Meccanismi di danno
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Conseguenze dell’interazione tra il tossico terminale e il bersaglio
Quando il metabolita attivo o tossico terminale raggiunge l’organo bersaglio e interagisce con
il suo bersaglio molecolare (recettore, DNA, enzima, ecc), scatena una serie di eventi
biochimici secondari che portano a disfunzioni che possono assumere diversi livelli di
complessità. Queste disfunzioni, in base alla dose e alle caratteristiche dell’esposizione,
possono coinvolgere singole cellule o interi tessuti e organi e avere conseguenze per l’intero
organismo. Le conseguenze di un danno cellulare dipendono dal tipo di cellule danneggiate, dal
loro equilibrio metabolico e dalle loro capacità di adattamento. Lo stato di equilibrio o
omeostasi è mantenuto da specifici programmi cellulari che possono essere modificati
dall’interazione degli xenobiotici con i loro bersagli cellulari. In funzione dell’entità e del tipo
di danno causato dallo xenobiotico, le cellule possono mettere in atto una serie di risposte
adattative che ne consentono la sopravvivenza e l’espletamento delle loro funzioni. Se la
condizione di stress causata dallo xenobiotico è eliminata, le cellule tornano al loro stato
originario senza avere delle conseguenze deleterie. Tuttavia se i limiti delle risposte
adattative vengono superati, si innesca una sequenza di eventi con danno progressivo che
porta alla morte cellulare determinando disfunzioni di tessuto e/o organo.
Apoptosi, necrosi e forme ibride di morte cellulare
Esistono 2 forme di morte cellulare: l’apoptosi e la necrosi. In generale, gli agenti tossici
tendono ad indurre apoptosi a bassi livelli di esposizione mentre causano necrosi ad elevati
livelli. Questo indica che è la severità dell’insulto che determina il tipo di morte cellulare.
Alte concentrazioni di elettrofili deboli e ossidanti come i ROS possono interferire con le
caspasi inattivandole con mancata attivazione del processo di apoptosi oppure la deplezione di
ATP che impedisce il completamento del processo di apoptosi.
L’apoptosi è una forma di suicidio cellulare programmato in cui la cellula morfologicamente si
arrotonda e perde il contatto con le altre cellule adiacenti, la cromatina si condensa, il
citoplasma si riduce, la membrana plasmatica si frammenta e si formono corpi apoptotici che
vengono riconosciuti e fagocitati. Nell’apoptosi, si ha attivazione di caspasi (proteasi) che
intervengono nella formazione dei corpi apoptotici. L’apoptosi si può innescare mediante 2 vie:
la via mitoncondriale (più frequente) e la via estrinseca innescata da recettori di morte
presenti sulla membrana plasmatica sensibili a stimoli che provengono dall’esterno della cellula
(Figura 1). L’apoptosi è un processo che richiede ATP e non sappiamo fino a che punto il
processo sia reversibile.
La necrosi è preceduta da rigonfiamento mitocondriale e dilatazione del reticolo
endoplasmatico. Si formono estrusioni della membrana plasmatica che si rompe e il contenuto
cellulare viene rilasciato nell’ambiente circostante innescando una risposta infiammatoria che
attira neutrofili e monociti che vengono ad eliminare i detriti. La risposta infiammatoria può
promuovere la rigenerazione cellulare o la formazione di una cicatrice fibrotica oppure può
esacerbare il danno ai tessuti. La necrosi avviene bruscamente ed è associata a un rapido
esaurimento di ATP.
142
Figura 1. Vie intrinseca ed estrinseca dell’apoptosi
Meccanismi di danno cellulare
Danno mitocondriale e deplezione di ATP
I mitocondri oltre ad essere le strutture deputate a rifornire la cellula dell’energia
necessaria sotto forma di ATP, giocano un ruolo chiave nell’evoluzione del danno che porta a
morte la cellula.
I mitocondri possono essere danneggiati da composti chimici che interferiscono con la sintesi
mitocondriale di ATP (fosforilazione ossidativa). I meccanismi possono essere diversi: 1)
interferenza con il trasferimento di protoni a livello della catena di trasporto degli elettroni;
2) inibizione del trasferimento di elettroni dall’ossigeno lungo la catena di trasporto degli
elettroni; 3) interferenza con l’utilizzazione di ossigeno del trasportatore terminale di
elettroni, citocromo ossidasi; 4) inibizione dell’attività dell’ATP sintetasi, l’enzima chiave della
fosforilazione ossidativa; 5) danneggiamento del DNA mitocondriale con alterazione della
sintesi di proteine necessarie per la fosforilazione ossidativa.
Interferenza dei tossici con la produzione di ATP
L’ATP utilizzato nelle molte reazioni metaboliche dà luogo alla formazione di ADP o AMP.
L’ADP è rifosforilato nei mitocondri dall’ATP sintetasi attraverso la fosforilazione ossidativa
che prevede:
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1) cessione di ioni H+ nella forma di cofattori ridotti nella catena di trasporto degli elettroni
(composti I classe: iodoacetato, benzochinone, fluoroacetato).
2) cessione di ossigeno al trasportatore terminale di elettroni, la citocromossidasi (composti
III classe: depressori del SNC e il CO).
3) rilascio di ADP e fosfato organico all’ATP sintetasi (blocco di ATP sintetasi dai composti IV
classe)
4) trasferimento di elettroni all’ossigeno, lungo la catena di trasporto degli elettroni
(composti II classe: rotenone, CN-, S-2, CCl4).
5) liberazione di protoni che innescano l’ATP sintetasi (composti IV classe: 2,4-dinitrofenolo).
L’alterazione della fosforilazione ossidativa è dannosa per le cellule perché porta alla
deplezione di ATP (forza motrice di pompe del Na+ e Ca+2 della membrana plasmatica e del
reticolo endoplasmatico, di pompe H+-ATPasi delle membrane lisosomiali e delle vescicole
sinaptiche) e all’accumulo di ADP che è dannoso per la cellula perché aumenta la conversione
del piruvato a lattato contribuendo all’acidosi.
I mitocondri possono essere danneggiati anche dall’aumento incontrollato di Ca+2 nella cellula,
dall’aumentata formazione di ROS, dalla carenza di ossigeno (ipossia, ischemia) e dall’assenza
di nutrienti.
Una conseguenza del danno mitocondriale è la formazione del poro di transizione di
permeabilità mitocondriale , un canale ad alta conduttanza che si forma nella membrana
mitocondriale e causa la perdita del potenziale di membrana mitocondriale con compromissione
della fosforilazione ossidativa che, nei casi in cui il danno coinvolga la maggior parte dei
mitocondri e non sia più recuperabile, porta alla necrosi. Tuttavia, una delle prime
conseguenze di un danno mitocondriale è l’attivazione dell’apoptosi. Nello spazio tra la
membrana esterna e quella interna, i mitocondri sequestrano varie proteine in grado di
attivare vie apoptotiche. Tra queste abbiamo il citocromo C e alcune proteine (Smac/Diablo,
Omni, AIF) in grado di attivare gli enzimi che inducono l’apoptosi cioè le caspasi. Queste
proteine vengono rilasciate, dal mitocondrio nel citosol, in seguito all’aumento della
permeabilità della membrana mitocondriale esterna e vanno ad attivare le caspasi che portano
ad apoptosi della cellula.
Aumento di Ca+2 citoplasmatico
Numerosi tossici possono indurre un’aumento di Ca+2 citoplasmatico mediante meccanismi
diversi: 1) promuovendo l’entrata eccessiva di Ca+2; 2) diminuendo l’efflusso di Ca+2 fuori dalla
cellula ad esempio inibendo i canali ionici del Ca+2 e le pompe di efflusso o inibendo la
produzione di ATP per questi trasportatori; 3) inducendo il rilascio di Ca+2 dal reticolo
endoplasmatico e dai mitocondri.
