“Coincidenze cosmologiche.” Viviamo in un universo

C MC
CENTRO CULTURALE DI MILANO
“Coincidenze cosmologiche.”
Viviamo in un universo straordinariamente accogliente.
interviene
Marco Bersanelli
Docente di Astrofisica all’università degli studi di Milano
Milano
28/11/1996
©
CMC
CENTRO CULTURALE DI MILANO
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tel. 0286455162-68 fax 0286455169
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Giovedì 28 Novembre 1996
“Coincidenze cosmologiche.”
Viviamo in un universo straordinariamente accogliente.
A cura di Marco Bersanelli
Vorrei partire dal fatto che ci sono dei numeri che hanno un interesse particolare, dei numeri
speciali: l’esempio più popolare è il nostro 3,14 che è il rapporto tra la circonferenza di un cerchio e
il suo diametro (3,14 è l’approssimazione di un numero irrazionale che non si riesce mai ad
“inchiodare” fino in fondo) ma questo è un rapporto tra due quantità con la stessa dimensione, tra
due lunghezze che vi dà un numero adimensionale, un numero puro; questo ha la sua importanza
fondamentale nella geometria della matematica e della fisica, come tutti sappiamo. Oggi vorrei
introdurvi altri due numeri molto speciali e strani: questo 0,0073 e questo 5,9×10-39. Perché questi
numeri sono speciali, cosa rappresentano? Voi sapete che nella fisica si utilizzano sia per descrivere
la realtà sia per fissare adeguatamente le leggi che descrivono la realtà, alcune costanti
fondamentali che emergono dalle osservazioni dei fatti. Queste costanti fondamentali entrano
continuamente nella descrizione, matematica e fisica, di ciò che osserviamo negli esperimenti: la
carica dell’elettrone, la velocità della luce, il fatto che la velocità della luce sia una costante è in sé
una legge fondamentale, la costante di Planck che entra in gioco quando si ha a che fare con
l’infinitamente piccolo, con le quantità e gli effetti a livello quantistico, la massa del protone, la
costante di gravitazione e così via. Il valore numerico di queste costanti determina, in vari modi, le
leggi che noi andiamo ad applicare per descrivere quello che osserviamo in natura. E’ possibile
combinare queste costanti in modo tale da ottenere anche qui, analogamente a quanto abbiamo visto
con la circonferenza e il diametro del cerchio, dei numeri puri, dei numeri che non sono misurati in
grammi, in centimetri o in erg. Questa è la costante α, il rapporto tra il quadrato di questa costante
diviso questa moltiplicata per questa, e le unità che abbiamo al numeratore e al denominatore sono
le stesse: quindi questo rapporto è un numero puro ed è appunto quello 0,0073 che scriviamo in
questo modo. Penso che molti di voi siano familiari con questa scrittura: 10-3, vuol dire 0,00 e 7.3, è
quello che rimane fuori. La costante α è importantissima ed entra in tutte le descrizioni in cui
abbiamo delle interazioni tra la radiazione e la materia, tutti i fenomeni elettromagnetici in qualche
modo hanno a che fare con questa costante, detta costante di struttura, fine dell’elettromagnetismo.
Evidentemente il fatto che al numeratore ci sia la carica dell’elettrone sta proprio a indicare che
abbiamo a che fare con l’elettromagnetismo. Analogamente, per quanto riguarda la gravitazione,
possiamo fare un rapporto tra queste costanti che hanno a che fare con gli effetti gravitazionali, le
costanti di gravitazione e la massa del protone così da avere un rapporto adimensionale, un numero
puro che questa volta viene fuori da un ordine di grandezza molto diverso: 10-39(era l’ altro numero
magico che vi ho fatto vedere). Il fatto che questi due valori numerici siano così diversi tra loro
spiega per esempio il motivo per cui in un atomo quello che domina nello stesso "range" di
dimensione é la forza elettromagnetica e non gravitazionale? Ma perché adesso ci interessa parlare
di queste due costanti,α e αg, che come abbiamo visto, in qualche modo vengono fuori e
caratterizzano i fenomeni elettromagnetici e gravitazionali? Che cosa hanno in particolare queste
costanti che ci interessa nel nostro discorso? Partirei dalla prima fotografia; il nostro pianeta é,
diciamo così, un pianeta piccolo rispetto alle dimensioni dei vari pianeti che ruotano intorno al sole
(il nostro pianeta ha un diametro di circa 12000 km). Visto da molto lontano, il nostro sistema
Terra-Luna sembra più come un pianeta doppio che come un sistema pianeta-satellite in quanto le
dimensioni della Luna sono paragonabili a quelle della Terra. Diapositiva nr. 2: Venere- Venere
dall’esterno appare analogo alla Terra. Diapositiva nr. 3: Marte-Marte è un pianeta “terrestre”, con
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caratteristiche simili in prima approssimazione, come dimensione e densità, a quelle della Terra.
