CancerStat Umbria Anno VI No. 1 Registro Tumori Umbro di Popolazione Gennaio 2015 ISSN 2039-814X Registro Nominativo delle Cause di Morte Registro Regionale dei Mesoteliomi Direttore: Fabrizio Stracci Coordinatore scientifico: Francesco La Rosa Dipartimento di Medicina sperimentale. Sezione di Sanità Pubblica. Università degli Studi di Perugia. Percorsi clinico-assistenziali della paziente con tumore della mammella G. Antonini Regione dell’Umbria. Direzione regionale Salute, coesione sociale e società della conoscenza CancerStat Umbria Registro Tumori Umbro di Popolazione Registro Nominativo delle Cause di Morte Registro Regionale dei Mesoteliomi Direttore: Fabrizio Stracci Coordinatore scientifico: Francesco La Rosa Collaboratori: Anna Maria Petrinelli Daniela Costarelli Fortunato Bianconi Valerio Brunori Alessio Gili Silvia Leite Chiara Lupi Daniela Mogini Rosaria Palano Maria Saba Petrucci Regione dell’Umbria. Direzione regionale Salute, coesione sociale e società della conoscenza Emilio Duca Paola Casucci Mariadonata Giaimo Anno VI No. 1, Gennaio 2015 ISSN 2039-814X Codice CINECA-ANCE E205269 Pubblicato da: Registro Tumori Umbro di Popolazione Dipartimento di Medicina sperimentale. Sezione di Sanità Pubblica. Università degli Studi di Perugia. Via del Giochetto 06100 Perugia Tel.: +39.075.585.7329 - +39.075.585.7366 Fax: +39.075.585.7317 Email: [email protected] URL: www.rtup.unipg.it Le proposte di pubblicazione debbono essere inviate a: [email protected] Percorsi clinico-assistenziali della paziente con tumore della mammella Giacomo Antonini Unità operativa di Chirurgia, Ospedale di Castiglione del Lago, Uslumbria1 CancerStat Umbria 2015;6(1):1-82. INDICE Introduzione Dati epidemiologici Fattori di rischio e screening Sintesi delle indicazioni agli accertamenti senologici Inquadramento diagnostico Ruolo dell’esame clinico Ruolo della mammografia Ruolo della medicina nucleare Ruolo dell’anatomia patologica Classificazione istologica Classificazione molecolare - Profili genici Classificazione secondo il sistema TNM Fattori prognostici Esami richiesti per la stadiazione Ruolo della comunicazione alla paziente Ruolo della chirurgia Ruolo delle terapie sistemiche Ruolo della radioterapia Ruolo della riabilitazione I trattamenti Trattamento della malattia iniziale Carcinoma in situ e microinvasivo Carcinoma infiltrante operabile Carcinoma localmente avanzato o non operabile Carcinoma infiammatorio Tumori localmente avanzati non operabili Carcinoma occulto Sarcoma mammario Malattia di Paget Trattamento della recidiva locoregionale e dello Stadio IV Recidiva loco regionale Stadio IV Carcinoma mammario nella donna anziana Carcinoma mammario bilaterale Carcinoma mammario maschile Carcinoma mammario in gravidanza Carcinoma mammario e mutazioni nei geni BRCA1/2 Gestione del rischio aumentato in donne con mutazione BRCA1/2 Trattamento delle pazienti con mutazione BRCA1/2 e diagnosi di carcinoma mammario Gestione del Follow Up Algoritmi Bibliografia consultata 1 pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. 2 3 4 11 14 14 15 19 20 24 26 27 31 32 32 33 41 49 56 59 60 64 64 65 66 66 67 67 68 68 68 69 70 71 71 71 73 75 76 77 79 81 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA INTRODUZIONE di Trials randomizzati. La complessità e la natura multidisciplinare del percorso di diagnosi e cura della paziente affetta da tumore della mammella richiedono il coinvolgimento e l’attività congiunta e coordinata di diversi professionisti, qualificati e con specifica formazione nel trattamento della patologia. La valutazione della paziente dovrebbe essere effettuata collegialmente da un gruppo di specialisti dedicati quali radiologo, anatomopatologo, chirurgo, radioterapista oncologo e oncologo medico che, analizzati i dati anatomopatologici, clinici e radiologici, individui il miglior trattamento, finalizzato anche all’ottenimento di un risultato estetico soddisfacente. Sono molte le linee-guida esistenti a livello nazionale e internazionale sul management delle pazienti affette da tumore della mammella. Rispetto alle raccomandazioni di carattere più strettamente cliniche, questa linea-guida si basa sulle migliori linee guida e raccomandazioni delle società scientifiche basate su prove scientifiche di efficacia. Uno sforzo particolare nella formulazione delle raccomandazioni e soprattutto nella gradazione della loro "forza" è stato fatto per tenere conto delle effettive possibilità offerte dal contesto organizzativo assistenziale locale. Per ogni capitolo principale di questa linea-guida (informazione, diagnosi, terapia chirurgica, radiante e medica, follow-up e trattamento della malattia in fase avanzata) sono stati inoltre esplicitati i benefici ottenibili attraverso l’aderenza ai comportamenti raccomandati e gli indicatori di monitoraggio necessari per gli studi di “audit” i quali cercheranno di descrivere annualmente il grado di applicazione delle raccomandazioni. La stesura di questo documento è stata effettuata tenendo conto della più recente letteratura. Nella bibliografia sono illustrate le fonti dalle quali è stata estratta questa pubblicazione. Il carcinoma della mammella è il tumore più frequente nel sesso femminile ed è la principale causa di morte nelle donne occidentali fra i 40 e i 50 anni. Negli ultimi anni si è registrata nella nostra Regione, come in molti Paesi Occidentali, una significativa riduzione della mortalità. Questo risultato è stato raggiunto grazie ai progressi terapeutici e alla diagnosi precoce, alla quale ha contribuito la diffusione degli screening mammografici. Dal tempo di Halsted, il trattamento chirurgico del carcinoma mammario è radicalmente cambiato. Il numero degli interventi chirurgici demolitivi si è progressivamente ridotto e sono stati attuati approcci chirurgici conservativi sia a livello mammario che linfonodale. Questi risultati sono stati raggiunti anche attraverso una costante integrazione con la chirurgia plastica e da ciò è nata la chirurgia oncoplastica che ha come obiettivo soddisfare tutti i principi della buona cura, che vanno dalla corretta informazione alla programmazione multidisciplinare, all’esecuzione di un intervento integrato che conduca alla radicalità oncologica con un ottimo risultato estetico e che si dimostri, alla luce degli indicatori oncologici, sicuro e stabile. L’eccellente controllo della malattia e l’ottimo risultato estetico sono stati possibili anche grazie all’utilizzo di una moderna radioterapia sempre più “targeted” legata alla innovazione tecnologica avvenuta in questo campo (radioterapia tridimensionale conformata, radioterapia stereotassica, radioterapia a intensità modulata, radioterapia intraoperatoria, radioterapia guidata dall’immagine e tomoterapia). Contemporaneamente all’evoluzione tecnologica si è assistito anche a una evoluzione della terapia medica (ormonoterapia, chemioterapia, terapie antiangiogenetiche e terapie a target molecolare) divenuta “tailored” che, in associazione con le altre due metodiche sopracitate, ha contribuito al miglioramento della qualità della cura. Tutto questo è stato confermato da recenti metanalisi 2 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA DATI EPIDEMIOLOGICI costante diminuzione, in particolare nelle fasce di età 50-69 anni, sia grazie alla diagnosi precoce che al miglioramento delle terapie. L’incidenza tra le più giovani è in aumento. In Umbria la sopravvivenza per cancro della mammella a 5 anni dalla diagnosi è dell’84%. Incidenza In Italia, il tasso di incidenza standardizzato di tumore della mammella nelle donne è 114/100.000/anno e il tasso di mortalità standardizzato è 24/100.000/anno. Si stima che nel 2013 verranno diagnosticati nel nostro paese circa 48.000 nuovi casi di carcinoma della mammella, di cui solo il 2% nei maschi. Escludendo i carcinomi cutanei, il carcinoma mammario è la neoplasia più diagnosticata nelle donne, in cui circa un tumore maligno ogni tre (29%) è un tumore mammario. I tumori della mammella rappresentano il tumore più frequentemente diagnosticato tra le donne sia nella fascia d’età 0-49 anni (41%), sia nella classe d’età 50-69 anni (36%), sia in quella più anziana ≥70 anni (21%). Le differenze tra macroaree osservate nel periodo 2006-2009 mostrano una maggiore incidenza al Nord (124,9 casi/100.000 abitanti) rispetto al Centro (100,3 casi/100.000 abitanti) e al Sud-Isole (95,6 casi/100.000 abitanti). Prevalenza Nell’area AIRT (coperta da registri Tumori di Popolazione) sono stati diagnosticati in media ogni anno 152,0 casi di tumore della mammella ogni 100.000 donne. I tassi di incidenza sono abbastanza omogenei tra le varie aree italiane con un rapporto fra i tassi più elevati e quelli più bassi inferiore a 2. I tassi di incidenza più bassi si osservano, generalmente, nelle aree del Sud Italia. Una parte delle differenze che si osservano fra le aree può essere legata a una diversa diffusione dei programmi di screening mammografico. Complessivamente in Italia vivono 522.235 donne (stima per l’anno 2006) che hanno ricevuto una diagnosi di carcinoma mammario, pari al 41,6% di tutte le donne che convivono con una pregressa diagnosi di tumore e pari al 23% di tutti i lungo sopravviventi (uomini e donne). Tra queste 522.235 donne, la diagnosi è stata formulata da meno di 2 anni nel 16% dei casi, tra i 2 e 5 anni nel 21%, tra i 5 e 10 anni nel 25%, oltre i 10 anni nel 38%. Il cancro della mammella in Umbria L’incidenza del cancro della mammella mostra un picco nel biennio 2000-2001, risultato dell’avvio dei programmi di screening a partire dal 1997, per poi diminuire (tabella 1). La mortalità è in Tabella 1. Numero annuo di casi, tassi grezzi e standardizzati (pop. ital. 2001) di incidenza e mortalità 2006-2008 del cancro della mammella femminile, per ASL, Regione Umbria. 3 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA La proporzione di questa casistica è maggiore nelle donne con età oltre i 75 anni (4.984 persone ogni 100.000 abitanti, il 14% in più della classe 60-74 e oltre il doppio rispetto alle 45-59enni) e nel Nord Italia (2.331/100.000 nel Nord-Ovest, 2.052/100.000 nel Nord-Est, 1.795/100.000 nel Centro e 1.151/100.000 nel Sud-Isole). Le differenze osservate dipendono da quelle esistenti nell’incidenza e nella sopravvivenza delle varie aree. Minime appaiono le differenze proporzionali di prevalenza del 2006 (23%) rispetto al 1992 (22%.) Le stime per l’Italia indicano un totale di 36.634 nuovi casi diagnosticati nel nostro paese, mentre per quanto riguarda la mortalità nel 2002 si sono verificati 11.251 decessi per tumore della mammella femminile. Un terzo dei tumori diagnosticati ogni anno alle donne riguardano la mammella. Una donna ogni otto, di età compresa tra 0 e 84 anni, si ammalerà di cancro della mammella e una ogni 33 ne morirà. L’incidenza del tumore della mammella è in crescita nel corso del tempo, mentre la mortalità è in riduzione. I più rappresentati sono i carcinomi duttali infiltranti (65%), seguiti dai carcinomi lobulari (13%), i tumori maligni (7%), i carcinomi duttali e lobulari in situ (3%) e i carcinomi NAS (3%). La diagnosi di cancro della mammella è soprattutto istologica (91%), citologica (4%), clinica (4%) e più raramente attraverso il certificato di morte (1%). circa il 5% delle donne e degli uomini con diagnosi di carcinoma della mammella presenta metastasi al momento della diagnosi; 25-30% dei pazienti sviluppa metastasi nei successivi 10 anni dalla diagnosi; recidiva della malattia: circa un terzo dei pazienti sviluppa una recidiva. Mortalità Nel 2013 il carcinoma mammario rappresenta la prima causa di morte per tumore nelle donne, con circa 12.500 decessi stimati, al primo posto anche in diverse età della vita, rappresentando il 28% delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21% tra i 50 e i 69 anni e il 14% dopo i 70 anni. Dalla fine degli anni Ottanta si osserva una moderata ma continua tendenza alla diminuzione della mortalità per carcinoma mammario (-1,6%/anno), attribuibile all’efficacia dello screening, almeno in alcune fasce d’età, oltre ai progressi terapeutici, in particolar modo alle terapie multimodali. FATTORI DI RISCHIO E SCREENING Fattori di rischio Il fattore di rischio è una qualsiasi condizione capace di influenzare il rischio di una persona di sviluppare una determinata malattia. Il fattore di rischio può derivare da una scelta di vita (ad esempio la dieta), da una caratteristica personale (ad es. età del menarca) o da una esposizione ambientale (ad es. radiazione ionizzante). I ricercatori si riferiscono a persone come "esposte" a bere alcolici, a un menarca precoce, all'obesità o alle sostanze chimiche presenti nell'ambiente. Il concetto di esposizione è importante per determinare se le associazioni osservate potrebbero essere causali o meno. Una relazione dose-risposta dove il rischio aumenta con livelli crescenti di esposizione è un aspetto importante della forza di un'associazione tra rischio e malattia. Il carcinoma della mammella è il tumore più comune nel sesso femminile, rende conto di circa il 28% dei tumori nelle donne e del 16% dei decessi per cancro. Il rischio “life-time” di sviluppare il carcinoma mammario è pari a 10-11% della popolazione femminile. 