventi quella nutritiva e anche la sensitiva. Quest’ultima è sempre accompagnata anche dall’appetitiva. L’appetizione, ci dice Aristotele, può essere impulso, desiderio e volontà. E tutti gli animali hanno la sensazione e quindi possiedono anche il piacere e il dolore.36 Chi ha questi di conseguenza ha anche il desiderio. Egli continua con le seguenti parole: “Alcuni animali poi, oltre queste, hanno anche la facoltà locomotoria, ed altri pure la facoltà razionale e l’intelletto, ad esempio gli uomini […]”.37 Quindi Aristotele riconosce la sensibilità degli animali. Punto di fondamentale rilevanza, perché secoli più tardi questa capacità sarà messa in dubbio da Cartesio. Più avanti Aristotele ribadisce il suo pensiero: Pochissimi, infine, possiedono la ragione e il pensiero. Infatti gli esseri corruttibili dotati di ragione hanno anche tutte le altre facoltà38, mentre non tutti coloro che possiedono una di queste facoltà hanno la ragione […].39 Nella Politica40 notiamo il suo approccio fortemente antropocentrico, oltre che maschilista: E’ naturale e giovevole per il corpo essere soggetto all’anima […]. Ora gli stessi rapporti esistono tra gli uomini e gli altri animali […]. Così pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata, ed 41 è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in questo modo. Per Aristotele la stessa relazione intercorre tra uomini e schiavi, infatti dice: “Quanto all’utilità, la differenza è minima: entrambi prestano aiuto con le forze fisiche per la necessità della vita, sia gli schiavi che gli animali domestici”.42 36 ARISTOTELE, De Anima cit., B3, 414 b 5, p. 129. 37 Ivi, B3, 414 b 20, p. 129. 38 Ivi, B3, 415 a 5, p. 131. 39 Ivi, B3, 415 a 1, p. 131. 40 ARISTOTELE, Politica, a cura di G. Basso, M. Curnis, Roma, L’Erma, 2011, I, libro I, pp. 354. 41 Ivi, I, 1253a – 1255b, pp. 145 – 163. 42 Ivi, I, 1253a – 1255b, pp. 145 – 163. 16 Entrambi, schiavi e animali, sono pertanto paragonati a dei meri strumenti. E continua: Se la natura niente fa né di imperfetto né invano, di necessità è per l’uomo che li [gli animali] ha fatti tutti quanti […]. E l’arte bellica – di cui l’arte della caccia è parte – si deve praticare contro le bestie e contro quegli uomini che, nati per obbedire, si rifiutano, giacché per natura tale guerra è giusta […] dobbiamo supporre […] che le piante esistano a beneficio degli animali e gli altri animali a beneficio degli uomini: quelli domestici sia per l’uso sia per il nutrimento, quelli selvatici invece, se non tutti, almeno la maggior parte per il nutrimento e per altre forme di supporto, per ottenere da essi vesti e altri strumenti. Se dunque la natura non fa nulla di imperfetto né fa nulla invano, necessariamente ha fatto tutte queste cose a vantaggio degli uomini. 43 Aristotele, dunque, crede fortemente nella superiorità dell’uomo, unico ente dotato di ragione. I Romani diventano un ottimo ricettacolo di questo tipo di etica (il massacro tra uomini e animali fa infatti parte della nostra civiltà)44, ma in opposizione a quest’ultima si diffonde il cristianesimo, presentatosi come rimedio al violento e corrotto mondo romano. Il sistema sociale romano è ingiusto e le aspettative della religione pagana compromesse dai pessimi costumi dei regnanti.45 L’avvento del cristianesimo significa l’abbandono delle ricerche naturalistiche e filosofiche antiche, per fare posto ad un nuovo credo, in cui lo scopo dell’uomo è Dio.46 Il nuovo assunto del cristianesimo è l’infinita bontà di Dio, rispetto al Vecchio Testamento, dove Dio chiedeva in sacrificio animali e figli. La visione del cristianesimo, sugli animali, è fortemente legata alla concezione biblica del peccato originale: l’uomo è l’unico essere in grado di ribellarsi al volere di Dio e in seguito soffre il dolore a causa di questa ribellione. Gli animali non avendo commesso il peccato originale non possono soffrire la pena 43 ARISTOTELE, Politica cit., 1253a – 1255b, pp. 145 – 163. 44 A. ARRIGONI, I diritti degli animali cit., p. 64. 45 Ivi, p. 71. 46 Ivi, pp. 71 – 72. 17 dell’esistenza come punizione di un Dio infinitamente giusto. Siccome non hanno commesso peccato originale, se ne deduce che qualunque cosa venga fatta loro essi non soffriranno. Quindi Cartesio non ha inventato proprio nulla.47 Riguardo il periodo medievale, invece, Tommaso d’Aquino è una colonna portante sulla legittimazione del conflitto con la natura e gli animali. Tommaso fa entrare la figura di Aristotele nel dogma cattolico, rifacendosi al suo pensiero anche riguardo gli animali.48 Scrive, infatti: Nessuno pecca per il fatto che si serve di un essere per lo scopo per cui è stato creato […] così gli esseri che sono solo viventi, ossia le piante, son fatte ordinariamente per gli animali; e gli animali son fatti per l’uomo. Perciò se l’uomo si serve delle piante per gli animali e degli animali per gli uomini, non c’è niente d’illecito, come il Filosofo stesso dimostra. 49 Secondo l’Aquinate l’uomo è l’unico ente dotato di sostanza intellettuale. E gli animali sono bruti, “cose” cui non dobbiamo né affetto, né amicizia, né carità, sentimenti degni di essere provati solo per quelle creature che possiedono il bene della vita eterna.50 Secondo Tommaso la creatura intellettuale, la quale è padrona del proprio atto, richiede una cura della provvidenza, mentre lo stato delle altre creature, che non hanno il dominio del loro atto, sono ordinati ad altri. Perché, secondo l’Aquinate, ciò che è mosso da altro è uno strumento, mentre chi si muove da se stesso è agente principale. E quest’ultimo si serve dello strumento, quindi è libero chi è causa di sé.51 47 A. ARRIGONI, I diritti degli animali cit., p. 72. 48 Ivi, p. 74. 49 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, XV, quest. 65, art. 3 cit. in G. DITADI, I filosofi e gli animali, Este, Isonomia, 1994, I, p. 427. 50 Ibidem. 51 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, XVII, quest. 64, art. 1 cit. in G. DITADI, I filosofi e gli animali, Este, Isonomia, 1994, I, p. 425. 18 La divina provvidenza, a giudizio di San Tommaso, pensa alle creature ragionevoli in maniera diretta, invece alle altre in dipendenza delle ragionevoli. Quando c’è un fine, se alcune cose non possono giungere da sole al fine, è necessario che siano subordinate ad altre, le quali raggiungono il fine. E il fine ultimo dell’universo è Dio, il quale può essere raggiunto solo dalla creatura intellettuale, che, attraverso la conoscenza e l’amore, più di tutti si accosta alla sua immagine.52 Tutte le altre creature devono necessariamente essere subordinate e fa ricorso all’esempio dell’esercito.53 A parere di Tommaso quest’ordinamento del mondo proviene dalla volontà divina: le parti dell’universo sono organizzate in maniera perfetta, in modo tale che le altre creature sono per quelle intellettuali. Egli utilizza le seguenti parole: Così viene eliminato l’errore di chi ammette essere peccato per l’uomo l’uccidere gli animali, poiché la divina provvidenza li ha dati ad uso dell’uomo nell’ordine naturale, onde l’uomo se ne serva senza colpa, uccidendoli o adoperandoli in altra maniera […].54 Tommaso d’Aquino, d’altro canto, è un sostenitore dell’obbligo di non essere crudeli con gli animali. Si tratta, però, solamente di obblighi indiretti. Non dobbiamo, infatti, essere crudeli verso gli animali, perché andrebbe a scapito degli uomini, verso cui abbiamo obblighi diretti. Il motivo per cui è proibito commettere crudeltà contro gli animali, secondo Tommaso, è che esercitandola verso di essi, potrebbe poi avere una ricaduta sugli uomini. In altre parole, potrebbe far sviluppare attitudini violente e crudeli nell’uomo, il quale le 52 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, XVII, quest. 64, art. 1 cit. in G. DITADI, I filosofi e gli animali, Este, Isonomia, 1994, I, p. 425. 53 “Per esempio, il fine dell’esercito è la vittoria, che i soldati ottengono combattendo con la propria attività; ed essi sono i soli ad essere richiesti per se stessi nell’esercito; tutti gli altri invece, che sono applicati ad altri incarichi, come custodire i cavalli ed apprestare le armi, sono richiesti nell’esercito in ordine ai soldati”. (Ibidem). 54 Ibidem. 19 riverserebbe contro gli altri uomini.55 Si tratta dunque di doveri indiretti verso l’umanità. Vediamo, dunque, che il fine di un’azione morale rimane sempre l’uomo. Infatti se, per esempio, uccidiamo un animale appartenente a X, non rispettiamo il diritto di X. Avendo ucciso “una cosa” di sua proprietà, e in quanto tale su cui ha il diritto a farne ciò che vuole, non ho rispettato il suo diritto. Utilizza, infatti, le seguenti parole: Chi uccide il bove di un altro non pecca perché uccide un bove, ma perché danneggia un uomo nei suoi averi. Ecco perché questo fatto non è elencato tra i peccati di omicidio, ma tra quelli di furto o di rapina. 56 I dogmi cristiani sulla questione dell’anima influenzano anche Cartesio, oltre a tanti altri,57 infatti prima di arrivare all’epoca contemporanea, mi voglio occupare di quest’ultimo, ritenuto l’iniziatore della filosofia moderna.58 Con le parole di René Descartes ci facciamo un’idea di ciò che era il suo pensiero riguardo gli animali, la loro sofferenza e la loro sensibilità. Il filosofo francese difatti ci dice: E qui mi ero particolarmente soffermato a mostrare che, se esistevano macchine siffatte, che avessero gli organi e la figura esteriore di una scimmia o di qualche altro animale privo di ragione, non avremmo nessun mezzo per riconoscere che esse non rivestono in tutto e per tutto la natura di questi animali; mentre, se vi fossero macchine simili ai nostri corpi, che ne imitassero le azioni quanto è praticamente possibile, avremmo sempre due mezzi certissimi per riconoscere che non per questo sarebbero dei veri uomini. 