Diapositiva nr. 4: Giove-Giove é l’estremo superiore del mondo dei pianeti. E' un pianeta gigante e
con una dimensione molto più grande di quella della terra, ma siamo sempre sull’ordine delle
decine di migliaia di chilometri come dimensione caratteristica di questi pianeti. Diapositiva nr. 5:
Saturno-Saturno è un pianeta gigante analogo a Giove. I pianeti comunque, tra quelli piccoli e
quelli grandi, facendo una media molto rozza, si misurano in decine di migliaia di chilometri.
Perché abbiamo guardato questi pianeti? Perché con i ragionamenti molto elementari dal punto di
vista fisico, si puo’ dimostrare che le dimensioni di un pianeta, considerando il tipo di forze che
entrano in gioco per dare stabilità ed equilibrio alla struttura che rappresenta il pianeta, sono
proporzionali a questo rapporto (ritroviamo i nostri numeri magici, α e αG alla un mezzo in unità
delle dimensioni delle caratteristiche di un atomo. Questo a zero sono le dimensioni caratteristiche
di un atomo; questo rapporto mi da' una quantità che corrisponde alle osservazioni che facciamo,
che vediamo. Analogamente anche la massa del pianeta può essere scritta nel suo ordine di
grandezza, non nei dettagli, come questo rapporto, questa volta alla 3/2 per la massa, in una unità
della massa di un protone, di un singolo protone e in questo caso abbiamo qualcosa dell'ordine di
1024 kg, un numero grandissimo, naturalmente, che rispetta effettivamente l'ordine di grandezza
della massa dei pianeti che noi conosciamo, che sono quelli che ruotano intorno al sole. Non esiste
un pianeta che abbia una dimensione di 1018 m e non può esistere. Il motivo per cui non può esistere
è che questo rapporto numerico ha un certo valore; il motivo è che le forze elettromagnetiche e le
forze gravitazionali che entrano in gioco, nel determinare l'equilibrio e la stabilità del corpo, si
aggiustano in questo modo: queste costanti, quindi, ci rendono ragione dell'ordine di grandezza
delle dimensioni e della massa dei pianeti compreso il nostro. Andiamo avanti e vediamo adesso
delle immagini prese dall'alto: queste sono le Alpi Occidentali, viste da un satellite; andiamo alla
prossima e qui vediamo una montagna vista un pò più da vicino; ci domandiamo che cosa
caratterizza le dimensioni dei rilievi che possiamo aspettarci sulla superficie di un pianeta. Le
montagne: noi misuriamo le montagne in km, decine di km al massimo, le punte più alte
dell'Himalaya si avvicinano alla decina di km; anche lì, evidentemente, si tratta di un equilibrio che
si viene a stabilire tra le forze gravitazionali e le forze elettromagnetiche che caratterizzano la
struttura dei corpi solidi. Andiamo alla prossima immagine: ci fa vedere una montagna eccezionale
sulla superficie di Marte, questo è un vulcano alto 25 km; quindi possiamo dire che i rilievi che noi
osserviamo si misurano in km o decine di km e vediamo che, attraverso queste costanti che vi ho
fatto conoscere, è possibile analogamente scrivere qual è l'altezza tipica di un rilievo perché possa
essere in equilibrio per una durata molto lunga e ancora una volta troviamo decine di km come
risultato, quindi qualcosa di vicino alla realtà. Non possiamo aspettarci di osservare su Marte, sulla
terra o su qualunque pianeta una montagna che sia alta 1000 km e questo ancora una volta dipende
dal valore relativo di queste due costanti adimensionali, di questi due numeri, come se fosse π.