5-15% delle donne con carcinoma della mammella ha una storia familiare della stessa malattia. carcinoma mammario avanzato: 4 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Fattori noti per essere associati con un aumentato moderatamente a fortemente il rischio di cancro al seno Una serie di fattori è associata a un aumentato rischio ammalare di cancro al seno; cioè, sono più comuni per le donne con cancro al seno rispetto a quelle senza malattia. Questi fattori non sono necessariamente "cause" del tumore al seno. Alcuni sono marcatori per altri fattori ancora sconosciuti o sospetti che influenzano il rischio. Storia familiare La storia familiare è un fattore di rischio di cancro al seno importante e ben noto. Le donne con una madre, sorella o figlia con cancro alla mammella hanno mediamente due volte il rischio di chi non ha familiari di primo grado con diagnosi di questa malattia. Il rischio aumenta con il numero di parenti di primo grado affetti e, quando tre o più parenti di primo grado sono interessati, il rischio diventa superiore a tre volte rispetto alle donne senza parenti di primo grado ammalati. Il rischio connesso con la storia familiare aumenta quando i parenti con cancro al seno manifestano la malattia in giovane età e quando la famiglia è di origine ebraica. L'associazione tra storia familiare e il cancro al seno potrebbe indicare che le donne condividano gli stessi fattori ambientali o di stile di vita, ovvero che condividano i fattori genetici correlati a un maggior rischio di cancro mammario. Ci sono alcune mutazioni esiziali rare in geni come BRCA1 e BRCA2 che sono associate a un alto rischio di malattia. Una storia familiare di cancro ovarico aumenta il rischio di cancro al seno in quanto il rischio di cancro ovarico è anche associato con questi geni. Inoltre, varianti comuni in altri geni sono associate ciascuna con un aumento discreto del rischio. Sesso (genere) Essere una donna è il forte fattore di rischio per il cancro al seno: infatti le donne hanno 100 volte più probabilità di sviluppare il cancro al seno rispetto agli uomini. Non tutte le donne si ammalano di cancro al seno, né tutti gli uomini ne sono immuni. Il genere è quindi un marcatore di eventi ed esposizioni che accadono più spesso o più fortemente per le donne rispetto agli uomini. Età L'aumentare dell'età è uno dei fattori di rischio a maggiore impatto per sviluppare il cancro al seno. Anche se il cancro al seno può verificarsi primi anni di vita, in generale è una malattia legata all'invecchiamento. Per una donna di 30 anni il rischio è di circa 1 a 250, mentre per una donna di 70 anni, è di circa 1 a 30. La maggior parte dei tumori al seno è diagnosticata dopo la menopausa; circa il 75% dei casi di carcinoma mammario si verifica dopo 50 anni di età. L'età è considerata essere una causa probabile per danni al DNA accumulati durante la vita. Condizioni del seno Le donne con diagnosi di cancro mammario invasivo sono a 2-6 volte a rischio rispetto alla popolazione generale di sviluppare il cancro nella mammella controlaterale. Vi sono anche una serie di condizioni mammarie preinvasive associate a un aumentato rischio di ammalarsi. Queste includono il carcinoma duttale in situ, il carcinoma lobulare in situ e l’iperplasia duttale atipica. La densità mammografica della struttura mammaria sta emergendo come un forte fattore di rischio per il cancro al seno. Donne che hanno il più alto grado di densità del seno hanno un rischio maggiore di ammalarsi compreso tra 4-6 volte rispetto alle donne con poca o nessuna densità mammografica. Afferenza geografica Il cancro al seno si manifesta più frequentemente nelle popolazioni ricche e occidentali, e in sottopopolazioni di più alto status socioeconomico all'interno dei diversi paesi. Questo suggerisce che i fattori di stile di vita legati alla occidentalizzazione e benessere sono associati a un aumentato rischio di cancro al seno. 5 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Estrogeni endogeni Le donne in postmenopausa con alti livelli circolanti di estrogeni (donne con livelli superiori posti nel 20% dei limiti alti rispetto alla norma per l'età) hanno un aumento del rischio di cancro al seno doppio rispetto alle donne con bassi livelli di estrogeni circolanti. donne con livelli intorno an 25% de livelli minimi). • esposizione del feto in utero al Dietilstilbestrolo per assunzione dell'ormone da parte della madre. I fattori associati a un ridotto rischio (< 0,8) includono: • parità (avere partorito un figlio vs nulliparità) • prima età al primo parto (<25 anni vs > 29 anni) • durata dell'allattamento (durata complessiva di almeno 12 mesi vs no allattamento al seno) • numero di parti (≥ 4 vs 1). Altri fattori noti per essere associati con un rischio per il carcinoma della mammella moderatamente aumentato o diminuito Fattori ormonali Fattori come la storia riproduttiva, la storia mestruale, l’età della menopausa e l'uso di ormoni esogeni sono associati al rischio di cancro al seno, anche se questi hanno una più modesta influenza sul rischio che i fattori di cui sopra esprimono. Questo suggerisce che gli ormoni, sia esogeni (comunque assunti) che endogeni (prodotti dal proprio organismo), sono coinvolti nella determinazione del rischio di cancro al seno. Fattori personali e stile di vita (modificabili) Un certo numero di fattori personali e di stile di vita è associato al rischio di ammalarsi di cancro al seno, alcuni dei quali sono modificabili. I fattori associati con un modesto aumento del rischio (> 1,25-2 volte) includono: • statura più alta (≥ 175 cm vs <160 cm) • sovrappeso e obesità per le donne in postmenopausa (indice di massa corporea >25 kg/m2 vs <21 kg/m2) • consumo di alcool (tre o più bicchieri standard al giorno rispetto a nessuno) • una precedente storia personale di alcuni tipi di cancro non mammario: melanoma, colon, ovaio, endometrio e cancro e tiroide. • alte dosi di radiazioni ionizzanti, soprattutto prima dei 20 anni. I fattori associati con un modesto aumento del rischio (1,25-2 volte) includono: • età alla menopausa (sopra i 55 anni vs 55 anni o meno). • uso della terapia ormonale sostitutiva combinata (utenti trattati vs mai trattati). • utilizzo della pillola contraccettiva orale (vs mai; il rischio si riduce alla normalità dieci anni dopo la cessazione dell'uso). • giovane età al menarca (inizio delle mestruazioni di età inferiore ai 12 anni vs 12 anni o più). • alti livelli circolanti di androgeni (donne con livelli intorno al 20% dei livelli massimi di riferimento vs donne con i livelli del 20% nella scala dei livelli minimi sia per le donne in postmenopausa che per le donne in premenopausa). • alti livelli circolanti di fattori di crescita insulinosimile, IGF-1 e IGFBP-3 (le donne con livelli intorno al 25% rispetto ai valori massimi vs I fattori associati a un ridotto rischio (< 0,8) includono: • Attività fisica (due ore o più di camminata veloce o equivalente a settimana vs alcuna attività). Fattori che non hanno dimostrato di avere un impatto sul rischio di tumore al seno Per una serie di fattori non ci sono prove a sostegno di una associazione con il rischio di ammalarsi di cancro della mammella. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che non vi sono 6 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA effettivamente rischi concreti o che vi siano studi di scarsa qualità o con risultati contrastanti tra loro. Questi fattori includono: • interruzione di gravidanza o aborto. fumo di tabacco • inquinanti ambientali. • indossare un reggiseno o diversi tipi di reggiseno. • protesi al silicone. • utilizzo di deodoranti ascellari o antitraspiranti. • stress storia familiare di carcinoma mammario e/o carcinoma ovarico (nonna, madre, sorella) età (il rischio aumenta con l’aumentare dell’età) precedente radioterapia toracica (soprattutto se eseguita prima dei 30 anni) storia personale di tumore della mammella precedenti patologie mammarie (iperplasia atipica, carcinoma lobulare in situ) anomalie mammografiche (microcalcificazioni) precursori di carcinoma mammario (ad esempio iperplasia atipica, carcinoma lobulare in situ, carcinoma duttale in situ) aumento della densità del seno nulliparità terapia ormonale sostitutiva (HRT) uso corrente o recente di contraccettivi orali età più avanzata al primo parto mancato allattamento al seno prima gravidanza a termine in età più avanzata (>30 anni) vita fertile lunga (menarca precoce, menopausa tardiva) stile di vita (obesità, scarsa attività fisica, uso di alcool, elevato consumo di carboidrati e grassi saturi) sovrappeso fattori genetici: il 5-7% dei tumori mammari è legato a fattori ereditari. -Mutazione di BRCA1 e/o BRCA2 (presenti nei 2/3 dei casi) -Mutazioni del gene ATM 3 (Ataxia Telangiectasia Mutated 3) o del gene CHEK2 4 -Sindrome di Li-Fraumeni (mutazione di p53) -Sindrome di Cowden (mutazione del gene PTEN) -Altre sindromi: atassia-teleangectasica, sindrome di Peutz-Jeghers. Screening Lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario si rivolge alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni e si esegue con una mammografia ogni 2 anni. In alcune Regioni si sta sperimentando l’efficacia in una fascia di età più ampia, quella compresa tra i 45 e i 74 anni (con una periodicità annuale nelle donne sotto i 50 anni). La totalità dei programmi di screening italiani è basata sull’invito attivo della popolazione bersaglio tramite lettera personalizzata. Il test di primo livello utilizzato è la mammografia a doppia proiezione che viene offerto ogni due anni alle donne tra i 50 e i 69 anni. La mammografia offerta gratuitamente ogni 2 anni, è il test di screening in grado di ridurre del 35% il rischio di morire per un cancro alla mammella e identificare o l'85% dei tumori in fase preclinica (prima che si manifestino con i sintomi o alla palpazione) e quindi in una fase in cui gli stessi sono facilmente aggredibili con interventi non invasivi e in gran parte risolutivi. La mammografia è un esame radiologico idoneo per lo studio della mammella, efficace per identificare precocemente i tumori del seno in quanto consente di identificare i noduli anche di piccole dimensioni non ancora percepibili al tatto. I programmi organizzati di screening prevedono che l’esame venga eseguito visualizzando la mammella sia dall’alto verso il basso che lateralmente. Una maggiore accuratezza nella diagnosi viene ottenuta dalla valutazione della mammografia effettuata separatamente da 2 medici radiologi. Tra gli screening offerti dal 7 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Servizio Sanitario Nazionale, quello per la diagnosi precoce del cancro al seno è quello che all’interno della comunità scientifica è più dibattuto per il rischio di “sovradiagnosi” ossia di identificare anche lesioni tumorali a crescita lenta, che non avrebbero portato a morte la donna. L’identificazione di queste particolari forme tumorali comporta l’esposizione della donna ad approfondimenti diagnostici anche invasivi e al trattamento per una lesione che non si sarebbe mai trasformata in un tumore invasivo. Tuttavia, i vantaggi che una donna ottiene sottoponendosi al percorso di screening, sono più ampi rispetto a questo rischio. Un ampio studio pubblicato dal Journal of Medical Screening nel settembre 2012, il quale ha passato in rassegna le ricerche pubblicate sui programmi di screening per il cancro al seno attivi in Europa, ha mostrato che la mortalità si riduce del 25% per le donne che si sottopongono allo screening. Per ogni 1.000 donne di età tra i 50 e i 69 anni sottoposte regolarmente ai programmi di screening e seguite fino a 79 anni di età, lo screening permette di salvare tra 7 e 9 vite e “produce” 4 casi di possibile sovradiagnosi. L’efficacia dimostrata in diverse metanalisi dello screening nel ridurre la mortalità è del 20-30%. La riduzione della mortalità conseguente all’esecuzione della mammografia è dell’ordine del 40%. Il programma di screening richiede per ogni donna l’esecuzione di 10 test mammografici. La sensibilità del test di screening non è ottimale, soprattutto nelle donne più giovani (tra 40 e 49 anni). L’efficacia del programma è condizionata dai limiti della mammografia e non identifica circa quinto dei tumori della mammella che in genere compaiono nell’intervallo tra la mammografia di screening eseguita e la successiva programmata dopo 2 anni. Non è stato dimostrato che uno screening annuale conferisca un maggior vantaggio di quello effettuato ogni due anni. I dati noti non consentono di confermare con certezza l’utilità dello screening condotto nelle donne di età compresa tra 40 e 49 anni. Lo screening risulta efficace nel ridurre la mortalità in tutte le fasce di età, ma il vantaggio diminuisce rapidamente con l’aumentare dell’età e della comorbidità. Numerosi studi hanno mostrato una spiccata variabilità nella capacità di lettura e interpretazione da parte dei radiologi, in gran parte compensata dalla doppia lettura del test di screening. (Linee Guida per lo Screening della Mammella, Ministero della Salute). E’ fortemente raccomandata l’esecuzione del test presso centri dotati di mammografi che emettano basse dosi di radiazioni e che garantiscano standard elevati di qualità (Mammografy Quality Standards Act). Gli studi randomizzati hanno dimostrato che lo screening ha comportato un aumento del 30% nel numero di donne a cui è stato diagnosticato un tumore al seno e che per questo si sono sottoposte a terapie, rispetto al gruppo di donne non sottoposte a screening. Questo alto livello di diagnosi eccessiva si può riscontrare anche in studi sulla popolazione dei paesi europei, di Stati Uniti, Canada e Australia. Una revisione sistematica dei paesi che offrono lo screening di routine ha registrato un eccesso di diagnosi del 52% rispetto ai valori considerati nella norma. Alcuni studi provenienti dagli Stati Uniti, Svezia e Norvegia sostengono che metà o più dei tumori individuati dallo screening sarebbe scomparsa spontaneamente senza alcuna terapia. Inoltre, la maggior parte delle trasformazioni iniziali delle cellule evidenziate allo screening (carcinoma in situ) sono innocue, in quanto non sarebbero mai progredite fino a divenire un tumore invasivo. Per quanto riguarda il tasso italiano di adesione, si evidenzia dalla tabella sottostante che pur esistendo ancora una certa disomogeneità territoriale soprattutto tra le aree del CentroNord e quelle del Sud Italia (che solo recentemente hanno visto una crescita dell’attività) la progressione è stata lenta ma costante su tutto il territorio (tabella 2). 