55 59 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, XVII, quest. 64, art. 1 cit. in G. DITADI, I filosofi e gli animali, Este, Isonomia, 1994, I, p. 426. 56 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, XV, quest. 65, art. 3. cit. in G. DITADI, I filosofi e gli animali, Este, Isonomia, 1994, I, p. 428. 57 A. ARRIGONI, I diritti animali cit., p. 75. 58 Ivi, p. 79. 59 R. DESCARTES, Discorso sul metodo cit., p. 75. 20 Capiamo, quindi, bene che secondo Cartesio gli animali si possono benissimo paragonare alle macchine, e che se queste avessero l’aspetto esteriore uguale ad un qualunque altro animale, non capiremmo quale fosse l’animale e quale la macchina. Nonostante questo, egli dice che gli animali sì sono macchine, ma siccome sono macchine create da Dio, sono incomparabilmente meglio regolate e portano in sé movimenti più degni di ammirazione di quelle macchine che gli uomini hanno inventato, o inventeranno in futuro. In più, come abbiamo visto, afferma che se invece ci fossero macchine uguali ai nostri corpi, che ne imitassero le azioni, avremmo sempre due mezzi certi per riconoscere che non si tratta di veri uomini.60 Cartesio si esprime in tal modo: “Il primo è che mai potrebbero usare delle parole […] come facciamo noi, per comunicare ad altri i nostri pensieri”.61 Di seguito egli continua dicendo che è sicuramente possibile costruire macchine che toccandole gridino aiuto, perché le si fa male, ma non saranno mai in grado di coordinare le parole in base a quello che gli si chiederà, e a seconda della situazione che si presenterà: mancano, quindi, della versatilità del comportamento. Descartes, infatti, prosegue e scrive: Perché, mentre la ragione è uno strumento universale, che può servire in ogni sorta di occasione, questi organi hanno bisogno, in ogni azione particolare, di una disposizione particolare; ne consegue la pratica impossibilità che una macchina ne possegga una sufficiente varietà che le consenta, in tutte le occorrenze della vita, di agire come ci fa agire la nostra ragione. 62 Riguardo la questione del linguaggio, Cartesio ci dice che la differenza tra uomini e animali è così palese che anche il più ottuso degli uomini è capace di mettere insieme diverse parole e di ricavarne un discorso di senso compiuto, per far intendere i suoi pensieri; mentre non è così neanche per il più perfetto degli animali. E spiega che non è a causa dell’assenza degli organi adatti, perché per 60 R. DESCARTES, Discorso sul metodo, cit., p. 75. 61 Ibidem. 62 Ivi, p. 75 – 77. 21 esempio i sordomuti si fanno intendere lo stesso per altra via dal linguaggio.63 Questo secondo Cartesio è la prova che “le bestie” non hanno la ragione e quindi pensieri, infatti è dell’opinione che quei moti naturali, che noi scambiamo per parole, testimoniano le passioni.64 Forse Descartes si ricrederebbe se fosse a conoscenza dei recenti studi svolti nell’ambito delle scienze cognitive, come l’origine del linguaggio, la comunicazione e la cognizione animale. Nel 1967, per esempio, dopo i deludenti risultati degli anni ’30 - ’40, due psicologi della Nevada University, Allen e Beatrice Gardner, tentano una strada nuova, utilizzano infatti un altro tipo di linguaggio, la lingua segnata dei sordi americani.65 L’esperimento consiste nell’insegnare a Washoe, uno scimpanzé, una serie di segni. I primi segni vengono acquisiti per mezzo dell’imitazione e riguardano soprattutto semplici richieste. Quelli successivi però sono nomi di oggetti, di cui Washoe si serve sia per rispondere sia per porre richieste. In seguito impara ad adoperare i segni in sequenza di due o più. La cosa rilevante, quindi, sono le combinazioni e ricombinazioni spontanee di segni.66 A mio giudizio, questi studi smentiscono ciò che Cartesio ritiene riguardo la capacità degli animali di comunicare i propri pensieri. Sempre nel suo Discorso sul metodo, egli prosegue affermando che l’anima razionale non si può ricavare dalla materia, ma deve essere espressamente creata; e non basta che sia allogata nel corpo umano, ma deve essere unita e legata a esso più strettamente, in modo che possa avere anche sentimenti e appetiti uguali a quelli di un vero uomo. Chiamando gli animali non umani “bestie”, ribadisce la nostra diversità con gli animali, poiché questi ultimi sono privi di quell’unione di cui Cartesio parla riferendosi agli uomini.67 63 R. DESCARTES, Discorso sul metodo, cit., p. 77. 64 Ivi, p. 79. 65 S. GENSINI, M. FUSCO, Animal Loquens. Linguaggio e conoscenza negli animali non umani da Aristotele a Chomsky, Roma, Carocci, 2010, p. 285. 66 Ivi, p. 294. 67 R. DESCARTES, Discorso sul metodo cit., pp. 79 – 81. 22 Dunque egli considera gli animali dei veri e propri automa, infatti li chiama “bruti privi di pensiero”. Essi sono a suo avviso privi di ogni sorta di coscienza, in quanto non sono associati ad una mente immateriale, incorporea. Spiegando il comportamento animale in termini meccanici, afferma che gli animali non avendo una coscienza non sentono dolore. Gli animali in realtà reagiscono meccanicamente a una stimolazione materiale, come quando toccando una molla dell'orologio le sue lancette si muovono. 68 Al tempo di Cartesio, cioè nella prima metà del Seicento, egli non è sicuramente il solo, tra i filosofi né tra gli scienziati, a pensarla in tal modo. Agli animali, infatti, si può fare sommariamente ciò che si vuole e si desidera. A tal proposito è interessante la visione di Baruch Spinoza, il quale, però a differenza di Cartesio, non nega la sensibilità degli animali, ma il servirsi di essi non viene comunque meno, dato il dominio dell’uomo sul resto della Natura, seppur questa venga fatta coincidere con Dio.69 Uno tra i più accaniti sostenitori e difensori del dualismo e del meccanicismo cartesiani è Nicholas Malebranche, il quale riprendendo la tradizione cristiana riesce a dire che, data l’infinita onnipotenza di Dio, gli animali non avendo commesso nessun peccato, non possono soffrire pena e punizione alcuna. La conclusione a cui Malebranche arriva è che gli animali, necessariamente, non soffrono, non sentono.70 Dall’altra parte, però, ci sono filosofi che criticano fortemente la visione di Cartesio sugli animali, come John Locke, Gottfried Wilhelm Leibniz, che sostanzialmente negano che gli animali siano privi di sensibilità.71 Voltaire è un altro studioso che si scaglia contro Descartes e i suoi seguaci. Egli sostiene esattamente l’opposto di quello che la visione di Cartesio asserisce. Voltaire è dell’avviso cioè che se il pensiero dell’uomo è l’essenza della sua 68 R. DESCARTES, Discorso sul metodo cit., pp. 75 – 77. 69 B. SPINOZA, Lettera a E. W. de Tschirnaus cit. in A. ARRIGONI, I diritti degli animali cit. p. 81. 70 N. MALEBRANCHE, La ricerca della verità, ed. it., intr. di E. Scribano, Roma – Bari, Laterza, 2007, pp. 655 – 667. 71 A. ARRIGONI, I Diritti degli Animali cit., pp. 81 – 82. 23 anima, lo stesso vale per gli animali. E se l’uomo ha sempre idee, egli è dell’opinione che fosse necessario supporle anche per gli animali, dato che, per esempio, un cane per obbedire al suo padrone deve avere l’idea di quest’ultimo.72 Altro rilevante filosofo dalla parte degli animali è David Hume, il quale rovescia la questione ragione/passioni. Egli sostiene che la ragione è sempre schiava delle passioni. Questa caratteristica sarebbe propria di tutti gli animali, senza eccezione per l’uomo. Secondo Hume le funzioni fondamentali della mente (memoria, rassomiglianza e percezione) sono comuni a tutti gli animali superiori. La differenza sta solo nel grado e non nell’essenza.73 Jean – Jacques Rousseau appoggia in pieno l’idea di Hume sulla semplice differenza di grado e non di essenza, tra uomini ed animali. Egli fa della sensibilità la base della sua filosofia: […] [gli animali] partecipano della nostra natura per la sensibilità di cui sono dotati, è da ritenere che debbano essere anche partecipi del diritto naturale, e che l’uomo ha verso di essi certi doveri. Mi sembra infatti di aver l’obbligo di non far del male ai miei simili non tanto perché sono ragionevoli, quanto perché sono sensibili; e questa qualità, che la bestia e l’uomo hanno in comune, deve dare alla prima almeno il diritto di non essere inutilmente maltrattata dal secondo. 74 E così siamo arrivati a uno dei più grandi filosofi morali, Immanuel Kant. Riguardo la questione animale egli parte da quel pregiudizio di cui ho parlato in precedenza, cioè distingue uomo e animale, rispettivamente come fine dell’azione morale e mezzo. 72 F. – M. A. VOLTAIRE, Dizionario filosofico, ed. it., intr. di M. Moneti, Milano, Garzanti, 1981, pp. 56 – 57. 73 D. HUME, Trattato della natura umana, ed. it., intr. di P. Guglielmoni, Milano, Bompiani, 2001, pp. 361 – 363. 74 J. - J. ROUSSEAU, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, a cura di V. Gerratana, intr. di V. Gerratana, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 91. 24 Per quel che riguarda gli animali, essendo dei semplici mezzi, privi di coscienza di sé, e l’uomo essendo invece il fine, per cui non si può porre la domanda perché vi sia l’uomo, domanda al contrario lecita nei riguardi degli animali, non vi sono verso di essi doveri diretti, ma solo doveri che sono doveri indiretti verso l’umanità. Poiché gli animali posseggono una natura analoga a quella degli uomini, osservando dei doveri verso di essi osserviamo dei doveri verso l’umanità, promuovendo con ciò i doveri che la riguardano. 