Bene, adesso andiamo avanti con le nostre immagini e passiamo ad una scala più grande, quella
delle stelle: questo è il nostro sole, che è veramente l'unica stella che noi conosciamo da vicino, che
possiamo studiare nei dettagli. Il nostro sole ha una dimensione di circa un milione di km, un
milione e mezzo; ci sono stelle molto più grandi e molto più piccole, il nostro sole è una stella
media. Vediamo la prossima immagine che ci dà subito un'idea di questo fatto: se noi
rappresentiamo in un diagramma la massa da una parte e la luminosità dall'altra vediamo che il
nostro sole sta in una regione media delle stelle che osserviamo. Andiamo alla prossima immagine,
che ci può dare un'idea intuitiva di quante siano le stelle e quanto diverse possano essere le loro
caratteristiche, ma tuttavia è evidente che c'è una scala di dimensioni e di masse che caratterizza le
stelle. Non ci sono stelle che siano un milione di volte più piccole del sole o un milione di volte più
grandi; siamo in un “range” ben definito per quanto ampio e ancora una volta come ordine di
grandezza, si può mostrare, usando la fisica, che le due costanti, αG e α, intervengono in modo
decisivo a rendere ragione delle dimensioni delle masse che noi osserviamo nelle stelle. Vedete, qui
abbiamo grosso modo le dimensioni che caratterizzano il nostro sole, quindi queste due costanti
evidentemente entrano in modo pesante a caratterizzare le strutture principali che noi osserviamo
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intorno a noi, ma non abbiamo finito, andiamo avanti e passiamo alla scala ancora più grande: le
galassie, che misuriamo in centinaia di migliaia di anni luce; 100.000 anni luce è la dimensione
caratteristica delle galassie che, come sapete, sono sistemi che contengono centinaia o migliaia
anche di miliardi di stelle.
Andiamo alla prossima immagine che è una galassia ellittica, mentre quella di prima era una
galassia a spirale. Andiamo avanti; questa è un'altra galassia a spirale vista di taglio e volevo
mostrarvela per paragonarla con la prossima immagine, che rappresenta un'osservazione della
regione centrale della nostra stessa galassia fatta in una lunghezza d'onda infrarossa, a. Noi siamo
dentro a questo disco, ma attraverso osservazioni del lontano infrarosso, è possibile isolare la parte
centrale e rendersi conto che la struttura che noi vediamo della galassia e delle sue regioni centrali è
del tutto analoga a quella delle galassie intorno a noi; quindi le dimensioni delle galassie, compresa
la nostra, sono caratterizzate intorno ai centomila anni luce; ancora una volta, le costanti α e αG ci
permettono di dare l'ordine di grandezza delle galassie sia in termini di dimensioni che di massa e
questa volta con delle potenze molto pesanti di α in particolare, quindi è molto sensibile al valore
esatto di queste costanti e ritroviamo i valori che osserviamo in natura.
Penso di avervi convinto in qualche modo del fatto che fondamentalmente le strutture che noi
osserviamo in natura obbediscono a dei criteri estremamente semplici, che possono essere compresi
in termini dei valori di certe costanti fondamentali. Evidentemente non si tratta di descrivere nel
dettaglio questa o quella galassia, questo o quel pianeta, ma è evidente che le dimensioni e le masse
di ciò che noi osserviamo in natura rispondono criticamente a numeri privilegiati, a queste costanti
adimensionali α e αG.
Naturalmente vi sto dando solo uno spaccato di questo genere di ricerca che si sta facendo, questo
dovrebbe essere molto più completo e allargato anche ad altre costanti e ad altri parametri, ma sto
cercando di darvi un'idea.
Quindi, più in generale, possiamo dire che la struttura e le proprietà dei sistemi naturali sono
determinati da un numero piccolo di parametri. Questo significa che se il valore di quei numeri
fosse diverso, quello che io osserverei come struttura generale della natura sarebbe diverso. Non c'è
nessuna ragione a priori per cui 7.3 per 10-3 non debba essere 15-2; quei numeri entrerebbero
comunque a far parte della descrizione delle strutture perché sono le forze che questi numeri
rappresentano che determinano le strutture stesse; quindi il fatto che noi osserviamo quei valori per
quei rapporti tra costanti, in qualche modo, decide come stiano le cose. Quindi la natura è semplice
ed è semplicemente legata a certe quantità numeriche.
Non solo la natura è semplice, ma si presenta anche ben congegnata, infatti, ci si può rendere conto
che in certi casi basterebbe una piccolissima variazione di alcuni di questi parametri fondamentali,
per avere delle conseguenze drastiche sulla realtà fisica che vediamo.
C'è un bilancio molto fine, molto sottile su come le cose sono strutturate. Addirittura, appare chiaro
che la stessa possibilità di sviluppo della vita, i della nostra stessa esistenza, dipende in modo
cruciale non solo da condizioni favorevoli che si verificano nel nostro pianeta - che abbiamo visto
essere a prima vista simile ad altri come Venere o Marte -, ma esistono anche delle condizioni
favorevoli di ordine cosmico, di ordine nella struttura stessa della realtà e della natura; cosmiche
anche proprio nel senso della scala cosmica, come cercherò di esemplificare adesso.
Per fare un primo esempio di questa osservazione che indubbiamente cattura la nostra curiosità,
vediamo la prossima immagine. Dobbiamo partire dall’inizio della storia della vita di una stella: in
breve, le stelle nascono e muoiono e la loro nascita avviene per contrazione gravitazionale di nubi
interstellari prevalentemente composte di idrogeno e gas.