8 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA beneficiare dell’interessamento attivo e della sollecitazione a partecipare del medico di fiducia. L’impostazione dei programmi di screening comporta per definizione il monitoraggio dell’intervento in tutti i suoi momenti per migliorare gli aspetti organizzativi, tecnici e professionali e tenere la più bassa possibile la percentuale di falsi negativi aumentando così la qualità del test e, conseguentemente, la sua sensibilità. Molto utile a tale fine risulta il monitoraggio dei cancri di intervallo come strumento di valutazione di qualità del programma, verifica e miglioramento delle prestazioni nell’ottica dell’apprendimento degli errori. Secondo le Linee Guida Europee, il cancro di intervallo è un carcinoma diagnosticato in seguito a un processo di screening negativo che compaia prima del passaggio al round di screening successivo. Nella sua definizione classica è un cancro diagnosticato entro due anni da una mammografia di screening negativa. La frequenza di comparsa nel tempo dei cancri intervallo si misura comunemente come la frazione (incidenza proporzionale) di CI osservati rispetto ai cancri della mammella attesi in assenza di screening (incidenza di base). Questo indicatore fornisce immediatamente il calcolo della sensibilità del test di screening per ogni programma. Le donne con un test sospetto vengono richiamate a effettuare una sessione di approfondimento durante la quale si effettuano test aggiuntivi (mammografia in altre proiezioni, ecografia, agobiopsia, ecc.) secondo il dubbio evidenziato nell’esame precedente. Vi è un generale accordo circa l’utilità di eseguire lo screening mammografico nella fascia d’età 50-69 anni, rimane aperto il dibattito relativo alle altre fasce d’età (in particolare quella 40-49 anni) e circa la cadenza ottimale (Tabelle 3,4). Tabella 2. Estensione effettiva relativa al biennio 2007-2008 dei programmi di screening rispetto alla popolazione bersaglio, età 50-69, programmi attivi nel 2008. Comunicazione All’adesione consapevole delle donne allo screening contribuisce un’adeguata strategia di comunicazione che, avvalendosi delle evidenze scientifiche disponibili, sia in grado di garantire la presentazione degli aspetti positivi del programma ma anche dei possibili limiti ed effetti negativi. La comunicazione dovrà altresì rendere disponibili adeguati strumenti comunicativi fra i quali rientra una lettera di invito adeguata con tutte le informazioni necessarie alla acquisizione consapevole del consenso informato. Elemento fondamentale di sensibilizzazione delle donne è il coinvolgimento dei medici di medicina generale ai quali dovrebbero essere trasmessi, mediante specifico modulo da Software portale d e l l e a z i e n d e s a n i t a r i e per i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, gli elenchi delle assistite invitate che non hanno aderito all’invito e i risultati delle donne che hanno aderito, al fine di 9 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Tabella 3. Principali indicatori diagnostici per primi esami e successivi e relativi standard, per regione e area. Anno 2008. Autopalpazione: non evidenza di efficacia nello screening. Valutazione clinica della mammella: non evidenza di efficacia nello screening. Ecografia: non evidenza di efficacia nello screening. Non è nota al momento la quantificazione degli effetti collaterali negativi derivanti dall’applicazione dell’ecografia mammaria allo screening (falsi positivi, aumento degli interventi chirurgici per sovradiagnosi). Mammografia bilaterale (popolazione generale): donne in fascia d’età 50-69 anni: mammografia con cadenza biennale; donne in fascia d’età 40-49 anni: la mammografia andrebbe eseguita personalizzando la cadenza (in corso studi) nel singolo individuo sulla base anche dei fattori di rischio quali la storia familiare e la densità del tessuto mammario. donne d’età ≥ 70 anni: nessuna evidenza di efficacia nello screening. 10 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Tabella 4. Indicatori strutturali, logistico-organizzativi e funzionali dello screening mammario. SINTESI DELLE INDICAZIONI AGLI ACCERTAMENTI SENOLOCIGI gliato è comunque l’esame clinico. In presenza di segni obiettivi che meritino un ulteriore accertamento diagnostico si dovrà ricorrere alla ecografia e, se necessario, alla mammografia e al prelievo con ago. Il controllo ecografico di routine, in assenza di segni obiettivi, non trova giustificazione. Prima di una stimolazione ormonale o di posizionamento di impianto protesico potrebbe essere utile sottoporre a mammografia la donna sopra i 35 anni. Accertamenti suggeriti alla donna asintomatica Età inferiore ai 40 anni Nessuna raccomandazione al controllo preventivo salvo che si tratti di donna ad alto rischio inserita in uno programma specifico di sorveglianza diagnostica. Il primo test consi- 11 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Età 40-49 anni segnalato che in letteratura si evidenzia un rischio di incidenza di tumore al seno significativamente aumentato per le donne che effettuano la terapia da almeno 5 anni e, in alcuni studi, si ipotizza una minore sensibilità dell’esame mammografico a causa di un aumento della radiodensità delle strutture parenchimo-stromali. Questi elementi sembrerebbero giustificare l’opportunità di aumentare la frequenza dei controlli (per esempio a intervalli annuali), ma al momento non sono disponibili evidenze conclusive. I risultati più recenti di alcuni studi evidenziano l’efficacia dello screening mammografico nel ridurre la mortalità per carcinoma mammario anche nelle donne 40-49enni, seppure in misura inferiore a quella dimostrata nelle cinquantenni. Non vi è peraltro ancora un generale consenso ad attuare programmi di screening organizzato per le quarantenni, ma si ritiene corretto dare alle donne l’opportunità di effettuare controlli periodici a questa età, dopo averle adeguatamente informate sui possibili benefici, ma anche sui possibili effetti negativi. In questa fascia di età (40-49) i controlli sono consigliati ogni 12-18 mesi. Donne a rischio Per quanto riguarda la sorveglianza clinicostrumentale del gruppo di donne a rischio genetico o elevato rischio familiare per carcinoma mammario, si consiglia che queste donne vengano seguite nelle sedi ove sono operanti gruppi di lavoro dedicati al problema. In rapporto ai limiti della mammografia e in particolare al rischio biologico, soprattutto nelle donne più giovani, si sta valutando l’opportunità di introdurre la risonanza magnetica come tecnica di routine di prima istanza, assieme alla visita senologica, alla mammografia e all’ecografia con cadenza annuale. L’indirizzo attuale più seguito è quello di consigliare che l’inizio dei controlli avvenga a 25/30 anni o comunque dieci anni prima dell’età del familiare più giovane risultato affetto. Sono in corso di valutazione anche percorsi diversificati in rapporto all’entità del rischio (carcinoma mammario ereditario o familiare). Età oltre 50 anni L’esame da raccomandare è la mammografia periodica. A fianco di questa, come per le quarantenni, potrà essere valutato l’impiego dell’esame clinico e dell’ecografia, a giudizio del radiologo, in presenza di fattori di rischio (familiarità, densità mammografica, ecc.). Sull’impiego di tali test aggiuntivi (clinica ed ecografia) si dovrà fornire adeguata informazione all’utenza (uso sperimentale, tipo RIBES; oppure: scelta ragionata, specificando che consente aumento di sensibilità ma comporta perdita di specificità). Gli altri accertamenti diagnostici potranno essere effettuati in presenza di segni clinici e/o mammografici di sospetto. Per le donne in terapia sostitutiva, va inoltre Donne asintomatiche < 40 anni Nessun controllo preventivo programmato 40-50 anni Test diagnostico con finalità di diagnosi precoce è la mammografia con periodicità di 1218 mesi; l’esame clinico e l’ecografia possono integrare validamente i due primi esami. > 50 anni Test diagnostico con finalità di diagnosi precoce è la mammografia con periodicità di 1824 mesi; ove esiste, va "raccomandata" la partecipazione a programmi di screening 12 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Accertamenti suggeriti alla donna sintomatica In presenza di lesione focale clinicamente apprezzabile gli accertamenti diagnostici da proporre possono essere i seguenti: altri test. La persistenza di sospetto impone il completa-mento dell’iter diagnostico con mammografia. Età superiore ai 40 anni Viene raccomandata la mammografia in associazione con la visita senologica e con l’ecografia; ciò consente la diagnosi corretta della maggior parte delle patologie in atto e pone al riparo dalla mancata diagnosi di carcinomi radiologicamente non rilevabili. Lo studio con ecografia è indispensabile sia in caso di scarsa esplorabiltà radiologica della mammella (mammelle dense) sia in caso di riscontro mammografico o clinico di noduli di natura non chiara. Successivo prelievo con ago (citologia o biopsia percutanea) in caso di persistenza di immagini difficili da tipizzare o che presentino elementi di sospetto. Età inferiore ai 40 anni In rapporto alla ridotta incidenza del carcinoma mammario e quindi al modesto rischio di queste donne di esserne affette, l’esame clinico eseguito dal medico di medicina generale può essere sufficiente, tuttavia, in presenza di vera patologia focale (clinicamente non sospetta) l’ecografia e l’eventuale agoaspirazione sono da ritenersi sufficienti. In presenza di rilievo clinico con chiari segni di benignità, anche se di piccole dimensioni, si consiglia controllo clinico dopo 612 mesi e autoesame periodico. La persistenza del dubbio comporta il completamento dell’iter diagnostico con mammografia e con eventuali 13 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO paziente nelle diverse fasi della malattia; • aggiornano annualmente i protocolli diagnostico-terapeutici alla luce delle nuove evidenze scientifiche; • valutano a ogni riesame della direzione la qualità dell’assistenza attraverso il monitoraggio dei dati di attività e la produzione degli indicatori definiti appositamente predisposti. Ruolo del Team Multidisciplinare Componenti del Team Multidisciplinare - Chirurgo - Oncologo - Radiologo - Radioterapista - Infermiere professionale Case-manager Diagnosi clinico-strumentale E’ noto che in presenza di una sospetta lesione neoplastica della mammella l’impiego dell’esame clinico, delle metodiche di imaging (mammografia e/o ecografia) e dell’esame cito-istologico (il cosiddetto triplo test) raggiunge una definizione diagnostica più affidabile rispetto a iter meno complessi. Il coordinatore del Team multidisciplinare (che coincide con il responsabile del percorso) ha la responsabilità delle attività e, coadiuvato dall’infermiere case-manager, dell’organizzazione dei meeting del Team nonché di convocare anche altri professionisti, quando necessari (Patologo, Chirurgo Plastico, ecc.). Obiettivi: assicurare prestazioni di elevata qualità nella diagnosi e nella cura dei tumori della mammella, in coerenza con le linee guida e le raccomandazioni selezionate. assicurare la continuità e il coordinamento delle prestazioni e del servizio erogati. assicurare un’adeguata informazione alla paziente sulla malattia, sulle procedure diagnostiche e sulle opzioni terapeutiche. monitorare e verificare a ogni riesame della Direzione (in coerenza con le regole aziendali) gli indicatori relativi alle prestazioni erogate. RUOLO DELL'ESAME CLINICO E’ l’esame di base in senologia clinica per le donne in qualsiasi fascia di età. In donne sintomatiche con lesioni palpabili, l’esame clinico ha una precisione diagnostica talmente elevata che può raggiungere il 95-98%. In donne asintomatiche o con lesioni minimali, invece, a causa della sua scarsa sensibilità, l’esame clinico da solo non è un test sufficiente a escludere la presenza di un tumore per cui deve essere integrato da altri esami. La refertazione descrittiva dei segni rilevati dall’esame clinico va, comunque, sempre eseguita, indicando in particolare, le dimensioni in cm, la sede di eventuali lesioni nodulari, le eventuali modificazioni della cute e del capezzolo, la presenza o assenza di adenopatie loco-regionali palpabili. La refertazione descrittiva dei segni rilevati