LA STAMPA
SABATO 7 MARZO 2015
ARTE
MARCO VALLORA
Vernici
in Italia
Modena
Si apre oggi
al Foro Boario
la mostra
«Hiroshi
Sugimoto. Stop
Time» dedicata
al fotografo
giapponese a cura
di Filippo Maggia
Milano
Si apre il 10 marzo
a Santa Maria
delle Grazie
e al Chiostro
del Bramante
la mostra di
disegni dal Codice
Atlantico
di Leonardo
Bergamo
Si apre giovedì
12 marzo
all’Accademia
Carrara la mostra
«Palma il Vecchio.
Lo sguardo della
bellezza»
a cura di Giovanni
C. F. Villa
Qui accanto
Con il serpente
(1924): un’opera
di Paul Klee proveniente
dalle collezioni
del museo d’arte moderna
di Ca’ Pesaro a Venezia
Q
ROVIGO
Demoni, sogni e incubi
alle soglie della modernità
Da Moreau a Ciurlionis, da Martini a Von Stuck: a Palazzo Roverella
una carrellata di opere visionarie della stagione simbolista
Il trionfo
delle tenebre
di Sascha
Schneider
(1896)
E dall’altra, uno dei celebri
colloqui muti, tra un Edipo paesano e remissivo, pre-freudiano, quasi un selvaggio Battista pellegrino, ed una piumosa Sfinge-Chimera flaubertiana, con zampe minacciose di
mastino ed ali altezzose e pavonesche.
Ma il vero anfitrione di questo caravanserraglio di demoni, angeli caduti, morbosi notturni interstellari e fatalissime
femmine è, in fondo, il Lucifero, in muscolare agguato tenebrista, del monacense e secessionista Von Stuck, abituale
domatore flaccido di mostri
pellucidi e di faunesche dissonanze. Sta seduto, nella classica posizione, accidiosa e basculante, della Malinconia, con
la mano portata alla mordace
mascella. O del Pensatore ruminante di Rodin (però tradotto in pasta-frolla). Eppure ha
occhi sulfurei, di giada impazzita ed omicida: gli stessi, petroleosi e lustri, del Massimo
Girotti di Ossessione, o del profeta savonaroliano Gianni Testori. Ed è lì, pronto ad agguantarci, e morsicarci, con le
sue inquietanti paure. Un Demone, appunto: ch’è il vero daimon di questa vertiginosa mo-
stra, che ci trascina verso
l’abisso, senza mai caderci
dentro. E questo è il vero incanto «retrattile» e sporto,
acrobatico e retroattivo della
pittura Simbolista, ritorta a
spirale, come l’Angelus Novus
di Benjamin-Klee. Grafo-pittura coloratissima ma di pece,
di putredine e regale chincaglieria sinistra, che ci porta
sulla groppa delle pelose pupille cosmiche di Odilon Redon, o entro le perlacee e fumiganti spelonche del «caprese»
Diefenbach, tra le streghe sataniche di Rops ed i tarocchi
impazziti di Alberto Martini.
TORINO
Avery Singer, un universo
tra cubismo e videogiochi
FRANCESCO POLI
TORINO
L’
allestimento è rigoroso e lineare: una sequenza di dipinti sospesi nel vuoto in un largo
corridoio, di cui si può vedere
anche il retro e un’altra disposta sulle pareti delle sale
adiacenti. Sono composizioni
dipinte ad acrilico su tela o
pannelli in legno, in bianco e
nero, con le più sottili sfumature di grigio, animate da un
freddo e inquieto gioco di ombre e luci, e abitate da figure e
oggetti di geometrica volumetricità che fluttuano senza peso in una spazio di fantasmatica tensione virtuale.