Nelle cellule a riposo, la maggior parte del Ca+2 cellulare è legato a proteine presenti nel
citosol (calmodulina) o segregato all’interno di organuli. Il Ca+2 libero è scambiabile tra i vari
compartimenti e svolge funzioni molto importanti di secondo messaggero. La regolazione
dell’ingresso di Ca+2 nella cellula avviene mediante canali ionici voltaggio-dipendenti e
indipendenti presenti nella membrana plasmatica mentre l’estrusione dalla cellula avviene
mediante l’attività di pompe di trasporto (Figura 2). Inoltre il Ca+2 viene sequestrato nei
depositi intracellulari come il reticolo endoplasmatico grazie a pompe di trasporto. I
mitocondri possiedono dei trasportatori a bassa affinità per il calcio che sequestrano il Ca+2
solo quando i suoi livelli citoplasmatici raggiungono concentrazioni elevate (10-5-10-4M). Questo
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accumulo non è irreversibile visto che aumenti transitori possono essere smaltiti
dall’attivazione di trasportatori che scambiano il Ca+2 verso il citosol con H+ e Na+. Tuttavia un
accumulo prolungato di Ca+2 nei mitocondri provoca dissipazione del potenziale negativo della
membrana mitocondriale che determina l’inibizione della sintesi di ATP. La deplezione di ATP è
poi aggravata dall’aumentato consumo di ATP da parte dei trasportatori che cercano di
espellere il Ca+2 fuori dal mitocondrio. E infine l’eccesso di Ca+2 nel mitocondrio può innescare
l’apertura del poro di transizione di permeabilità mitocondriale che porta alla necrosi
cellulare.
Un’aumento incontrollato di Ca+2 citoplasmatico causa la dissociazione dei microfilamenti di
actina che mantengono il citoscheletro della cellula per cui si verifica un rigonfiamento della
cellula che predispone alla rottura. Inoltre un aumento di Ca+2 citoplasmatico può indurre la
liberazione di enzimi idrolitici dai lisosomi che degradano proteine, fosfolipidi e acidi nucleici
con effetti deleteri per la cellula. Tra questi enzimi abbiamo le fosfolipasi che degradano la
membrana plasmatica, le proteasi (calpaine) che degradano le proteine di membrana e del
citoscheletro, le endonucleasi che frammentano la cromatina e le ATPasi che accellerano la
deplezione di ATP.
Figura 2. Sistemi che regolano la concentrazione di Ca+2 intracellulare libero e suo ruolo nella tossicità.
Stress ossidativo
Lo stress ossidativo è definito come uno sbilanciamento che favorisce la produzione di specie
reattive dell’ossigeno (ROS) rispetto alla capacità antiossidante dell’organismo. Lo stress
ossidativo determina l’ossidazione dei gruppi sulfidrilici (-SH) delle proteine a ponti disolfuro
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(–S-S-) e lo shift della cellula verso uno stato più ossidato. La maggior parte dei ROS sono
prodotti durante la respirazione mitocondriale dove circa il 1-2% di O2 consumato viene
convertito al radicale anione superossido (O2-.) che può essere visto come uno dei principali
precursori di ROS. La concentrazione di ROS nel mitocondrio è circa 5-10 volte superiore
rispetto al citosol e alla matrice nucleare. Oltre alle quantità fisiologiche prodotte dalle
cellule, numerosi xenobiotici e metalli sono in grado di generare ROS e specie reattive
dell’azoto (RNS) come l’ossido nitrico (NO) ed il perossinitrito (ONOO-) che si forma dalla
reazione tra NO e anione superossido. Inoltre una sovraproduzione di ROS può essere causata
dall’aumento di Ca+2 intracellulare poiché quest’ultimo attiva enzimi in grado di generare ROS.
Nella cellula, i ROS possono essere generati da:
1) attivazione di deidrogenasi nel ciclo dell’acido citrico da parte di Ca+2;
2) conversione di xantina deidrogenasi in xantina ossidasi da parte di proteasi attivate da
Ca+2. Si ha formazione di anione superossido (O2-.) e H2O2.
3) interazione dell’O2-.con il nitrossido (NO) e mediante l’enzima NO-sintasi, attivata dal Ca+2,
si ha formazione di perossido nitrito (ONOO.), un potente ossidante.
4) xenobiotici metabolizzati che danno luogo alla formazione di radicali diversi dai ROS ma
dotati di effetti simili.
5) le reazioni di metalli come Fe e Cu che donano elettroni liberi e catalizzano la formazione
del radicale idrossilico (OH.) attraverso la reazione di Fenton:
.
H2O2+Fe+2
Fe+3+OH +OHROS, RNS e altre specie radicaliche possono indurre perossidazione lipidica delle membrane,
ossidazione delle proteine e danno al DNA.
Quando la perossidazione lipidica avviene a livello della membrana mitocondriale si ha apertura
del poro di transizione di permeabilità mitocondriale con conseguente riduzione di sintesi di
ATP e rilascio di proteine in grado di innescare l’apoptosi.
Quando la perossidazione lipidica avviene a livello della membrana plasmatica si ha perdita
dell’equilibrio osmotico con ingresso di liquidi e ioni e fuoriuscita del contenuto cellulare.
Inoltre si osserva l’alterazione della fluidità della membrana plasmatica che induce perdita
della funzionalità delle membrane plasmatiche (alterazione della permeabilità dei canali ionici,
dell’attività recettoriale, dei trasportatori, ecc).
Quando la perossidazione avviene a livello delle membrane lisosomiali, si ha fuoriuscita di
enzimi litici (RNasi, DNasi, proteasi, fosfatasi, glicosidasi, catepsine) che digeriscono la
cellula.
Nella perossidazione delle membrane, avviene la formazione di dieni coniugati (
),
perossidi (ROOH) e successivamente malonildialdeide. Nel processo di ossidazione delle
proteine si formono i carbonili e nell’ossidazione delle basi del DNA abbiamo la formazione di
8-idrossi-2-deossiguanosina. Tutte queste trasformazioni causano perdita di funzionalità di
membrane, proteine e DNA.
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Ossidazione delle proteine e perossidazione
lipidica per opera delle specie reattive
dell’ossigeno incrementano la fluidità e la
permeabilità della membrana plasmatica e si ha
perdita della funzionalità delle membrane
plasmatiche con conseguente necrosi cellulare.
I sistemi di riparo dallo stress ossidativo
.
Lo stress ossidativo non è altro che una conseguenza dell’attacco dei radicali liberi (R )
all’interno dell’organismo, delle molecole di ossigeno instabile (ROS) che, perennemente alla
ricerca di un altro elettrone a cui fondersi, inizia ad affliggere i tessuti cellulari del corpo
portando diversi danni nella loro struttura.
Con l’avanzare dell’età, i radicali liberi tendono ad accumularsi più facilmente nel corpo di una
persona, ritrovando le condizioni ideali dove moltiplicarsi e continuare ad affliggere
l’organismo: grazie al calo delle difese immunitarie e delle barriere antiossidanti un individuo
viene dunque maggiormente esposto allo stress ossidativo.
Uno dei sintomi più comuni dello stress ossidativo è l’infiammazione dei tessuti: come risposta
alla mutazione delle cellule da parte dei radicali liberi il sistema immunitario scatena
l’infiammazione come reazione naturale per combattere tale problema, ma questa sorta di
meccanismo difensivo può avere una doppia conseguenza, proponendosi come base stabile per
lo sviluppo di molte malattie croniche come la neurodegenerazione, l’obesità, il diabete, il
cancro, le malattie cardiovascolari, l’artrite, ecc.
