Gli sviluppi dell`antisemitismo e del razzismo antiebraico fino alla

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Gli sviluppi dell’antisemitismo e del razzismo antiebraico
fino alla prima guerra mondiale
Germania
In Germania il tradizionale robusto filone antiebraico popolare di matrice religiosa, come si è visto, aveva proseguito la sua evoluzione verso forme di ostilità laiche (economiche e sociali), che, sul finire degli anni ‟70, diventano un elemento costante nella vita sociale, politica e culturale della società tedesca, nella forma organizzata chiamata antisemitismo; queste nuove manifestazioni antiebraiche sono ben
presto affiancate da un tipo di ostilità più estremista, d‟ispirazione anticristiana e
neopagana, che determinava gli ebrei in termini razzisti (antisemitismo razzista).
Alla base della costituzione e del consolidamento dell‟antisemitismo tedesco
c‟erano i nodi intricati della politica interna di Bismarck, una scarsa coesione nazionale sul piano economico, sociale e culturale, la grande crescita economica e sociale
della minoranza ebraica, la paura di un‟“invasione” di ebrei poveri dell‟Europa orientale e infine l‟odio razziale allo stato puro o basato su teorie di supremazia e inferiorità biologica.
Lo Stato nazionale unitario (il Secondo Reich proclamato il 18 gennaio 1871),
dopo il fallimento della rivoluzione liberale del 1848, era stato realizzato dall‟esercito
e dalla diplomazia prussiani. La Germania unita nasce con un assetto politicoistituzionale conservatore e autoritario, all‟insegna del nazionalismo militarista prussiano; ma anche all‟insegna – in campo economico – di un grande dinamismo, in particolare nel settore industriale. All‟unificazione politica però non corrisponde
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l‟unificazione della società tedesca, che, nel complesso, è attraversata da una lacerante crisi d‟identità, causata da profonde divisioni per quanto concerneva i progetti politici, economici e culturali del Secondo Reich.
Nel primo decennio dello stato unitario, la gestione della politica interna, guidata dai nazional-liberali, è caratterizzata dalla lotta alla Chiesa cattolica (Kulturkampf). A causa degli stretti rapporti fra liberali ed ebrei (molti dei quali militavano
nel partito nazional-liberale), la politica anticlericale è denunciata come se fosse stata
ispirata da questi ultimi. I cattolici si sentono discriminati, proprio mentre la minoranza ebraica veniva emancipata, per cui alcuni politici e pubblicisti cattolici, ma anche conservatori anti-bismarckiani di diversa confessione religiosa, giudicano la Kulturkampf e l‟emancipazione degli ebrei come due momenti convergenti della stessa
strategia liberale tesa a scristianizzare la società.
È difficile dire se e in qual misura gli ebrei abbiano influito sulle decisioni del
cancelliere. In verità gli ebrei politicizzati erano in maggioranza favorevoli alla politica anticlericale dei liberali; va però rilevato che nel 1882 tutti i deputati ebrei, eccetto uno che si astiene, votano a favore della mozione che chiedeva l‟abrogazione delle
leggi discriminanti nei confronti dei cattolici.
Sul versante economico il crack finanziario e il conseguente brusco arresto dello sviluppo industriale a partire dal 1873, con il suo strascico di scandali e di sospetti,
fanno riemergere vecchie accuse antiebraiche e ne producono di nuove basate sulla
massiccia presenza degli ebrei nell‟economia tedesca. La depressione economica
(crisi di sovrapproduzione industriale) diffonde un clima di risentimento e di sospetto
ed è determinante per la ripresa delle forze sociali di orientamento politico antiliberale. Si comincia a cercare i colpevoli. Sono fatte denunce precise, spesso vere, di illeciti finanziari in cui erano coinvolti cristiani ed ebrei, conservatori e liberali. La scoperta di una lunga serie di casi reali di illeciti e di corruzione, che coinvolgevano anche importanti personalità vicine a Bismarck, contribuiscono a diffondere
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nell‟opinione pubblica un forte senso di sfiducia. Il crollo del 1873 fornisce una sicura prova che le accuse di corruzione erano fondate e favorisce un‟atmosfera ideale
nella quale possono prosperare teorie cospirative. Le denunce di corruzione allarmano un gran numero di categorie e classi danneggiate, che subivano le ripercussioni
delle trasformazioni senza riuscire ad afferrarne le cause.
Tutto era iniziato, dopo una fase di euforia economica, con un tracollo nella
Borsa di Vienna, in seguito al fallimento di una banca dei Rothschild; il crack aveva
avuto importanti ripercussioni anche in Germania e aveva coinvolto il settore bancario e quello industriale. Il ruolo degli istituti bancari (in cui la presenza ebraica era assai forte) era divenuto sempre più importante nello sviluppo capitalistico industriale e
finanziario; permetteva rapide e colossali fortune ma anche rovinose cadute patrimoniali. I banchieri ebrei, sebbene non fossero i diretti responsabili, entrano nel mirino
dei critici del sistema capitalistico industriale e vengono accusati di essere all‟origine
dei difetti del sistema finanziario. Il banchiere von Bleichröder, consigliere economico di Bismarck, diviene, nella propaganda antisemita, il prototipo del capitalista finanziario: sfruttatore privo di scrupoli e rovina della Germania.
A partire dai primi anni ‟70, uno dei più importanti divulgatori di calunnie e insinuazioni antiebraiche di tipo economico è un brillante giornalista, Otto Glagau, che
nel 1874 pubblica numerosi articoli dedicati agli scandali finanziari in cui erano
coinvolti – come accennato – cristiani ed ebrei. Egli divulga una tesi che riscuote un
enorme successo: gli ebrei, in precedenza paria della società tedesca, con
l‟emancipazione non solo erano saliti ai posti di comando, ma la dominavano. Ben
presto altri giornalisti sviluppano, con un linguaggio scialbo, tesi di basso profilo simili: “Gli ebrei non lavorano, sfruttano la produzione manuale o intellettuale altrui.
Gli ebrei hanno asservito il popolo tedesco e ne succhiano il midollo. La questione
sociale è essenzialmente una questione ebraica; tutto il resto non è che una truffa”. La
campagna di stampa di questi politicanti era parte di un più ampio rifiuto della mo-
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dernizzazione, costituiva una reazione alla società industriale ritenuta inconciliabile
con le tradizioni e l‟identità nazionale; ma il ruolo attribuito agli ebrei fa in modo che
in Germania l‟“ebreo” emancipato divenisse nella mentalità comune l‟archetipo negativo dell‟odiato processo di civilizzazione mondiale chiamato modernità.