Nel loro insieme le narrazioni iconiche di questi quadri
mettono in scena con notevole
originalità stilistica la singolare visionarietà di Avery Singer,
giovanissima
artista
newyorkese di punta. L’alchimia vincente del suo linguaggio nasce da una raffinata, ma
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Salomé di Hans
Unger (1917)
Galleria Municipale
di Dresda
ROVIGO
uasi una fantasia, ma
quanto mai illuminante. L’odoroso di mughetto, dandy ed esteta per
antonomasia, Robert de
Montesquieu - modello com’è noto dello Charlus proustiano, ma anche del des Esseintes di Huysmans - va a
trovare in ospedale il decrepito Gustave Moreau, vedovo
della propria instancabile
consorte-pittura. Quell’«eremita che sa a memoria l’orario dei treni» (come lo denigrava il perfido Degas) stava
abbandonato in un letto, ma
non cessava di tracciare segni ed arabeschi (il liberty in
agguato) sul lenzuolo ciancicato. Immaginando una delle
sue ennesime Salomé. «Ho
trovato uno stupendo costume per Salomè, sussurra, e
disegna con un dito scabro
ed elettrico, tra i contorni del
camicione, come un incarceramento di segni e di viticci,
di cui pareva fosse andato a
rilevare, quella notte stessa,
nell’insonnia e nell’invisibile,
le tracce misteriose, ripercorrendo i cabalistici meandri». C’è tutto il senso intrinseco di questa suggestivissima mostra, ideata da Giandomenico Romanelli, con
Franca Lugato e Alessia Vedova, in quel viluppo, quasi
esoterico, di parole-chiavi.
La notte interiore (una
notte in fondo diversa da
quella più lirica ed illunata
dei Romantici: qui non c’è
spazio per degli astri, che
non siano altro che sinistri e
pesti di negatività allarmante). Il buio pescoso dell’inconscio, e della lucida insonnia creativa. Il regno, fervente e pur negato, dell’invisibile. Ed i tortuosi meandri
d’una cabala, che ha perduto
la propria chiave-Golem della negra mistica-Torah. E così non stupisce che ad introdurci in questo variegato labirinto ci siano proprio due
tele simboliche di Moreau.
Da un lato, una Salomé danzante, 1885, nuda di brividi
morbosi e furenti, un pube
che pare un puntaspilli. In
una posa ferina e pronta a
scattare, come una tagliola:
con il piedino tersicoreo in
aggetto ed un turbinante
sfondo virtuosistico, di avatar arabo-Delacroix, che è
già tutto un Boldini infocato.
.
per niente artificiosa, operazione ibrida in cui immagini inventate e disegnate al computer vengono proiettate sulla tela e dipinte e integrate con interventi all’aerografo per creare una vibrante atmosfera.
Il risultato è piuttosto straniante: da un lato ci sono evidenti richiami al variegato
mondo dei cartoni animati e
videogiochi della generazione
digitale e dall’altro emergono
altrettanto chiari riferimenti
alla storia dell’arte. Ci sono
Un’immagine della mostra di Avery Singer
suggestioni legate alla sfaccettata scomposizione cubista
(per esempio, di Picasso la
Femme à la mandoline del 1909
o i Nudi sulla spiaggia del 1927)
e a forme meccanomorfe del
Duchamp pittore (dal Nudo che
scende le scale alla Mariée) e forse anche del nostro Fortunato
Depero.
La curatrice della mostra,
Beatrix Ruf, cita perfino i dipinti «en grisaille» rinascimentali e neoclassici. E in ef-
Giustamente Luca Massimo
Barbero, nel catalogo Marsilio, cita il raffinato studioso del
demonico, Enrico Castelli.
Peccato che manchi l’intrasportabile Vrubel, maestro
nell’agitare spettrali angeli caduti e demoni pre-dostojevskiani, che generarono
la rara opera di Anton Rubinstein: il Demone, appunto (noi
ci siamo accontentati della godibilissima Rapsodia Satanica,
di Oxilia e Mascagni).
IL DEMONE DELLA MODERNITÀ. PITTORI
VISIONARI ALL’ALBA DEL SECOLO BREVE
ROVIGO, PALAZZO ROVERELLA
FINO AL 14 GIUGNO
fetti gran parte dei temi sviluppati nelle composizioni di
Singer hanno a che fare, spesso in termini ironici, con il
mondo dell’arte: si va dall’evocazione delle Muse (The Great
Muses) a un omaggio a Lee
Krashner; dalle scene di gruppo dedicate alla perfomance
art (Happening, Performance
Artists, Dancers Around an Effigy to Modernism) agli interni
di studi d’artisti (The Studio Visit). Ma forse la figura più emblematica, che ritorna in vari
quadri, è un suonatore di flauto solista, che può far pensare
all’artista che, travestito da
pifferaio di Hamelin, seduce e
trascina nel suo mondo illusorio i visitatori.
AVERY SINGER. PUNISH WORDS
TORINO, FONDAZIONE SANDRETTO
RE REBAUDENGO
FINO AL 12 APRILE