dall’esame clinico va, comunque, sempre eseguita, indicando in particolare, le dimensioni in cm, la sede di eventuali lesioni nodulari, le eventuali modificazioni della cute e del capezzolo, la presenza o assenza di adenopatie locoregionali palpabili. Inoltre deve essere sempre formulato il giudizio diagnostico-clinico conclusivo: Funzioni del Team Multidisciplinare: • al fine di garantire gli standard definiti, i professionisti del Team devono incontrarsi almeno settimanalmente per discutere i singoli casi per valutare e predisporre il programma diagnostico-terapeutico per ogni paziente; • stabiliscono modalità di comunicazione con gli altri professionisti interessati nell’assistenza alla paziente, compresi i MMG, ai quali si comunicano le proprie decisioni in maniera efficiente; • definiscono il professionista di riferimento, componente del team, da affiancare alla 14 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA • EC1 negativo • EC2 benigno • EC3 dubbio • EC4 sospetto • EC5 positivo La mammografia deve essere eseguita con apparecchi dedicati, in grado di produrre ottime immagini con dosi contenute. Ulteriori vantaggi in termini dosimetrici sono consentiti, nelle mammelle dense e voluminose, dall’impiego di mammografi con doppia pista anodica. È comunque indispensabile un sistema dedicato, dove mammografo e dispositivo di rilevazione d’immagine siano integrati in un contesto di regolari controlli di qualità. La mammografia consente inoltre, la definizione dell’estensione e della mono o multifocalità delle lesioni sospette e di effettuare diagnosi precise sulla natura della lesione individuata, mediante un prelievo citologico o microistologico mirato sulla lesione attraverso un mammografo stereotassico. In presenza di reperto obiettivo all’esame clinico, nelle donne di età superiore ai 35 anni è sempre opportuno eseguire la mammografia, in quanto essa consente di migliorare la sensibilità della clinica (specie per neoplasie di limitate dimensioni) e la specificità, evitando l’indicazione alla biopsia in alcuni casi inequivocabilmente benigni alla mammografia. I più comuni segni di neoplasia sono rappresentati da opacità a contorni sfumati o spiculati, microcalcificazioni e/o distorsione della struttura ghiandolare. Le opacità a contorni netti, specie se su tutta la circonferenza, e demarcate da stria ipertrasparente, depongono per patologia benigna. Le microcalcificazioni sono presenti in circa il 20% di tutti i carcinomi e nel 40-50% dei carcinomi scoperti in fase preclinica. Quelle di diametro variabile tra 0,1 mm e 1 mm e con andamento irregolarmente ramificato depongono per neoplasia maligna. Quelle rotondeggianti o granulari possono essere associate sia a patologia benigna sia maligna. Alcune calcificazioni (in genere di diametro > 1 mm) sono tipiche di alcune lesioni benigne (pregresse galattoforiti, cisti, fibroadenomi). La distorsione della normale struttura parenchimale può essere l’unico segno RUOLO DELLA MAMMOGRAFIA La mammografia è una radiografia della mammella. E’ una tecnica morfologica che permette l’esplorazione della mammella in tutta la sua completezza e che offre la maggiore sensibilità (85-90%) e la migliore accuratezza diagnostica, anche per i tumori in fase iniziale soprattutto nelle donne con adiposità mammaria prevalente. La mammografia, nelle sue diverse modalità tecniche di esecuzione, rappresenta oggi il metodo migliore per scoprire precocemente i noduli al seno, prima che la lesione sia palpabile. Possiamo scoprire anche minute lesioni mediante la mammografia che non possono essere scoperte con la sola palpazione. Vengono evidenziane in condizioni ottimali anche lesioni delle dimensioni di 1-3 millimetri. Di solito la mammografia viene effettuata con due scopi: sia per meglio definire una lesione palpabile (mammografia diagnostica su donna sintomatica), sia per anticipare la diagnosi mediante l'utilizzo di tale tecnica in corso di screening sulla popolazione femminile (mammografia di screening). Nelle strategie per il controllo del tumore alla mammella la fase diagnostica riveste da sempre un’importanza fondamentale: minori sono le sue dimensioni al momento della diagnosi maggiori sono per la donna le probabilità di guarigione definitiva. Probabilità che raggiungono valori vicini al 100% nel caso in cui il tumore venga scoperto grazie al contributo delle indagini strumentali, quindi prima ancora di diventare clinicamente evidente, come è stato ampiamente indicato in molte e recenti segnalazioni della letteratura scientifica. Segni minimi e indiretti che possono essere rilevati dalle indagini strumentali e, in particolare, dalla mammografia. 15 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA radiologico di tumore maligno. Alcune lesioni benigne (radial scar = epiteliosi infiltrante) appaiono come opacità stellari con lunghe propaggini e nucleo centrale radiotrasparente. La diagnosi differenziale in questi casi è difficile e la biopsia è prudenziale. Altri segni indiretti di neoplasia, quali l’ispessimento e la retrazione cutanea, la retrazione del capezzolo o l’aumentata vascolarizzazione, hanno poca importanza diagnostica in quanto spesso associate a neoplasie voluminose e clinicamente evidenti. Nella refertazione della mammografia è indispensabile segnalare con chiarezza i reperti meritevoli di attenzione, indicando con esattezza numero, sede e dimensioni soprattutto per le lesioni non palpabili ivi comprese le microcalcificazioni. E’ opportuno, inoltre, che le conclusioni diagnostiche dell’esame mammografico siano classificate in 5 classi analogamente a quanto raccomandato sia in ambito Europeo che negli Stati Uniti (BIRADS). Da qualche anno l’American College of Radiology ha introdotto una classificazione (BIRADS) per la refertazione mammografica. La classificazione, nella sua formulazione essenziale, implica 5 livelli con probabilità crescente di malignità: La sensibilità della mammografia si riduce se la componente ghiandolare è molto rappresentata; in questi casi può essere molto utile, a giudizio del radiologo, l’integrazione con l’ecografia, che non chirurgico di lesioni mammarie (radiofrequenza, laser, crioablazione, microonde e ultrasuoni). In alcuni casi selezionati (diagnosi differenziale tra distorsioni parenchimali benigne e maligne, cicatrice/recidiva) si possono impiegare i mezzi di contrasto per ultrasuoni ma vi è ancora la necessità di studi di convalida della letteratura. L'indagine ha una sua indicazione anche per lo studio nel contesto di un second-look che fa seguito a un reperto RM o PET positivo, considerando la sensibilità e il basso costo dell'esame. L’impiego degli US come metodica di screening è attualmente da ritenersi esclusivo campo di ricerca clinica. Nella refertazione, viene usualmente impiegata una classificazione che implica 5 livelli con probabilità crescente di malignità: U1-negativo: reperto normale. U2-benigno: lesione cistica o solida con caratteristiche di benignità. U3-dubbio: segni dubbi con prevalenza di benignità (può essere raccomandato controllo ecografico entro 6 mesi o prelievo citoistologico). U4-sospetto: segni di sospetto di neoplasia maligna (indicazione al prelievo citoistologico). U5-positivo: segni di neoplasia maligna (raccomandato prelievo istologico). R1: negativo o quadro normale (nessun provvedimento); R2: benigno (nessun provvedimento); R3: probabilmente benigno (VPP < 2%) (approfondimento o controllo ravvicinato); R4: sospetto (VPP 2-70%), (riscontro istologico); R5: positivo (VPP > 70%), (riscontro istologico). Ruolo della Galattografia Viene eseguita in presenza di secrezione dal capezzolo, di tipo siero-ematica, francamente ematica, monorifiziale e prevalentemente monolaterale come unico sintomo. La sensibilità della mammografia supera l’85% nelle donne sopra i 40 anni, ma è comunque condizionata dal grado di radiopacità che, in seni densi, può ridursi fino al 70%. I risultati sono comunque fortemente influenzati dalla esecuzione tecnica e metodologica dell'esame. Ruolo della Risonanza magnetica La risonanza magnetica (MRI) mammaria è diventata una componente integrante e necessaria di qualsiasi pratica imaging del tessu- 16 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA to mammario. Le prestazioni e gli usi clinici della MRI del seno sono ormai standardizzate e molto più definiti di quanto non fossero qualche anno fa. È ormai entrata nell’uso quotidiano in molti centri di mammografia clinica. Il contemporaneo esame clinico permette anche di evidenziare eventuali neoplasie in sede periferica che potrebbero non essere comprese nelle proiezioni standard, nonché le lesioni che coinvolgono il capezzolo, il solco mammario e la regione presternale. Ruolo della radiografia intraoperatoria del materiale asportato - obbligatoria per le lesioni non palpabili che abbiano richiesto una localizzazione radiologica preoperatoria mediante repere metallico posizionato mediante guida mammografica (microcalcificazioni, piccole opacità, siti chirurgici marcati mediante clips metalliche). - raccomandata per tutte le procedure di escissione ampia per lesioni radiologicamente rilevabili. In seguito all’introduzione della tecnica del linfonodo sentinella, l’ecografia è da utilizzare in fase preoperatoria per escludere metastasi linfonodali nel cavo ascellare che renderebbero superflua la linfoscintigrafia. Il test ha elevatissima specificità per la diagnosi di formazioni cistiche presentando i suoi più evidenti limiti nella individuazione e caratterizzazione delle lesioni precliniche oltre ad avere un ruolo di prima istanza in alcune situazioni non oncologiche quali flogosi, traumi e mastodinia. L'ecografia al seno rimane una modalità aggiuntiva utile e affidabile nel rilevare e diagnosticare delle lesioni benigne e maligne all'interno del parenchima mammario e nei distretti linfonodali regionali circostanti anche mediante l'utilizzo del color e del power-doppler per lo studio della vascolarizzazione delle lesioni evidenziate. Si è affermata come modalità di prima linea per le procedure di biopsia guidata percutanea, per la localizzazione preoperatoria di alcune lesioni non palpabili. Nonostante l'esame sia operatore-dipendente, se usato correttamente, è da ritenersi preciso, affidabile e non invasivo per la paziente. Si tratta di una modalità che sembra destinata a una continua crescita anche per innovazioni attualmente emergenti. Oggi, in alcuni centri pilota, viene Ruolo della ecografia mammaria E’ sempre un’indagine complementare all’esame clinico o mammografico impiegata per approfondire un reperto dubbio o sospetto, palpabile o non palpabile. L’esame ecografico ha una elevatissima accuratezza nel distinguere i noduli cistici da quelli solidi. Se la paziente ha meno di 35 anni e una lesione palpabile, l’ecografia sostituisce la mammografia. L’indagine trova indicazione oltre che nelle mammelle dense, anche nelle lesioni precliniche evidenziate con la mammografia per il reperimento preoperatorio o per l’agobiopsia ecoguidata ove la lesione abbia un corrispettivo ecografico. Le indicazioni all’ecografia mammaria in accordo con quelle espresse nel 1995 dall’American College of Radiology, aggiornate nel 1999 e nel 2001, possono essere così riassunte: approfondimento di reperti mammografici dubbi; guida per procedure interventiste (reperimento preoperatorio, prelievo citologico e istologico): una delle indicazioni più recenti è rappresentata dall’agoaspirazione ecoguidata di linfonodi ascellari sospetti all’ecografia al fine di omettere l’escissione del linfonodo sentinella in caso di positività. valutazione di impianti protesici. indagine di primo livello per la valutazione di lesioni in donne giovani (età inferiore a 35 anni circa), in allattamento e in gravidanza. Indagine di primo approccio nelle donne sintomatiche. clinico- 17 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA utilizzata come ausilio nel trattamento ablativo. Il suo punto di forza sta nella diagnosi del carcinoma occulto alle tecniche di acquisizione di immagini convenzionali, come la mammografia e l'ecografia. Molti studi hanno dimostrato che la MRI mammaria fornisce maggiori informazioni nelle situazioni in cui vi è un cancro noto, o di sospetto tumore, o di elevate probabilità di tumore. Nella valutazione preoperatoria della paziente con un cancro noto, la MRI può rilevare carcinomi multifocali (all'interno dello stesso quadrante) o multicentrici (in altri quadranti). Infatti, una malattia multicentrica che era precedentemente insospettata facilita la stadiazione per neoplasie sincrone controlaterali. La MRI mammaria per il rilevamento del cancro si basa quasi esclusivamente sulla neovascolarizzazione associata ai carcinomi invasivi. L'individuazione di un carcinoma mammario invasivo è estremamente affidabile alla RMI dato che la sensibilità si avvicina al 100%. Poiché la sensibilità del rilevamento del cancro è alta, il valore predittivo negativo della MRI è alto. La MRI mammaria presenta una sensibilità maggiore nella diagnosi di carcinoma mammario rispetto alla mammografia, accanto a una minore specificità e ciò comporta un più alto tasso di falsi positivi. In particolare occorre tenere presente che le stimolazioni ormonali, fisiologiche o farmacologiche condizionano in modo importante il quadro RMI. trascurati dalle nostre tecniche convenzionali. Essa, inoltre, in