COMMERCIALIZZAZIONE FARMACI, IL PUNTO DI

COMMERCIALIZZAZIONE FARMACI, IL PUNTO DI EQUILIBRIO TRA ATTIVITA’
IMPRENDITORIALE E TUTELA DELLA CONCORRENZA.
Nota all’ordinanza Consiglio di Stato, Sez. IV, 11 marzo 2016 n°966.
1) Il Consiglio di Stato con l’ordinanza in commento, pone ancora una volta al centro del
dibattito giuridico un tema molto importante, ossia quello relativo al rapporto tra la
commercializzazione dei farmaci all’interno di un sistema fortemente regolamentato (quello
appunto inerente la commercializzazione e la distribuzione delle specialità farmaceutiche) e il
diritto della concorrenza (specificatamente, l’ambito di operatività e le modalità applicative
dell’art. 101 TFUE nel predetto settore).
Occorre in primis svolgere una breve ricostruzione della vicenda giuridica.
2) La società Genentech, integralmente soggetta al controllo esclusivo del gruppo Roche e
operante esclusivamente sul territorio statunitense, cedeva – a seguito dell’esercizio del diritto
di opzione - alla propria controllante la licenza dell’Avastin (farmaco il cui principio attivo
bevacizumab era stato ottenuto nel corso di una sperimentazione finalizzata alla individuazione
di una terapia inibitoria per alcune patologie oncologiche), rendendo quindi la società Roche
S.p.a. la responsabile della registrazione e successiva commercializzazione del farmaco (al di
fuori degli Stati Uniti). La medesima società Genentech, cedeva inoltre la licenza di Lucentis
(farmaco il cui principio attivo ranibizumab ottenuto dalla frammentazione del precedente
principio attivo e idoneo alla cura di patologia oftalmiche e alla somministrazione intravitreale)
alla società Novartis S.p.A., la quale, responsabile della registrazione e successiva immissione
in commercio del farmaco (al di fuori degli Stati Uniti), era tenuta al pagamento di royalties
alla licenziante per ogni confezione di prodotto venduto.
Le due società Roche e Novartis nel 2005 presentavano all’EMA la richiesta di autorizzazione
all’immissione in commercio dei farmaci di cui erano rispettivamente titolari e, mentre
l’Avastin otteneva dall’EMA l’autorizzazione per il trattamento dei tumori metastasici
colorettali recepita dall’AIFA nel settembre del 2005, il Lucentis otteneva l’AIC dall’AIFA nel
maggio 2007, venendo prima inserito in fascia C (e quindi non rimborsabile dal SSN) e solo
nel 2008 in classe H, per la cura delle patologie oftalmiche.
Durante il periodo intercorso tra l’immissione in commercio dei due farmaci si è diffuso, a
seguito di riscontri clinici, l’utilizzo dell’Avastin anche per le patologie oftalmiche e quindi offlabel, in ragione della normativa all’epoca vigente che consentiva l’utilizzazione dei farmaci
off-label in assenza di una valida alternativa terapeutica autorizzata.
Tale utilizzazione off-label è proseguita anche successivamente all’immissione in commercio
del Lucentis e ciò in ragione del minor costo da sostenere per l’utilizzazione del farmaco
Avastin e nel 2007 il farmaco veniva inserito nella Lista 648, essendo così prevista la
rimborsabilità per il trattamento off-label delle maculopatie essudative e del glaucoma
neovascolare.
Nel corso degli anni la società Roche, nell’esercizio del proprio ruolo di responsabile della
commercializzazione e della immissione in commercio del farmaco, provvedeva a comunicare
alla autorità competente una serie di effetti avversi che comportavano la revisione del
Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP).