I decenni precedenti erano stati esaltanti per gli ebrei tedeschi. La loro ascesa
economica e sociale era stata rapida e diffusa. Mentre alla fine del „700 l‟80% erano
poveri e in miseria, nel primo periodo imperiale la maggior parte di quelli inurbati
aveva uno stile di vita sociale ed economico paragonabile a quello della borghesia
benestante cristiana.
Dopo il loro ingresso nella società civile, numerosi ebrei si affermano nelle
professioni liberali; altri, partecipando alla crescita industriale, avevano avuto successo nella costruzione della rete ferroviaria, nell‟industria tessile, nell‟industria mineraria e più tardi anche in quella elettrica, nella fondazione dei grandi magazzini, nella
moderna distribuzione, nell‟editoria, nell‟arte e nello spettacolo. Erano orgogliosi dei
propri successi e pensavano che anche i loro concittadini lo fossero, perché consideravano la propria ascesa economica vantaggiosa in generale per l‟intero paese, un
successo nazionale tedesco. Nel complesso si comportavano da tedeschi, si sentivano
tedeschi, volevano essere tedeschi. Ma più si sforzavano con sincera passione di assimilarsi, più suscitavano timori fra gli antisemiti.
Le interpretazioni della crisi economica e del supposto ruolo negativo svolto
dagli ebrei nella società tedesca, al di là degli imbrogli orditi da singoli ebrei, erano
superficiali e false, ma proprio per questo facilmente comprensibili dalla gente; secondo le accuse sarebbero stati l‟affarismo e le speculazioni degli ebrei a minacciare
il sistema economico e la libertà del popolo tedesco.
La propaganda antisemita era martellante: tutti i piccoli speculatori che avevano perso i loro capitali in investimenti sballati o coloro che erano stati licenziati o
comunque subivano i disagi della recessione o erano sconvolti dai cambiamenti, era-
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no orientati a scaricare il loro odio e le loro frustrazioni sugli ebrei, visti dai più come
maligni, potenti e pericolosi parassiti che non davano nulla alla società; scansafatiche
che non svolgevano alcun lavoro produttivo e si nutrivano a spese del popolo che li
ospitava; attivi e intenzionali sabotatori dell‟ordine sociale, essi corrompevano i costumi e la coesione sociale, introducendo disordine e disarmonia in un insieme altrimenti ben integrato; essi costituivano un gruppo sociale rapace e organizzato, mosso
da un‟unica volontà dissolvitrice. Per un personaggio che pure si diceva “amico degli
ebrei”, un liberale, essi erano “una pianta parassita in rapida crescita, avvinta intorno
all‟albero ancora sano per succhiargli la linfa vitale finché il tronco, rinsecchito e divorato dall‟interno, crolla nella decomposizione”.
La storiografia, da tempo e unanimemente, ha dimostrato l‟inconsistenza di tali
accuse. Se le accuse al fantomatico capitalismo ebraico fossero state vere bisognerebbe spiegare come mai fra l‟ultimo decennio dell‟800 e quello successivo, non si
siano verificati il crollo e la decomposizione della Germania, visto che quelli sono gli
anni di maggiore prosperità e influenza degli ebrei tedeschi, Al contrario, in
quell‟arco temporale, la Germania diviene la più grande potenza industriale europea,
e ciò grazie anche alla serietà e all‟operosità degli imprenditori, dei finanzieri e degli
scienziati ebrei. Il successo economico e scientifico di molti ebrei tedeschi era un fenomeno tedesco inserito nella società tedesca in espansione. Ma per la propaganda
antiebraica la minoranza continua ad essere identificata come un corpo estraneo, dannoso e molti chiedono ripetutamente che fosse ridotto il suo potere con limitazioni
all‟attivismo economico dei suoi membri.
Nel biennio 1878-79 Bismarck cambia alleanze politiche e pone fine all‟epoca
liberale. Abbandona il partito nazional-liberale e si avvicina a quello conservatore. In
questo nuovo quadro politico si colloca la nascita di movimenti antisemiti organizzati. Il primo è il partito cristiano-sociale dei lavoratori fondato nel 1878 dal cappellano
della corte imperiale Adolf Stoecker, con l‟intento di frenare la scristianizzazione del-
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la società e sottrarre la classe operaia alla crescente influenza socialdemocratica.
Sennonché con gli operai ha scarso successo, per cui, ben presto, assume un orientamento antiliberale, anticapitalista e antisemita, che fa affluire nel partito i consensi
della piccola borghesia, scontenta delle politiche governative; individuato il giusto filone per attrarre consensi, il pastore intensifica la polemica antisemita.
La sua polemica era diretta contro gli ebrei assimilati; secondo le accuse del
pastore, gli ebrei non religiosi, laicizzati, erano doppiamente pericolosi, perché sul
piano religioso fomentavano la scristianizzazione della società tedesca e su quello
economico e sociale costituivano una minoranza compatta che, essendo dotata di
grandi capacità intellettuali ed economiche, era in grado di conquistare posizioni di
vertice a spese dei tedeschi. Con argomentazioni di questo tipo il partito di Stoecker
introduce ufficialmente l‟antisemitismo nella vita politica e nei dibattiti parlamentari
tedeschi.
Nel 1880 Bernard Förster (futuro cognato di Nietzsche), insieme ad altri antisemiti, si fa promotore di una petizione al Parlamento per escludere o almeno limitare
la presenza ebraica nell‟insegnamento, negli alti incarichi pubblici, nella magistratura, bloccare o limitare l‟ingresso di ebrei stranieri in Germania e riprendere i rilevamenti statistici ufficiali della popolazione ebraica. La petizione raccoglie più di
250.000 firme e i liberali faticano non poco per impedire che venisse approvata.
Nel corso della campagna elettorale del 1884 la propaganda del partito conservatore diffonde la tesi che gli ebrei non potessero essere buoni tedeschi, perché, essendo fedeli a “potenze internazionali, non tedesche” (la fantomatica “nazione ebraica” transnazionale), non avrebbero mai assegnato la priorità agli interessi della Germania e perciò erano da considerare “in contrapposizione binaria con i tedeschi”.
Un altro importante esponente dell‟antisemitismo è Wilhelm Marr, fondatore
nel 1879 della Lega antisemita e ispiratore di un antisemitismo razzista, laico, di
orientamento democratico-progressista. Con l‟opuscolo La vittoria dell’ebraismo sul
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germanesimo (1879) diffonde nel paese l‟idea che la presenza degli ebrei in tutti i settori della vita tedesca fosse nociva e inarrestabile. La tesi era totalmente pessimistica
sul futuro dei tedeschi: la razza ebraica, secondo Marr, aveva scatenato una guerra
contro la razza germanica e stava ormai vincendola. Successivamente, abbandonato
tale radicale pessimismo, esorta i suoi compatrioti a lottare contro gli ebrei per impedire la completa giudaizzazione della nazione.
