Approfondimento Misurare la velocità delle placche Fig. 1 Mappa che riporta la velocità relativa delle placche in corrispondenza dei margini che le separano © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS 1 Nel corso del capitolo 7 abbiamo visto come le placche non siano strutture immobili ma in perenne movimento, a causa del quale si originano diversi fenomeni. Ma è possibile quantificare il movimento e stabilire quale sia la velocità con cui una placca si muove? La risposta è sì. Occorre però tener presente che non si tratta di una velocità assoluta, ma di una velocità relativa; non si esprime quindi la velocità di una singola placca, ma ci si riferisce alla velocità con cui due placche si avvicinano o si allontanano l’una dall’altra in corrispondenza dei loro margini. Esistono diverse modalità attraverso le quali è possibile misurare la velocità di movimento delle placche; la più semplice tra di esse fa riferimento alle anomalie magnetiche trovate sui fondali marini, che abbiamo visto nel capitolo 6. Riconducendo le bande di anomalia alla scala cronologica delle inversioni magnetiche è stato infatti possibile assegnare un’età alle fasce di rocce a diversa magnetizzazione che formano il fondale oceanico. A questo punto, misurando la distanza di una certa fascia di rocce dalla dorsale oceanica e dividendola per l’età delle stesse rocce è stato possibile calcolare la velocità di accrescimento del fondale marino in quella zona; il valore così ottenuto è una misura della velocità con cui il fondale marino si espande in quel punto. Con questa semplice tecnica è stato possibile misurare la velocità di allontanamento in corrispondenza di margini divergenti, come nell’area della dorsale medio-atlantica. A partire dagli anni Settanta si è sviluppato un altro metodo per la misura della velocità della placche, il quale si basa sul posizionamento astronomico, ovvero a quell’insieme di tecniche che hanno lo scopo di determinare la posizione di un punto sulla superficie della Terra sulla base della posizione di una stella. La possibilità di ricorrere al posizionamento astronomico era stata suggerita da Wegener stesso, il quale aveva immaginato di effettuare due diverse misure contemporanee di posizione avvalendosi di due osservatori, posti in differenti continenti; essi avrebbero dovuto determinare in modo contemporaneo la propria posizione rispetto alla stessa stella. Dalle due misure sarebbe stato poi possibile ricavare la distanza tra i due osservatori. Ripetendo dopo un certo tempo questo stesso procedimento, e assumendo che i due osservatori avessero preso precisamente la stessa posizione, sarebbe stato possibile valutare se la distanza fosse variata nel tempo; la differenza tra le due misure nel tempo avrebbe inoltre fornito una stima della velocità di allontanamento. Al tempo di Wegener le tecnologie disponibili non permettevano però di effettuare le misure con la precisione necessaria ad individuare le velocità attualmente riconosciute come corrette; al giorno d’oggi questa tecnica utilizza come riferimento i quasar, sorgenti di onde radio che per la grande distanza possono essere approssimati a sorgenti puntiformi, i quali vengono captati tramite grandi antenne. La strumentazione necessaria per questo tipo di misura è però decisamente costosa e poco pratica. Attualmente le misure di velocità delle placche vengono eseguite grazie ad una tecnologia molto più comune, la stessa che utilizziamo per avere indicazioni quando guidiamo l’automobile. Si tratta dei 24 satelliti della rete GPS (acronimo per Global Positioning System) i quali ruotano intorno alla terra ad una distanza di 20000 km. Una serie di ricevitori in grado di captare il segnale dai satelliti sono ancorati saldamente al suolo; conoscendo il tempo impiegato dal segnale per raggiungere il ricevitore, e sapendo che il segnale viaggia alla velocità della luce, è possibile determinare la distanza dal satellite. Occorre il segnale di tre diversi satelliti per poter stabilire la posizione del punto sulla superficie terrestre, intersecando le tre diverse sfere che si ottengono utilizzando come raggio la distanza del punto dal satellite. Monitorando le posizioni dei ricevitori GPS nel tempo è stato possibile individuare con precisione il movimento relativo delle placche (Fig. 1).