Nel 2012 l’AIFA, con propria determinazione escludeva l’Avastin dalla Lista 648, proprio in
ragione delle predette modifiche dell’RCP e ne escludeva così l’utilizzabilità off- label.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con provvedimento n°24823 del 27
febbraio 2014 premesso che “Le evidenze descritte dimostrano che Roche e Novartis, anche
attraverso le controllate Roche Italia e Novartis Farma, hanno posto in essere una
concertazione pervasiva e continuata volta a ottenere una “differenziazione” artificiosa dei
farmaci Avastin e Lucentis, manipolando la percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico
di Avastin. Ciò è avvenuto con l’obiettivo di una illecita massimizzazione dei rispettivi introiti
– introiti derivanti, nel caso del gruppo Novartis, dalle vendite dirette di Lucentis e dalla
partecipazione del 33% detenuta in Roche, nel caso del gruppo Roche dalle royalties ottenute
sulle stesse tramite la propria controllata Genentech – e un’incidenza diretta sull’equilibrio
della spesa sanitaria, sia in ambito pubblico che privato. Le condotte delle imprese citate sono
da ricondurre a un’intesa unica e complessa, contraria all’articolo101, lett. c), TFUE.”,
adottava il relativo provvedimento sanzionatorio delle condotte ritenute contrastanti con la
legislazione anti-trust.
L’ordinanza in commento è stata emessa nel corso del giudizio di appello avverso la Sentenza
del TAR Lazio, Sezione I, n°12168 del 2 dicembre 2014, la quale rigettava il ricorso proposto
dalle società Novartis e La Roche volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento
dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
3) Il Consiglio di Stato, con la predetta ordinanza ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea
ben 5 questioni pregiudiziali in ordine all’applicazione dell’art.101 del TFUE e, nello
specifico: “1) Se la corretta interpretazione dell’art. 101 TFUE consenta di considerare
concorrenti le parti di un accordo di licenza laddove l’impresa licenziataria operi nel mercato
rilevante interessato solo in virtù dell’accordo stesso. Se, ed eventualmente entro quali limiti,
ricorrendo tale situazione, le eventuali limitazioni della concorrenza del licenziante nei
confronti del licenziatario, pur non espressamente previste dall’accordo di licenza, sfuggano
all’applicazione dell’art. 101, par. 1 TFUE o rientrino, comunque, nell’ambito di applicazione
dell’eccezione legale di cui all’art. 101, par. 3, TFUE.
2) Se l’art. 101 TFUE consenta all’Autorità nazionale a tutela della concorrenza di definire il
mercato rilevante in maniera autonoma rispetto al contenuto delle autorizzazioni
all’immissione in commercio (AIC) dei farmaci rilasciate dalle competenti Autorità di
regolazione farmaceutica (AIFA ed EMA) o se, al contrario, per i medicinali autorizzati, il
mercato giuridicamente rilevante ai sensi dell’art. 101 TFUE debba ritenersi conformato e
configurato in via primaria dall’apposita Autorità di regolazione in modo vincolante anche
per l’Autorità nazionale a tutela della concorrenza.
3) Se, anche alla luce delle previsioni contenute nella direttiva 2001/83 CE ed in particolare
nell’art. 5 relativo all’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci, l’art. 101
TFUE consenta di considerare sostituibili e di includere, quindi, nell’ambito dello stesso
mercato rilevante un farmaco utilizzato off-label ed un farmaco dotato di AIC in relazione alle
medesime indicazioni terapeutiche.
4) Se, ai sensi dell’art. 101 TFUE, ai fini della delimitazione del mercato rilevante, assuma
rilevanza accertare, oltre alla sostanziale fungibilità dei prodotti farmaceutici dal lato della
domanda, se l’offerta degli stessi sul mercato sia o meno avvenuta in conformità al quadro
regolamentare avente ad oggetto la commercializzazione dei farmaci;
5) Se possa comunque considerarsi restrittiva della concorrenza per oggetto la condotta
concertata volta ad enfatizzare la minore sicurezza o la minore efficacia di un farmaco,
quando tale minore efficacia o sicurezza, sebbene non suffragata da acquisizioni scientifiche
certe, non può, comunque, alla luce dello stadio delle conoscenze scientifiche disponibili
all’epoca dei fatti, neanche essere incontrovertibilmente esclusa.”
Dalla lettura dei quesiti così come formulati dal Consiglio di Stato si evince chiaramente che il
profilo di maggiore rilevanza ai fini del decidere concerne la determinazione delle corrette
modalità di individuazione e delimitazione del concetto di mercato rilevante ai sensi
dell’art.101 TFUE sanzionante le intese restrittive della concorrenza, ciò in quanto il mercato
del farmaco è sottoposto a una specifica e peculiare regolamentazione la cui ratio ultima è la
tutela della salute pubblica.