L‟ideologia antisemita, propagandata dai mezzi d‟informazione, si diffonde
non solo fra gli strati intermedi e bassi della popolazione, ma diviene argomento di
discussione anche nelle cerchie sociali superiori e colte. Trova credito fra i dirigenti
dell‟alta borghesia ed entra nelle università (professori e studenti), venendo accettata
anche da personalità di rilievo della cultura dominante, appartenenti ad ambienti liberal-progressisti, lontani da sentimenti di intolleranza religiosa o di arroganza nazionalistica.
La diffusione dell‟antisemitismo è certamente collegata anche alla crisi
dell‟idea portante positivista di un progresso illimitato. Con la recessione economica,
seguita dalla concentrazione monopolistica del capitale, comincia infatti a vacillare il
sogno di un progresso infinito, divulgato appunto dall‟ideologia positivista. In Germania i settori più sensibili della cultura iniziano a svelare il crescente divario fra lo
sviluppo capitalistico-industriale e valori, fra crescita della civiltà delle macchine e
umanità. In alcuni settori la modernità portata dalla nuova borghesia imprenditoriale
è bollata come distruttrice dei veri e sani valori. La critica coinvolge gli ebrei perché,
lo ripetiamo, una propaganda sempre più insistente li indicava come i “veicoli” principali delle novità moderne. Quasi tutti gli antisemiti tedeschi sono concordi nel ritenere che gli ebrei fossero l‟espressione peggiore e più nociva del sistema liberale. Per
loro la lotta agli ebrei significava perciò principalmente lotta all‟individualismo,
all‟economia di mercato, al liberismo. In definitiva erano gli ebrei che, dirigendo la
modernità, distruggevano il sano ordine antico e naturale della società tedesca: la mi-
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tica e romantica comunità sorta dall‟intreccio organico di terra, sangue e spirito di
popolo.
Agli inizi degli anni ‟80, dopo quasi due decenni di relativa calma, l‟attività antiebraica passa dalla stampa alla strada. In seguito alla violenta campagna diffamatoria dei più impegnati e radicali attivisti antisemiti dell‟epoca, scoppiano disordini al
centro di Berlino. Gruppi di facinorosi organizzati spaccano le vetrine dei negozi degli ebrei, li aggrediscono per le strade, li cacciano dai luoghi pubblici, e arrivano anche a incendiare alcune sinagoghe. Nel complesso però le manifestazioni di aggressiva intolleranza rimangono circoscritte. La Germania imperiale era uno stato di diritto
che riconosceva e difendeva i diritti fondamentali dei cittadini, ebrei compresi, e il
cancelliere Bismarck in più di un‟occasione testimonia la sua contrarietà alle manifestazioni antiebraiche.
I difensori sono pochi: fra essi Theodor Mommsen e Nietzsche. Il grande storico dell‟antichità definisce l‟antisemitismo razzista dei suoi connazionali “aborto del
sentimento nazionale” e mette in dubbio, come pura invenzione, la fobia per la presunta massiccia immigrazione ebraica dall‟Est (migliaia di ebrei arrivavano in Germania dall‟Impero russo, ma per imbarcarsi ad Amburgo per l‟America). Nietzsche
spiega l‟ostilità tedesca antiebraica facendo riferimento alla “immaturità politica e
culturale” dei suoi compatrioti, i quali, soffrendo del complesso di persecuzione, reagivano con una maniacale forma di potenza e superiorità compensatrice.
Anche alcuni politici liberali di sinistra e alcuni intellettuali della stessa area
politica difendono gli ebrei, ma complessivamente non riescono a modificare la prevalente atmosfera ostile. Inoltre la loro difesa avveniva molto spesso in un‟ottica che
si può definire antiebraica. Veniva chiesto agli ebrei di dare prova di meritare la parificazione, cancellando le loro diversità. Venivano infatti spronati a liberarsi della loro
identità, unico modo per essere veramente tedeschi. In tal senso, in riferimento
all‟identità ebraica, il pensiero di molti cosiddetti “amici degli ebrei” non era diverso
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da quello di molti antisemiti. Si distinguevano da questi ultimi solo in quanto ritenevano che fossero correggibili, “nazionalizzabili”, ma come ebrei li ritenevano comunque corrotti e degradati, pericolosi per il popolo tedesco. E più tardi, sul finire del
secolo, la difesa ebraica della propria identità inizia ad essere vista anche da alcuni liberali come indice di determinismo razziale: cominciano a pensare che, a causa della
diversità razziale, non potessero integrarsi spiritualmente nella nazione tedesca.
Negli anni ‟90 dell‟800 e nei primi de „900, in un contesto economico-sociale
complessivamente stabile e di grande sviluppo industriale, l‟attività politica antiebraica tende a diminuire: i partiti antisemiti si placano e perdono parecchi sostenitori.
Ma alla diminuzione dell‟attività dell‟antisemitismo politico corrisponde una diffusione più capillare dell‟ostilità antiebraica nazionalista e razzista nella vita sociale, in
gruppi di pressione ideologica ed economica e in organismi parapolitici.
Le teorie della presunta disuguaglianza degli uomini e sulla supremazia di una
nazione sull‟altra si erano ormai affermate a scapito degli ideali illuministici: le tesi
di opere di de Gobineau, Paul Lagarde e Chamberlain erano comunemente accettate
come assolutamente vere. Lagarde è un instancabile divulgatore dell‟inferiorità spirituale della “razza ebraica”, alla quale – come altri – contestava persino il diritto di
esistere.
Nel 1890, l‟uscita di scena di Bismarck lascia libero sfogo a una politica nazionalistica più aggressiva. I gruppi industriali più forti e la casta militare avevano cominciato a guardare con occhi sempre più critici al divario fra la potenza economica e
militare del paese e il modesto ruolo svolto nella politica imperialistica mondiale
dell‟epoca. Lo politica estera di Bismarck, tesa a isolare la Francia, a tenere fuori
dall‟Europa la Gran Bretagna e a mantenere buoni rapporti con gli imperi austroungarico e russo, non si era preoccupata granché del desiderio espansionistico che
stava crescendo all‟interno della Germania. La sua misurata politica estera aveva finito per scontentare gli ambienti industriali e finanziari e per trovarsi in contrasto con le
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tendenze espansionistiche dell‟imperialismo tedesco. L‟esasperato nazionalismo alimentato dagli ufficiali dell‟esercito, da gruppi d‟intellettuali, da professori e da studenti, fra i quali si andava diffondendo l‟idea di una “Grande Germania”, caratterizza
la storia successiva del Reich e sfocia nel pangermanesimo e in un‟ulteriore diffusione dell‟antisemitismo razzista, favorevole a de-emancipare gli ebrei e a sottoporli a
una legislazione discriminatoria.