In seguito ad attivazione metabolica di xenobiotici a prodotti nocivi, l'ambiente cellulare
redox è alterato e quindi la cellula si protegge dalle specie reattive dell’ossigeno (ROS o
radicali liberi) attraverso sistemi di riparo costituiti dagli enzimi superossido dismutasi
(SOD), catalasi (CAT) e glutatione perossidasi (GPx) e anche da molecole antiossidanti come le
vitamine A, C, E e il glutatione (GSH). Se questi sistemi vengono sovraccaricati allora i ROS
possono danneggiare le cellule per attacco ossidativo a lipidi, proteine e DNA.
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Il GSH è il substrato per la detossificazione dei radicali mediante trasferimento di elettroni
dal glutatione e rigenerazione del glutatione ridotto ad opera della glutatione reduttasi.
Inoltre il GSH comportandosi da ottimo nucleofilo può coniugarsi con molecole tossiche come
gli epossidi che si formano dagli idrocarburi aromatici o con i chinoni e favorire la loro
eliminazione.
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Stress del reticolo endoplasmatico e autofagia
Il reticolo endoplasmatico liscio (REL) o reticolo sarcoplasmatico nelle cellule del muscolo
scheletrico contiene gli isoenzimi del CYP e altri enzimi coinvolti nel metabolismo di fase I e
II che bioattivano o detossificano gli xenobiotici. Invece, il reticolo endoplasmatico rugoso
(RER) è un importante organello di immagazzinamento del Ca+2 citoplasmatico ed è la sede
della sintesi, ripiegamento (folding) e delle modificazioni post-traduzionali delle proteine. Il
RER rappresenta un preciso sistema di controllo-qualità atto ad assicurare che solo le
proteine correttamente ripiegate e funzionanti siano rilasciate dal reticolo e possano
raggiungere la loro destinazione finale. Le proteine mal ripiegate o malfunzionanti sono
traslocate nel citoplasma dove vengono degradate da parte del proteosoma. L’attività del RER
è molto sensibile a stimoli che inducono modificazioni: 1) dei livelli intracellulari di ATP; 2)
dello stato redox (stato di ossidazione della cellula che dipende dai livelli di ROS e capacità
antiossidante); 3) della concentrazione del Ca+2. In queste condizioni particolari si ha stress
del RER per cui avviene un’errato folding delle proteine che si accumulano nel lume del RER. La
formazione di questi aggregati proteici è dannosa per le cellule e rappresenta la base
biochimica di numerose condizioni patologiche come le neurodegenerazioni (Aβ-amiloide
nell’alzheimer, α-sinucleina nel Parkinson), il diabete, l’ischemia e i tumori.
Per ridurre gli effetti deleteri associati allo stress del reticolo endoplasmatico, le cellule
attivano un programma adattativo noto come risposta alle proteine non ripiegate (UPR,
Unfolded Protein Response). Questa complessa risposta cellulare è mediata dall’attivazione di
3 recettori transmembrana presenti sul RER che sono dei sensori di stress e si chiamano
PERK (pancreatic ER Kinase), l’ATF6 (Activating Transcription Factor 6) e l’IRE1 (InositolRequiring Enzyme 1) come si può vedere in Figura 3. In assenza di segnale, i 3 sensori sono
mantenuti in uno stato inattivo attraverso il legame con le proteine chaperones (BIP, Binding
Immunoglobulin Protein). In condizioni di stress del RER, le proteine Bip si dissociano dai 3
recettori e quest’ultimi attivano l’UPR (Unfolded Protein Response). L’UPR è un programma
adattativo che ha lo scopo di ridurre l’accumulo di queste proteine ripiegate male mediante 1)
aumento della capacità di folding; 2) riduzione del numero di proteine nascenti nel RER; 3)
aumento dell’eliminazione delle proteine non ripiegate. Quest’ultimo processo avviene per
opera della risposta ERAD (endoplasmatic Reticulum-Associated Degradation) che consiste in
una serie di meccanismi mediante i quali le proteine non ripiegate vengono traslocate nel
citoplasma per l’ubiquitinazione che è un processo di marcaggio delle proteina con l’ubiquitina
in modo che esse vengono riconosciute e poi degradate dal proteosoma.
L’UPR indotto da stress del RER può attivare l’autofagia attraverso vie di signaling come
l’IRE1 e PERK. L’autofagia è un sistema alternativo e/o integrativo al sistema del proteosoma
per rimuovere le proteine mal ripiegate. Inoltre l’autofagia è anche una strategia adattativa
mediante la quale la cellula sopravvive a stress bioenergetici come la mancanza di nutrienti o
in condizioni di stress ossidativo e di disfunzioni mitocondriali indotte da radicali. Inoltre
l’autofagia ha la funzione di mantenere l’omeostasi di proteine e il turnover degli organelli.
Durante l’autofagia, parte del citoplasma viene sequestrato in vescicole chiamate
autofagosomi che si fondono con i lisosomi per la degradazione e riciclo dei diversi costituenti.
Gli autofagosomi possono includere specifiche parti della cellula come parti del mitocondrio,
del reticolo endoplasmatico, dei ribosomi, dei perossisomi, ecc in funzione della necessità
della cellula. Quindi nelle patologie associate ad aggregazione proteica (Alzheimer, Parkinson,
ecc) il processo autofagico insieme al UPR rivestono un ruolo molto importante di protezione.
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Se l’accumulo di proteine anomale è persistente e lo stress del RER non
l’UPR induce il blocco della sintesi proteica e l’arresto del ciclo cellulare e
apoptosi attraverso la via intrinseca del CHOP. Infine il Ca+2, i radicali
sembrano essere gli elementi chiave che mediano le interazioni tra
mitocondri, l’autofagia, l’apoptosi e l’infiammazione.
può essere risolto,
avvia il processo di
liberi ROS e RNS
stress del RER, i
Figura 3. Autofagia e risposta alle proteine mal ripiegate.
Infiammazione in risposta al danno tissutale
Quando il risultato dell’esposizione all’agente tossico è la necrosi cellulare, si innesca la
risposta infiammatoria. Quest’ultima è una risposta protettiva il cui scopo è quello di eliminare
la causa e gli effetti negativi indotti dall’agente nocivo a livello tissutale.
La risposta infiammatoria è strettamente associata con il processo di riparazione del tessuto
danneggiato e in genere termina quando lo stimolo nocivo è stato neutralizzato.
In alcune circostanze però l’infiammazione può essere nociva: quando assume la forma di
infiammazione cronica perché lo stimolo che l’ha scatenata
non viene eliminato.
L’infiammazione cronica può essere una conseguenza di un’esposizione ripetuta ad un’agente
che crea un danno subletale ed è associata alla presenza di linfociti e macrofagi nel sito
interessato, alla proliferazione dei vasi sanguigni, a fibrosi e alla distruzione dei tessuti. I
macrofagi e i leucociti richiamati nel sito in cui è avvenuto il danno innescano una catena di
eventi chiamato burst respiratorio che comprende la produzione e il rilascio di specie tossiche
come ROS e enzimi. Queste sostanze citotossiche sono prodotte da NADPH ossidasi, ossido
nitrico sintasi e mieloperossidasi. Le specie reattive prodotte possono danneggiare anche le
cellule circostanti sane. I macrofagi attivati e le cellule endoteliali danneggiate producono
150
citochine pro-infiammatorie come l’IL-1, IL-6 e il TNF causando l’aumento di proteine
plasmatiche come la proteina C-reattiva. Quest’ultima è utilizzata a scopo diagnostico come
marcatore di infiammazione (valori compresi tra 0,6-0,7= infiammazione silente; valori tra
0,7-0,8= stato di infiammazione). Un altro marker di infiammazione è rappresentato dalla VES
(velocità di sedimentazione dei globuli rossi). In questo test si misura il volume occupato dai
globuli rossi fatti sedimentare in un cilindro. Più è elevato e più i globuli rossi si respingono
stando distanti tra loro. In un processo infiammatorio, il fibrinogeno (proteina positiva della
fase acuta dell’infiammazione) risulta aumentato nel plasma e permetterà ai globuli rossi di
impilarsi uno sull’altro sedimentandosi di più per cui la VES sarà più elevata.