Nello specifico nel provvedimento impugnato nanti il Giudice amministrativo l’Autorità
Garante, al fine di adottare il provvedimento de quo, ha ritenuto che il mercato rilevante
interessato dall’intesa - oggetto di sanzione - fosse il mercato italiano di commercializzazione
dei farmaci per uso oftalmico, ritenendo all’uopo irrilevante la circostanza che l’Avastin, non
era all’epoca e non è ancora oggi, stato autorizzato dalla competente autorità per tale uso.
In sostanza, la iniziale pratica dell’utilizzo off-label del farmaco, a dire dell’Autorità, ha fatto sì
che si creasse un mercato (pur in assenza degli appositi provvedimenti autorizzatori) in cui i
due farmaci assumevano la veste di concorrenti e pertanto, tutte le azioni volte a distogliere
dall’utilizzo dell’Avastin in ragione di una sua minore sicurezza, erano un mero strumento per
alterare il corretto funzionamento del sistema concorrenziale, con evidenti danni per
l’economia sanitaria.
Tale ricostruzione giunge però a privare di qualsiasi peso sia i provvedimenti che nel corso del
tempo hanno adottato le competenti autorità (EMA e AIFA) in merito alle modalità di
utilizzazione dell’Avastin, sia tutta la normativa di settore che regolamenta termini, tempi,
condizioni e modalità di utilizzo dei farmaci off-label. Se da un lato è stato riconosciuto al
predetto provvedimento un valore “politico”, volto a manifestare la necessità di rivisitare la
regolamentazione del mercato farmaceutico, dall’altro pare evidente che l’argomentazione
logico-giuridica, posta a fondamento della decisione dell’Autorità, tragga origine da un
presupposto giuridicamente non corretto ossia la configurabilità di un mercato del farmaco “di
fatto”, sottoposto a tutte le regole della concorrenza, ivi compresi i divieti indicati nel TFUE,
ma affrancato dalla legislazione che regolamenta l’immissione in commercio dei farmaci stessi.
È proprio il contrasto tra la ricostruzione del mercato rilevante svolta dall’Autorità Garante e la
reale configurazione del mercato farmaceutico (la cui stringente regolamentazione pone
numerosi limiti all’ingresso di una nuova specialità farmaceutica) che ha indotto il Consiglio di
Stato a rivolgersi alla CGCE per ottenere uno specifico chiarimento sull’interpretazione delle
norme del Trattato.
La ricostruzione del mercato “farmaceutico di fatto” richiamata dalla Autorità Garante sembra
infatti obliterare totalmente sia il proprio precedente orientamento secondo cui il mercato
rilevante dei farmaci doveva essere identificato sulla base della classificazione ATC delle
specialità medicinali, sia le ferree regole poste a disciplina del settore de quo nell’ottica
principale di garantire la sicurezza di un “prodotto” in grado di incidere in modo estremamente
rilevante sulla salute e sicurezza dei cittadini.
Tale ricostruzione non può che destare delle perplessità. Pare infatti inappropriato in nome
della tutela della concorrenza poter configurare un mercato farmaceutico “rilevante” che
prescinda dalle regole che lo disciplinano e si basi sulla prassi medica di utilizzazione off- label
di un farmaco.
In proposito si rileva infatti che al momento dell’adozione del provvedimento oggetto di
impugnativa in Italia, e già a far data dal 2008, l’utilizzazione off-label dei farmaci era
consentita solo qualora il farmaco medesimo si trovasse in una fase di sperimentazione
avanzata. È evidente quindi che la conclusione dell’Autorità secondo cui l’Avastin (utilizzabile
solo off-label) e il Lucentis (utilizzabile on-label) siano due farmaci sostituibili, e quindi
facenti parte del medesimo mercato rilevante, prescinde erroneamente dalla circostanza che è
proprio l’AIC a definire il mercato rilevante di un farmaco, in quanto atto idoneo e necessario a
garantire la sicurezza del farmaco e presupposto alla commercializzazione del “prodotto”.
La ricostruzione dell’AGCM quindi ha rilevato la sostituibilità dei due farmaci sulla base della
valutazione della domanda, ossia delle utilizzazioni in concreto, ma ha trascurato di verificare
se, alla luce della normativa di settore vi sia fungibilità da parte dell’offerta e, quindi, se i due
farmaci fossero sottoposti al medesimo regime di commerciabilità.