Alla base del pangermanesimo vi erano due progetti. Il primo era la riunificazione del Volk germanico in un unico grande stato; l‟altro era l‟aspirazione
all‟espansione verso Est, per riconquistare alla germanicità terre che in tempo remotissimo le erano appartenute e per assicurare al popolo tedesco uno spazio confacente
alla sua potenza e al numero dei suoi cittadini, sottomettendo i popoli slavi inferiori
(“spazio vitale”).
Il nuovo Kaiser Guglielmo II, liberatosi di Bismarck, favorisce una politica
nazionalistica aggressiva (Weltpolitik), vicina ai programmi espansionistici dei pangermanisti; una politica a sfondo razzista, che aspirava a unire tutti i popoli di stirpe
tedesca e a creare una “Grande Germania” estesa ad Est a spese dei polacchi e dei
russi. Un progetto politico che sarà in seguito, almeno in parte, responsabile dello
scatenamento della seconda guerra mondiale. È interessante notare, in questa circostanza come in altre, come i movimenti e i partiti che aspirano concretamente a
estendere il loro dominio sugli altri accusino gli ebrei di aspirare al dominio mondiale.
L’Impero austro-ungarico
In Austria, in Ungheria e nelle numerose province dell‟Impero asburgico, nella
seconda metà dell‟800, l‟antisemitismo e il razzismo si sviluppano, come in Germa-
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nia, su una consolidata base secolare di avversione antigiudaica. La vita ebraica era
complicata dal carattere multinazionale dell‟impero. Gli ebrei erano quasi ovunque
entusiasti sostenitori dell‟unità dell‟impero e guardavano con sospetto ai movimenti
nazionalistici dei popoli soggetti alla duplice monarchia. Inoltre essi esercitavano
un‟indiscussa “supremazia culturale ed economica”, che suscitava invidie e odi negli
altri gruppi nazionali. Erano in particolare le borghesie produttive che, penalizzate
dallo Stato asburgico a causa del mancato sviluppo industriale (per far fronte agli elevatissimi costi dell‟apparato amministrativo e militare dell‟impero), affrontavano con
risentimento la dinamica concorrenza degli ebrei. Inoltre l‟immigrazione massiccia di
ebrei (spesso poveri) dalle lontane province dell‟Est verso le grandi città come Vienna, Budapest, Praga, era percepita dalla popolazione come un‟invasione. Nelle campagne delle province orientali l‟ostilità continua a manifestarsi anche con numerose
accuse di omicidio rituale, come nei secoli passati.
Uno dei primi agitatori antisemiti è il politico Georg von Schönerer, che, richiamandosi al socialismo anticlericale e al nazionalismo pangermanico, fa proseliti
principalmente nelle università. Ma è la riforma elettorale del 1882 a contribuire indirettamente alla diffusione dell‟ostilità antisemita. L‟allargamento del suffragio favorisce infatti la nascita di partiti che per ottenere voti impostano i loro programmi politici principalmente sulla lotta agli ebrei. Considerato che la riforma elettorale aveva reso molto importante il voto della piccola borghesia, gli agitatori antisemiti sanno
sfruttare la crisi economica in cui si dibattevano le fasce medio-basse della popolazione, paragonando il loro difficile stato al successo economico-sociale di numerosi
immigrati ebrei, che, giunti a Vienna e a Budapest dalle lontane province orientali,
erano riusciti a costruirsi una buona posizione.
L‟attività antisemita che propagandava l‟immagine degli ebrei come un solido
blocco di stranieri avidi di potere riceve nuovi impulsi alla fine del secolo, in parallelo con l‟offensiva antiliberale dei partiti e movimenti clericali-conservatori. Utiliz-
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zando un robusto apparato teorico e strumenti propagandistici mutuati dagli articoli
antisemiti della “Civiltà cattolica”, gli intransigenti cristiano-sociali (accaniti oppositori del liberalismo e del capitalismo) lanciano un violento attacco ai “portatori” della
modernità: gli ebrei sono accusati di essere i responsabili della scristianizzazione della società e i registi da un lato dello sfruttamento capitalistico e dall‟altro della sovversione rivoluzionaria, per quanto queste siano in antitesi. All‟interno dei movimenti
e dei partiti di ispirazione cristiano-sociale l‟antisemitismo diviene uno dei temi più
importanti e con il loro attivismo politico contribuiscono a farlo diventare assai popolare.
Da questi ambienti, nel 1887, nasce l‟Unione cristiano-sociale in cui si distingue Karl Lueger, un antisemita intransigente che due anni dopo fonda il Partito dei
cristiani uniti, a cui si uniscono gli antisemiti e pangermanisti di Schönerer.
Lueger a Vienna diviene l‟alfiere delle proteste sociali antiebraiche. In tal modo costruisce la fortuna del suo partito e riesce, nonostante l‟ostilità dell‟imperatore
Francesco Giuseppe, protettore degli ebrei, a conquistare il municipio di Vienna e a
tenerlo ininterrottamente per 15 anni. In questo periodo l‟attivismo politico antiebraico raggiunge punte assai elevate. Numerosi deputati cristiano-sociali, protetti
dall‟immunità parlamentare, minacciavano impunemente i loro concittadini ebrei.
Ernst Schneider, luogotenente e primo collaboratore di Lueger, alla fine del secolo,
pronuncia dei discorsi in cui chiedeva che lo stato pagasse una ricompensa a chi uccideva gli ebrei, da lui definiti bestie feroci, e nel 1901, durante un dibattito parlamentare, afferma che la questione ebraica “è una questione razziale, una questione di
sangue […] Se dovessi battezzare gli ebrei seguirei il metodo di s. Giovanni, migliorandolo un po‟. Lui li immergeva nell‟acqua per battezzarli, io li terrei sott‟acqua per
la durata di cinque minuti”. I vescovi dell‟impero intervengono contro i cristiano sociali per le loro linee politiche e sociali e per l‟acceso antisemitismo razzista, ma,
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come si è visto, non hanno successo, perché il movimento politico è difeso da papa
Leone XIII.
Francia
In Francia, alla metà dell‟800, gli ebrei non erano molto numerosi (80.000 circa), ciò nonostante l‟ostilità di tipo prevalentemente economico-sociale nei loro confronti era assai forte. Ad alimentarla contribuivano numerosi scritti, che li accusavano
collettivamente di predominare nel campo finanziario e industriale: esemplare in tal
senso è un libro pubblicato alla metà del secolo da Alphonse Toussenel. Gli stretti e
riservati rapporti dei Rothschild francesi con il potere politico (prima monarchico, poi
imperiale e infine repubblicano) sono denunciati come interferenze straniere, antinazionali, perché erano ebrei e, come se non bastasse, di origini tedesche.