Nella fase acuta dell’infiammazione vengono prodotte oltre a proteine positive che sono
coinvolte nell’eliminazione delle sostanze rilasciate in seguito al danno tissutale, anche
proteine negative come l’albumina, la transtiretina, la transferrina, enzimi epatici,
trasportatori degli acidi biliari e anche queste proteine sono deputate a detossificare dai
xenobiotici.
Risposte adattative: tossicità conseguente ad alterazioni nella crescita cellulare
L’adattamento rappresenta la capacità dell’organismo di ridurre le conseguenze di uno stimolo
tossico acui è esposto per un certo periodo di tempo e coinvolge risposte atte a preservare o
mantenere l’omeostasi biologica malgrado la presenza dello stimolo nocivo.
L’adattamento implica una riduzione della sensibilità all’agente nocivo, al danno o alla
disfunzione iniziale e serve a consentire la sopravvivenza dell’organismo. Tuttavia sebbene i
meccanismi di adattamento (vedi tabella X) aumentino la resistenza dell’organismo agli effetti
dell’agente tossico, un’esposizione eccessiva può sovrastare queste risposte protettive.
Le alterazioni della crescita e del differenziamento cellulare rappresentano un aspetto
importante dell’effetto delle sostanze tossiche. Questo tipo di alterazioni può determinare
cambiamenti che sfociano sia nello sviluppo di neoplasie sia in cambiamenti della crescita
cellulare di tipo non neoplastico come l’atrofia, l’ipertrofia, l’iperplasia, la metaplasia e la
fibrosi. Tali modificazioni non neoplastiche indotte dagli xenobiotici, iperplasia e
rigenerazione sono associate al processo di mitogenesi, cioè il processo di induzione della
mitosi, con aumento di cellule all’interno dell’organo o tessuto.
Atrofia
E’ una forma di adattamento del tessuto caratterizzata da una riduzione del volume di un
organo o tessuto per effetto di una diminuzione delle dimensioni e del numero di cellule. Le
cellule atrofiche rimangono vitali ma presentano una ridotta capacità metabolica. L’atrofia è
distinta dall’apoptosi. Di solito l’atrofia si verifica come effetto secondario della tossicità
indotta da uno xenobiotico. Per esempio, l’esposizione a farmaci che causano ipertensione
polmonare (fenfluramina, un derivato amfetaminico) induce un ridotto afflusso di sangue al
fegato e si sviluppa atrofia epatica. L’esposizione ad acrilamide (si forma durante la frittura
di alimenti ricchi di carboidrati come le patatine fritte) può causare atrofia degli assoni dei
neuroni. L’esposizione a sostanze che attivano eccessivamente l’autofagia può portare ad
atrofia. Alcuni pesticidi (lindano) presenti come residui nei cibi hanno effetti antiestrogenici
che possono portare all’atrofia delle ovaie.
151
Ipertrofia
E’ definita come l’aumento del volume cellulare di un organo. Deriva dall’aumentata sintesi di
componenti strutturali delle cellule. Spesso l’ipertrofia è associata ad un aumento della
capacità funzionale di un tessuto. Per esempio, l’ipertrofia delle cellule muscolari cardiache
che provoca un’aumento della gittata cardiaca. L’ipertrofia epatocellulare, in seguito ad
assunzione di barbiturici o di alcol, è attribuibile ad un aumento del reticolo endoplasmatico
liscio che determina un aumento della capacità di metabolizzazione degli xenobiotici. Questo
processo può essere detossificante o causare tossificazione nel caso in cui si producono
metaboliti tossici. Questi tipi di atrofia di solito sono reversibili quando lo stimolo scatenante
è rimosso. Elementi chiave in questo processo sono alcuni recettori nucleari come il recettore
dell’androstano (CAR), il recettore X per il prognano (PXR), il recettore attivato dai
proliferatori dei perossisomi (PPAR) e il recettore per gli idrocarburi aromatici (Ah) che una
volta attivati migrano nel nucleo e fungono da fattori di trascrizione andando ad attivare
l’espressione di geni che codificano per diversi enzimi metabolici.
Iperplasia
Consiste nell’aumento del numero di cellule normalmente presenti all’interno di un organo.
L’iperplasia prevede che le cellule del tessuto siano in grado di dividersi e quindi non avviene in
tessuti con cellule in uno stato post-mitotico permanente come i miociti e i neuroni adulti.
L’iperplasia è un processo distinto dall’ipertrofia ma entrambi possono essere innescati dallo
stesso stimolo e manifestarsi in concomitanza, entrambi sono in genere reversibili e terminano
con la fine dell’esposizione.
Metaplasia
E’ una forma di iperplasia in cui un tipo cellulare differenziato viene sostituito con un altro
tipo ed è il risultato di un danno molto sostenuto. Il processo metaplasico produce un danno
funzionale dovuto alla perdita delle caratteristiche tipiche di quel tessuto. Al ristabilirsi delle
condizioni precedenti, sarà sempre possibile per la cellula esprimere nuovamente i geni
precedentemente repressi essendo il genoma cellulare integro e conservato. Una delle forme
di metaplasia più comune è quella che si instaura a livello dell’apparato respiratorio in seguito
ad esposizione a tossici irritativi come il fumo di sigaretta e si osserva la sostituzione
dell’epitelio ciliato con epitelio squamoso stratificato.
Rigenerazione verso fibrosi
La rigenerazione è un processo di crescita delle cellule e tessuti atto a ripristinare le
strutture danneggiate. La rigenerazione va distinta dalla riparazione fibrotica in cui le cellule
perse vengono sostituite da tessuto connettivo (fibrosi) con perdita di capacità funzionale
dell’organo.
La rigenerazione può avvenire solo a livello di tessuti ad alto potenziale proliferativo come
l’epitelio cutaneo e gastroenterico che si rinnovano continuamente o a livello di fegato e rene
ma non si può verificare in tessuti in stato post-mitotico permanente.
Nella maggior parte dei casi in cui abbiamo lesioni con componente infiammatoria cronica, si ha
una combinazione di rigenerazione e riparazione fibrotica. Nel fegato la necrosi degli
epatociti indotta da xenobiotici si risolve con una rigenerazione del tessuto. Tuttavia, se gli
xenobiotici sono somministrati per periodi di tempo prolungati, possono portare a fibrosi e
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cirrosi. Invece un singolo episodio acuto di danno epatico non determina sviluppo di cirrosi, se
non in rari casi.
Esempi specifici di danno indotti dal tossico
Il tossico può legarsi covalentemente o non alla molecola bersaglio, o può alterarla sia per
sottrazione di idrogeno o trasferimento di elettroni che per via enzimatica.