75 Anch’egli crede, come Tommaso D’Aquino, che l’uomo non ha dei doveri diretti verso gli animali, e lo si capisce bene dalle sue parole.76 Facendo un salto temporale, adesso mi concentro sui due principali filosofi animalisti della contemporaneità, cioè Singer e Regan. 1. 2 Il limite della sensibilità Peter Singer, filosofo australiano, come precedentemente detto, è un utilitarista della preferenza, e in quanto tale considera gli interessi di tutti coloro che sono toccati da una possibile decisione o azione di un individuo. Ma non si tratta di una forma di utilitarismo classico, dato che considera come conseguenze migliori quelle che promuovono gli interessi di tutti, invece che ciò che semplicemente aumenta il piacere e diminuisce la sofferenza.77 Ciò che si rivendica è un’eguale considerazione degli interessi sia umani che non umani, sulla base del riconoscimento del comune carattere di esseri senzienti. Nel caso specifico, in quanto tali, l’interesse a non soffrire.78 Secondo Peter Singer, indipendentemente dal fatto che si tratti di un essere umano o non umano, il principio di uguaglianza vuole che la loro sofferenza sia valutata alla stessa maniera.79 La caratteristica vitale su cui si fonda tale rivendicazione è, appunto, con esplicito riferimento a Bentham, la sensibilità, ovvero la capacità di provare 75 I. KANT, Lezioni di etica, ed. it., a cura di A. Guerra, Roma – Bari, Laterza, 1991, p. 274. 76 P. CAVALIERI, La questione animale cit., p. 63. 77 P. SINGER, Etica pratica cit., p. 23. 78 Ivi, pp. 31 – 32. 79 Ivi, pp. 57 – 58. 25 piacere e dolore comune agli animali umani e non umani. E quando Bentham parla della capacità di provare dolore, non si riferisce ad una caratteristica tra le altre, infatti la capacità di provare dolore o gioia è un prerequisito per avere interessi in generale, e quindi una condizione che deve essere soddisfatta prima che si possa parlare di interessi. In altre parole, secondo Bentham, si ha interessi perché si può soffrire.80 Singer prende in esame l’argomento dei cosiddetti “casi marginali”: egli crede che né la ragione né la capacità di parlare o la capacità di autodeterminazione possano segnare il confine tra gli esseri degni di considerazione morale e quelli che non lo sono. Perché se utilizziamo tale criterio, argomenta Singer, neanche alcuni esseri umani, tra cui cerebrolesi, deficienti, comatosi dovrebbero essere inclusi nella sfera morale.81 La capacità di soffrire invece è comune a tutti gli esseri umani, sia marginali che normali, e in più è condivisa dagli animali.82 Secondo Singer, se un essere soffre, non può esserci giustificazione morale per non prendere in considerazione tale sofferenza. E seguendo il principio di uguaglianza, la sofferenza di un essere, di qualunque natura sia, deve contare come l’analoga sofferenza di un qualunque altro essere. Quindi se un essere non è capace di provare dolore non c’è niente da prendere in considerazione. Per questo motivo, il solo confine difendibile è il limite della sensibilità. A tale riguardo, una tra le obiezioni che vengono rivolte più frequentemente a Singer è come si possa sapere se gli animali soffrono o meno; secondo Singer un animale prova dolore in base a ragioni analoghe a quelle che ci portano a crederlo di un bambino. Infatti un animale che prova dolore si comporta in modo simile a un umano.83 Questo è, ovviamente, un decisivo passo in avanti, date le affermazioni del passato, come quella di Tommaso o Aristotele. Non perché Singer sostiene 80 J. BENTHAM, Introduzione ai principi della morale e della legislazione cit., p. 203. 81 S. CASTIGNONE, La questione animale tra etica e diritto, in Teorie etiche contemporanee, a cura di C. A. Viano, intr. di C. A. Viano, Torino, Bollati – Boringhieri, 1995, p. 227. 82 83 Ibidem. A. LINZEY, Teologia animale. I diritti animali nella prospettiva teologica, ed.it., Torino, Cosmopolis, 1998 p. 54. 26 che gli animali hanno stati psicologici (in effetti, Aristotele e Tommaso non negano mai la sensibilità degli animali), ma perché, nonostante la sensibilità riconosciuta, essi non li includono nel cerchio della moralità. Per quanto riguarda Cartesio, invece, non si tratta di una questione etica, perché lui è fortemente convinto che gli animali non abbiano sensibilità. Peter Singer ci spiega, in conseguenza alla sua impostazione teorica, le ragioni per cui è obbligatorio essere vegetariani. A suo avviso l’uso della carne nelle società industriali non è giustificabile, in quanto il principio dell’eguale considerazione degli interessi non consente che interessi maggiori (l’interesse degli animali a vivere e a vivere dignitosamente) siano sacrificati a interessi minori (l’interesse degli uomini a nutrirsi di animali).84 L’argomento contro l’uso degli animali come cibo trova la sua massima forza, in particolar modo, quando gli animali sono costretti ad una vita miserabile, cioè nelle moderne forme di allevamento intensivo.85 Questo argomento però non ci porta ad una dieta completamente vegetariana, infatti è vero che la vita degli animali lasciati allo stato brado è di certo migliore di quella negli allevamenti intensivi. Tuttavia, per Singer, è dubbio se l’uso degli animali come cibo sia compatibile con l’uguale considerazione degli interessi. Primo fra tutti i problemi è il fatto che per poterli mangiare è necessario ucciderli. Oltre a questo, ci sono tante altre sofferenze che vengono inflitte agli animali, come la castrazione, la separazione della madre dal cucciolo, la marchiatura, il trasporto e per finire la macellazione stessa. È evidente che ciascuna di queste pratiche non considera gli interessi degli animali e infligge sofferenza.86 Nel sostenere l’obbligo del vegetarismo Singer, poi, allarga la propria visione, addirittura a livello mondiale, in modo tale da poter massimizzare i benefici per tutti gli individui che sono coinvolti e non solo quelli degli animali. E ci dice: 84 P. SINGER, Etica Pratica cit., p. 62. 85 Ivi , p. 63. 86 Ivi, pp. 63 – 64. 27 In questo momento, milioni di persone in molte parti del mondo non hanno abbastanza da mangiare. Un numero ancora maggiore di persone ha cibo in quantità sufficiente, ma non del tipo adatto; in genere non consuma abbastanza proteine. La questione è: la produzione di cibo secondo i metodi praticati nelle nazioni ricche contribuisce alla soluzione del problema della 87 fame? […] Supponiamo di avere un acro di terreno fertile. Possiamo usarlo per coltivare un alimento vegetale ad alto contenuto proteico, come i piselli o i fagioli. Così facendo ne ricaveremo dai 135 ai 225 chilogrammi di proteine. Oppure possiamo usare il nostro acro per produrre un raccolto con cui alimentare gli animali, e quindi uccidere e mangiare gli animali. In questo caso avremo alla fine tratto dallo stesso acro dai 18 ai 25 chilogrammi di proteine. Quindi i vegetali commestibili rendono, in proteine per acro, circa 10 volte più della carne, sebbene le stime varino, e il rapporto sia in alcuni casi addirittura di 20 a 1. Se, invece di uccidere gli animali e mangiare la carne, li usiamo per rifornirci di latte o uova, miglioriamo considerevolmente il nostro ritorno. Ciò nonostante, gli animali devono comunque utilizzare proteine per i propri scopi, e i più efficienti sistemi di produzione di uova e latte non rendono in proteine più di un quarto dell’ammontare proteico per acro che può essere fornito dai cibi vegetali […]. Le implicazioni di tutto ciò per la situazione alimentare del mondo sono impressionanti […]. 88 Il cibo sprecato dalla produzione animale nei paesi ricchi sarebbe sufficiente, se adeguatamente distribuito, a porre fine tanto alla fame quanto alla malnutrizione in tutto il mondo […]. 89 Singer sottolinea che, a sostegno della scelta vegetariana, ci sono anche notevoli ragioni ambientali, soprattutto per quanto riguarda l’allevamento intensivo. Tra le varie ragioni c’è l’inquinamento delle acque e dell’aria, la scarsità di acqua potabile, il cambiamento climatico, l’erosione dei terreni, la perdita di biodiversità, quindi di numerose specie di animali e piante, la diffusione di malattie. Tali argomentazioni vengono affrontate da Singer ampiamente nel suo libro Come mangiamo. Le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari.90 L’impegno di Singer è molto importante, infatti egli ci riporta innumerevoli prove della tirannia che gli animali umani continuano a praticare sugli animali non umani. Singer, attraverso le sue ricerche ci mette a conoscenza di molte delle 87 P. SINGER, Liberazione animale cit., p.175. 88 Ivi, pp. 176 – 177. 89 Ivi, pp. 179 – 180. 90 P. SINGER, J. MASON, Come mangiamo cit., p. 275. 28 pratiche svolte sugli animali, per esempio gli esperimenti militari condotti negli USA, rispetto ai quali esprime il più forte dissenso. Una parte delle tasse dei cittadini americani sono, infatti, finalizzate alle spese militari, ma, all’insaputa di molti dei contribuenti, i soldi sono utilizzati per esperimenti sugli animali.91 Un noto esempio è quello della Piattaforma di Equilibrio per Primati, che consiste in una piattaforma che si può far rollare come un aereo. Le scimmie vengono posizionate in un sedile installato nella piattaforma, e di fronte a loro c’è un’altra piattaforma, ma quest’ultima di comando, la quale gli permette di far tornare la piattaforma dove sono sedute in posizione orizzontale. Dopo essere state addestrate a mantenere la piattaforma in equilibrio, attraverso l’utilizzo di migliaia di scosse elettriche, le scimmie vengono esposte a radiazioni oppure ad agenti per la guerra chimica, per vedere quanto questo possa influire sulla loro capacità di pilotare.92 Oltre a questo tipo di esperimenti militari, Singer si occupa, ovviamente, anche di esperimenti non militari, per esempio quelli fatti nel campo della psicologia, che sono tra i più dolorosi.93 Singer, inoltre, ci descrive le più terribili pratiche di allevamento intensivo su diversi tipi di animali, le quali ovviamente rifiuta, considerandole solamente un mezzo per raggiungere i propri scopi, ovvero arricchirsi sulla loro sofferenza e sulla loro morte. Egli, per questo motivo, ritiene che tutti gli esseri umani abbiano l’obbligo di diventare vegetariani. Infatti, che si tratti di animali vissuti negli allevamenti intensivi o vissuti allo stato brado, infliggiamo comunque sofferenza a un essere, senza averne il minimo diritto. E siccome la carne che andiamo a comprare in macelleria e nei supermercati proviene da animali che hanno sofferto per morire, o sia in vita che per morire, il modo più efficace, secondo Singer, per ribellarsi a questo scempio è quello di diventare vegetariani.94 91 P. SINGER, Liberazione animale cit., p. 45. 