caso di malattia multifocale definisce il piano terapeutico-chirurgico, evitando in questi casi una chirurgia conservativa. Valutazione della risposta alla chemioterapia neoadiuvante: la chemioterapia neoadiuvante viene somministrata pre-operatoriamente per ottenere la riduzione del tumore prima di eseguire un intervento chirurgico definitivo. La valutazione della risposta alla chemioterapia neoadiuvante può essere complicata clinicamente e alla mammografia. La MRI, invece, supera i limiti di densità del seno e della fibrosi che segue in trattamento chemioterapico. Può inoltre avere un ruolo nel riuscire a prevedere in un punto temporale precedente, magari dopo diversi cicli di chemioterapia, i pazienti che stanno rispondendo alla chemioterapia neoadiuvante. La conoscenza anticipata di risposta non ottimale può consentire il passaggio a regimi di trattamento alternativo prima piuttosto che dopo. Recidiva del tumore sul letto della quadrantectomia: la valutazione mammografica del sito di una chirurgia conservativa può essere fuorviante a causa degli esiti cicatriziali. La RMI è in grado di integrare la mammografia e l'ecografia per individuare la recidiva di malattia che può essere sospettata ma non rilevata con mezzi convenzionali. Ruolo della RMI nello screening: la risonanza magnetica mammaria non è raccomandata come indagine di screening nella popolazione generale. Uso clinico: Stadiazione preoperatoria: la MRI mammaria può fornire informazioni utili per definire le dimensioni del tumore, la presenza o l’assenza di malattia multifocale o multicentrica, così come l'infiltrazione della parete toracica o del muscolo pettorale. E 'stato ben documentato che la MRI definisce l'estensione anatomica della malattia con maggiore precisione rispetto alla mammografia. Molti studi hanno dimostrato che la MRI è in grado di rilevare focolai supplementari di cancro del seno inizialmente Chi deve sottoporsi a RMI mammaria preoperatoria? Tutte le pazienti con una nuova diagnosi di cancro al seno dovrebbero probabilmente sottoposti a un esame MRI bilaterale in fase preoperatoria. Ci sono diverse ragioni per questa affermazione. In primo luogo, l'alto tasso di carcinoma controlaterale giustifica l'uso di routine di RMN bilaterale. Inoltre, per le 18 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA pazienti con una vera malattia multicentrica la terapia appropriata può essere fatta preoperatoriamente. Allo stato attuale, la MRI mammaria è da considerarsi tecnica da impiegare solo a integrazione della mammografia e dell’ecografia. Il mancato rispetto delle indicazioni riportate in letteratura, oltre a ostacolare il corretto iter diagnostico, rischia di creare false aspettative da parte delle donne e inutili e costose richieste di controlli a distanza di tempo. Dovrebbero sottoporsi a MRI mammaria le pazienti con sospetta multicentricità, mammelle molto dense alla mammografia o alto rischio di carcinoma (es. BRCA positivo). Le indicazioni principali sono: studio di donne a rischio genetico o elevato rischio familiare per carcinoma mammario: l’associazione della MRI agli esami tradizionali permette di identificare un discreto numero di tumori non altrimenti riconoscibili. ricerca di carcinoma primitivo occulto metastatico, di sospetta origine mammaria, quando gli esami tradizionali siano negativi (CUP syndrome). ricerca di multicentricità, multifocalità, bilateralità, in caso di lesioni maligne già diagnosticate con tecniche tradizionali e candidate a intervento chirurgico conservativo. monitoraggio delle lesioni mammarie trattate con chemioterapia neoadiuvante preoperatoria (definizione più precisa delle dimensioni della lesione residua differenziandola dalle componenti necrotica e fibrotica). follow-up della mammella sottoposta a chirurgia conservativa e/o a radioterapia, qualora gli esami tradizionali pongano dubbi nella diagnosi differenziale tra recidiva e cicatrice non risolvibili con il prelievo cito/istologico. valutazione di donne con protesi. La MRI è la tecnica più efficace per studiare lo stato delle protesi (integrità, contrattura capsula fibrosa, dislocazione, migrazione di silicone). In letteratura sono riportati valori di sensibilità e di specificità > 75% nel riconoscimento della rottura protesica. La MRI permette inoltre di valutare le regioni “nascoste” dalla protesi in mammografia e in ecografia (parete toracica). valutazione di mammelle di difficile interpretazione alle tecniche tradizionali e discrepanza tra differenti approcci diagnostici, in particolare in casi di difficile (o rifiutato) approccio bioptico. guida per prelievi cito/istologici di lesioni evidenziabili solo con MRI: avendo disponibilità dei nuovi apparati di guida dedicati, associati all’uso di bobine di superficie e di aghi e/o guide amagnetiche è possibile l’esecuzione di biopsie cito-microistologiche e di centrature preoperatorie. A tale proposito, nell’impossibilità alla guida RM e in caso di second-look US negativo in lesioni evidenziabili solo alla risonanza, si suggerisce un controllo RM dopo tre mesi. Controindicazioni sono gli eventi flogistici non differenziabili dalle alterazioni a carattere maligno e, tutte le controindicazioni alla RM (pace maker, placche metalliche, ecc.). (F.O.Ca.M 2006) RUOLO DELLA MEDICINA NUCLEARE Nella diagnostica senologica la Medicina Nucleare ha recentemente conquistato un ruolo determinante; ciò è avvenuto nel caso della ricerca del linfonodo sentinella e della localizzazione radioguidata delle lesioni occulte della mammella (ROLL e SNOLL). Per la PET, e soprattutto per la PET-CT, esistono oramai evidenze importanti di utili applicazioni soprattutto nella ricerca di tumori primitivi e di metastasi (la sensibilità è molto elevata per lesioni del diametro superiore ai 5 mm) grazie anche alla panoramicità di tale metodica e al contributo informativo che reciprocamente PET e CT forniscono. 19 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA RUOLO GICA DELL'ANATOMIA PATOLO- 2) Lesioni non palpabili (riscontro casuale in occasione di mammografia effettuata in programmi di screening o per altre ragioni): in presenza di lesioni non palpabili e con caratteristiche dubbie o sospette alla mammografia o all’ecografia (opacità nodulari, aree ipoecogene uniche, distorsioni parenchimali, cluster di microcalcificazioni) il prelievo con ago per la valutazione citoistologica deve essere eseguito sotto guida ecografica (escluse le microcalcificazioni) o radio-stereotassica. In tutti i casi in cui la lesione, anche se scoperta dalla mammografia, è apprezzabile con ecografia mirata e si è certi che l’immagine ecografica corrisponda a quella mammografica, il prelievo ecoguidato è da preferire a quello radiostereotassico in quanto più semplice, più rapido, meno costoso e meglio accettato dalla donna. 3)Nell’ambito delle lesioni non palpabili, il prelievo con procedure “vacuum assisted” (mammotome), da eseguire sotto guida stereotassica, trova indicazione elettiva nei cluster isolati di microcalcificazioni. In casi particolari (ad es. cluster multipli di microcalcificiazioni) la scelta della metodologia va discussa e concordata all’interno del team multidisciplinare. La scelta della metodologia (prelievo ecoguidato o radiostereotassico con agoaspirato o con agobiopsia) spetta comunque all’operatore sulla base delle caratteristiche del singolo caso tendendo conto delle preferenze della paziente che deve essere adeguatamente informata e dare il proprio consenso al trattamento. 4) Secrezioni dal capezzolo: nei casi in cui la secrezione sia l’unico segno clinico, l’esame citologico è indicato se la secrezione è ematica, siero-ematica o trasparente, specie se monolaterale e monoduttale. La prevalenza di tumore maligno in presenza di ogni altro tipo di secrezione e in assenza di altri reperti clinici è irrilevante. 5) Contenuto di cisti: l’esame è indicato in La necessità di razionalizzare i protocolli di terapia e ottimizzare i programmi di screening e di diagnosi precoce del carcinoma della mammella ha reso necessario, negli ultimi anni, integrare con modalità multidisciplinari le varie metodologie diagnostiche, definendo degli standard riproducibili sia per le procedure che per la nomenclatura. La diagnostica anatomopatologica, che riveste un ruolo centrale nella corretta gestione della paziente, è diventata sempre di più un elemento integrato in un contesto anatomoclinico multidisciplinare di cui è indispensabile conoscere tutti i risvolti per gestire con il massimo dell’efficacia ed efficienza il percorso diagnostico-terapeutico della paziente. Ruolo dell'esame citologico La valutazione cito-istologica costituisce l’ultimo passaggio del triplo-test al fine di meglio definire la diagnosi delle lesioni clinicamente, mammograficamente o ecograficamente dubbie, sospette o positive. Viene eseguito su: secrezioni del capezzolo, contenuto di cisti, materiale da apposizione/abrasione di lesioni erosive del capezzolo, agoaspirato di tumefazioni solide palpabili o non palpabili (CP: citologia percutanea). Indicazioni al prelievo con ago e scelta della metodologia: 1) Lesioni palpabili (dubbio-sospetto clinico): in caso di lesioni palpabili il prelievo con agoaspirato o agobiopsia e successiva valutazione citoistologica consente quasi sempre di arrivare alla diagnosi di natura benigna o maligna. Di norma l’agoaspirato, meno invasivo e meno costoso, costituisce l’indagine di prima scelta. Nelle lesioni palpabili ove è previsto un trattamento medico neoadiuvante deve essere preferita l’agobiopsia (core-biopsy) per una migliore e più precisa caratterizzazione biomolecolare. 20 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA presenza di liquido ematico o siero-ematico. La prevalenza di cancro in presenza di altro tipo di contenuto è irrilevante. 6) Lesioni erosive del capezzolo: l’esame è indicato ogni qual volta si ponga il minimo sospetto di Malattia di Paget. 7) Tumefazioni solide: l’esame è indicato in presenza di qualsiasi tumefazione la cui ipotesi diagnostica non sia di benignità certa. L’accertamento diagnostico di II livello prevede l’esecuzione di un esame citologico e/o istologico della lesione. Ruolo dell'esame microistologico, agobiopsia o biopsia percutanea Il prelievo per via percutanea di un frammento di tessuto mediante ago (biopsia percutanea) permette l’analisi di tipo istologico della lesione, la conoscenza della sua eventuale invasività e di alcuni parametri biologici a fronte di un basso numero di inadeguati. I risultati attesi sono influenzati dal tipo di lesione (nodo o calcificazioni), dal calibro dell’ago e dal numero dei frustoli prelevati; in ogni caso è sempre da tener presente, ai fini della corretta pianificazione chirurgica e terapeutica, che nel 10-30% dei casi con diagnosi microistologica di carcinoma in situ la successiva exeresi chirurgica rivela la presenza di carcinoma invasivo. Il prelievo con ago deve essere eseguito sotto guida ecografica o radiostereotassica; in alcuni centri è anche possibile eseguire il prelievo sotto guida MRI. In tutti i casi in cui la lesione, anche se scoperta con la mammografia, risulti riconoscibile con ecografia mirata e vi sia certezza che l’immagine ecografica corrisponda a quella mammografica, è preferibile il prelievo ecoguidato perché più semplice, più rapido, più gradito dalla paziente e meno costoso. Posta l’indicazione al prelievo con ago, la metodica da usare in prima istanza per ottenere ulteriori informazioni diagnostiche dovrebbe essere nella maggior parte dei casi la CP (meno invasiva e meno costosa) riservando la BP ai casi rimasti senza risposta diagnostica (C1-C3, discrepanza tra radiologo e patologo) e ai casi nei quali siano necessarie informazioni che la citologia non può dare (invasività). La scelta tra l’esame citologico o istologico dipende dalle caratteristiche cliniche della lesione. L’esame CITOLOGICO viene effettuato: 1) su materiale prelevato da secrezioni spontanee del capezzolo; 2) su materiale prelevato mediante agoaspirazione con ago sottile (FNA) sotto guida ecografica di lesioni cistiche o solide della mammella. Tale procedura bioptica consente di esaminare al microscopio le cellule prelevate dalla lesione e di classificarle secondo cinque categorie diagnostiche come proposto nelle “European guidelines for quality assurance in mammography screening” ma non esclude che il referto possa essere anche espresso in modo descrittivo conciso: C1: materiale insufficiente o inadeguato per diagnosi. C2: lesione benigna: Se tale diagnosi concorda con il dato clinico e strumentale si conclude l’iter terapeutico della paziente. C3: atipia, più probabilmente benigna: Tale diagnosi prevede in genere la successiva esecuzione di agobiopsia. C4: sospetto di malignità: questo comporta la successiva esecuzione di agobiopsia. C5: lesione maligna: in questo caso è necessario l’intervento chirurgico però preceduto da una agobiopsia per consentire una ulteriore tipizzazione. Indicazioni al prelievo con ago e scelta della metodologia 1 - Lesioni palpabili (dubbio-sospetto clinico): in caso di lesioni palpabili il prelievo con agoaspirato o l’agobiopsia e successiva valutazione citoistologica consente quasi sempre di arrivare alla diagnosi di natura benigna o maligna. Si preferisce la core-biopsy in quanto consente una più precisa 21 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA tipizzazione della neoplasia con fattori indispensabili per effettuare la radioterapia intraoperatoria quando indicata. 