1) legame non covalente: questo tipo di legame può essere dovuto a interazioni apolari
(formazione di legami a idrogeno o ionici) ed è tipicamente coinvolto nell’interazione di tossici
con recettori di membrana o intracellulari, canali ionici ed enzimi. Questi composti sono
tossici perché l’arrangiamento sterico dei loro atomi permette loro di combinarsi con siti
complementari della molecola endogena, più o meno come una chiave in una serratura. Il
legame non covalente è generalmente reversibile perché ha una bassa energia di legame.
Per esempio, il legame della diossina (TCDD) al recettore intracellulare Ah (Aromatic
Hydrocarbon o recettore degli idrocarburi arilici) per gli idrocarburi aromatici è non
covalente (Figura 9.8).
Il recettore Ah è un recettore citoplasmatico espresso nei mammiferi in numerosi tessuti, si
tratta di un fattore di trascrizione che regola l’espressione di diversi geni. L’attivazione del
recettore Ah provoca l’induzione genica degli enzimi della famiglia citocromo P450 (CYP), ciò
può essere considerato come una risposta adattativa, che permette alla cellula, ai tessuti,
all’organismo di liberarsi dei composti nocivi.
La stimolazione di questa risposta adattativa può, però, generare tossicità, per esempio,
attraverso la formazione di composti reattivi tossici.
La sostanza induttrice come la diossina entra all’interno della cellula attraverso la membrana
plasmatica e si lega quindi con il recettore citosolico Ah.
In seguito al legame, il complesso tossico-Ah trasmigra nel nucleo dove induce la trascrizione
di numerosi geni che codificano la sintesi di numerose proteine tra cui il CYP450. Attraverso
questo meccanismo, la diossina disturba la differenziazione e la divisione cellulare, il
metabolismo di alcuni ormoni (tiroidei, sessuali) e il sistema immunitario.
Diversi studi in vitro dimostrano chiaramente che anche i metalli pesanti come mercurio,
piombo, rame e gli IPA possono agire con questo meccanismo tossico.
Numerosi farmaci agiscono come induttori del citocromo P450 con lo stesso meccanismo
precedentemente descritto. Essi inducono un’aumento della trascrizione genica e quindi della
sintesi della proteina enzimatica responsabile del loro stesso metabolismo.
Le conseguenze nella terapia farmacologica sono:
• una riduzione dell’effetto del farmaco in seguito ad un incremento del suo metabolismo;
• una diminuzione della tossicità in seguito ad un incremento del metabolismo o un aumento
della tossicità in seguito alla maggiore produzione di metaboliti attivi.
Es. fenobarbital, carbamazepina, fenitoina, etanolo, fumo di sigarette.
153
2) legame covalente del tossico con la molecola bersaglio: questo tipo di legame irreversibile
altera in modo permanente le molecole endogene. La formazione di addotti covalenti è comune
nel caso di tossici elettrofili non ionici e di radicali liberi che reagiscono con atomi o siti
nucleofili che sono abbondanti nelle macromolecole biologiche quali proteine, acidi nucleici ecc.
Gli atomi elettrofili hanno una certa selettività verso atomi nucleofili in relazione al loro
rapporto carica/raggio.
Il monossido di carbonio, CN-, acido solfidrico e le azidi formano legami covalenti coordinati
con il ferro presente in diverse emoproteine.
Il CO si lega all’emoglobina impedendo all’O2 di legarvisi; il CN- alla citocromossidasi bloccando
la respirazione mitocondriale.
3) legame covalente e/o non covalente del tossico con la molecola bersaglio: inibizione dei CYP.
Molti xenobiotici tra cui farmaci e inquinanti ambientali influenzano il comportamento del
citocromo P450 legandosi ad esso ed inibendolo. Spesso non sono reattivi di per sé ma vengono
attivati dal P450 durante il processo di metabolizzazione e quindi diventano molecole
altamente reattive che interagiscono in maniera covalente irreversibile oppure a volte in modo
reversibile con il citocromo stesso disattivandolo. Le conseguenze più importanti della
inibizione del CYP450 nella terapia farmacologica sono:
• un aumento degli effetti farmacologici in seguito ad un decremento del metabolismo del
farmaco;
• un aumento della tossicità attraverso una detossificazione più lenta.
La cimetidina, il ketoconazolo, cloroformio, vinilcloruro, claritromicina e eritromicina
(macrolidi), fluoxetina (antidepressivo) e aloperidolo (antipsicotico) sono alcuni esempi di
xenobiotici che agiscono come inibitori enzimatici del citocromo P450. Ognuno va ad inibire
un’isoforma specifica del citocromo, ad esempio la fluoxetina inibisce il CYP2D6. Per cui se è
somministrato insieme al propanololo il quale è metabolizzato dal CYP2D6, si avrà un aumento
delle concentrazioni plasmatiche del propanololo con comparsa di alterazioni
cardiocircolatorie.
154
Tipi di reazione tra xenobiotico e struttura biologica
1) sottrazione di idrogeno
Radicali liberi possono facilmente sottrarre atomi di idrogeno da composti endogeni,
convertendoli in radicali.
.
La sottrazione di idrogeno dai tioli (R-SH) crea radicali tiolici (R-S ) che sono precursori di
altri prodotti dell’ossidazione di tioli come gli acidi sulfonici (R-SO3H) e i disolfuri (R-SS-R).
.
.
HO + R-SH
R-S + H2O
• Radicali idrossilici possono rimuovere idrogeno dai gruppi CH2- degli amminoacidi liberi nelle
proteine e convertirli a intermedi reattivi come i carbonili. Questi a loro volta reagiscono con
le amine formando legami crociati con il DNA o altre proteine.
• Gli elettrofili bifunzionali come il 2,5-esadione, il CS2 formano legami crociati con proteine
del citoscheletro o con il DNA. Questi legami crociati chiaramente impongono vincoli
strutturali e alterano le funzioni delle macromolecole coinvolte.
• La sottrazione di idrogeno dagli acidi grassi produce radicali lipidici dando inizio alla
perossidazione lipidica (irrancidimento).
• Molti composti possono interferire con le funzioni di stampo del DNA. Il legame covalente
di composti chimici al DNA causa un disappaiamento dei nucleotidi durante la replicazione. Ad
esempio, il legame covalente dell’aflatossina all’N-7 della guanina induce l’appaiamento della
stessa base purinica alterata con la base pirimidinica adenina piuttosto che con la citosina,
portando così alla formazione di un codone scorretto e all’inserimento di un amminoacido
sbagliato nella proteina.
2) trasferimento di elettroni
I composti chimici possono ossidare il Fe+2 nell’Hb a Fe+3 producendo metaemoglobina che non
è in grado di legare l’O2.
I nitriti possono ossidare l’Hb, mentre le N-idrossilarilamine, i composti fenolici, le idrazine
sono coossidati con l’ossiemoglobina formando metaemoglobina e perossido di idrogeno.
155
3) reazioni enzimatiche
Alcune tossine agiscono enzimaticamente su specifiche proteine bersaglio.
• La ricina si lega ai ribosomi e blocca la sintesi proteica.
• Il veleno di molti serpenti contiene enzimi idrolitici che distruggono biomolecole.
4) altri tipi di reazioni
La maggior parte dei tossici agisce su molecole endogene sulla base della propria reattività
chimica.
• I chinoni possono agire come elettrofili e formare addotti covalenti ma possono anche
fungere da accettori di elettroni ed iniziare reazioni radicaliche che portano alla
perossidazione lipidica.
• Lo ione Pb+2 si comporta come ione quando blocca i canali del calcio sostinuendosi al ligando
naturale Ca+2.
156
Alterazioni cellulari
Negli organismi multicellulari l’attività tra i diversi sistemi biochimici e fisiologici, è
perfettamente coordinata perché ogni cellula esegue una serie di programmi ben definiti.