Andiamo alla prossima immagine che mostra un altro esempio spettacolare di questi habitat naturali
per la nascita di nuove stelle. Questa nebulosa in Orione è una delle più studiate proprio in quanto
zona di formazione stellare. Oggi con lo Harbour Space Telescope si riesce a vedere in diretta la
nascita di nuove stelle nella parte centrale di questa nebulosa. Quindi, le stelle nascono per
contrazione di gas e di polvere, ma questo gas è prevalentemente idrogeno.
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Andiamo alla prossima diapositiva che ci fa vedere cosa succede dopo un po’. Inizialmente quello
che succede è che l’idrogeno, quando la temperatura è sufficientemente alta, inizia a produrre elio
per fusione ed emette una grande quantità di energia; questo è il tipo di reazione che avviene nel
nostro sole e che ci permette di essere qui a godere di tutta questa energia. Quando però la stella ha
bruciato gran parte di questo idrogeno in elio, questo, a sua volta, inizia a combinare nuove reazioni
termonucleari e a produrre carbonio. Il carbonio è, come sappiamo, il mattone fondamentale della
vita; la vita, così come noi la conosciamo, si basa sulla chimica del carbonio. Allora, se noi ci
domandiamo da dove viene il carbonio di cui siamo fatti, la risposta è: il carbonio di cui siamo fatti
è stato “cucinato” nei nuclei delle stelle. Chi c’era l’altra volta si ricorderà che vi ho fatto vedere
che c’è anche un’origine cosmologica della sintesi degli elementi, ma solo fino all’elio. Il carbonio
cosmologicamente non si produce all’inizio, ma si produce nei nuclei stellari in due tappe: prima
l’elio si combina con un altro nucleo di elio e forma un nucleo di berillio che è estremamente
instabile, ma se riesce nel frattempo, prima di distruggersi, a catturare un altro nucleo di elio, si
forma un nucleo di carbonio. Questa reazione che produce il carbonio è possibile soltanto grazie
alla presenza di un livello energetico di risonanza nel nucleo del carbonio. Il fatto è che i nuclei di
carbonio hanno una risonanza, cioè un punto in cui la loro probabilità di formarsi aumenta
esponenzialmente, nel punto esatto in cui serve per potersi produrre dal berillio nella seconda parte
di questa reazione. Perché il carbonio possa prodursi, occorre che il livello energetico del carbonio
abbia un’energia appena superiore a quella dell’elio e del berillio insieme che è 7.37 MeV
(Megaelettronvolt). Non importa che vi domandiate quali unità siano queste. La coincidenza che vi
voglio sottolineare è che questo livello energetico del carbonio si trova proprio a 7.65, giusto un
gradino sopra a questo livello energetico. Se non ci fosse questo tipo di risonanza nel carbonio
proprio nella posizione giusta, l’universo sarebbe composto di idrogeno e di elio; non ci sarebbe
stato modo, non ci sarebbe modo per la fisica nucleare di produrre il carbonio. Ancora una volta i
valori di questi livelli energetici, che permettono un’efficienza straordinaria in questa reazione,
dipendono dal valore numerico di α e da questo altro parametro di cui non vi ho parlato che è la
costante di struttura fine della forza debole, cioè un altro tipo di forza. Vedete ancora una volta che
i valori di queste costanti sembrano fatti apposta per poter permettere una certa evoluzione delle
strutture e della realtà. Possiamo con tranquillità affermare che non ci sarebbe né carbonio, né vita
basata sul carbonio se non si verificasse questa coincidenza. E non è tutto, perché quello che
succede è che il carbonio, una volta che si è formato nelle stelle, può andare avanti a sua volta ad
essere combustibile per formare elementi ancora più pesanti, in particolare l’ossigeno. Esiste,
infatti, la reazione per cui dal carbonio, catturando un α, cioè un nucleo di elio, si produce un
nucleo di ossigeno. Quindi c’è il pericolo che tutto questo carbonio, così come si è creato, se ne
vada. Qui, ancora una volta, quello che è straordinario notare e che è stato scoperto per la prima
volta da Hoyle, che ha lavorato molto in questa direzione, è che il nucleo di ossigeno ha un livello
energetico ad un valore questa volta leggermente inferiore a quello dei reagenti; il che mantiene
vivo il carbonio frenando l’efficienza di questa reazione. Ancora una volta, senza questa altra
coincidenza, tutto il carbonio si sarebbe rapidamente trasformato in ossigeno nei nuclei stellari e ne
avremmo soltanto tracce estremamente rare. Vi ho parlato di Fredd Hoyle, uno dei più grandi
cosmologi che ha in particolare sviluppato questo tipo di ricerca sulla nucleosintesi e, di fronte a
quello che ha trovato, ha scritto questa cosa: “Credo che nessuno scienziato che esamini queste
evidenze potrebbe evitare di concludere che le leggi della fisica nucleare sono state deliberatamente
progettate per le conseguenze che producono all’interno delle stelle. Se è così, il mio apparente
vagare diventerebbe parte di uno schema tessuto nelle profondità, altrimenti siamo ancora una volta
di fronte ad una mostruosa sequenza accidentale.” È come se, osservando le cose come stanno, ci si
rendesse conto che attribuire alla casualità tutte queste coincidenze, con la portata che hanno nelle
conseguenze per lo sviluppo della vita così come noi la conosciamo, dice Hoyle, pone qualche
problema ad uno scienziato; viene come il sospetto che si possa guardare alla realtà naturale, alla
realtà cosmica, alla realtà fisica tenendo presente che c’è un ordine che mira a un certo risultato.