2 - Lesioni non palpabili (riscontro casuale in occasione di mammografia effettuata in programmi di screening o per altre ragioni). In presenza di lesioni non palpabili con caratteristiche dubbie o sospette alla mammografia o all’ecografia (opacità nodulari, aree ipoecogene uniche, distorsioni parenchimali, cluster di microcalcificazioni) il prelievo con ago per la valutazione istologica deve essere eseguito sotto guida ecografica (escluse le microcalcificazioni) o radiostereotassica. In tutti i casi in cui la lesione, anche se scoperta dalla mammografia, è apprezzabile con ecografia mirata e si è certi che l’immagine ecografica corrisponda a quella mammografica, il prelievo ecoguidato è da preferire a quello radiostereotassico in quanto più semplice, più rapido, meno costoso e meglio accettato dalla donna. Nell’ambito delle lesioni non palpabili, il prelievo con procedure “vacuum assisted” (mammotome), da eseguire sotto guida stereotassica, trova indicazione elettiva nei cluster isolati di microcalcificazioni. In casi particolari (ad es. cluster multipli di microcalcificiazioni) la scelta della metodologia va discussa e concordata all’interno del team multidisciplinare. La scelta della metodologia (prelievo ecoguidato o radiostereotassico con agoaspirato o con agobiopsia) spetta comunque all’operatore sulla base delle caratteristiche del singolo caso e anche tenuto conto delle preferenze della paziente che deve comunque essere adeguatamente informata e dare il proprio consenso al trattamento. .AGOBIOPSIA con ASPIRAZIONE AUTOMATICA (vacuum-assisted) in caso di micro calcificazioni non associate a nodulo, mammograficamente rilevate, effettuata sotto guida ecografica o, più’ comunemente, stereotassica. La refertazione istologica preoperatoria prevede cinque categorie diagnostiche, analoghe ma non sovrapponibili a quelle citologiche: Tessuto fibroadiposo o mammario normale: in questo caso è necessaria la valutazione multidisciplinare per stabilire se la diagnosi possa essere considerata rappresentativa della lesione. B2: Lesione benigna: se tale diagnosi concorda con il dato clinico e strumentale si conclude l’iter terapeutico della paziente. B3: Lesione sospetta: è particolarmente importante la valutazione multidisciplinare che sceglie tra l’avvio della paziente alla biopsia escissionale chirurgica o il follow-up strumentale. B4: Lesione sospetta: questa categoria diagnostica, infrequente nell’istologia preoperatoria, comporta l’invio della paziente a intervento chirurgico con esame istologico intraoperatorio (estemporanea) sulla lesione. B5: Lesione neoplastica maligna: la paziente va all’intervento chirurgico con precise informazioni sulle caratteristiche della neoplasia. Diagnosi sul materiale chirurgico Si tratta dell’esame istologico che viene effettuato: durante l’intervento chirurgico mediante l’esame in estemporanea nel caso di nodulo sospetto con diagnosi preoperatoria C4 o B4, per stabilire la natura della lesione, l’esame del linfonodo sentinella per escludere la presenza di macrometastasi e la valutazione macroscopica dei margini di resezione. dopo l’intervento chirurgico sul pezzo L’esame ISTOLOGICO viene effettuato su frustoli di tessuto prelevati dalla lesione mediante: AGOBIOPSIA (tru-cut) effettuata sotto guida ecografica o stereotassica. 22 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA operatorio allo scopo di fornire la stadiazione della malattia e i parametri biologici prognostici e predittivi necessari per il successivo trattamento della paziente. Esame intraoperatorio al criostato (limiti) Nelle lesioni non palpabili l’esame intraoperatorio al criostato (esame estemporaneo) è in genere sconsigliato a meno che all’esame macroscopico non si rilevi nodulo neoplastico di diametro superiore a 1 cm. Nelle lesioni palpabili l’estemporanea è sconsigliata qualora il nodulo neoplastico sia di piccole dimensioni (<1 cm). Nel sospetto di una lesione papillare, soprattutto se di piccole dimensioni, è ugualmente sconsigliabile l’esame intraoperatorio al criostato, poiché esso potrebbe pregiudicare l’interpretazione delle successive sezioni definitive. L’esame estemporaneo effettuato random sui margini di resezione è inappropriato perché scarsamente affidabile (sensibilità della procedura pari al 70%). za in questo tipo di chirurgia è particolarmente utile, per eseguire un intervento che lasci una cicatrice meno visibile possibile e che preveda un rimodellamento ghiandolare tale da non lasciare esiti. Il numero di interventi di chirurgia diagnostica va minimizzato al massimo. Per le biopsie chirurgiche “open” il rapporto fra benigni e maligni non dovrebbe eccedere 0,5/1. Nel 95% dei casi il chirurgo dovrà rimuovere la lesione non palpabile, bersaglio dell’intervento chirurgico, durante il primo intervento. La diagnosi istologica delle lesioni mammarie dovrebbe essere fatta sempre in fase preoperatoria e successivamente sul pezzo operatorio definitivo. Scopo della diagnosi preoperatoria è di: Formulare la diagnosi di natura della lesione. Evitare il ricorso all’intervento chirurgico nelle lesioni benigne. Consentire di pianificare il tipo di intervento chirurgico, la tecnica e i tempi operatori. Consentire di programmare specifici provvedimenti terapeutici: l’esame istologico preoperatorio permette di stabilire se un carcinoma è in situ o infiltrante, indica l’istotipo (duttale o lobulare) della neoplasia e il suo grado di differenziazione. Tali parametri, unitamente allo stato dei recettori estrogenici, sono indispensabili per effettuare una eventuale chemioterapia neoadiuvante o di effettuare una radioterapia intraoperatoria (IORT) quando vi siano le indicazioni. Valutare quando possibile i principali markers biologici prognostici (assetto recettoriale, indici di proliferazione, sovraespressione del c-erb) prima dell’intervento chirurgico, indispensabili in caso di chemioterapia neoadiuvante. Ruolo dell'esame bioptico (exeresi chirurgica) – chirurgia diagnostica La maggioranza delle lesioni, sia palpabili che non palpabili (oltre il 70%), deve avere una diagnosi citologica o istologica prima dell’intervento chirurgico. Quindi gli interventi di chirurgia diagnostica dovrebbero essere ridotti al minimo. Proprio per la sua finalità diagnostica questo tipo di chirurgia deve avere delle caratteristiche particolari: La lesione in chirurgia diagnostica andrà asportata con margini grossolanamente liberi, repere integro con il minimo quantitativo di tessuto sano asportato attorno. Il peso del pezzo anatomico non dovrebbe eccedere i 30 g nella maggior parte (90%) dei casi. È opportuno valutare il tipo di incisione, possibilmente con l’apporto del c hirurgo plastico-ricostruttore, la cui presen23 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Modalità di preparazione e invio del campione operatorio Il rispetto di alcune semplici norme concernenti la preparazione e l’invio del pezzo operatorio in Anatomia Patologica è importante sia per una corretta esecuzione dell’esame istologico, che per la determinazione mediante indagini immunoistochimiche e/o molecolari dell’insieme dei fattori biopatologici essenziali per una impostazione prognostico-terapeutica. necessari tre reperi. • La suddivisione in livelli dello svuotamento ascellare è facoltativa. Nel caso si desideri tale informazione, i tre livelli vanno segnalati con medagliette o altri reperi posti all’apice dello svuotamento e nei punti di passaggio con i livelli sottostanti, o inviati in contenitori distinti. • In tutti i casi il pezzo operatorio deve essere accompagnato dal modulo di richiesta interamente compilato (modulo di colore arancio se estemporanea, di colore bianco se pezzo operatorio). In particolare l’anamnesi senologica deve segnalare precedenti patologie note e interventi chirurgici mammari, trattamenti ormonali, radioterapici e/o chemioterapici in corso o pregressi. Preparazione del campione operatorio • Evitare di sezionare il campione chirurgico, ciò potrebbe, infatti, pregiudicare l’orientamento del pezzo, la valutazione delle dimensioni della neoplasia e la diagnosi stessa. • Nel caso di semplice biopsia di nodulo palpabile di cui si richieda l’esame estemporaneo per poi procedere all’intervento radicale (conservativo o mastectomia), il posizionamento di reperi non è necessario. • Nel caso si proceda direttamente all’intervento definitivo di tipo conservativo (tumorectomia, quadrantectomia), sia che si richieda o meno l’esame estemporaneo al criostato, è necessario porre dei reperi per l’orientamento del pezzo. Allo scopo possono essere utilizzati sia fili di diversa lunghezza che clips metalliche. In presenza di cute che identifichi il margine superficiale, i reperi da porre sono due, mentre in assenza di cute ne sono necessari tre. • Nel caso di biopsia di lesione non palpabile è necessario allegare sempre i radiogrammi del pezzo operatorio, eseguiti e repertati dal radiologo, per facilitare e guidare il campionamento. Si ricorda che l’uncino metallico utilizzato per marcare la lesione non è da considerarsi un repere. • Nel caso di mastectomia non è necessario il posizionamento di reperi a meno che il materiale ascellare non sia inviato separatamente, nel qual caso è opportuno segnalare il prolungamento ascellare, o in caso di mastectomia sottocutanea in cui sono CLASSIFICAZIONE ISTOLOGICA La classificazione anatomo-patologica del tumore della mammella secondo WHO 2003 è stata rivista recentemente e la classificazione WHO 2012 prevede i tipi istologici sotto riportati. Il carcinoma invasivo o infiltrante di tipo non specifico (NST), comunemente noto come carcinoma duttale di tipo non specifico, comprende il gruppo più ampio di carcinomi invasivi della mammella (70%-80%) e rappresenta una entità non facilmente definibile poiché comprende un gruppo eterogeneo di tumori che non presentano caratteristiche sufficienti per poterli classificare come tipi istologici specifici (così come avviene invece per il carcinoma lobulare o il tubulare). Lesioni proliferative intraduttali Sono un gruppo di proliferazioni differenti da un punto di vista citologico e architetturale che originano dall’unità duttulo-lobulare terminale e sono associate a un aumentato rischio, sebbene di diversa entità, per lo sviluppo di un successivo carcinoma infiltrante. Tradizionalmente si riconoscono le seguenti categorie: iperplasia duttale usuale (UDH), atipia epiteliale piatta, 24 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA iperplasia duttale atipica (ADH) e carcinoma duttale in situ (DCIS), la cui distinzione istopatologica può risultare difficoltosa. Studi clinici hanno indicato che queste lesioni proliferative intraduttali sono associate a diversi livelli di rischio per lo sviluppo successivo di carcinoma mammario infiltrante, che vanno da 1,5 volte rispetto a quello della popolazione di riferimento per l’iperplasia duttale usuale (UDH), a 3-5 volte per l’iperplasia duttale atipica (ADH), a 8-10 volte per il carcinoma duttale in situ (DCIS). Studi immunofenotipici e molecolari hanno fornito inoltre nuove informazioni indicando che la nozione di progressione lineare da epitelio normale a iperplasia, iperplasia atipica, carcinoma in situ e carcinoma infiltrante è troppo semplicistica e che ci sono intercon-nessioni più complesse tra queste varie lesioni proliferative intraduttali e il carcinoma infiltrante. Questi dati hanno suggerito che: l’iperplasia duttale usuale (UDH) presenta scarse similitudini con la maggior parte dei casi di iperplasia duttale atipica (ADH), DCIS o carcinoma infiltrante; l’iperplasia duttale atipica (ADH) presenta molte similitudini con il DCIS a basso grado; il DCIS a basso grado e il DCIS ad alto grado sembrano rappresentare disordini geneticamente distinti che portano a forme distinte di carcinomi infiltranti; l’atipia epiteliale piatta rappresenta una lesione clonale neoplastica con caratteristiche morfologiche, immunoistochimiche e molecolari dell’ADH e del DCIS a basso grado. viene classificato pertanto nel contesto delle neoplasie duttali intra-epiteliali (DIN). La classificazione distingue: DIN 1a (lesione piatta con atipie). DIN1b (iperplasia intraduttale atipica). DIN 1c (estesa iperplasia intraduttale atipica, DCIS di basso grado nucleare). DIN2 (DCIS di grado nucleare intermedio). DIN3 (DCIS di alto grado nucleare). Il maggior numero di casi si osserva nelle pazienti di età compresa tra i 40 e 60 anni. Circa l’80-90% delle lesioni non è palpabile ed è riconoscibile solo con la mammografia. Il quadro mammografico è prevalentemente caratterizzato dalla presenza di microcalcificazioni. Neoplasia lobulare Comprende le lesioni epiteliali atipiche che originano dall’unità duttulo-lobulare terminale caratterizzate da una proliferazione di piccole cellule non coese con o senza coinvolgimento pagetoide dei dotti terminali. La distinzione tra iperplasia lobulare atipica (ALH) e carcinoma lobulare in situ (LCIS) si basa sull’estensione della lesione proliferativa. Il carcinoma lobulare in situ classico è diagnosticato quando più della metà degli acini di una unità lobulare sono distesi e distorti dalla proliferazione di cellule non coese con nuclei piccoli e uniformi. Più recentemente è stata individuata una variante