Per eseguire tali programmi, le cellule sono equipaggiate di sistemi di sintesi, metabolici,
cinetici, di trasporto e di produzione di energia presenti all’interno di complessi
macromolecolari, su membrane, su organelli cellulari mediante i quali mantengono la loro
integrità (funzioni interne) e permettono il mantenimento e l’attività di altre cellule (funzioni
esterne).
L’interazione di un tossico con una macromolecola cellulare può interferire con uno dei
programmi che regolano l’attività della cellula e quindi alterare una o più funzioni cellulari.
Il tipo di disfunzione dipende dal ruolo svolto all’interno della cellula dalla molecola bersaglio
alterata. Se la molecola bersaglio è coinvolta in uno dei sistemi preposti alla regolazione della
vita, del destino cellulare o dell’attività in corso, l’interazione con il tossico potrà causare:
modificazione dell’espressione genica
alterazione dell’attività cellulare in corso
Se invece la molecola bersaglio è coinvolta prevalentemente nei meccanismi di mantenimento
dell’omeostasi interna della cellula, si potrà verificare:
alterazione dell’omeostasi
L’attività delle cellule è regolata da molecole di segnale extracellulari (neurotrasmettitori,
ormoni, mediatori dell’infiammazione come le citochine, fattori di crescita) deputate alla
trasmissione del segnale, che attivano fattori di trascrizione utilizzando recettori cellulari di
superficie. Questi fattori di trascrizione controllano la trascrizione di geni responsabili della
progressione del ciclo cellulare. Il segnale viene trasmesso dai recettori cellulari di superficie
fino ai fattori di trascrizione mediante successive interazioni proteina-proteina attraverso
una serie di fosforilazioni a catena. Le sostanze chimiche possono causare trasduzione
aberrante del segnale alterando la fosforilazione proteica. Tali eventi possono influenzare la
progressione del ciclo cellulare (divisione, differenziazione, apoptosi).
I programmi che influenzano l’espressione genica controllano il destino della cellula (divisione,
differenziazione, apoptosi) mentre quelli che influenzano le proteine funzionali, regolano le
normali attività cellulari (contrazione, rilassamento, trasporto, metabolizzazione o sintesi di
sostanze).
157
Disregolazione dell’espressione genica
L’alterazione genica può coinvolgere elementi o meccanismi che sono direttamente responsabili
della trascrizione, componenti del sistema di trasduzione del segnale o adibiti alla sintesi,
deposito o rilascio della molecola segnale.
La trascrizione dell’informazione genetica dal DNA al RNAm è controllata largamente
dall’interazione fra fattori di trascrizione (TF) e la regione regolatrice (o promotore) dei
geni. I TF possono essere attivati mediante fosforilazione seriale da molecole extracellulari
come ormoni, fattori di crescita e citochine così il segnale viene trasmesso dai recettori di
superficie fino ai TF. I TF attivati si legano a siti recettoriali specifici presenti sul DNA
promuovendo la trascrizione di quel gene. Ogni perturbazione del segnale verso i TF, incluso
l’effetto su fosforilazione o defosforilazione proteica, altera l’espressione dei geni regolati
da TF.
• Situazioni di stress ossidativo indotto da xenobiotici possono attivare il fattore di
trascrizione NF-kB che è un fattore importante per la segnalazione proliferativa e per le
reazioni di infiammazione.
• Xenobiotici con attività estrogenica possono esercitano un effetto mitogeno sulle cellule
che esprimono il recettore per gli estrogeni come quelle degli organi riproduttivi femminili.
Tale proliferazione è responsabile di tumori in questi organi in seguito a prolungato
trattamento con xenobiotici con attività estrogenica.
• I glucocorticoidi inducono apoptosi delle cellule linfoidi (effetto sfruttato nel trattamento
di linfomi) con conseguente malformazioni fetali dovute ad alterazioni dell’espressione dei
geni coinvolti nelle fasi precoci dell’ontogenesi dell’organismo.
• La diossina, un ligando del recettore per gli idrocarburi arilici (Ah), produce atrofia timica
causando apoptosi dei timociti. Inoltre la TCDD aumenta l’espressione di geni che codificano
per enzimi deputati al metabolismo di xenobiotici come il citocromo P450, la UDPglucuronosiltransferasi, la glutatione-S-transferasi.
158
Disregolazione della produzione di segnali extracellulari
La produzione del segnale extracellulare può essere alterata da farmaci o tossici che agiscono
a livello ipofisario.
Gli ormoni dell’ipofisi esercitano un effetto mitogeno sulle ghiandole periferiche agendo su
recettori cellulari di superficie. La produzione di ormoni ipofisari è sotto il controllo di
feedback negativo degli ormoni delle ghiandole periferiche (asse ipotalamo-ipofisi-surrene).
La perturbazione di questo circuito può inibire la secrezione di ormone ipofisario e di
conseguenza anche la secrezione degli ormoni delle altre ghiandole. La ridotta secrezione di
ormoni ipofisari produce l’apoptosi seguita dall’involuzione della ghiandola bersaglio periferica.
159
Tossicologicamente la funzione degli ormoni terminali nella cascata della stimolazione
endocrina (es. steroidi, retinoidi, ormoni tiroidei) sembra essere più suscettibile
all'alterazione da parte delle sostanze chimiche.
Questo perché molte molecole estranee all'organismo presentano sufficiente omologia
strutturale con gli ormoni e sono capaci di legarsi ai recettori di questi ormoni, comportandosi
da agonisti o da antagonisti.
Induttori della clearence degli ormoni:
In molte specie, gli ormoni steroidei e tiroidei sono inattivati ed eliminati dall'organismo
mediante gli stessi processi di biotrasformazione che sono coinvolti nella detossificazione
delle sostanze chimiche.
Tra i processi di biotrasformazione degli ormoni nei vertebrati è predominante
l'idrossilazione, la coniugazione con l'acido glucuronico e la solfatazione.
Gli ormoni tiroidei T3 e T4 sono rispettivamente inattivati ed eliminati in seguito a
solfatazione e glucuronazione. Gli enzimi glucuroniltransferasi, che sono responsabili
dell'eliminazione del T4 mediante glucuronidazione, subiscono induzione in seguito
all'esposizione con induttori enzimatici come il fenobarbitale, la carbamazepina, la fenitoina,
erbicidi come l’amitrolo e inquinanti ambientali come il PCB (policlorobifenile) per cui si
osserverà una diminuzione dei livelli plasmatici di T4. Tuttavia esistono dei meccanismi di
regolazione a feedback negativo che permettono all’organismo di ripristinare l’omeostasi. Ma
se l’esposizione al tossico è consistente (alte dosi e/o esposizione protratta nel tempo) si
osserva un’abbassamento dei livelli degli ormoni.
Inibitori della sintesi degli ormoni:
Le sostanze tossiche per il sistema endocrino possono esplicare attività antiormonale
abbassando i livelli di ormone endogeno nell'organismo.
Nel caso degli ormoni steroidei, le sostanze chimiche di solito esplicano questo effetto
mediante l'inibizione di enzimi necessari per la sintesi degli ormoni.
160
• Il CYP19 è responsabile dell'aromatizzazione del testosterone per formare l’estradiolo.
lnibitori del CYP19 come il letrozolo (usato nel trattamento del carcinoma della mammella)
possono abbassare i livelli endogeni di estradiolo inducendo una defemminilizzazione.
• Fungicidi usati in medicina come il ketoconazolo sono inibitori enzimatici del CYP450 e
riducono i livelli circolanti di ormoni steroidei.
Agonisti e antagonisti ormonali:
Il recettore rappresenta il sito di un sistema biologico capace di riconoscere una sostanza con
una specifica struttura chimica e di interagire selettivamente con essa.