Ora, voi giustamente mi domandate: tutto sembra fatto apposta per produrre questo carbonio, ma se
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il carbonio rimane imprigionato nei nuclei delle stelle, cosa ce ne facciamo? Come mai ci troviamo
qui, se ci basiamo su questo elemento? La risposta è l’origine del nostro sistema solare, della nostra
stella e del nostro pianeta e, quindi, della materia di cui anche il nostro corpo è fatto, viene dal
materiale che è stato espulso nello spazio da stelle che hanno già attraversato fasi di evoluzione fino
a produrre carbonio, ossigeno e così via. Questo avviene nelle supernove: vedete, nel momento in
cui è stata scattata la fotografia questa è una stella apparentemente ordinaria e, un istante dopo,
improvvisamente, questa stella esplode catastroficamente, liberando nello spazio tutto il materiale
contenuto al suo interno quel materiale fabbricato e “cucinato”, come abbiamo visto, in modo così
adeguato a sviluppare la vita. Ebbene, noi siamo figli di tutta questa catena di eventi.
La prossima immagine ci fa vedere i resti di una Supernova, da cui il nostro sistema solare,
compreso il nostro pianeta, si è formato. Vorrei solo aggiungere che gli elementi più pesanti, come
il ferro, ad esempio, elementi anch’essi d’importanza fondamentale per la vita, si formano
esattamente durante queste elevate esplosioni, quando le temperature sono sufficientemente grandi
da poter innescare reazioni termonucleari con elementi così pesanti. Vedete quindi quale sequenza
di eventi sta alle spalle della realtà così come noi la conosciamo, della realtà fisica che osserviamo
intorno a noi a qualunque livello.
(altra diapositiva) Questa è un’altra immagine del sole. C’è un’altra questione fondamentale e di cui
i fisici e gli astrofisici stellari si rendono conto e studiano, cioè la stabilità delle stelle: ci sono stelle
più o meno stabili, ma evidentemente affinché la vita sulla terra possa svilupparsi adeguatamente,
occorrono dei tempi molto lunghi: sappiamo che le prime tracce di vita sulla terra risalgono a tre
miliardi di anni fa, o giù di lì, e occorre che la vita di una stella e le sue proprietà siano stabili su
scale di tempo di questo ordine di grandezza (3 mld ndS) è senz’altro il caso del sole. (altra
diapositiva) Qui si fanno vedere alcuni tipi di stelle. A seconda della massa si può risalire alla vita
media della stella quelle più piccole sono le più longeve e quelle più grandi sono quelle che
esauriscono prima il loro combustibile, anche se questo può sembrare strano. Comunque vedete che
le stelle hanno, soprattutto in questa parte, life time (tempi-scala di vita) che si misurano in vari
miliardi di anni e questo è assolutamente adeguato al fiorire della vita e alla possibilità di evolversi
della vita. Ebbene, affinché questa stabilità secolare delle stelle sia possibile, occorre, risolvendo le
varie equazioni che entrano in gioco nel descrivere la dinamica stellare, che tutto alla fine vada ad
agganciarsi a questa eguaglianza; ancora ritroviamo dei numeri che ormai ci sono famigliari;
occorre che valga questa eguaglianza: qui abbiamo la famosa αG , qui abbiamo l’α e qui abbiamo la
massa dell’elettrone e quella del protone. L’esponente sta ad indicare che questa uguaglianza è
critica, basterebbe variare di pochissimo il valore di α per compromettere tutto, e se questo
sballasse la natura, le leggi fisiche che governano gli equilibri stellari non sarebbero in grado di
mantenere a lungo l’equilibrio di una stella. Perciò, quando si vanno ad inserire i valori numerici si
trova: una concordanza straordinaria, se pensate che questo è su un’esponente di 10-39.