Negli ambienti monarchici e clerico-conservatori si erano formate teorie che
spiegavano la Rivoluzione francese con una mitica congiura ebraico-massonica. La
leggenda della cospirazione degli ebrei, manovratori nel contempo del denaro e delle
insurrezioni politico-sociali per meglio dominare le nazioni, diviene una componente
costante della polemica antiebraica di molti intellettuali francesi, sia di destra che di
sinistra, e, più in generale, penetra lungo tutto il corso del XIX e del successivo, non
solo nei circoli aristocratici e cattolici più tradizionalisti, ma soprattutto negli ambienti borghesi e popolari.
Negli anni ‟70 e ‟80 gli scritti antisemiti aumentano in maniera considerevole:
la letteratura antiebraica – articoli sui giornali e riviste, opuscoli, libri, bollettini,
scritti di altro genere – comprendeva decine di migliaia di titoli. Le ragioni si possono
ricercare nella storia recente del paese: la disfatta militare nella guerra francoprussiana del 1870, la “Comune” parigina, la successiva crisi politico-istituzionale
della Terza repubblica e il peggioramento delle condizioni economico-sociali a causa
delle trasformazioni dell‟assetto capitalistico imposte dalla recessione economica; ma
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anche nelle vicende rivoluzionarie del secolo precedente (nel 1889 cade il centenario): la denuncia del “complotto” giudaico-massonico era sempre viva.
In un paese politicamente instabile e spaccato, con una società civile divisa a
causa dei processi di modernizzazione sociale, lacerato dalle profonde trasformazioni
economiche e culturali, gli ebrei diventano un facile bersaglio. Dopo la caduta del
Secondo impero di Napoleone III, l‟ostilità antiebraica è utilizzata da politicanti e
giornalisti senza scrupoli, che scoprono che la diffidenza e il risentimento verso gli
ebrei avrebbe potuto suscitare un notevole consenso popolare e perciò li utilizzano
per manipolare le masse.
Il nazionalismo sciovinista si serve dei pregiudizi antisemiti per cancellare
l‟onta della guerra perduta e “salvare” a ogni costo l‟immagine della nazione francese, riuscendo ad aggregare le forse reazionarie, fra le quali le forze cattoliche erano
largamente presenti. La gerarchia cattolica, in duro contrasto con il governo a causa
della sua politica di laicizzazione dello Stato, utilizza la propria stampa per attaccare
violentemente gli ebrei, accusandoli di essere i responsabili delle leggi anticlericali.
Le polemiche cattoliche erano alimentate da pubblicazioni antiebraiche provenienti
dalla Russia e, a partire dalla fine degli anni „80, dagli articoli della “Civiltà cattolica”. La “Croix” (diretto dai padri passionisti e giornale guida di un trust), il più importante quotidiano cattolico francese, che, in un articolo del 1890 si proclama con
orgoglio “il giornale più antiebraico di Francia”, pubblicava normalmente articoli
pieni delle più violente argomentazioni antisemite. Lo scrittore Maurice Barrès, a partire dal 1880, scrive articoli in cui fissava un nesso di causa ed effetto fra le presunte
trame segrete degli ebrei, le loro mitiche e inesauribili disponibilità di denaro e le
pessime condizioni in cui si dibatteva la Francia.
Il giornalista cattolico Edourd Drumont contribuisce a rendere popolare
l‟ostilità antiebraica moderna. Nel 1886 pubblica La France juive, un libro di enorme
successo, che da un notevole contributo alla diffusione degli stereotipi antisemiti e
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razzisti e al loro utilizzo nella manifestazioni di piazza. Drumont era a capo di un
movimento che collegava nazionalismo, progetti di riforme sociali e religiosità; mescolando l‟antigiudaismo con le tematiche antiebraiche moderne, indirizzava le tensioni e le proteste sociali contro il falso obiettivo delle responsabilità ebraiche. Per rispondere alle aspirazioni popolari di giustizia sociale, accusava gli ebrei di concentrare nelle loro mani una ricchezza enorme, che, auspicava, avrebbe dovuto essere confiscata e distribuita alla popolazione povera. Riesaminando l‟intera storia francese alla luce dell‟ideologia antiebraica e della teoria razziale di de Gobineau, arrivava alla
conclusione che gli ebrei rappresentavano un pericolo per la società francese, sia sotto l‟aspetto razziale, sia come seguaci di una religione che – secondo lui – imponeva
come articolo di fede l‟odio per il prossimo e in particolare per i cristiani. La lotta
agli ebrei negli ultimi decenni del secolo si rivela un eccellente strumento politico capace di armonizzare le differenze, avvicinare gli estremi e fanatizzare in maniera affettiva e irrazionale le masse in vista di una ipotetica conquista del potere; uno strumento così sintetizzato da Drumont: “L‟antisemitismo non è una mania, un punto di
vista dello spirito, ma un grande pensiero politico”.
Anche in Francia gli scandali finanziari sono utilizzati per accendere le tensioni
antiebraiche, a incominciare dai più importanti: il crack della banca cattolica Union
Générale nel 1882 e lo scandalo delle azioni del canale di Panama nel 1885; in
quest‟ultima truffa, che aveva rovinato circa 500.000 risparmiatori, erano coinvolti
alcuni ebrei. Il primo fallimento fa scoppiare manifestazioni contro la “finanza ebraica” (i Rothschild in prima linea), accusata di essere responsabile del crack della banca, e con il secondo aumenta la diffidenza generalizzata verso gli ebrei. In entrambi
i casi, a prescindere dalle singole responsabilità, domina la volontà di trovare un responsabile su cui scaricare le tensioni. Anche in Francia, come in Germania, i finanzieri ebrei sono indicati come i padroni della politica francese, anche se il loro potere
stava in realtà diminuendo. Non viene fatta nessuna analisi obiettiva delle cause reali
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dei disastrosi fallimenti. Era molto più facile e rassicurante fare appello alle favole e
raffigurarsi ovunque manovre tenebrose e malvagie dell‟internazionale ebraica. Il fascino dell‟occulto, l‟immagine del nefasto nemico della società francese che lavora
nell‟ombra per distruggerla, sono gli elementi di una mitologia che aveva sicura presa
sul piano emotivo.
L‟ideologia antisemita si alimentava di suggestioni e di rifiuti immediati, piuttosto che di prove e di confutazioni. La credibilità delle sue tesi dipendeva dalle
aspettative della gente; e le masse, non solo francesi, impazienti di risposte semplici e
comprensibili non fanno fatica ad accettarle ed è proprio grazie al suo successo presso il pubblico che l‟ideologia antisemita può essere sfruttata politicamente. DA QUI
Anche sul versante politico di sinistra, i partiti e i movimenti socialisti francesi,
per un lungo periodo sono in qualche modo attratti dalla propaganda antisemita e dal
mito dello sfruttamento ebraico, trasformando la “questione sociale” in “questione
ebraica”; le difficili condizioni di vita delle classi lavoratrici, la miseria, la lotta di
classe, avrebbero avuto come origine la ricchezza e lo sfruttamento ebraici. L‟accusa
però non corrisponde assolutamente alla realtà.