di LCIS pleomorfo, caratterizzato da pleomorfismo nucleare marcato con o senza caratteristiche apocrine e comedonecrosi. La neoplasia lobulare costituisce un fattore di rischio e non un precursore obbligatorio per lo sviluppo successivo di carcinoma infiltrante della mammella (sia duttale che lobulare), ma solo in una minoranza di donne e dopo lungo follow up. Nella classificazione WHO 2003 era stata proposta la terminologia di Neoplasia Lobulare Intra-epiteliale (LIN) proprio per enfatizzare la loro natura non invasiva; in base a criteri morfologici e all’outcome clinico, la classificazione WHO del 2003 proponeva la Questi dati supportano la nozione che l’atipia epiteliale piatta, l’ADH e tutte le forme di DCIS rappresentino delle “neoplasie intraepiteliali”. E’ stato pertanto proposto nel 2001 da Tavassoli et al. di rimpiazzare la terminologia tradizionale delle lesioni proliferative intraduttali con quella di Neoplasia Duttale Intraepiteliale (DIN, Ductal Intraepitelial Neoplasia), riservando il termine “carcinoma” ai tumori infiltranti. Il carcinoma intraduttale, nella classificazione di Tavassoli, 25 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA seguente definizione di LIN, con suddivisione in tre gradi: LIN1: iperplasia lobulare atipica. LIN2: carcinoma lobulare in situ classico. LIN3: carcinoma lobulare in situ con necrosi centrale, o pleomorfo, o a cellule ad anello con castone. chimica) o amplificato, qualsiasi valore di attività proliferativa. HER-2 positivi (non luminali): HER-2 sovraespresso (score 3+ alla reazione di immunoistochimica) o amplificato (FISH o altre metodiche) ed entrambi i recettori ormonali negativi. “Basal like” (triplo negativi): assenza di espressione dei recettori ormonali e negatività di HER-2. La corrispondenza tra il fenotipo “triplo negativo” individuato su base immunoistochimica e il sottogruppo intrinseco “basal like” individuato su base genica, esiste solo nell’80% circa dei casi, a dimostrazione ulteriore dell’estrema eterogeneità presente all’interno di questi sottogruppi. All’interno del sottogruppo “triplo negativo” sono compresi alcuni istotipi speciali come il carcinoma midollare tipico e il carcinoma adenoide-cistico, a basso rischio di ripresa. Analisi retrospettive hanno associato i quattro sottotipi a differenze in sopravvivenza libera da malattia, sedi di ripresa di malattia e sopravvivenza globale. Sono neoplasie caratterizzate dall’assenza di espressione dei recettori ormonali e di HER-2 e da una aumentata espressione delle citocheratine (mioepiteliali) basali (CK5/6 e CK 17). All’interno di questi sottotipi esiste un’elevata eterogeneità. Alla luce delle nuove conoscenze patologiche e molecolari vi è una definizione di ulteriori sottotipi di carcinoma mammario. Recentemente è stato ad esempio identificato, un altro sottogruppo di neoplasie con assenza di espressione dei recettori ormonali e di HER2, ma con markers di cellule staminali, bassa espressione di claudine (proteine di giunzione cellulo-cellulari) e infiltrato linfocitario di accompagnamento alla crescita tumorale, definito “claudin low” e caratterizzato da cattiva prognosi. Inoltre, un’analisi dell’espressione genica di 587 carcinomi mammari triplo negativi ha permesso di identificare ben sei differenti sottotipi contraddistinti da una diversa biologia molecolare e da un diverso comportamento Tuttavia, la terminologia proposta di Neoplasia Lobulare Intraepiteliale (LIN) non è ancora oggi ampiamente accettata. CLASSIFICAZIONE PROFILI GENICI MOLECOLARE - Il carcinoma della mammella è una malattia eterogenea e pazienti con tumori apparentemente simili per caratteristiche clinicopatologiche possono presentare un decorso clinico diverso. In seguito alle indagini di biologia molecolare sono stati individuati quattro sottotipi di carcinomi invasivi, considerati gruppi immunofenotipici di rilevanza clinica con implicazioni terapeutiche importanti. Essi sono: “Luminali A”: neoplasie con espressione dei recettori ormonali, a prognosi favorevole, caratterizzate da recettori ormonali positivi, HER-2 negativo e bassa attività proliferativa (di cui fanno parte frequentemente alcuni istotipi speciali quali carcinoma tubulare, carcinoma lobulare tipo classico). “Luminali B”: neoplasie che, pur possedendo l’espressione dei recettori ormonali, hanno un rischio di recidiva elevato a causa dell’elevato indice proliferativo correlato ad alta espressione dei geni di proliferazione; o Luminali B/HER2 negativi: recettori ormonali positivi, HER-2 negativo e alta attività proliferativa. o Luminali B/HER2 positivi: recettori ormonali positivi, HER-2 sovraespresso (score 3+ alla reazione immunoisto- 26 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA clinico: basal like 1 e 2 (BL1 e BL2), immunomodulatory (IM), mesenchymal (M), mesenchymal stem-like (MSL) e luminal androgen receptor (LAR). La creazione di linee cellulari derivanti di ciascun sottotipo ha poi permesso di mostrare una diversa sensibilità agli agenti chemioterapici e alle terapie target. Nella pratica clinica, la valutazione immunoistochimica dello stato dei recettori ormonali, del Ki-67 e di HER-2, permette di identificare i 4 sottogruppi fenotipici di carcinoma mammario che presentano una “relativa” corrispondenza con le 4 categorie derivate dai profili di espressione genica. CLASSIFICAZIONE SISTEMA TNM SECONDO rivisto dall’American Joint Commitee on Cancer (AJCC-settima edizione). Rispetto all’edizione del 2002, in questa ultima versione vengono date indicazioni più precise sui metodi di misurazione clinica e patologica del tumore: - raccomandando che tutti i carcinomi invasivi siano valutati usando il grading istologico combinato di Nottingham (sistema di grading di Scarff-Bloom-Richardson modificato da Elston ed Ellis); - fornendo una più chiara definizione di “cellule tumorali isolate (CTI) ” a livello dei linfonodi (CTI, piccoli raggruppamenti di cellule tumorali non superiori a 0,2 mm, oppure raggruppamenti non confluenti o poco confluenti di non più di 200 cellule in una singola sezione istologica linfonodale); - suddividendo lo stadio I in stadio IA e IB: lo stadio IB include tumori fino a 2 cm (T1) con micrometastasi nei linfonodi (N1mi). IL L’estensione della malattia viene descritta con criteri classificativi tradizionali e il sistema TNM è il più frequentemente adottato. Dal gennaio 2010 è in uso il sistema di classificazione TNM Classificazione AJCC 2009 (settima edizione) Tumore primitivo (T): Tx Tumore primitivo non definibile T0 Non evidenza del tumore primitivo Tis Carcinoma in situ: Tis (DCIS) Carcinoma duttale in situ Tis (LCIS) Carcinoma lobulare in situ Tis (Paget) Malattia di Paget del capezzolo non associata con carcinoma invasivo e/o in situ nel parenchima mammario sottostante T1 Tumore della dimensione massima fino a 2 cm. T1mi Microinvasione della dimensione massima di 0,1 cm. T1a Tumore dalla dimensione compresa tra 0,1 cm e 0,5 cm. T1b Tumore dalla dimensione compresa tra 0,6 cm e 1,0 cm. T1c Tumore dalla dimensione compresa tra 1,1 cm e 2,0 cm. T2 Tumore superiore a 2,0 cm ma non superiore a 5,0 cm nella dimensione massima. T3 Tumore superiore a 5,0 cm nella dimensione massima. T4 Tumore di qualsiasi dimensione con estensione diretta alla parete toracica e/o alla cute. (ulcerazione o noduli cutanei)) T4a Estensione alla parete toracica (esclusa la sola aderenza/invasione del muscolo pettorale). T4b Ulcerazione della cute e/o noduli cutanei satelliti ipsilaterali e/o edema della cute (inclusa cute a buccia d’arancia) che non presenta i criteri per definire il carcinoma infiammatorio. T4c Presenza contemporanea delle caratteristiche di T4a e T4b T4d: carcinoma infiammatorio). 27 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Linfonodi regionali (N): Nx Linfonodi regionali non valutabili (ad esempio, se precedentemente asportati) N0 Linfonodi regionali liberi da metastasi. N1 Metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali mobili (livello I-II). N2 Metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali (livello I-II) che sono clinicamente fissi o fissi tra di loro; o in linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari. N2a Metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali (livello I-II) fissi tra di loro o ad altre strutture. N2b Metastasi solamente nei linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili e in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari (livello I-II). N3 Metastasi in uno o più linfonodi sottoclaveari omolaterali (livello III ascellare) con o senza coinvolgimento di linfonodi ascellari dei livelli I-II; o nei linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili (4) in presenza di metastasi nei linfonodi ascellari livello I-II clinicamente evidenti; o metastasi in uno o più linfonodi sovraclaveari omolaterali con o senza coinvolgimento dei linfonodi ascellari o mammari interni. N3a Metastasi nei linfonodi sottoclaveari omolaterali. N3b Metastasi nei linfonodi mammari interni e ascellari. N3c Metastasi nei linfonodi sovraclaveari. Metastasi a distanza (M): Mx Metastasi a distanza non accertabili. M0 Non evidenza clinica o radiologica di metastasi a distanza. cM0(i+) Non evidenza clinica o radiologica di metastasi a distanza, ma depositi di cellule tumorali evidenziati mediante biologia molecolare o microscopicamente nel sangue, midollo osseo o in altri tessuti diversi dai linfonodi regionali, di dimensioni non superiori a 0,2 mm in una paziente senza segni o sintomi di metastasi M1 Metastasi a distanza evidenziate mediante classici esami clinici e radiologici e/o istologicamente dimostrate di dimensioni superiori a 0,2 mm. Il p (postoperatorio) pT Tumore primitivo. La classificazione patologica del tumore primitivo corrisponde a quella clinica. pN Linfonodi regionali. pNx i linfonodi regionali non possono essere definiti (ad esempio: non sono stati prelevati o sono stati rimossi in precedenza). pN0 non metastasi nei linfonodi regionali identificate istologicamente (aggiungere “sn” se la classificazione è basata sul linfonodo sentinella senza la dissezione ascellare). Nota: si definiscono cellule tumorali isolate (isolated tumor cell, ITC) piccoli aggregati di cellule non più grandi di 0,2 mm o singole cellule tumorali o un piccolo raggruppamento di cellule con meno di 200 cellule in una singola sezione istologica. Le cellule tumorali isolate possono essere evidenziate con i metodi istologici tradizionali o con metodi immunoistochimici. I linfonodi contenenti solo cellule tumorale isolate sono esclusi dalla conta totale dei linfonodi positivi ai fini della classificazione N, ma dovrebbero essere inclusi nel numero totale dei linfonodi esaminati. pN0 (i-) non metastasi nei linfonodi regionali all’istologia (con colorazione standard ematossilina eosina), negativa la reazione immunoistochimica. 28 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA pN0 (i+) presenza di ITC nei linfonodi regionali non superiori a 0,2 mm (evidenziate con ematossilina-eosina o alla reazione immunoistochimica). pN0 (mol-) non metastasi nei linfonodi regionali istologicamente accertate, RT- PCR (real timepolymerase chain reaction) negativa. pN0 (mol+) RT-PCR positiva ma non metastasi nei linfonodi regionali all’istologia o alla reazione immunoistochimica. pN1 Micrometastasi; o metastasi in 1-3 linfonodi ascellari omolaterali; e/o metastasi nei linfonodi mammari interni omolaterali rilevate con biopsia del linfonodo sentinella ma non clinicamente rilevabili. pN1mi Micrometastasi (di dimensioni superiori a 0,2 mm e/o più di 200 cellule, ma non più grandi di 2 mm). pN1a Metastasi in 1-3 linfonodi ascellari, includendo almeno una metastasi delle dimensioni massime superiori a 2 mm. pN1b Metastasi nei linfonodi mammari interni con metastasi microscopiche o macroscopiche rilevate con la biopsia del linfonodo sentinella ma non clinicamente rilevabili. pN1c Metastasi in 1-3 linfonodi ascellari e nei linfonodi mammari interni con metastasi microscopiche o macroscopiche rilevata con la biopsia del linfonodo sentinella ma non clinicamente rilevabili. pN2 Metastasi in 4-9 linfonodi ascellari omolaterali; o in linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili (7) in assenza di metastasi nei linfonodi ascellari. pN2a Metastasi in 4-9 linfonodi ascellari, includendo almeno una localizzazione tumorale delle dimensioni massime superiori a 2 mm. pN2b Metastasi clinicamente rilevabili (7) nei linfonodi mammari interni in assenza di metastasi nei linfonodi ascellari. pN3 Metastasi in 10 o più linfonodi ascellari omolaterali; o in linfonodi sottoclavicolari (livello III ascellare) omolaterali; o metastasi clinicamente rilevabili (7) nei linfonodi mammari interni omolaterali in presenza di metastasi in uno o più linfonodi ascellari positivi livello I-II; o metastasi in più di 3 linfonodi ascellari e nei linfonodi mammari interni con metastasi microscopiche o macroscopiche evidenziate con biopsia del linfonodo sentinella ma non clinicamente rilevabili; o metastasi nei linfonodi sovraclaveari omolaterali. (1) I carcinomi nel parenchima mammario associati con malattia di Paget sono classificati in base al diametro e alle caratteristiche della malattia parenchimale, sebbene debba essere annotata la malattia di Paget. (2) La sola invasione del derma non permette la classificazione del tumore come T4. (3) Il carcinoma infiammatorio è caratterizzato da alterazioni cutanee tipiche che coinvolgono un terzo o più della cute mammaria. La evidenziazione istologica di invasione tumorale dei linfatici del derma supporta la diagnosi ma tale caratteristica NON è richiesta per la diagnosi di carcinoma infiammatorio. L’invasione tumorale dei linfatici del derma senza caratteristiche cliniche tipiche NON è sufficiente per una diagnosi di carcinoma mammario infiammatorio. (4) Clinicamente rilevabili: rilevati mediante studi di diagnostica per immagini (esclusa la linfoscintigrafia) o mediante esame clinico e con caratteristiche altamente sospette per malignità o presunta macrometastasi patologica in base ad agoaspirato con ago sottile ed esame citologico. (5) Non clinicamente rilevabile: non rilevabile mediante esami di diagnostica per immagini ((esclusa la linfoscintigrafia) o mediante esame clinico. (6) RT-PCR: reverse transcriptase/polymerase chain reaction. Sono stati effettuati studi con tecniche di biologia molecolare del linfonodo sentinella, le quali permettono in base ad analisi di RT-PCR quantitativa l’individuazione di micro e macrometastasi. L’impatto prognostico di tali risultati per la definizione della terapia oncologica deve essere ancora validato. (7) Clinicamente rilevabile: rilevato mediante studi di diagnostica per immagini (esclusa linfoscintigrafia) o mediante esame clinico e con caratteristiche altamente sospette di malignità o presunta macrometastasi patologica sulla base di una aspirazione con ago sottile ed esame citologico. 