Evidentemente questo numero è quello che conosciamo e quest’altro numero è il prodotto che
vedete qua. E’ grazie a questa coincidenza che la vita ha avuto le condizioni per stabilirsi e per
svilupparsi; le costanti della natura sembrano fatte apposta per consentire un equilibrio fisico, anche
su fenomeni di scala astronomica, e per sostenere l’evento della vita e della vita cosciente. (altra
diapositiva) L’ultimo esempio che vi volevo fare riguarda la scala cosmica, la scala universale. Non
solo la dinamica delle stelle, come abbiamo visto, è essenziale per poter dar ragione di quello che è
capitato su questo pianeta, ma anche l’intera storia del cosmo. L’altra volta vi avevo detto che ci
sono fortissimi indizi per asserire che l’universo è una realtà in evoluzione, in espansione. Lo
spazio si espande, nel passato tutto quanto doveva essere più concentrato, la scala del tempo dietro
di noi è dell’ordine di dieci-venti miliardi di anni e, come giustamente veniva fuori nel dialogo che
era succeduto alla conferenza scorsa, l’ interrogativo è: che ne sarà del futuro? Oggi sappiamo che,
a seconda del valore di determinati parametri che si possono misurare, ma che purtroppo
conosciamo con un’insufficiente accuratezza, noi possiamo prevedere che quest’espansione potrà o
continuare indefinitamente oppure, a seconda del valore numerico di un certo parametro, rallentare
fino al punto di fermarsi e trasformarsi in una contrazione. Ora, il nostro universo ha una certa rete
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di espansione, una certa velocità è straordinario poter dire con certezza che, se questa velocità di
espansione fosse molto superiore a quella che noi osserviamo (quello che succederebbe è tracciato
dalle righe blu), l’universo si espanderebbe ad una velocità talmente grande a un certo punto
talmente grande che diventerebbe impossibile per le strutture, le galassie, le stelle, i pianeti e tutto
quanto abbiamo osservato sulla scala gerarchica di prima, fermarsi.
Se l’espansione dell’universo fosse troppo grande, sarebbe impossibile che in questo stesso
universo si formassero delle strutture e quindi difficilmente ci si potrebbe immaginare noi, in questa
stanza, a parlare. Viceversa, se il ritmo dell’espansione fosse troppo debole, l’universo andrebbe a
chiudersi su se stesso in un tempo troppo breve, così insufficiente che se stelle, che abbiamo visto
avere vite che si misurano in miliardi di anni, e tutta la storia
di questo pianeta, fino ad arrivare a noi, non avrebbero il tempo di succedere. Un universo con
un’espansione troppo debole non consentirebbe l’evoluzione stellare, addirittura se fossimo a ritmi
di espansione estremamente deboli (e a priori non c'è nessuna ragione per cui quel parametro non
debba avere quel valore), l’universo comincerebbe a contrarsi mentre è ancora nella fase bollente,
sarebbe come un aborto. (descrizione di un’immagine).
Lo slogan del titolo voleva puntare in questa direzione: l’universo è accogliente sia su questa scala
cosmica che su scale fondamentali come quelle stellari e così via. Addirittura, se l’universo avesse
avuto un tasso di espansione nelle epoche primordiali, anche piccolissimo e qui c’è un numero di
pochissimo inferiore a quello reale, sarebbe collassato su se stesso prima ancora di raffreddarsi. Con
questo livello di accuratezza, se quel parametro fosse stato diverso, in questo caso inferiore a quello
misurato, l’universo si sarebbe quasi immediatamente richiuso su se stesso; viceversa, se nei
primissimi istanti dell’espansione questo parametro fosse stato di pochissimo superiore a quello
reale, allora la formazione delle galassie, delle stelle, e dei pianeti non avrebbe potuto verificarsi.
Più si va vicino alle origini e più la sensibilità di questo parametro è grandiosa per gli sviluppi
successivi.
Fin dalle sue primissime fasi la storia dell’universo appare orientata a quella storia ricca e grande
che ha portato fino a noi.
Sono già alla conclusione e vorrei dire che l'astronomia moderna col passare del tempo ha
spodestato sempre di più il nostro pianeta dalla posizione centrale nell’universo. Prima è apparso
chiaro che il nostro è soltanto uno dei vari pianeti che girano intorno a una stella, la quale è una
delle tante stelle che popolano l’universo; dopo di che è stato chiaro che questo universo, che si
pensava essere l’universo delle stelle, in realtà era un’isola, una galassia uguale a tante galassie che
riempiono uno spazio lontano da noi in modo inimmaginabile. Dal punto di vista geografico siamo
veramente un punto marginale e questo è apparso evidente. In una posizione del tutto ordinaria in
questo universo ci sentiamo estremamente piccoli di fronte alla grandezza di quello che ci circonda.