Sarà poi il cosiddetto “affaire Dreyfus” a rivelare la notevole popolarità
dell‟antisemitismo in Francia. Alfred Dreyfus era un ufficiale dell‟esercito francese
arrestato nel 1894 con l‟accusa di essere una spia pagata dalla Germania. L‟accusa
era stata architettata da un gruppo di ufficiali dello Stato maggiore coperti dal ministero della Guerra. Le prove a suo carico erano false, ciò nonostante è degradato e,
nel 1895, condannato all‟ergastolo. Il processo e la degradazione pubblica scatenano
in tutta la Francia manifestazioni contro tutti gli ebrei, accusati collettivamente di cospirare contro gli interessi nazionali. Nel 1897 nuove indagini rivelano l‟innocenza
del capitano e scoprono il vero colpevole; ma le autorità militari si rifiutano di riesaminare il caso. Allora sono rivolti appelli pubblici per la revisione del processo. Il più
famoso è quello dello scrittore Émile Zola, nel 1898, che gli procura la condanna a un
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anno di carcere, perché aveva accusato le alte gerarchie militari di nascondere deliberatamente le prove dell‟innocenza.
A questo punto l‟opinione pubblica sollecitata da numerosi e opposti interventi
sulla stampa si divide in due campi politici contrapposti. Si viene così formando un
fronte clericale-reazionario-nazionalista in difesa di valori che avevano come punto
di riferimento l‟esercito e la Chiesa, nel qual confluiscono tutti coloro che ritenevano
l‟ufficiale ebreo colpevole. Fra gli organi di stampa di distinguono il cattolico “La
Croix” e un nuovo periodico antisemita, “L‟Action française”, diretto da Charles
Maurras e Léon Duadet. Allo schieramento reazionario si contrappone un piccolo
gruppo di intellettuali, sostenuto dai partiti democratici e progressisti, e più tardi anche dai socialisti. In ballo non c‟era solamente il destino di un uomo innocente, c‟era
la battaglia contro una prassi autoritaria, decisa a distorcere la verità contro ogni evidenza. Questi uomini, lottando per la revisione del processo, conducono contemporaneamente una più vasta battaglia contro l‟antisemitismo, nel nome dei valori democratici e dei diritti fondamentali dell‟uomo.
Le folle cittadine erano in gran parte strumentalizzate dalla destra reazionaria e
nazionalista; avvengono scontri di piazza. Il clima politico era da guerra civile. In
quest‟occasione le masse, per la prima volta, facendo propri i principi razzisti, xenofobi e antidemocratici, mostrano un volto apertamente reazionario. Il caso Dreyfus rivela in modo esplicito la forza politica che l‟ideologia antisemita aveva nel coinvolgimento delle masse, e da quel momento entra in modo duraturo nel campo dei mezzi
politici utilizzabili per associare forze politico-sociali fra loro anche distanti. Dalla
parte degli avversari di Dreyfus militavano infatti, a fianco a fianco, giornalisti
dell‟intransigentismo cattolico, il Partito socialista (solo nel 1898 un congresso decide di passare fra i sostenitori del capitano), sindacalisti, schegge impazzite, nazionalisti e precursori dell‟ideologia fascista come Barrès e Maurras (fondatori nel 1898 del
movimento cattolico-monarchico-populista Action française) e capipopolo antisemiti
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come Jules Guérin e Drumont, quest‟ultimo con “La Libre parole”, una rivista antisemita e nazionalista fondata nel 1892, è animatore della Lega antisemita, che strumentalizza il caso per denunciare la pericolosità degli ebrei per il futuro della nazione
francese.
Nel 1898 viene scoperto che la mancata revisione del processo era opera di un
intrigo organizzato dai servizi segreti. Più tardi, sotto la pressione degli innocentisti,
il caso è riesaminato e all‟imputato, nonostante l‟evidente innocenza, è ridotta la pena
a 10 anni di carcere. In un secondo tempo viene graziato dal presidente della repubblica e sette anni dopo, completamente riabilitato dalla Corte di cassazione, è reintegrato nell‟esercito (1906).
Le forti emozioni e la passione politica suscitate dall‟“affaire” hanno ripercussioni sul futuro politico della Terza repubblica, perché contribuiscono al declino
dell‟influenza clericale e delle alte cariche militari nel paese e a rafforzare le forze
democratiche.
L’Impero russo e la Romania
Molto più pericolosi per la tragicità degli avvenimenti e per la gravità delle
conseguenze sono però gli sviluppi dell‟antisemitismo nell‟Europa orientale.
Nell‟impero russo e in Romania l‟ostilità antiebraica aveva un carattere spiccatamente nazionale e religiosi e l‟emancipazione è molto tardiva: in Russia gli ebrei ottengono i diritti civili dopo la rivoluzione del febbraio del 1917, in Romania nel 1923.
Alla fine della guerra russo-turca (1877-1878) il cancelliere Bismarck convoca
un congresso di pace a Berlino (1878). Fra le varie questioni è trattato anche il problema della cittadinanza degli ebrei nei nuovi stati sorti dopo il conflitto. Il congresso
accoglie a livello internazionale la richiesta ebraica di parità dei diritti. In tal senso i
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rappresentanti delle maggiori potenze europee obbligano i nuovi stati balcanici (Romania, Serbia, Bulgaria, Montenegro), nati dal lento disfacimento dell‟impero ottomano, a riconoscere uguali diritti a tutti i cittadini, ebrei compresi. Ebbene, solo in
Bulgaria lo statuto giuridico degli ebrei è parificato. Il governo romeno, nonostante
l‟impegno sottoscritto,, non fa nulla per emancipare la minoranza ebraica. Anzi gli
ebrei subiscono discriminazioni e persecuzioni sanguinose, a causa sia di agitazioni
popolari sia di azioni amministrative apertamente decretate dal governo, che si serviva degli ebrei come capro espiatorio per consolidare il processo di unità nazionale:
decine di migliaia di ebrei per salvarsi sono costretti a fuggire, a emigrare. La gravità
della situazione suscita la reazione di alcuni governi occidentali, fra cui quello italiano. Lo potenze occidentali promuovono azioni diplomatiche per chiedere al governo
romeno che fossero rispettati gli accordi che prevedevano il rispetto delle minoranze
e per l‟assistenza ai profughi.