Questa interazione induce una modificazione conformazionale nella macromolecola del
recettore stesso dando così inizio alla catena di eventi che porta alla risposta biologica.
Come molti farmaci e composti endogeni, anche i tossici possono interagire con i recettori in
modo selettivo dando luogo a manifestazioni tossiche. Essi possono alterare l'attività
ormonale mediante il loro legame da agonisti, antagonisti o agonisti/antagonisti ai recettori
degli ormoni.
• Agonisti dei recettori ormonali: il recettore degli estrogeni sembra suscettibile all'azione
agonista degli xenobiotici. Diverse considerazioni steriche associate alla struttura steroidea,
insieme alle proprietà elettrostatiche della superficie più esterna della molecola sembrano
determinare la capacità di uno xenobiotico di entrare nella tasca di legame del recettore e
poter funzionare come un agonista.
Gli xenobiotici agonisti del recettore degli estrogeni (dietilstilbestrolo, etinilestradiolo)
possono indurre nel feto proliferazione delle cellule epiteliali associate al sistema riproduttivo
e comporta anormalità di questo sistema durante la maturità sessuale.
Sostanze chimiche con attività estrogenica, nel maschio, inibiscono, la secrezione di
gonadotropina (feed-back) e si ha atrofia testicolare con conseguente femminilizzazione.
• Antagonisti dei recettori ormonali: molti recettori nucleari ormonali sono suscettibili di
antagonismo chimico. Xenobiotici che si comportano da antagonisti prevengono il legame
dell’ormone endogeno al recettore.
Antagonisti del recettore degli estrogeni includono sostanze come i flavonoidi e inquinanti
ambientali come il tetraclorobifenile (PCB) ⇒ effetto defemminilizzazione.
Negli studi su animali da laboratorio, gli antagonisti dei recettori degli estrogeni provocano
alterazione del ciclo estrale, fertilità compromessa e morte embrionale.
Altre sostanze chimiche che si legano al recettore degli androgeni in maniera antagonista
includono farmaci quali lo spironolattone e la cimetidina.
Inquinanti ambientali che agiscono come antagonisti dei recettori degli androgeni
comprendono i metaboliti del vinclozolin (fungicida utilizzato in agricoltura), i metaboliti del
DDT, alcuni PCB e gli insetticidi organofosforici. La conseguenza dell’antagonismo al recettore
degli androgeni è la demascolinizzazione. Tali effetti, in studi animali, includono riduzione
nella dimensione della prostata e del peso delle vescicole seminali. Tuttavia la sospensione
dall’esposizione ad un antiandrogeno solitamente porta ad un ripristino della dimensione
normale della ghiandola prostatica e degli altri organi colpiti.
• Agonisti/antagonisti dei recettori ormonali: sostanze chimiche possono funzionare sia come
agonisti che come antagonisti, a seconda dei livelli endogeni di ormone: in assenza dell’ormone
endogeno, uno xenobiotico che presenta un’attività agonista debole può legarsi al recettore
dando luogo all’effetto (si comporta da agonista). In presenza dell’ormone endogeno, il legame
dello xenobiotico al recettore può prevenire il legame dell’ormone; l’effetto risultante è la
161
perdita di attività (si comporta da antagonista). Quindi l’azione risultante di uno xenobiotico
dipenderà:
(1) dalla concentrazione dello xeno-agonista,
(2) dall'affinità di legame dello xeno-agonista al recettore,
(3) dalla concentrazione dell'ormone endogeno al recettore.
Es. il tamoxifene (antitumorale) funziona come antagonista recettoriale degli estrogeni nel
tessuto riproduttivo ma funziona come agonista a livello osseo e nel sangue inducendo
conservazione della densità ossea e riducendo i livelli plasmatici di colesterolo (effetto
estrogenico). Per questo il tamoxifene può funzionare come un’agente profilattico della
crescita del tumore mammario estrogeno-sensibile e dell’osteoporosi attraverso diversi
meccanismi (rispettivamente antagonismo ed agonismo del recettore degli estrogeni).
• Antagonisti dei recettori ormonali: il mifepristone è un farmaco utilizzato per
l’interruzione di gravidanza ed agisce come antagonista sui recettori progestinici inibendo lo
sviluppo embrionale e causando il distacco della mucosa uterina. Tuttavia, ad alte dosi, ha
azione antagonista sui recettori dei glucocorticoidi per cui il suo impiego è sconsigliato in
pazienti sottoposti a terapia corticosteroidea a lungo termine poiché ne annulla l’effetto
antinfiammatorio.
Disregolazione dell’attività delle cellule nervose
Perturbazioni dell’attività delle cellule nervose da parte di sostanze chimiche possono essere
causate da una alterazione di:
a) concentrazione dei neurotrasmettitori
b) funzione recettoriale
c) trasduzione intracellulare del segnale
d) processi che spengono il segnale
• Gli insetticidi ciclodienici (aldrin, dieldrin, clordano, lindano) che bloccano i recettori per
il GABA nel SNC, inducono eccitazione neuronale e convulsioni.
Alterazione della concentrazione dei neurotrasmettitori
Molti composti chimici possono alterare i livelli sinaptici di neurotrasmettitori interferendo
con:
1) la loro sintesi ⇒ le idrazidi riducono la sintesi del GABA ed inducono convulsioni;
2) il loro deposito ⇒ la deplezione di noradrenalina, 5-HT e dopamina da parte della reserpina
è alla base dei suoi effetti tossici;
162
3) il rilascio o rimozione dalle vicinanze del recettore ⇒ la tossina del botulino inibisce il
rilascio di acetilcolina dai motoneuroni e causa paralisi della muscolatura scheletrica. In
particolare La tossina degrada proteoliticamente la proteina SNARE necessaria per il rilascio
di acetilcolina nella fessura sinaptica.
• L’inibizione dell’acetilcolinesterasi da parte degli esteri organofosforici, dei carbammati,
dei gas nervini, previene l’idrolisi dell’acetilcolina con conseguente massiccia stimolazione dei
recettori colinergici e crisi colinergica.
• L’inibizione della ricaptazione neuronale della noradrenalina da parte della cocaina e degli
antidepressivi triciclici è responsabile della eccessiva stimolazione dei recettori adrenergici.
La conseguenza è una maggiore stimolazione dei recettori a-adrenergici sulla muscolatura
vasale con conseguente infarto del miocardio e ulcerazione della mucosa nasale nei forti
consumatori di cocaina.
Alterazione dei processi di trasduzione del segnale
Molti composti alterano l’attività neuronale e/o muscolare agendo sui processi di trasduzione
del segnale.
• I canali del Na+ voltaggio dipendenti che trasducono e amplificano i segnali eccitatori
generati dai canali ionici attivati da ligandi endogeni, possono essere bloccati da agenti come
la tetradossine e la saxitossina (2 tossine di origine naturale) e si ha paralisi.
• Sostanze neurotossiche come i pesticidi della famiglia dei piretroidi possono modificare il
flusso di Na+ mediante la loro interazione con una frazione proteica che costituisce il canale.
163
Questa interazione fa sì che il canale del Na+ non possa richiudersi normalmente dopo un
potenziale d’azione. Si prolunga il tempo di chiusura dei canali ionici mentre non viene
influenzato il tempo di apertura. Così la membrana nervosa rimane in uno stato di parziale
depolarizzazione. Come conseguenza si ha che il neurone risulta estremamente sensibile anche
a piccoli stimoli che non provocherebbero una risposta e si ha la comparsa di sequenze
periodiche di tremori e di attacchi convulsivi.