92 Ivi, p. 49. 93 Ivi, p. 55. 94 Ivi, passim. 29 Singer non si limita ad accettare il principio di uguaglianza come base morale valida solo nei rapporti con gli altri della nostra specie, difatti estende il suo principio morale anche riguardo ai rapporti con gli individui che non appartengono alla nostra specie. In questo senso è interessante l’impostazione singeriana sugli animali in parallelo con le lotte di liberazione degli umani. Anche nel caso del movimento di liberazione degli animali non umani si tratta di porre fine al pregiudizio e alla discriminazione basati su un criterio, la specie, vacuo e arbitrario, allo stesso modo della razza e del sesso. Da qui la stretta analogia instaurata tra razzismo, sessismo e specismo, intesi come forme di discriminazione ingiustificabili, fondate sulla pretesa di perpetuare l’esistenza di una gerarchia di potere.95 In relazione allo specismo, Singer ritiene che sotto la categoria di persona non possano essere annoverati soltanto gli esseri umani; questo, appunto, sarebbe il semplice segno dell’abitudine di considerarsi come specie profondamente diversa dalle altre, e per questo separata. In realtà la domanda da porsi è se esista qualche animale non umano, razionale e dotato di autocoscienza, in grado di riconoscere se stesso come unità distinta nel tempo. Studi recenti hanno dimostrato che almeno alcuni animali lo sono: Allen e Beatrice Gardner, di cui abbiamo parlato precedentemente, si rendono conto che il fallimento dei precedenti tentativi di insegnare agli scimpanzé a parlare non è dovuto alla mancanza dell’intelligenza atta all’uso del linguaggio, ma a causa del fatto che sono privi di un apparato vocale in grado di riprodurre i suoni del linguaggio umano.96 Secondo Singer è assurdo credere che per essere in grado di pensare per concetti sia necessario possedere il linguaggio, e infatti vi sono molti esempi di comportamenti animali che non si spiegano se non ammettendo che i soggetti in questione pensino. Alcuni animali, tra cui scimpanzé, gorilla, balene e delfini, infatti, hanno sia memoria del passato sia aspettative per il futuro e il loro comportamento è intenzionale.97 E questo non è evidente solamente negli 95 P. SINGER, Etica pratica, cit., pp. 56 – 57. 96 Ivi, pp. 98 – 99. 97 Ivi, pp. 99 – 100. 30 esperimenti di laboratorio, infatti ci sono casi di scimpanzé non addomesticati che riescono a trovare oggetti nascosti, per loro di particolare interesse.98 A parere di Peter Singer si possono applicare a scimpanzé, gorilla, balene, delfini, cani, gatti, maiali, foche e orsi gli argomenti contro l’uccisione, basandoci sul fatto che essi vedono se stessi come individui esistenti nel tempo. Però ci sono altri animali che non possono essere definiti persone, ma che sono coscienti, tra cui pesci, rettili, uccelli e polli. E in questo caso si dovrebbe trattare la questione solo in termini di utilitarismo classico.99 Secondo Singer dovrebbero essere trattati come meri ricettacoli, dove la felicità del singolo animale può semplicemente essere rimpiazzata e sostituita dalla felicità di un altro animale.100 La conclusione è che a seconda dell’animale non umano in questione bisogna utilizzare criteri diversi: la differenza è tra quegli animali che sembrano essere razionali, autocoscienti, capaci di concepirsi come esseri distinti con un passato e un futuro, e quegli animali che sembrano non essere razionali e autocoscienti.101 Nonostante questa distinzione, dato che il punto di riferimento rimane la capacità di provare dolore, Singer sostiene comunque l’obbligo morale di diventare vegetariani.102 1. 3 Il principio del rispetto Nonostante Peter Singer e Tom Regan siano entrambi vegani e le conclusioni pratiche su più versanti siano le stesse (entrambi sono abolizionisti verso ogni pratica di sfruttamento animale), il primo è un utilitarista della preferenza, mentre il secondo ha un approccio deontologico: pur essendo compagni di battaglie animaliste, hanno un approccio teorico totalmente diverso l’uno dall’altro. Infatti se per Singer l’assimilazione tra umani e non umani avviene entro una prospettiva 98 P. SINGER, Etica pratica, cit., p. 101. 99 Ivi, p. 104. 100 Ivi, pp. 106 – 107. 101 Ivi, p. 108. 102 Ivi, p. 109. 31 utilitaristica, sulle basi del riconoscimento del comune carattere di esseri senzienti, analogo tentativo è compiuto da Tom Regan, che rivendica i non umani come titolari di diritti fondamentali. Anziché richiamarsi al principio di utilità, Regan sostiene che ogni essere senziente ha valore non perché e finché serve a qualcosa, ma perché ha un valore inerente.103 Se in Singer si nota un impegno volto a chiarire criticamente il senso e i limiti del suo “egualitarismo interspecifico”, in Regan tale egualitarismo appare spinto fino alle estreme conseguenze. Lo sforzo sembra quello di rendere umano il non umano al fine di garantirgli dei diritti. Sembra che per sottrarre l’animale allo stato di oggetto (cioè reificarlo) l’unica strada sia quella di renderlo simile all’uomo, e quindi, antropomorfizzarlo. A giudizio di Regan tutti i soggetti – di – una – vita devono essere riconosciuti come titolari di diritti naturali. Per Regan: […] gli individui sono soggetti – di – una – vita se hanno credenze e desideri, percezione, memoria, senso del futuro […], una vita emozionale, nonché sentimenti di piacere e di dolore, interessi – benessere, capacità di dare inizio all’azione in vista della gratificazione dei propri desideri e del conseguimento dei propri obiettivi, identità psicofisica nel tempo, e benessere individuale, nel senso che la loro esperienza di vita è per loro positiva o negativa in termini logicamente indipendenti dalla loro utilità per altri e dal loro essere oggetto di interesse per chiunque altro. Coloro che soddisfano il criterio del soggetto – di – una – vita possiedono uno specifico tipo di valore – il valore inerente – e non vanno né considerati né trattati come meri ricettacoli.104 Quello che fa Regan è allargare il concetto di “diritto” anche verso i non umani. I presupposti della teoria morale di Regan sono fondamentalmente tre e sono tutti di natura kantiana, anche se le conclusioni a cui egli giunge non sono state quelle a cui sarebbe giunto Kant, infatti, secondo Tom Regan, tra gli esseri che hanno valore in sé, e quindi devono essere trattati come fini e non come mezzi devono essere inclusi anche gli animali non umani. 103 L. BATTAGLIA, Un’etica per il mondo vivente cit., p. 186. 104 T. REGAN, I diritti animali cit., pp. 331 – 322. 32 1- In primo luogo il principio formale di giustizia, che consiste nell’applicazione del principio di universalizzazione agli individui, invece che alle azioni, come invece accade più frequentemente. Secondo questo principio casi uguali vanno trattati secondo lo stesso criterio.105 2- In secondo luogo, la tesi secondo cui c’è un valore, che Regan chiama valore inerente, che riguarda gli individui in quanto tali, indipendentemente dai loro stati di coscienza. Non si tratta del valore intrinseco, in quanto questo è il valore di stati di coscienza, di esperienza.106 Infatti, per Regan l’errore dell’utilitarismo è quello di esprimere i beni e i mali solo in termini di stati di coscienza.107 Difformemente da Kant, Regan non ascrive tale valore solo alla persona umana, ma a tutti coloro che egli definisce soggetti – di – una – vita. Secondo Regan limitare la qualifica di esseri con valore in sé ai soli esseri umani è sintomo di atteggiamento specista. Però, come si capisce, per essere soggetti – di – una – vita non basta essere viventi (altrimenti il raggio si allargherebbe notevolmente, per esempio anche alle piante). Regan mette sullo stesso piano pazienti e agenti morali, in quanto entrambi soggetti – di – una – vita e non ammette gradi: si tratta di un valore categoriale. Questo status, infatti, non si può possedere in misura maggiore o minore, a secondo delle capacità e delle caratteristiche che un individuo possiede o meno.108 3- L’ultimo elemento (sempre di natura kantiana), che ci dice precisamente quale tipo di atteggiamento dobbiamo avere nei confronti dei soggetti – di – una – vita è il rispetto: dobbiamo trattare gli individui dotati di valore inerente in maniera tale da rispettare il loro status di portatori di valore inerente. Quindi possiamo dire, parlando in termini di diritti, come direbbe Regan, che tutti i 105 F. ALLEGRI, Le ragioni del pluralismo morale cit., p. 235. 106 Ibidem. 107 Ivi, p. 238. 108 Ibidem. 