Ma è nella Russia zarista (nonostante che la propaganda antisemita organizzata
abbia fatto la sua apparizione più tardi rispetto ad altri paesi) che si verificano gli atti
di persecuzione più gravi. Anche la Russia aveva accettato le decisioni del congresso
di Berlino, ma si era poi ben guardata dal fare il minimo sforzo a favore delle masse
ebraiche e, al contrario, aveva intensificato la loro persecuzione.
L‟antisemitismo è utilizzato per consolidare l‟impero. Gli ebrei, che agli inizi
del „900 assommavano a circa 5 milioni, erano prevalentemente poveri, sfruttati, angariati, repressi. Vivevano nel continuo terrore, in un‟atmosfera che ricordava i peggiori momenti vissuti dai loro confratelli occidentali nel Medioevo. Fra i primi anni
‟80 e lo scoppio della prima guerra mondiale si registrano centinaia di sommovimenti
popolari antiebraici con migliaia di morti, di feriti ed espulsioni.
Il progetto del governo zarista sul futuro degli ebrei prevedeva la loro scomparsa per mezzo della conversione, dell‟emigrazione e dei massacri popolari (pogrom).
Le loro condizioni erano aggravate anche a causa dell‟intolleranza della società circo-
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stante. Infatti, nel complicato mosaico dell‟impero multinazionale e multireligioso, il
governo zarista sfruttava le rivalità nazionalistiche delle minoranze per meglio dominare i popoli soggetti. In Polonia, ad esempio, i russi avevano estromesso i polacchi
dalle loro posizioni di predominio, costringendoli spesso a rivaleggiare in molti settori per la sopravvivenza con gli ebrei, un tempo loro sottoposti.
Durante il suo regno lo zar Alessandro II (1855-1881) avvia alcune riforme per
modernizzare e occidentalizzare il paese. Con la relativa apertura al sistema capitalistico inizia a sfaldarsi il sistema economico feudale, su cui di fondava la vita delle
comunità ebraiche nelle sterminate steppe della Zona di residenza. Per spingere gli
ebrei ad integrarsi, lo zar fa alcune concessioni in campo economico e abolisce il reclutamento dei bambini di 12 anni, portandolo a 18 come tutti gli altri sudditi. Concede inoltre ad alcune categorie, considerate economicamente utili, di stabilirsi in
province prima vietate. Nell‟insieme il suo programma di riforme non da però i risultati sperati: la riforma più importante, l‟abolizione della servitù della gleba (1861),
scontenta l‟aristocrazia terriera senza soddisfare gli servi, divenuti contadini liberi,
per cui nei decenni seguenti le campagne sono teatro di continue rivolte. Le forze più
conservatrici del paese, contrarie alla modernizzazione e alla politica filo-occidentale,
danno vita al panslavismo, un movimento ultranazionalista e antisemita, i cui membri, difensori delle tradizioni russo-ortodosse, accusavano gli ebrei di essere portatori
di un modello di civiltà diverso, lontano ed estraneo rispetto allo spirito e alle tradizioni del paese.
L‟assassinio di Alessandro II (commesso da un populista non ebreo) incanala
verso gli ebrei le reazioni del potere (antisemitismo di stato). Il nuovo zar Alessandro
III (1881-1894) ordina nei loro confronti una politica violentemente repressiva; “deciso a venire in aiuto alla popolazione per sottrarla allo sfruttamento ebraico”, impone
norme restrittive assai severe in campo economico e sul diritto di residenza. È introdotto il numero chiuso nelle scuole secondarie e nelle università. La politica restritti-
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va nell‟insegnamento aveva una ragione specifica: tendeva a impedire l‟avanzamento
culturale degli studenti ebrei, perché le loro capacità intellettuali erano valutate, dai
funzionari russi, “razzialmente” superiori a quelle dei ragazzi cristiani.
Anche in Russia, a seguito dell‟introduzione del capitalismo, pur con modalità
diverse, si verifica un fenomeno comune ad altri paesi. Nella sua fase iniziale la modernizzazione aveva una contraddizione intrinseca: portava ricchezza e benefici per
pochi e miseria e sofferenza per molti. Sia i promotori delle trasformazioni sia i suoi
critici, per motivi diversi, tendevano però quasi ovunque a colpevolizzare
l‟intraprendenza, il dinamismo, l‟ambizione di tanti giovani ebrei, che prontamente
ogni favorevole occasione e occupavano i nuovi spazi che si andavano aprendo in
quegli anni nell‟economia del paese. Considerato che le riforme di Alessandro II avevano favorito la crescita di una modesta borghesia ebraica, subito gli ebrei sono accusati dalla stampa e nei dibattiti politici di essere i maggiori fruitori dello sviluppo capitalistico e la causa della miseria della popolazione, di essere dei parassiti e degli
sfruttatori, e per di più né slavi né cristiani. Sia i conservatori che i radicali rivoluzionari li accusano di sfruttare i contadini. Anche la maggior parte degli intellettuali era
ostile: scrittori come Puškin, Gogol, Dostoevskij, Tolstoj, nelle loro opere esprimono
stereotipi antisemiti.
La classe dirigente, essendo incapace di guidare la transizione verso la modernità, quando il malcontento saliva, dirottava verso un obiettivo secondario l‟ira popolare, favorendo lo scoppio di pogrom. Spesso erano le forze di polizia e dell‟esercito,
oltre ai membri della organizzazioni panslaviste, a suscitare fra la popolazione lo
scoppio di violenze. La prassi era quasi sempre identica: il pogrom aveva inizio con
una sollevazione popolare aizzata da qualche mestatore e, quando la folla era sufficientemente inferocita, si scagliava contro il quartiere ebraico rubando, uccidendo, ferendo, stuprando e incendiando le case per un periodo che poteva durare anche alcuni
giorni. La forza pubblica interveniva di solito a cose fatte, quando la misura dei sac-
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cheggi, delle violenze, dei massacri, degli incendi era colma. E, anziché punire i responsabili, solitamente venivano adottate ulteriori misure restrittive, in quanto che lo
zar era convinto che all‟origine delle agitazioni popolari ci fosse lo sfruttamento
ebraico.
In Occidente ci sono manifestazioni di protesta, a cui prendono parte fra l‟altro
esponenti politici, religiosi e accademici, ma non servono a nulla. Di fronte a queste
proteste il governo russo si giustifica affermando che i moti erano una naturale reazione popolare “all‟intromissione ebraica nel commercio e nell‟industria” del paese e
che comunque le frontiere occidentali erano aperte all‟emigrazione: gli ebrei potevano andarsene quando volevano.