Quello che è successo è ciò che normalmente capita e la percezione di questo fatto sembrerebbe
confermare il carattere marginale della nostra esistenza. Siccome siamo situati su un granello di
polvere, come tanti altri granelli di polvere in una spiaggia, allora noi siamo marginali. A mio
avviso è molto sommario questo genere di posizione perché non tiene conto del fatto che l’uomo,
nel panorama cosmico, nel panorama puramente naturale, rappresenta un fenomeno assolutamente
straordinario. Non sto facendo un discorso religioso e nemmeno filosoficamente orientato da un
preconcetto, sto dicendo che ciascuno di noi che dice io è un pezzo di natura assolutamente
straordinario, è un pezzo di realtà, un pezzo dentro la realtà, in cui la realtà prende coscienza di sé :
io sono cosciente di essere e sono cosciente della realtà che ho di fronte, delle stelle, delle galassie,
dell’universo. Questo è un fatto straordinario, e non può essere ricondotto alla sua marginalità
geografica. È molto interessante che di questo fatto ci siano indizi, alcuni dei quali oggi ho cercato
di offrirvi nel modo in cui è stato possibile in una chiacchierata del genere. E' interessante il fatto
che l’astrofisica, che sembrerebbe aver buttato l’uomo in un angolino senza senso, è invece la stessa
astrofisica che ci induce a renderci conto che c’è un'unità paradossalmente straordinaria in tutta la
storia dell’universo, in tutte le leggi della natura, che ci fanno quasi presagire che tutto è stato
concepito proprio in funzione dell’emergere di questo livello della coscienza della natura che è
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l’uomo. Ognuno di noi è fatto e strutturato per questa consapevolezza e per la domanda del
significato di sé e di tutto l’universo. Non c’è niente di più umano infatti di questa domanda di
significato per sé e per l’universo. Se noi siamo effettivamente il punto cruciale della creazione, se
noi siamo effettivamente il punto più alto per cui tutto è stato concepito, allora è molto seria la
questione di quello che è importante per noi, perché quello che è importante per noi evidentemente
è la ragione per cui tutto è stato concepito.
Domanda: Qual è la posizione, mediamente, degli altri astrofisici riguardo a queste cose?
Risposta: Diciamo che l'astrofisico é un essere umano come tutti gli altri e come in tutte le cose si
riscontrano una grande varietà di posizioni. Di fronte a questi fatti ci si può porre in una posizione
di dubbio o maledicente la realtà, così come in ogni altro caso. Quello che voglio dire è che, così
come di fronte ad un proprio figlio, che è uno spettacolo, una sorpresa, un mistero non minore di
tutte queste cose, si può avere una posizione di dubbio e di ostilità, così la si può avere anche di
fronte alla realtà cosmica. Intendo dire che c’è un livello primordiale di libertà della ragione di
fronte al reale in quanto tale che poi decide la posizione da assumere. Diciamo che, ad ogni modo,
il fatto che ci siano delle evidenze nella direzione di cui ho dato soltanto qualche accenno oggi, è
oggetto di grande dibattito in cui evidentemente, magari in modo implicito, viene fuori per
l’astrofisico, forse più facilmente che in altri casi, quell’esigenza di dare un senso a tutto questo.
Ripeto: quello che domina fondamentalmente è qualcosa di cui ciascuno di noi fa esperienza, cioè
l’adesione ad una realtà intuita come positiva oppure ad una realtà non intuita e vista come qualcosa
di indifferente o di ostile.
Domanda: Quello che ci ha fatto vedere non è in contraddizione col fatto che la vita possa esserci
in altri sistemi stellari, in altri luoghi dell’universo!
Risposta: È vero, non c’è nulla di contraddittorio nel credere che la vita possa emergere altrove.
Volevo solo sottolineare una cosa: è chiaro che, anche a noi non solo occorrono delle condizioni
locali perché si sviluppi la vita, ma occorrono e sono occorse delle condizioni cosmiche. Noi siamo
in una dimora globale, non siamo in un microsistema avulso da tutto il resto. Se noi siamo potuti
diventare quello che siamo è grazie ad una unità in questa storia. Riguardo al fatto che ci possa
essere della vita altrove, io personalmente non ho nessun problema. Neanche S. Tommaso aveva
nessun problema.
Domanda: Noi misuriamo oggi i valori di queste costanti con determinati valori numerici, ma chi ci
dice che miliardi di anni fa all’origine dell’universo o eventualmente in un futuro lontano il valore
di queste costanti fosse lo stesso che misuriamo oggi?