33 soggetti – di – una – vita hanno il diritto a un’uguale rispetto del proprio valore inerente.109 Dal principio del rispetto è derivabile, per Regan, il principio del danno, cioè un principio che prescrive la non maleficenza e la beneficenza verso i soggetti – di – una – vita. Ma le cose diventano complicate quando i soggetti in questioni, dotati di valore inerente, sono più di uno, infatti possono capitare situazioni in cui per non danneggiare qualcuno siamo costretti a danneggiare qualcun altro. In casi di questo tipo dire che bisogna rispettare il valore inerente di ognuno è infruttuoso. Così Regan indica altri due principi, i quali sono complementari e ci dicono come comportarsi in situazioni difficili e problematiche. E sono il principio della minimizzazione delle violazioni e il principio del più svantaggiato.110 Il principio di minimizzazione delle violazioni, secondo Regan, in alcuni casi fornisce una soluzione plausibile, cioè ci dice che è nostro dovere salvare il maggior numero di innocenti, quando si presenta per esempio una situazione in cui dobbiamo scegliere tra salvare cento innocenti o un solo innocente. In questo caso Regan si trova d’accordo con l’utilitarismo e con le conclusioni a cui giunge. Dall’altra parte però il principio del più svantaggiato consente a Regan di riparare nei casi in cui l’utilitarismo sembra essere controintuitivo.111 Regan sottolinea che il principio del più svantaggiato è ben distinto dal principio di minimizzazione del danno. Questo ultimo consiste nell’agire in modo da minimizzare la quantità aggregativa di danno arrecato a tutti coloro che ne risentiranno dell’esito.112 Per il principio del più svantaggiato, invece, non è essenziale la differenza numerica, cosa che invece è al centro della visione utilitaristica.113 Regan per spiegare in cosa consiste il principio del più svantaggiato si serve delle seguenti parole: 109 T. REGAN, I diritti animali cit., passim. 110 F. ALLEGRI, Le ragioni del pluralismo morale cit., p. 240. 111 Ivi, p. 241. 112 T. REGAN, I diritti animali cit., p. 441. 113 Ivi, p. 414. 34 A parte considerazioni speciali, quando ci tocca decidere se calpestare i diritti di molti innocenti o i diritti di pochi innocenti, e quando il danno che incombe sui pochi li farebbe stare peggio di come starebbe ciascun membro del gruppo dei molti se si scegliesse un’altra alternativa, allora dobbiamo calpestare i diritti di quest’ultimo gruppo.114 Il principio del più svantaggiato sancisce, appunto, la violazione dei diritti del gruppo dei molti, anche se ciascuna persona di questo gruppo è innocente, e anche se così facendo si viola il loro diritto prima facie115 di non essere danneggiati. In casi simili il numero non conta assolutamente.116 In tal modo Regan salva gli aspetti positivi dell’utilitarismo e rifiuta quelli implausibili.117 Fin qui ho illustrato le basi teoriche del pensiero di Tom Regan, ma adesso è giunto il momento di concentrarsi sul suo impegno pratico. Mi sembra molto significativo parlare di questo, anche se brevemente, perché è la conseguenza logica della sua impostazione teorica. Nel suo libro Gabbie vuote infatti si esprime in termini pratici. Regan parla della trasformazione degli animali in cibo, in abbigliamento, in spettacolo, in sport, in strumenti di ricerca scientifica, spiegando a quali pratiche sono costretti a sottoporsi e descrivendo le estreme condizioni di vita che sono loro riservate, sempre per i fini dell’uomo.118 Questi sono temi di cui si è occupato anche Peter Singer. Anche’egli, infatti, si è impegnato al fine di informare le persone sulla realtà dei fatti, come abbiamo visto precedentemente. 114 T. REGAN, I diritti animali cit., p. 414. 115 È bene specificare che un obbligo prima facie deve essere osservato a meno che, in particolari situazioni, esso non entri in conflitto con un obbligo di forza uguale o maggiore. In relazione a obblighi prima facie si hanno dei diritti prima facie. (M. CHIODI, Modelli teorici in bioetica, Milano, Franco Angeli, 2012, p. 38). 116 T. REGAN, I diritti animali cit., p. 441. 117 F. ALLEGRI, Le ragioni del pluralismo morale cit., p. 241. 118 T. REGAN, Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, ed.it., pref. di J. M. Masson, intr. di M. Filippi, A. Galbati, Casale Monferrato, Sonda, 2011, pp. 27 – 28. 35 Tom Regan parla, per esempio, della carne di vitella e delle ragioni per cui è così tenera. Lo è in quanto non possiede tessuto connettivo né tessuto muscolare. Questi vitelli vengono separati dalla madre poche ore o pochi giorni dopo la nascita, prima che consumino troppo latte, che è ricco di ferro, il quale rende rossa la loro carne bianca, riducendo così la domanda dei consumatori. Ma è bene usare le parole di Regan: Perché tale industria possa funzionare, i vitelli devono essere perennemente confinati in box individuali. Negli Stati Uniti le dimensioni raccomandate di questi box sono 61 cm di larghezza per 165 di lunghezza […]. Poiché i vitelli leccano ciò che hanno attorno, poiché i box metallici contengono ferro e poiché un eccesso di ferro può contribuire a far diventare rossa la loro carne, i box utilizzati sono in legno […]. Ovviamente, se il ferro fosse completamente eliminato dalla loro dieta, la vita dei vitelli verrebbe messa a repentaglio e di conseguenza anche il profitto degli allevatori. Quindi un po’ di ferro viene aggiunto alla dieta totalmente liquida (una miscela di latte magro in polvere, vitamine, minerali, zucchero, antibiotici e farmaci stimolanti la crescita) che i vitelli ricevono due volte al giorno durante la loro breve vita […]. Privare i vitelli del vero latte e di altri alimenti ricchi di ferro è perfettamente logico agli occhi degli allevatori […]. Per i vitelli questo significa essere cresciuti in una condizione di cronica carenza di ferro, cioè essere cronicamente anemici. 119 Quando i vitelli sono piccoli e quindi in grado di girarsi all’interno dei box, una catena di metallo o di plastica glielo impedisce. In seguito, quando pesano circa 200 chili e sono troppo grossi per girarsi all’interno dei loro minuscoli box, la catena può essere tolta. Con o senza catena, gli animali sono completamente immobilizzati […]. Le condizioni della loro prigionia fanno sì che i loro muscoli rimangano atrofici, in modo che la loro carne conservi il grado di tenerezza che “soddisfa le richieste del consumatore”. 120 Altro esempio che Regan fa è quello dell’LD50. LD sta per dose letale, 50 per 50%. L’LD50 ha come scopo quello di stabilire a quale dosaggio la sostanza testata risulta letale per il 50% degli animali a cui è stata somministrata. Negli ultimi settanta anni è uno dei più comuni test di tossicità condotti sugli animali. La sostanza oggetto del test viene somministrata per via orale agli animali. Per 119 T. REGAN, Gabbie vuote cit., p. 142. 120 Ivi, pp. 142 – 144. 36 controllare le variabili sperimentali e poiché gli animali non si offrono come volontari per ingerire diluenti per vernici o spray per alberi di Natale, una determinata quantità delle sostanze viene spinta nella gola degli animali attraverso l’utilizzo di un sondino. L’osservazione delle condizioni dell’animale può durare fino a due settimane, durante il quale solitamente muore il 50% degli animali, e dopo il quale i sopravvissuti vengono uccisi e loro i corpi dissezionati e infine esaminati. A seconda dei risultati viene definita più o meno la tossicità della sostanza. I test come l’LD50 orale sono ciò che sta dietro alle etichette con scritte del tipo “Dannoso o letale se ingerito” che si trovano, ad esempio, nei contenitori di liquidi per freni, lubrificanti e solventi industriali.121 Dato che per Tom Regan bisogna rispettare il valore di un soggetto – di – una – vita, egli si oppone categoricamente alle industrie di sfruttamento animale, di qualunque sorta siano, dove viene tolta la vita, viene lesa l’integrità fisica, viene negata la libertà agli animali. Si oppone ovviamente anche all’utilizzo degli animali a fine scientifico.122 Questo perché egli riconosce i loro diritti morali. Il compito di tutti gli ARA (acronimo che sta per “Animal Rights Advocate”), come egli si definisce, è di svuotare le gabbie, e non di renderle più grandi per una migliore condizione di vita. Secondo Regan, quindi, ognuno ha l’obbligo di essere vegetariano, perché comprando carne si sostiene la pratica corrente dell’allevamento, dove anche se viene riservato un trattamento umano agli animali, la loro vita finisce anzitempo.123 121 T. REGAN, Gabbie vuote cit., pp. 243 – 244. 122 Per quanto riguarda l’uso che si fa degli animali come strumenti di ricerca all’interno delle università, ultimamente si sono compiuti notevoli passi avanti, per esempio c’è la possibilità da parte degli studenti di rifiutarsi di sperimentare e studiare direttamente su animali vivi. (Ivi, p. 236). 123 Ivi, pp. 103 – 104. 37 2. Su chi deve andare la scelta? Quando Tom Regan e Peter Singer si trovano a dover decidere tra la vita di un essere un umano e quella di un animale, vediamo che la decisione cade per entrambi sull’essere umano. Nonostante Peter Singer consideri anche gli animali non umani capaci di provare dolore o sofferenza, quando si trova a considerare il valore della vita, non mette sullo stesso piano la vita umana e quella animale. E nel sostenere questo ci tiene a precisare che, così facendo, non ha un atteggiamento specista, ma crede che la vita di un essere capace di fare progetti per il futuro, capace di pensiero astratto, con un certo livello di razionalità e così via ha più valore della vita di un essere che non può vantare queste capacità.124 A questo proposito Tom Regan si trova d’accordo con Singer, e sceglierebbe di salvare un umano sostanzialmente per le sue stesse ragioni. La situazione che Regan si immagina è la seguente: Si immagini che su una scialuppa di salvataggio ci siano cinque naufraghi. La scialuppa, dati i suoi limiti di portata e di spazio, ne può ospitare solo quattro. Tutti quanti hanno all’incirca lo stesso peso e occupano uno spazio uguale. Quattro sono esseri umani adulti normali, il quinto è un cane. Uno dei cinque individui dovrà essere buttato a mare; diversamente morirebbero tutti. Su chi dovrà cadere la scelta? 