La deliberata svolta oppressiva aggrava un condizione di patimenti e produce
un ulteriore senso collettivo di insicurezza: inizia allora un esodo di massa, che da un
lato conduce gli ebrei ad abbandonare le campagne e a trasferirsi nelle città e
dall‟altro a emigrare verso Occidente, soprattutto negli Stati Uniti e in Argentina; alcuni gruppi sionisti scelgono invece di emigrare in Palestina.
Le insostenibili condizioni di vita spingono anche numerosi giovani ebrei ad
abbandonare la cultura tradizionale e ad aderire alle nuove ideologie laiche e rivoluzionarie che circolavano fra la popolazione russa: il populismo, il socialismo e
l‟anarchismo iniziano a fare breccia fra la gioventù ebraica. Già negli anni ‟70 gruppi
di studenti si erano uniti a gruppi rivoluzionari, fra cui l‟organizzazione segreta “Volontà del popolo”; ma anche in questi gruppi gli ebrei non erano ben accolti. Ad
esempio, quando nel 1881 scoppiano i pogrom, gli anarco-socialisti seguaci di Bakunin li attaccano violentemente e con un proclama sollecitano le masse a insorgere
contro lo “zar ebreo”, i signori e gli ebrei. In seguito a episodi simili molti ebrei abbandonano i movimenti rivoluzionari. Alcuni si avvicinano ai gruppi che diffondevano ideali socialdemocratici moderati, altri invece iniziano a elaborare progetti tesi al
rafforzamento della propria identità nazionale ebraica. Per alcuni il consolidamento si
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sarebbe dovuto realizzare in Russia con il riconoscimento da parte governativa dei diritti civili e della nazionalità ebraica; per altri l‟unica soluzione era invece il sionismo, che guardava alla creazione di uno stato autonomo ebraico in Palestina.
Stabilmente autocratica dal punto di vista politico, la Russia all‟inizio
dell‟ultimo
decennio
del
XIX
secolo
avvia
il
decollo
industriale.
L‟industrializzazione fa aumentare la proletarizzazione delle masse ebraiche e molti
lavoratori sono ben presto attratti dall‟ideologia marxista. La presa di posizione di
Friederich Engels contro l‟antisemitismo, bollato come ideologia reazionaria mascherata da falsi obiettivi socialisti, e il riconoscimento che la stragrande maggioranza degli ebrei non apparteneva alle classi sfruttatrici, bensì a quella sfruttata, alla classe
operaia, spinge molti ebrei ad aderire in percentuale superiore dei russi e dei polacchi
ai partiti socialisti. Nel 1897 è fondato un partito socialdemocratico ebraico, la Lega
generale dei lavoratori ebrei, meglio conosciuta con l‟acronimo Bund, un organismo
che riuniva tutti i lavoratori ebrei delle province dell‟impero russo: Lituania, Polonia,
Ucraina, Russia Bianca, Russia. I bundisti si impegnano nella difesa dei diritti dei lavoratori per ottenere la soppressione delle leggi antiebraiche e si assumono anche il
compito di rispondere con le armi agli attacchi dei pogromisti contro i quartieri ebraici.
Un numero limitato di lavoratori ebrei fa una scelta internazionalista, preferendo lottare contro il sistema zarista insieme ai loro vicini, ed entra nel Partito operaio
socialdemocratico russo (1898).
Intanto l‟industrializzazione del paese va incontro a difficoltà perché
l‟economia agricola russa era arretrata e non poteva fornire i capitali necessari
all‟industrializzazione. Il governo deve allora intensificare la ricerca di capitali stranieri (soprattutto francesi, tedeschi, inglesi e belgi). Di conseguenza gran parte dei
maggiori settori industriali e della ricchezza del paese finiscono “nelle mani di stranieri”. Ciò è denunciato dai nazionalisti e dai conservatori come ingerenza nelle scel-
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te politiche nel governo russo. L‟industrializzazione portava inoltre a cambiamenti
sociali, culturali e politici, che, come era avvenuto in altri paesi, avevano messo o
stavano mettendo in crisi vecchi assetti sociali e la cultura tradizionale.
Visto che molti erano ebrei fra i finanzieri internazionali, fra gli uomini d‟affari
che apparivano sempre più frequentemente sulla scena e fra coloro che utilizzavano
le aperture del nuovo corso, essi diventano il simbolo della minaccia che, secondo le
accuse, snaturava i millenari valori spirituali e culturali della “Santa Madre Russia”.
Agli occhi dei conservatori e quanti temevano e contrastavano la strategia modernizzatrice, l‟ebreo diviene il “nemico” che con il denaro e la cultura occidentale asserviva la Russia.
Sotto Nicola II (1894-1917) l‟antisemitismo di stato e quello popolare sostenuto dal clero ortodosso diviene una prassi normale. Un‟organizzazione antisemita, i
Centoneri, patrocinata dal governo, scatena terribili e sanguinosi pogrom. Il più famoso è quello di Kishinev in Bessarabia, nel 1903, iniziato a causa di una falsa accusa di omicidio rituale.
La sconfitta nella guerra russo-giapponese provoca lo scoppio di un imponente
moti rivoluzionario (1905); lo zar è costretto a concedere una Costituzione, ma la sua
efficacia è vanificata negli anni successivi.
Come diversivo per distogliere la popolazione dai problemi reali, sono “organizzate”dal governo decine di sommosse antiebraiche, con il pretesto che gli ebrei
avevano simpatizzato con i giapponesi e fomentato la rivoluzione. Le atrocità commesse dagli antisemiti durante i pogrom e l‟evidente falsità di certe accuse hanno un
effetto controproducente nell‟opinione pubblica colta, fra gli intellettuali e nei partiti
di sinistra; anche la chiesa ortodossa inizia a prendere le distanze da certe manifestazioni antiebraiche.
La sconfitta delle forze rivoluzionarie, tuttavia, fa sì che la situazione degli
ebrei continui ad essere assai precaria. Nelle zone di residenza essi diventano ostaggi
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utilizzati per impedire le manifestazioni politiche antigovernative. Ogni volta che le
autorità avevano sentore di dimostrazioni, chiamavano i rabbini o altri capi ebrei influenti e attraverso loro informavano in modo allusivo o chiaro la popolazione ebraica che ogni partecipazione a rivolte avrebbe condotto a un massacro. Il governo usa
anche le accuse di omicidio rituale. La più famosa è quella di Kiev nel 1913. Il processo ha una risonanza mondiale e diviene il centro di un conflitto: da un lato reazionari, clero cattolico e ortodosso, nazionalisti; dall‟altro, liberali e socialisti.
L‟imputato è poi assolto per mancanza di prove, nonostante che l‟impianto accusatorio fosse stato accuratamente preparato dallo stesso ministero della Giustizia nel corso di due anni.
Fonte: M. Ghiretti, Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, Bruno Mondadori,
Milano 2002.