Tali valutazioni non sono state svolte.
Sebbene sia indubbio che le limitazioni alla commercializzazione di un farmaco possano
inevitabilmente avere delle forti ripercussioni sull’economia sanitaria, specialmente quando
l’ingresso nel mercato di un nuovo farmaco può consentire notevoli risparmi, è pur vero che la
commercializzazione dei farmaci ( in ragione della specificità dei medesimi e della incidenza
sul bene salute) è sottoposta a una regolamentazione il cui fine ultimo è quello della tutela
della sicurezza e della salute dei cittadini, piuttosto che quello della salvaguardia del mercato
concorrenziale.
Pertanto il momento cruciale per la definizione del mercato di un farmaco deve essere
ricondotto alla richiesta della AIC (o alla scelta del titolare della molecola di non richiedere
l’AIC per uno specifico uso). Solo mediante l’ottenimento dell’autorizzazione, infatti, il
farmaco può essere commercializzato e quindi se ne può determinare il mercato. Vero è che la
discrezionalità assegnata in questa sede alla casa produttrice è massima, essendole rimesso
totalmente il potere di acconsentire alla commercializzazione del farmaco.
Tornando al caso concreto, quindi, si potrebbe giungere alla conclusione che la condotta
rilevante dal punto di vista della legislazione della concorrenza non sia tanto la
“differenziazione artificiosa dei farmaci” mediante l’enfatizzazione delle reazioni avverse, ma
la scelta imprenditoriale della Roche di non condurre la sperimentazione, la ricerca e tutte le
necessarie attività burocratiche finalizzate ad ottenere l’AIC per il proprio farmaco anche per
usi oftalmici. La limitazione del mercato quindi deve essere ricondotta alla scelta di richiedere
o meno l’AIC per un farmaco quando le sperimentazioni ne abbiano dimostrato l’efficacia e
sicurezza per un determinato uso. Una soluzione a tale criticità era stata prospettata mediante il
d.l. 36 del 2014, il quale, adottato proprio sulla spinta del provvedimento dell’AGCM,
prevedeva una sorta di coazione alla richiesta dell’AIC per le nuove utilizzazioni di farmaci già
autorizzati, qualora se ne ravvisasse un rilevante interesse pubblico, e l’inserimento dei
medesimi in un registro provvisorio in attesa di definizione della procedura di autorizzazione.
La disposizione in questione è stata rimossa dal testo in sede di conversione e quindi allo stato
non esiste una norma che imponga all’imprenditore l’attivazione delle procedure autorizzative
qualora il farmaco già licenziato possa essere destinato a una ulteriore e diversa utilizzazione.
Alla luce di ciò è evidente come il problema di tutela della concorrenza in questo settore debba
essere conciliato sia con le disposizioni che regolamentano la vita commerciale del farmaco ( e
ciò nell’ottica della tutela della salute e sicurezza dei cittadini) sia dei principi che tutelano la
libertà imprenditoriale che potrebbero essere lesi irreversibilmente qualora si consentisse un
sistema coattivo di registrazione dei nuovi usi dei farmaci, potendo ciò riverberarsi
negativamente anche sulla intera fase di studio, ricerca e sperimentazione che precede la
scoperta di nuovi principi attivi.
Bibliografia
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Sanitarie, Vol. 15, n°2 Aprile- Giugno 2014.
L. F. Pace, Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Jovene Editore, 2013
A. Rossi, A. Calia e M.L. Pace, Il caso Novartis – La Roche: genio o sregolatezza dell’autorità
antitrust?, in Persona e Danno del 6 ottobre 2014, www.personaedanno.it.
F. Setti e D. Digennaro, I rapporti tra tutela della salute e del libero mercato: aspetti
regolatori della concorrenza, in Rassegna di diritto farmaceutico e della salute, n°2/2015.
S.
Todaro,
Farmaci,
misure anti-cartello,
Il
Sole 24ore del
24
marzo
2014,
www.ilsole24ore.com.
Irene LEPORI
Avvocato del Foro di Cagliari
Dottore di ricerca in Diritto dell’attività amministrativa informatizzata e della comunicazione
pubblica