125 La risposta di Regan è che sulla scialuppa tutti hanno uguale valore inerente e un identico diritto prima facie a non essere danneggiati. Nonostante questo dice che la perdita di un cane non sarebbe equiparabile a quella di un umano. Questa credenza è giustificata dall’appello al principio del più svantaggiato.126 Regan argomenta che la morte del cane sarebbe un danno, ma non equiparabile alla morte di uno dei quattro umani, perché gli arrecheremmo un danno molto 124 P. SINGER, Etica pratica, cit., p. 61. 125 T. REGAN, I diritti animali cit., p. 384. 126 Ivi, p. 436. 38 peggiore di quello che si arrecherebbe al cane. Tom Regan ci tiene a sottolineare che l’animale comunque ha uguale valore inerente e un eguale diritto a non essere danneggiato, tanto quanto l’umano. Ma “significherebbe considerare il danno minore che incombe sul cane uguale o maggiore rispetto al danno, in realtà più grave, che si arrecherebbe a un umano se lo si buttasse a mare”.127 Egli continua asserendo che la decisione non pecca di specismo, ma è presa in base alla valutazione equa del danno che minaccia ciascun individuo. Soprattutto sottolinea che decisioni di questo tipo vanno prese solo in casi eccezionali, e che non devono essere estese a casi non eccezionali.128 127 T. REGAN, I diritti animali cit., pp. 436 – 437. 128 Ibidem. 39 3. Gli animali hanno diritti? Tom Regan nella recensione che fece a Liberazione animale di Peter Singer spiegò che a suo avviso anziché parlare di Movimento di liberazione degli animali, per indicare le persone e le organizzazioni che sono a favore di un cambiamento dello status morale degli animali, egli preferiva parlare di Movimento per i diritti degli animali. Seppur lo scopo dei due filosofi è lo stesso, c'è una forte differenza nella loro impostazione teorica. Singer è pronto, infatti, ad affermare che se vi sono diritti posseduti da tutti gli esseri umani, questi sono posseduti anche da animali non umani. Infatti, qualsiasi diritto posseduto da tutti gli esseri umani non può essere posseduto in virtù di certe caratteristiche speciali come la razionalità, l'autonomia, l'autocoscienza, l'abilità di sottoscrivere contratti, o di ricambiare. Non possiamo dire, secondo Singer, che tutti gli esseri umani hanno diritti solo perché sono membri della specie Homo sapiens: questo sarebbe specismo, una forma di favoritismo nei nostri confronti che è ingiustificabile quanto il razzismo e il sessismo.129 Singer sostiene che se vediamo i diritti come derivanti dalla tacita accettazione di un contratto sociale, o dalla capacità di comprendere un concetto di giustizia e di agire in accordo con esso, allora potremmo limitare i diritti a quegli esseri che soddisfano tale requisito. Questa limitazione non può spiegare perché troviamo opportuno fare degli animali sommariamente ciò che vogliamo, mentre non ammettiamo di fare del male ai neonati umani. Perciò tale approccio ai diritti umani non è rilevante ai fini del movimento di liberazione/diritti degli animali, che cerca di elevare lo status morale degli animali. Quindi il rifiuto di Peter Singer dei diritti animali non ha niente a che vedere con il fatto che sono diritti degli animali, ma ha a che fare con il fatto stesso che sono diritti. 130 A parere di Singer attribuire diritti agli animali non è l'unico modo di modificarne lo status morale, infatti egli sostiene che a fondamento di questa tesi 129 P. SINGER, Liberazione animale o diritti degli animali?, in Etica analitica, a cura di P. Donatelli, E. Lecaldano, Milano, LED, pp. 487 – 488. 130 Ivi, p. 489. 40 c’è anche il fatto che gli animali hanno interessi. Le teorie utilitaristiche, in particolare, tendono a basarsi sugli interessi o su qualcosa di molto vicino agli interessi, come le preferenze, o l'esperienza del piacere e del dolore. Un tema rilevante è quello di sapere se gli animali non umani hanno lo stesso interesse a continuare a vivere che hanno gli esseri umani normali. Il punto è che dobbiamo cercare in ciascun caso di elaborare ciò che sarà migliore per tutti coloro che sono coinvolti. In questo modo, una concezione basata sugli interessi include nella sfera morale gli animali non umani, sulla base dell’uguaglianza di considerazione.131 A parere di Singer l'utilitarismo riconosce il valore inerente di quegli esseri che Regan chiama soggetti – di – una – vita. Il punto è che Regan rivendica questi ultimi come titolari di diritti fondamentali. Infatti Regan, secondo Singer, non sembra accettare questo riconoscimento da parte sua e vorrebbe che si spingesse oltre.132 In un passo de I diritti animali Regan, infatti, critica il suo utilitarismo, accusando Singer di considerare gli individui come meri ricettacoli.133 Singer, ovviamente, risponde affermando che trattare gli individui come una sorta di ricettacoli non significa trascurare di riconoscere il loro valore inerente, ma ciò che conta è il contenuto, come quando pensando a delle scatole le vediamo come contenitori e non come oggetti di valore artistico o commerciale, come sarebbe loro diritto. Quindi pensiamo al loro valore strumentale nel contenere qualcos’altro, ed è il contenuto che importa veramente. Singer risponde che gli utilitaristi non concepiscono le creature senzienti come meri ricettacoli, se con ciò si intende che essi attribuiscono valore alle esperienze di tali creature e non alle creature stesse. Per Singer danneggiare un individuo al solo scopo di produrre le migliori conseguenze aggregative per tutti significa trattare gli individui danneggiati semplicemente come ricettacoli di ciò che ha valore.134 131 P. SINGER, Liberazione animale o diritti degli animali? cit., pp. 489 – 490. 132 Ivi, p. 491. 133 T. REGAN, I diritti animali cit., pp. 287 – 288. 134 P. SINGER, Liberazione animale o diritti degli animali? cit., p. 493. 41 Nonostante queste differenze, entrambi, Singer e Regan, si oppongono all’utilizzo degli animali per gli scopi dell’uomo, infatti sono entrambi vegani, perché non basta accontentarsi di non uccidere gli animali di cui l’uomo si ciba, ma serve che essi non vengano mai utilizzati per scopi come la produzione del latte o delle uova. Negli allevamenti intensivi - poiché l’unico problema è quello di produrre, quindi di guadagnare - vivono una vita non degna di essere vissuta, caratterizzata solo da sofferenza e privazioni, mentre negli allevamenti estensivi sono comunque destinati al macello. È necessario dire, però, che Peter Singer è dell’idea che possiamo cibarsi di vongole, pettini di mare, ostriche e cozze, dato che sembrano non avere sensibilità e a patto che venga rispettato l’ambiente dove vivono, cioè il mare, e le altre specie che vi abitano. A parte i bivalvi occasionalmente, Singer non si nutre di nessun altro animale o alimento di origine animale.135 E anche qui è possibile vedere la differenza con Regan; quest’ultimo, infatti, si rifiuta di mangiare questo tipo di animali, ai quali decide di dare il beneficio del dubbio, riguardo la loro capacità di provare piacere e dolore. Ma quando Regan parla dei diritti animali vorrebbe che per lo meno ci si riferisse ai mammiferi adulti e agli uccelli. In Gabbie vuote, infatti, ha dedicato molto spazio agli uccelli e si chiede perché non debbano essere considerati soggetti – di – una – vita. In fondo noi umani abbiamo in comune con gli uccelli i comportamenti quanto la struttura anatomica; in più condividiamo con loro il sistema nervoso. Inoltre, studi recenti hanno dimostrato che gli uccelli sono dotati di facoltà diversificate, imparano dall’esperienza e si comportano in modo logico. Quindi per Regan dato che gli uccelli sono identici a noi sotto tutti gli aspetti moralmente rilevanti, cioè sono soggetti – di – una – vita, ne consegue che gli uccelli hanno tali diritti.136 Nonostante Regan dia il beneficio del dubbio ad animali il cui sistema nervoso è notevolmente semplificato, decide di limitare le sue conclusioni e di concentrarsi sui casi meno controversi, cioè sui mammiferi e gli uccelli, dato che 135 P. SINGER, J. MASON, Come mangiamo cit., p. 315. 136 T. REGAN, Gabbie vuote cit., pp. 101 - 102. 