Interazione xenobiotico-coenzimi
I coenzimi sono essenziali al normale funzionamento delle attività enzimatiche. I loro livelli
possono essere ridotti da sostanze tossiche che ne inibiscono la sintesi o ne determinano la
distruzione. E’ il caso del NADPH che può essere distrutto dai radicali liberi, prodotti da
alcuni composti.
• L’aminopterina ed il metrotrexato, determinando una carenza acuta di coenzimi folici
provocando l’interruzione della sintesi del DNA e dell’RNA.
Interazione xenobiotico-carrier
Il trasporto di ossigeno ai tessuti può essere ostacolato anche da un’accumulo di metaHb che
può essere prodotto dall’ossidazione di Fe+2 a Fe+3 che non è in grado di legare l’ossigeno. In
condizioni normali, le piccole quantità di metaHb, che normalmente si formono, sono
rapidamente ridotte ad Hb ad opera della glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G-6PD).
Questo processo di riduzione può essere insufficiente in soggetti con deficienza di G-6PD o in
soggetti che vengono a contatto con nitriti, amine aromatiche, fenacetina, acetanilide,
nitrobenzolo. Queste sostanze possiedono proprietà ossidanti che promuovono la formazione
di una considerevole quantità di metaHb e il ruolo della G-6PD risulta così insufficiente.
Interazione xenobiotico-sistema immunitario
Molti casi di agranulocitosi indotti da farmaci sono mediati da reazioni immunitarie innescate
da addotti proteina-farmaco. In genere l’interazione covalente di uno xenobiotico o di un suo
metabolita con una molecola biologica non comporta il coinvolgimento del sistema immunitario.
164
In alcuni individui però, l’alterazione di alcune proteine, indotta da un legame con un tossico,
induce una risposta immunitaria.
• Xenobiotici nucleofili come le amine aromatiche (procainamide e sulfonamidi), le idrazine
(idralazina ed isoniazide), e i tioli (propiltiouracile, metimazolo, ticlopidina) possono essere
ossidati, dalle mieloperossidasi rilasciate dai globuli bianchi attivati, a metaboliti reattivi che
legano proteine di superficie le quali non vengono riconosciute dal sistema immunitario e quindi
attaccate da anticorpi.
• Xenobiotici possono essere metabolizzati a composti elettrofili che si legano a proteine
formando antigeni attaccati dal sistema immunitario. Per esempio l’alotano (anestetico
sistemico) viene biotrasformato dal CYP in un composto elettrofilo che si lega, come un
aptene, a varie proteine microsomiali e di superficie del fegato, inducendo produzione di
anticorpi. La risposta immunitaria che segue sembra essere responsabile della sindrome tipo
epatite riscontrabile nei pazienti sensibili all’alotano.
CF3-CHClBr ⇒ ⇒ CF3-CHCl.
CYP trifluoroacetil cloruro
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Protocolli sperimentali per lo studio di
safety pharmacology e tossicità
di un farmaco
166
167
Obiettivi della ricerca preclinica
1) Individuazione di una molecola dotata di attività farmacologica
2) Valutazione delle caratteristiche (stabilità, durata d’azione in vitro)
3) Valutazione dell’efficacia biochimica, cioè la sua attività specifica sul suo sito d’azione
(recettore o enzima) misurabile quantitativamente con test biochimici.
4) Valutazione dell’efficacia biologica, cioè l’attività su parametri biologici quali
inibizione/stimolazione del rilascio di citochine, di fattori di crescita, di neurotrasmettitori,
di induzione dell’apoptosi e altri.
5) Studi di farmacodinamica in vivo:
nella maggior parte dei casi, le indicazioni preliminari acquisite nei precedenti livelli devono
essere suffragate da risultati in vivo che permettono di valutare gli effetti su eventi di
rilevanza clinica quali la riduzione della mortalità, della pressione sanguigna, di masse e
metastasi tumorali, di patologie infiammatorie, neurodegenerative, autoimmuni, infettive e di
altre ancora.
Si utilizzano modelli animali specifici per le varie patologie (disease models). La patologia può
essere indotta nell’animale sano con un artefatto (chimico, chirurgico, meccanico) che non
necessariamente permette di mimare tutti gli aspetti della corrispondente patologia umana.
Inoltre ci sono anche test condotti su roditori geneticamente selezionati portatori di
patologie spontanee (Milan Hypertensive Rats, ratti ipertesi Okamoto, ratti obesi, ratti
diabetici, topi che sviluppano il lupus, la psoriasi, solo per citarne alcune). Nello studio delle
patologie tumorali sono ampiamente usati topi immunodeficienti (nu-/nu- e SCID) che non
rigettano xenotrapianti di tumori umani. L’avvento dell’ingegneria genetica sta fornendo un
ragguardevole contributo alla farmacologia sperimentale in quanto permette di generare,
attraverso l’inserimento o il silenziamento di geni responsabili di certe anomalie, modelli
animali molto più vicini alle realtà patologiche umane.
In questa fase di studio preclinico si delinea il meccanismo d’azione, il sito d’azione e gli
effetti farmacologici della nuova molecola in esame. Inoltre si definisce la durata dell’effetto
farmacologico e le curve-risposta che ci danno informazioni sull’efficacia e potenza della
nuova molecola.
6) Studi di farmacocinetica (ADME= assorbimento, distribuzione, metabolismo, eliminazione).
7)Valutazione della sicurezza mediante studi di ‘’safety farmacology’’
8) Studi di tossicità negli animali da laboratorio.
168
Va eseguita attenendosi a linee guida (guidelines) emanate dalle Autorità Regolatorie come
EMEA per l’Europa e FDA per gli U.S.A.
Le guidelines sono documenti consultivi o “raccomandazioni” delle Autorità che acquisiscono
valore di legge nel momento in cui sono recepite dalle direttive europee o dalle leggi dei singoli
stati.
169
Studi di sicurezza farmacologica o
safety pharmacology
Il programma tossicologico regolatorio essenziale per portare la “molecola candidata” in Fase
Clinica I è svolto in accordo ai principi di BPL/GLP ed è descritto nella linea guida ICH M3
Step 5 (16/11/2000) intitolata “Non-clinical Safety Studies for the conduct of Human Clinical
Trials for Pharmaceuticals” che armonizza le richieste regolatorie di FDA ed EMEA.
Per supportare il primo trattamento nell’uomo, si deve ottemperare ad alcuni principi
fondamentali. Anzitutto, si deve scegliere la/le specie animale/i più appropriata/e per la
molecola in termini di predittività per l’uomo. Si utilizzano le dosi (acute e/o ripetute)
risultate efficaci negli studi di farmacodinamica e la via di somministrazione prevista
nell’uomo.
Gli studi di sicurezza servono a determinare gli effetti inattesi e collaterali che possono
essere indotti alle dosi/concentrazioni somministrate per avere l’effetto farmacologico
desiderato. Permettono di conoscere i potenziali effetti farmacodinamici indesiderati di una
molecola e dei suoi principali metaboliti sulle funzioni fisiologiche degli animali da laboratorio.
Si applica alle nuove molecole di sintesi, ai prodotti biotecnologici, ai farmaci già in commercio
a fronte di nuovi effetti avversi o in caso di nuove popolazioni di pazienti (uso del farmaco
per una patologia diversa da quella definita inizialmente quando è stato immesso in commercio)
o in caso di una nuova via di somministrazione.
Si intende valutare i potenziali effetti indesiderati di un nuovo farmaco sui principali sistemi
vitali, non bersaglio dell’attività farmacologica principale come:
1) Il sistema cardiovascolare
2) Il sistema respiratorio
3) Il sistema nervoso centrale
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