Risposta: Ottima considerazione. Infatti ci sono proprio dei casi in cui astrofisici si sono messi
proprio in quest’ottica cercando di reinterpretare determinate fasi della storia dell’universo proprio
ammettendo ad esempio una variazione in G, la costante di gravitazione. Tuttavia ci sono dei
serissimi problemi sia dal punto di vista teorico, nel senso che le cose si complicano in una maniera
esasperata, sia da un punto di vista osservativo, e il motivo è che quello che noi osserviamo, quando
guardiamo nelle profondità dello spazio, è l’universo come era. Noi possiamo in diretta renderci
conto, fotografare, misurare le cose come erano, anzi questo è inevitabilmente così. Il motivo è
ovvio: quando osservo la luce che mi arriva da una galassia che è lontana 5 miliardi di anni luce, la
luce che osservo ha viaggiato per 5 miliardi anni e quindi mi porta un messaggio che descrive
l’universo di 5 miliardi di anni fa, una frazione consistente della storia dell’universo. Quindi
diciamo che ci sono degli agganci osservativi che permettono di discriminare questa questione, ma
l’osservazione è buona. In questo momento è veramente difficile conciliare un ipotesi del genere
con quanto si osserva, se non impossibile.
Domanda: Il nostro sistema solare è frutto dell’esplosione di una Supernova?
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Risposta: Sì, nel senso che la nube originaria da cui il nostro sistema solare si è originato, è di
seconda generazione e noi ne siamo certi proprio perché osserviamo nello spazio locale una certa
abbondanza di elementi pesanti come il carbonio, ferro, ossigeno e uranio si possono formare
esclusivamente nell’istante dell’esplosione della Supernova e, come ho cercato di dirvi, anche il
carbonio di cui siamo fatti ha potuto entrare a far parte di un pianeta e non rimanere intrappolato nel
nucleo di una stella proprio per l’esplosione di questa stella. Naturalmente dall’esplosione al
sistema solare così come lo conosciamo sono passati diversi miliardi di anni.
Domanda:
Risposta: Quello che è l’uomo non ce lo può dire né la scienza, né l’astrofisica. Quello che l’uomo
è si può cercare di imparare osservandolo in azione, nel modo in cui agisce. Per quale motivo
l’uomo è fragile, è una domanda che sta a un livello di conoscenza che implica un metodo diverso
da quello scientifico. Detto questo ti posso dire quello che penso io. Io osservo che la fragilità
dell’uomo è un fatto costitutivo dell’uomo, non è la conseguenza di una nostra volontà o coerenza o
capacità. Mi sembra che proprio come il desiderio di conoscere, di domandare un significato e di
abbracciare la realtà in quanto cosa esistente davanti a me fa parte della nostra natura, così di questa
natura fa parte la fragilità di cui tu parli.
Intervento: Queste grandezze che sono state esaminate hanno concorso a formare la vita, ma non
necessariamente la vita deve essere cosciente e anche se non è cosciente è straordinaria.
Domanda: È giusto, non c’è nessuna evidenza diretta che si agganci sul livello cosciente della vita.
D’altra parte, questo introduce sicuramente un giudizio anche mio, ma vi inviterei ad osservare il
fatto che di fronte alla obiettiva superiorità qualitativa della vita cosciente rispetto alla vita non
cosciente mi sembra irragionevole non prendere sul serio l’ipotesi che lo scopo della vita non
cosciente è quello di dare il contesto perché la coscienza avvenga.
C’è, in secondo luogo, un’altra osservazione che vorrei fare: vita-non-cosciente potrebbero essere le
alghe in fondo al mare, perché la vita abbia potuto svilupparsi e diventare grande e potente fino a
questo punto, abbiamo visto, sono occorsi miliardi di anni. Da questo punto di vista, l’accoglienza
dell’universo quanto meno arriva ad ammettere questa possibilità. Le condizioni cosmiche per cui
la vita si è sviluppata avrebbero potuto essere tali da consentire soltanto i primi brandelli di vita e
invece, come abbiamo visto, è congeniale allo sviluppo ad altissimo livello di questa vita.
Domanda: Un uomo potrebbe essere un microcosmo all’interno del quale determinati elementi
vedono l’infinito?
Risposta: C’è una frase di San Tommaso che dice che l’uomo è in qualche modo un tutto. L’io, più
precisamente, è in qualche modo un tutto. Allora l’uomo di fronte alla realtà è coscienza della realtà
e domanda di infinito. Se dire che l’uomo è un microcosmo vuol dire questo, cioè se vuol dire che
l’uomo è il punto di coscienza della realtà, che domanda un significato che è oltre la realtà
sensibile, allora sì, possiamo dirlo. E’ un po’ strana come terminologia, ma possiamo dire un
“microcosmo”. A me piace di più dire che l’io è in qualche modo un tutto.
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