42 molti filosofi addirittura negano la presenza di facoltà mentali anche a questi ultimi.137 Tom Regan non è d’accordo, come si è già detto, con le ragioni dell’utilitarismo, attraverso cui sostiene l’obbligo del vegetarismo. Egli ne I diritti animali parla della differenza del fondamento morale del vegetarismo proposto dalla teoria dei diritti e quello proposto dall’utilitarismo. Voglio concludere infatti con le parole di Tom Regan, che ci dice: Una volta tenuto conto degli interessi (preferenze o piaceri) di tutti coloro che risentiranno dell’esito di un’azione o di una norma, e tenuto conto in egual misura degli interessi uguali, secondo l’utilitarismo si è fatta giustizia: l’eventuale danno significativo arrecato a un individuo non è ingiusto se era necessario per determinare il saldo aggregativo ottimale di beni e mali (per esempio, di piaceri e dolori) per tutti coloro che risentiranno dell’esito. Si ricorderà che secondo l’utilitarismo la positività morale del mio rifiuto di acquistare carne dipende non da ciò che faccio io, ma da quante altre persone fanno la stessa cosa; infatti, secondo la prospettiva utilitaristica, io faccio ciò che è giusto fare, solo se si astiene dall’acquistare carne un numero sufficiente di altre persone e solo se questo numero è tale da ridurre il numero degli animali danneggiati o per lo meno l’entità del danno da essi subito.138 Confutate la tesi di Peter Singer e dell’utilitarismo, poi Regan cerca di dimostrare la validità della sua teoria: La teoria dei diritti riesce dove l’utilitarismo fallisce. Che io faccia il mio dovere non dipende da quanti altri agiscono come me; nessun vegetariano verrebbe meno alla propria scelta solo perché molti altri continuano a sostenere l’industria degli animali, oppure perché non sa con certezza se e, in caso affermativo, quando e come, l’astenersi dalla carne rappresenti una differenza (per esempio, quanti animali si sottrarranno in tal modo agli abusi dell’allevamento di tipo industriale). L’individuo ha ragione di non acquistare i prodotti di un’industria che viola i diritti di altri indipendentemente da quante sono le persone che fanno come lui; secondo la teoria dei diritti, inoltre, la validità della causa di chi si oppone all’industria animale non dipende dal fatto che questo individuo, o qualsiasi individuo, conosca il saldo aggregativo di beni e mali che deriverebbero a tutti dalla liceità o non liceità dell’allevamento industriale degli 137 T. REGAN, Gabbie vuote cit., pp. 101 - 102. 138 T. REGAN, I diritti animali cit., p. 468. 43 animali. Poiché questa industria comporta la sistematica violazione dei diritti degli animali, per le ragioni addotte è moralmente sbagliato acquistarne i prodotti. È per questo che , secondo la teoria dei diritti, il vegetarismo è moralmente obbligatorio; ed è per questo che non dobbiamo ritenerci soddisfatti di alcun altro risultato che non sia la fine completa dell’allevamento, non necessariamente intensivo, a scopo commerciale degli animali così come lo conosciamo.139 139 T. REGAN, I diritti animali cit., p. 469. 44 Conclusioni Peter Singer e Tom Regan sono due esempi per capire i notevoli passi in avanti che sono stati compiuti nel corso della storia dell’umanità, riguardo la posizione di quest’ultima nell’universo. È evidente che l’impostazione dei due filosofi è completamente diversa l’una dall’altra, come più volte ribadito, ma sicuramente notiamo la differenza che c’è tra loro, nostri contemporanei, e filosofi come Aristotele, Tommaso D’Aquino e Cartesio, analizzati in precedenza. Per Peter Singer e Tom Regan, infatti, abbiamo dei doveri diretti verso gli animali, anche se questi ultimi non sono nelle condizioni di ricambiare, essendo pazienti morali. Per quanto riguarda il panorama contemporaneo non sono d’accordo assolutamente con quanto scritto ne Gli animali hanno diritti? di Roger Scruton, filosofo contemporaneo, il quale non riconosce il diritto alla vita degli animali. Dall’altro lato, però, Roger Scruton rifiuta senza mezzi termini gli allevamenti industriali, perché all’interno di questi ultimi gli animali vengono trattati in modo indegno, in quanto vengono inflitte sofferenze.140 Riconosce quindi il diritto degli animali a non essere maltrattati e a non soffrire. Dopo questo percorso, per quanto breve, credo di poter concludere che l’importante sia il risultato a cui si arriva, anche se riconosco che c’è bisogno di una certa base teorica. Per quanto riguarda il mio pensiero sono da poco diventata vegetariana, ma non sono vegana: utilizzo uova che non sono di allevamento intensivo, ma che provengono da galline allevate da contadini locali del mio paese. Mentre il latte non lo utilizzo, e i formaggi me li procuro sempre da un contadino locale, dove gli animali non devono sottoporsi alle sofferenze che caratterizzano gli allevamenti intensivi. Invece, per quanto riguarda gli altri alimenti che contengono prodotti di derivazione animale, cerco in ogni modo di evitarli. Io non credo di cambiare il mondo con il mio singolo gesto: questo, però, non significa che la pensi come Peter Singer, infatti non credo che la mia azione abbia un certo peso a seconda del numero di persone che agiranno come me. Dato che 140 R. SCRUTON, Gli animali hanno diritti? cit., pp. 78 – 79. 45 non credo sia lecito uccidere gli animali o utilizzarli per gli scopi dell’uomo, mi rifiuto di essere parte di questo sistema di violenza legalizzata. Essere vegetariana ha un significato per me, perché credo che, in tal modo, rispetto l’esistenza degli animali. Allo stesso tempo spero che sempre più persone diventino vegetariane. C’è, inoltre, bisogno di un cambiamento radicale, anche economico. Gradualmente dovremmo basare le nostre economie su altri settori e non più sull’allevamento. Avremmo bisogno di un tipo di agricoltura sostenibile, che rispetti l’ambiente e gli esseri che vi abitano: dovremmo preservarne la stabilità e l’integrità. Dovremmo poi limitare in maniera graduale il nostro consumo di prodotti di origine animale, quali uova, latte e latticini, fino ad arrivare alla totale scomparsa dalla nostra dieta di questi ultimi. La produzione di latte e di uova, infatti, porta quasi inevitabilmente all’uccisione delle mucche e delle galline alla fine del loro ciclo produttivo, anche se si tratta di allevamenti estensivi, motivo per cui gradualmente sto eliminando uova e latticini dalla mia dieta. Perché per un allevatore mantenere un animale che non produce più non è economico, nel caso delle mucche da latte, ma anche nel caso delle galline. Quando, infatti, una gallina non è più produttiva, in un allevamento anche estensivo, nella quasi totalità dei casi, viene uccisa, perché altrimenti non tornerebbero i conti tra guadagni e spese. Dato che è poco tempo che sono diventata vegetariana, la mia impostazione teorica è un po’ incerta: lo sono diventata solo recentemente, perché prima non avevo mai avuto forse il coraggio di informarmi sulle reali condizioni che gli animali sono costretti a sopportare, prima di arrivare nei nostri piatti, e non mi riferisco solamente agli animali delle grandi industrie, ma anche agli animali che vengono tenuti in libertà e che vivono una vita degna di essere vissuta (ai quali, dunque, viene garantita libertà e integrità fisica) perché questi ultimi vengono comunque uccisi anzitempo. Prima di questo mio radicale cambiamento mangiavo carne ogni giorno, ogni tanto pensando a cosa avesse dovuto passare, per esempio, quel pollo che si trovava nel mio piatto, ma non andavo oltre o forse non volevo andare oltre, perché non mi volevo privare di mangiare carne. Non consideravo gli animali assolutamente come degli strumenti o delle macchine, ma cercavo semplicemente di pensare che quegli animali non erano consapevoli di ciò che 46 erano costretti a subire. Questo, ovviamente, per giustificare le mie abitudini alimentari. Ritengo di aver sbagliato profondamente prima di questo mio cambiamento e di questa mia presa di coscienza, ma ora sono giunta alla conclusione che l’utilizzo degli animali per gli scopi dell’uomo è moralmente illecito, qualunque esso sia. Sono infatti contro ogni utilizzo degli animali, quindi ritengo ingiustificabile vestirsi di pellicce, pelle e lana e servirsi degli animali a fine ludico, ma soprattutto sono contro l’utilizzo degli animali come strumenti di ricerca. Il motivo per cui sono a sfavore della vivisezione è che la maggior parte degli esperimenti su animali sono erronei, a causa della disparità tra le condizioni indotte sperimentalmente e le condizioni spontanee degli umani e per la diversità che ci separa; molti esperimenti sono inutili, perché non fanno altro che ripetere esperimenti già compiuti; inoltre il 70% della vivisezione è condotta al di fuori dell’ambito medico, in particolar modo per la valutazione di tossicità di erbicidi, pesticidi, sostanze industriali, prodotti per l’igiene della casa e della persona, tabacco, e nell’industria bellica e nella didattica biologica.141 A fronte di tutto questo, mi sembra giusto sottolineare che non sono contro il progresso della medicina, infatti ho forte fiducia nei metodi sostitutivi, i quali comprendono la sperimentazione clinica, la statistica, l’epidemiologia, le simulazioni al computer.142 Credo ci sia bisogno di un passaggio dagli attuali metodi di ricerca medica a quelli che non si servono di animali. C’è sicuramente la necessità di una concreta incentivazione dei metodi alternativi, per arrivare finalmente ad una medicina libera dall’uso degli animali. Concludendo posso dire che c’è sempre stata, soprattutto in Occidente, l’idea che gli esseri umani siano stati creati a immagine di Dio o che fossero intrinsecamente diversi dalla natura e dagli animali. L’uomo fino a poco tempo 141 Home Page di “Oltre la Specie”, http://www.oltrelaspecie.org, 08 Agosto 2012, a cura di Onlus Oltre la Specie. 142 Ibidem. 47 fa143 non ha avuto modo di giudicare se stesso, perché non aveva nessuno con cui compararsi. L’essere umano era la sola creatura sulla Terra che avesse coscienza di sé, che avesse un linguaggio per esprimere pensieri, ma i recenti studi144 ci costringono a mettere in dubbio e a rivedere quei “dogmi” che hanno sempre dato sicurezza all’essere umano. Anche molto recentemente il CNRS Francese (Centro Nazionale Ricerca Scientifica) ha dimostrato che i babbuini sono in grado di imparare in un periodo di tempo molto limitato (uno, due mesi circa) decine di vocaboli, e che sono in grado di riconoscere sequenze di lettere di senso compiuto da sequenze senza senso.145 Di grande importanza è, oltre a questi recenti studi, la Teoria dell’Evoluzione di Charles Darwin nel XIX secolo, il quale ha rovesciato completamente la visione antropocentrica, secondo cui l’Homo sapiens sarebbe lo scopo ultimo dell’evoluzione biologica.146 Con Darwin, infatti, l’essere umano inizia ad avere la consapevolezza di essere un animale fra tanti, nato dall’evoluzione biologica dei primati e dei mammiferi. Adesso la cosa più importante è che l’uomo riesca a rendersi consapevole fino in fondo del fatto che non può essere l’unico referente del discorso morale. E soprattutto che non è lo scopo ultimo del mondo, per cui tutto il resto dei viventi deve essere sacrificato e sottomesso. 143 Vedi, su questo, p. 22. 144 Vedi, su questo, p. 22. 145 Home Page di “Welfarm”, http://welfarm.it/blog/e-dimostrato-che-anche-i-babbuini-sanno- leggere/, 16 Agosto 2012. 146 C. DARWIN, L’origine delle specie, ed. it., a cura di G. Pancaldi, pref. di G.Pancaldi, Milano, BUR, 2010, passim. 48 Bibliografia dei libri citati • ALLEGRI F., Le ragioni del pluralismo morale. William David Ross e le teorie dei doveri prima facie, Roma, Carocci, 2005, pp. 294. • ARISTOTELE, De Anima, a cura di G. Movia, intr. di G. Movia, Milano, Bompiani, 2010, pp. 379. • ARISTOTELE, La Politica, a cura di G. Basso, M. Curnis, Roma, L’Erma, 2011, I, libro I, pp. 354. • ARRIGONI A., I diritti animali. Verso una civiltà senza sangue, Torino, Cosmopolis, 2004, pp. 206. • BATTAGLIA L., Un’etica per il mondo vivente. Questioni di bioetica medica, ambientale, animale, Roma, Carocci, 2011, pp. 294. • BENTHAM J., Introduzione ai principi della morale e della legislazione, a cura di E. Lecaldano, ed.it., Torino, UTET, 1998, pp. 485. • CARTESIO R., Discorso sul metodo, intr. di T. Gregory, ed. it., Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 110. • CASTIGNONE S., La questione animale tra etica e diritto, in Teorie etiche contemporanee, a cura di C. A. Viano, intr. di C. A. Viano, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, pp. 272. • CAVALIERI P., La questione animale. Per una teoria allargata dei diritti umani, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp. 191. • CHIODI M., Modelli teorici in bioetica, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 133. • DARWIN C., L’origine delle specie, ed. it., a cura di G. Pancaldi, pref. di G. Pancaldi, Milano, BUR, 2010, pp. XXXVII – 565. • DE MORI B., Che cos’è la bioetica animale, Roma, Carocci, 2011, pp. 128. • DITADI G., I filosofi e gli animali, Este, Isonomia, 1994, I, pp. 936. • FRANKENA W. K., Etica. Un’introduzione alla filosofia morale, ed.it., intr. di M. Mori, Milano, Edizioni di Comunità, 1981, pp. 238. 49 • GENSINI S., FUSCO M., Animal Loquens. Linguaggio e conoscenza negli animali non umani da Aristotele a Chomsky, Roma, Carocci, 2010, pp. 342. • HUGO V., Contro la pena di morte, pref. di P. Ranieri, Milano, RCS Quotidiani, 2010, pp. 252. • HUME D., Trattato sulla natura umana, ed. it., intr. di P. Guglielmoni, Milano, Bompiani, 2001, pp. XVI – 1274. • KANT I., Lezioni di etica, ed. it., a cura di A. Guerra, Roma – Bari, Laterza, 1991, pp. XX – 300. • LINZEY A., Teologia animale. I diritti animali nella prospettiva teologica, ed.it., Torino, Cosmopolis, 1998, pp. XII-182. • MILL J. S., La libertà. L’utilitarismo. L’asservismo delle donne, Milano, Rizzoli, 1999, pp. 496. • MALEBRANCHE N., La ricerca della verità, ed. it., intr. di E. Scribano, Roma – Bari, Laterza, 2007, pp. 729. • MORDACCI R., Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, Milano, 2003, Feltrinelli, pp. 409. • REGAN T., I diritti animali, ed. it., Torino, Garzanti, 1990, pp. 564. • REGAN T., Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, pref. di J. M. Masson, intr. di M. Filippi, A. Galbati, ed.it., Casale Monferrato, Sonda, 2011, pp. 341. • ROUSSEAU J. – J., Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, a cura di V. Gerratana, intr. di V. Gerratana, Milano, Editori Riuniti, 1972, pp. 231. • RYDER R. D., Animal revolution. Changing attitudes towards speciesim, Oxford, Berg Published, 200, pp. 224. • SCRUTON R., Gli animali hanno diritti?, ed.it., Milano, Raffaello Cortina, 2008, pp. XII – 157. • SINGER P., Etica pratica, ed. it., Napoli, Liguori, 1989, pp. 231. 50 • SINGER P., Liberazione animale o diritti degli animali?, in Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni, a cura di P. Donatelli, E. Lecaldano, ed. it., intr. di P. Donatelli, Milano, Casa Editrice Ambrosiana di Zanichelli, 1996, pp. 576. • SINGER P., Liberazione animale. Il manifesto di un movimento diffuso in tutto il mondo, ed.it, a cura di P. Cavalieri, Milano, Il Saggiatore, 2010, pp. 300. • SINGER P., MASON J., Come mangiamo. Le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari, ed. it., Milano, il Saggiatore, 2011, pp. 382 • TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, XV, quest. 65, art. 3. • TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, XVII, quest. 64, art. 1. 51 Bibliografia generale • ARISTOTELE, Le parti degli animali. Riproduzione degli animali, a cura di G. Giannantoni, ed.it., Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. XII – 331. • ARISTOTELE, Etica Nicomachea, a cura di C. Mazzarelli, intr. di C. Mazzarelli, Milano, Bompiani, 2005, pp. 504. • ARISTOTELE, La metafisica, a cura di C. A. Viano, intr. di C. A. Viano, Torino, UTET, 2010, pp. 588. • BATTAGLIA L., Le ragioni del vegetarismo. Etica e politica., in I diritti degli animali, a cura di S. Castignone, L. Battaglia, Atti del Convegno Nazionale “I diritti animali”, Genova 23 – 24 Maggio 1986, Genova, Stampatori in Genova, 1987, pp. 257. • BETA S., MARZARI F. (a cura di), Animali, Ibridi e mostri nella cultura antica, intr. di F. Marzari, Atti del convegno “Animali, Ibridi e mostri nella cultura antica”, Siena, Comlumbus – Ohio, 4 e 5 giugno 2007, 11 – 12 – 13 gennaio 2008, Firenze, Edizioni Cadmo , 2010, pp. 325. • CAVALLI SFORZA L. L., PIEVANI T. (a cura di), Homo sapiens. La grande storia della diversità umana, Torino, Codice, 2011, pp. XXXVIII – 193. • DE LEEMANS P. , KLEMM M, Animal in Ancient Philosophy, in A cultural history of Animals, II, In the Medieval Age, a cura di B. Resl, intr. di B. Resl, Oxford, Berg Publishers, 2007, pp. 263. • DOSSI E., Enciclopedia tematica, XIV, Dizionario di filosofia, Bologna, Zanichelli, 2005, pp. 760. • LANATA G., (a cura di), Antropocentrismo e cosmocentrismo nel pensiero antico, in Filosofi e animali nel mondo antico, Atti del convegno “Filosofi e animali nel mondo antico”, Genova, 25 e 26 marzo 1992, Edizioni ETS, Pisa, 1994, pp. 188. • LUTRI A., ACERBI A., TONUTTI S. (a cura di), “Umano, troppo umano”. Riflessioni sull’opposizione natura/cultura in antropologia, intr. di A. Lutri, A. Acerbi, S. Tonutti, Firenze, SEID, 2009, pp. XIX – 108. 52 • MANZI G., L’evoluzione umana, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 136. • MANZI G., VIENNA A., Uomini e ambienti, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 136. • MAZZONE M., Scienza cognitiva e saperi umanistici: il caso dei neuroni specchio, “Le forme e la storia”, I, pp. 231 – 248. • NEWMYER S. T., Animal in Ancient Philosophy, in A cultural history of Animals, I, In Antiquity, a cura di L. Kalof, intr. di L. Kalof, Oxford, Berg Published, 2007, pp. XII – 260. • SARDELLA R., Storia della vita sulla Terra, Bologna, Il Mulino, 2009, pp.119. • TATTERSAL I., Il cammino dell’uomo. Perché siamo doversi dagli altri animali, ed.it., Milano, Garzanti, 1988, pp. 222. • TOMASELLO M., Le origini culturali della cognizione umana, a cura di L. Anollo, ed.it., Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 285. • VEGETTI M., Figure dell’animale in Aristotele, in Filosofi e animali nel mondo antico, Atti del convegno “Filosofi e animali nel mondo antico”, Genova, 25 e 26 marzo 1992, Edizioni ETS, Pisa, 1994, pp. 188. • VOLTAIRE F. – M. A., Dizionario filosofico, ed. it., intr. di M. Moneti, Milano, Garzanti, 1981, pp. XXVII – 368. • ZORZI G., Homo sapiens, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 141. 53 Sitografia • Home Page di “Agire Ora. Per gli animali”, http://www.agireora.org, 14 Agosto 2012. • Home Page di “Animalismo e vegetarianesimo”, http://www.animalismoevegetarianesimo.com, 07 Agosto 2012, Apertura: 23 Ottobre 2011. • Home Page di “Animali nel Mondo”, http://www.animalinelmondo.com, 10 Agosto 2012. • Home Page di “Animal Station”, http://www.animalstation.it/brevi-notesu-specismo-e-antispecismo, 20 Agosto 2012, a cura di Massimo Filippi, Fonte: OltreLaSpecie, Ultimo aggiornamento: 11 Settembre 2009. • Home Page di “Arlian – Laboratorio di Arti e Linguaggio in Antropologia”, http://www.arlian.media.unisi.it, 09 Agosto 2012, a cura di V. Lusini e M. Squillacciotti, Apertura: 01 Dicembre 2009, Ultimo aggiornamento: 05 Agosto 2012. • Home Page di “Chipotle – Mexican Grill”, http://www.chipotle.com, 06 Agosto 2012. • Home Page di “Filosofia e dintorni”, http://www.filosofiaedintorni.htm, 09 Agosto 2012. • Home Page di “LAV – Lega Anti Vivisezione”, http://www.lav.it, 10 Agosto 2012, a cura di Lega Anti Vivisezione. • Home Page di “Oltre la Specie”, http://www.oltrelaspecie.org, 08 Agosto 2012, a cura di Onlus Oltre la Specie. • Home Page di “Stop Vivisection”, http://www.stopvivisection.com, 09 Agosto 2012. • Home Page di “VeganHome”, http://www.veganhome.it/diventare-vegan, 20 Agosto 2012. • Home Page di “Welfarm”, http://welfarm.it/blog/e-dimostrato-che-anchei-babbuini-sanno-leggere/, 16 Agosto 2012. 54 Filmografia • Fast Food Nation, 2006, Stati Uniti - Gran Bretagna, Richard Linklater, Warner Home Video. • Super Size Me, 2004, Stati Uniti, Morgan Spurlock, Cecchi Gori Home Video. • Koko, a talking gorilla, 1978, San Francisco, M. Menegoz, Institute national de l’audiovisuel, Janus Films. • Bioetica e animali, 2012, Roma, S. Pollo, RaiEdu. 55