29 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA In questa settima edizione del TNM, viene inoltre sottolineato come: la terminologia DIN (ductal intraepithelial neoplasia), comprendente sia DCIS che ADH (iperplasia duttale atipica) non sia ampiamente accettata e come solo i casi riferiti a DIN contenenti DCIS (± ADH) siano classificati come Tis (DCIS); la terminologia LIN (lobular intraepithelial neoplasia), comprendente sia LCIS che ALH (iperplasia lobulare atipica) non sia ampiamente accettata e come solo i casi riferiti a LIN contenenti LCIS (± ALH) siano classificati come Tis (LCIS). In alcuni centri viene attualmente utilizzata una metodica molecolare per l’analisi del linfonodo sentinella in toto, indicata come One Step Nucleic Acid amplification (OSNA) che si basa sulla analisi della presenza di RNA per la CK18 espressa elettivamente dai carcinomi mammari. OSNA definisce 3 categorie diagnostiche: OSNA-: linfonodo negativo e con presenza di livelli di RNA riconducibili a “cellule tumorali isolate. OSNA+: presenza di micrometastasi. OSNA++: presenza di macrometastasi. Il valore diagnostico di tale test è stato provato in alcuni studi. STADIO Stadio 0 Tis N0 M0 Stadio I A T1** N0 M0 Stadio I B T0 N1 mi Stadio IIA T1** T0 N1 mi N T1** 1* T * Stadio IIB T2 2 N1 N Stadio IIIA T3 T0 N0 1* N2 * N2 N N2 0 N1 N0 N2 T1* * Stadio IIIB T2 T4 T3 M0 M0 M0 M0 T4 T3 T4 N1 Stadio IIIC Ogni T N3 M0 Stadio IV Ogni T Ogni N M1 N2 ** I tumori T0 e T1 con sole micrometastasi linfonodali, sono esclusi dallo stadio II A e classificati come stadio I B. - M0 comprende M0(i+). - La designazione pM0 non è valida; qualsiasi M0 dovrebbe essere clinica. 30 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA - Se una paziente si presenta con M1 prima di una terapia sistemica neoadiuvante, lo stadio è considerato IV e rimane IV indipendentemente dalla risposta alla terapia neoadiuvante. - La designazione di stadio può cambiare se esami diagnostici per immagine rivelano la presenza di metastasi a distanza, a condizione che siano stati eseguiti entro quattro mesi dalla diagnosi in assenza di progressione di malattia e che la paziente non abbia ricevuto terapia neoadiuvante. - I prefissi “yc” e “yp” indicano la classificazione dopo terapia neoadiuvante. Nessun gruppo di stadio è assegnato nel caso di ottenimento di una risposta completa patologica (ad esempio ypT0N0 cM0). FATTORI PROGNOSTICI Esistono fattori validati che si sono dimostrati essere importanti dal punto di vista prognostico e utili nella scelta del tipo di trattamento quali: dimensioni del tumore: è difficile definire un valore soglia al di sotto o al di sopra del quale il tumore possa essere considerato a cattiva o a buona prognosi, fatta eccezione per i tumori molto piccoli. Tuttavia, anche nei tumori pT1a e pT1b la valutazione del rischio non può prescindere dal considerare gli altri parametri prognostici, quali lo stato dei linfonodi ascellari, i fattori biologici (Ki67, stato dei recettori ormonali, stato di HER2, grading) e l’età della paziente. stato dei linfonodi ascellari: dovrebbe essere considerato come una variabile continua e valutato insieme agli altri fattori prognostici. I risultati dello studio MIRROR hanno evidenziato come la presenza di cellule isolate o di micrometastasi nei linfonodi regionali si associa, in assenza di terapie adiuvanti, a una peggiore sopravvivenza libera da malattia. grado istologico attività proliferativa (Ki-67) tipo istologico: gli istotipi tubulari, midollare, adenoide cistico, apocrifo, in assenza di interessamento linfonodale e di altri segni di aumentato rischio metastatico hanno una prognosi favorevole. invasione vascolare: l’invasione vascolare (definita come presenza di chiari segni di invasione in almeno dieci campi microscopici) non è universalmente accettata 31 come fattore prognostico ma in diversi studi è stata riportata essere predittiva di una peggiore sopravvivenza libera da riprese e sopravvivenza globale nelle pazienti N- e con altri fattori di rischio quali il grado istologico, le dimensioni del tumore e lo stato dei recettori ormonali. stato di HER-2: la sovraespressione di HER-2 all’immunoistochimica o l’amplificazione genica di HER-2, presenti in circa il 15%-20% dei carcinomi mammari, rappresentano un consolidato fattore prognostico e un fattore predittivo di risposta ai farmaci anti-HER-2 (ad esempio, trastuzumab, lapatinib, pertuzumab) e verosimilmente di resistenza al tamoxifene. stato dei recettori ormonali: è importante definire lo stato sia dei recettori estrogenici che progestinici e riportare la percentuale delle cellule positive che deve essere valutata come una variabile quantitativa continua. Esiste una relazione tra i livelli dei recettori e i benefici ottenuti con i trattamenti ormonali sia nella malattia metastatica che nel setting adiuvante e neoadiuvante. Pertanto i tumori con elevati livelli di recettori sono quelli che hanno maggiori probabilità di beneficiare di una terapia ormonale anche se molti altri fattori possono influenzare l’ormonoresponsività dei tumori come lo stato di HER-2, il grado istologico e il Ki67. età della paziente: (< 35 anni: prognosi peggiore) dimensioni del tumore: è difficile definire un valore soglia al di sotto o al di sopra del quale il tumore possa essere considerato a cattiva o a buona prognosi, fatta eccezione PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA per i tumori molto piccoli. Tuttavia, anche nei tumori pT1a e pT1b la valutazione del rischio non può prescindere dal considerare gli altri parametri prognostici, quali lo stato dei linfonodi ascellari, i fattori biologici (Ki67, stato dei recettori ormonali, stato di HER2, grading) e l’età della paziente. stato dei linfonodi ascellari: dovrebbe essere considerato come una variabile continua e valutato insieme agli altri fattori prognostici. I risultati dello studio MIRROR hanno evidenziato come la presenza di cellule isolate o di micrometastasi nei linfonodi regionali si associa, in assenza di terapie adiuvanti, a una peggiore sopravvivenza libera da malattia.21 grado istologico: un grado istologico elevato (G3) è considerato un fattore prognostico sfavorevole a differenza di un grado istologico basso (G1). Più difficile è la valutazione di un grado istologico intermedio (G2). Analizzando il profilo genico (97 geni) del grado istologico intermedio (test non ancora disponibile per un uso routinario) si è visto che spesso il G2 viene riclassificato come G3 o G1. attività proliferativa: l’attività proliferativa misurata con il Ki-67 labeling index (percentuale di nuclei di cellule tumorali che si colorano con l’anticorpo per la proteina Ki-67 codificata dal gene KI67) è oggi un fattore prognostico riconosciuto. sintomi e/o segni di malattia sistemica nelle pazienti a basso rischio di recidiva (stadio I-II). Nelle pazienti a più alto rischio di recidiva (stadio III) o con segni clinici o di laboratorio sospetti per la presenza di localizzazioni secondarie è indicata una stadiazione strumentale completa: TC del torace, ecotomografia o TC o RMN epatica e scintigrafia ossea. L’utilizzo della PET o PET/TC non è indicato nella stadiazione del carcinoma mammario in stadio clinico I-II in considerazione dell’alto tasso di falsi negativi in presenza di lesioni piccole (<1 cm) e/o di basso grado, della bassa probabilità di locazioni secondarie in questi stadi e dell’alta percentuale di falsi positivi. La FDG PET/TC può essere utilizzata come approfondimento in tutte le situazioni in cui gli esami di stadiazione standard risultino equivoci e sospetti . La risonanza magnetica mammaria non è raccomandata come indagine mandatoria di complemento a mammografia ed ecografia mammaria in pazienti con diagnosi di carcinoma mammario. La MRI mammaria è considerata la metodica più sensibile per la valutazione del tumore residuo dopo chemioterapia neoadiuvante e viene utilizzata come metodica integrata nella diagnosi differenziale tra cicatrice e recidiva, nella ricerca di carcinoma occulto e nella stadiazione locoregionale (multicentricità, multifocalità, infiltrazione del muscolo pettorale e interessamento dei linfonodi regionali). RUOLO DELLA ALLA PAZIENTE ESAMI RICHIESTI PER LA STADIAZIONE COMUNICAZIONE Scopo dell’informazione è fornire alle pazienti gli strumenti per comprendere le motivazioni, le potenzialità e i rischi delle procedure diagnostico-terapeutiche proposte dai curanti allo scopo di poter partecipare in prima persona alle decisioni. Obiettivo ulteriore dell’informazione è aumentare l’aderenza alle procedure diagnostico-terapeutiche. A seguito della diagnosi di tumore maligno, un intervento chirurgico, sia esso conservativo o L’esame obiettivo, un emocromo completo e un profilo biochimico completo andrebbero eseguiti in tutte le pazienti con tumore della mammella operato al fine di verificarne l’idoneità a ricevere il trattamento programmato e a escludere o accertare la coesistenza di comorbidità. Una stadiazione preoperatoria con esami strumentali non è raccomandata in assenza di 32 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA demolitivo del seno, costituisce per la donna un'esperienza psicologicamente traumatica e attiva meccanismi psichici di rifiuto e di negazione che rischiano di creare distorsione e confusione nelle informazioni ricevute. I sanitari necessitano di un'informazione comunicativa relazionale che permetta loro di conoscere le dinamiche in gioco, stare meglio nella relazione e indirizzare le donne alla scelta del percorso terapeutico. Condizioni essenziali perché il processo di promozione della salute si svolga correttamente sono la partecipazione e il coinvolgimento attivo delle pazienti soprattutto in questo delicato contesto; la disponibilità di informazione da parte del cittadino assume un valore maggiore e allo stesso tempo qualitativamente differente soprattutto oggi con il diffuso accesso a informazioni sanitarie. Questo accesso all'informazione è ciò che garantisce al paziente la possibilità di partecipare in modo attivo e consapevole alla gestione della propria salute. E’ attorno a questa centralità infatti che ruota la possibilità da parte del soggetto di scegliere tra un numero crescente di opzioni terapeutiche soprattutto in campo della oncologia senologica. La paziente dovrà essere pertanto edotta sulla patologia della quale è affetta così come sulle varie alternative rispetto all’intervento chirurgico, le sue conseguenze e sui tempi di attesa. È auspicabile che tali informazioni possano essere fornite anche per iscritto alla paziente tramite un consenso informato dettagliato e personalizzato che la paziente avrà tempo di leggere a casa nell’attesa dell’inizio del percorso. Anche se molte donne possono essere eligibili per eseguire un intervento conservativo, vari fattori (non ultimo la scelta del paziente) possono portare alcune donne a chiedere al chirurgo di eseguire altre procedure. Ove possibile, alle pazienti deve essere offerta una scelta consapevole tra interventi conservativi e mastectomia con o senza rico-struzione. Sarebbe auspicabile che al colloquio del chirurgo con la paziente fossero presenti anche altre figure professionali facenti parte del gruppo multidisciplinare comprendente anche una figura esperta di psicooncologia. Un ambiente adeguato deve essere disponibile. • La diagnosi va comunicata alla paziente il prima possibile. • La paziente deve iniziare il trattamento entro 4 settimane dalla diagnosi. • La strategia terapeutica dovrebbe essere comunicata alla paziente da un clinico dopo l’incontro del gruppo multidisciplinare. • Un’infermiera dedicata deve essere presente per aiutare la paziente a capire e darle un supporto psicologico. • Ogni paziente deve essere dettagliatamente informata sul percorso diagnostico e terapeutico e le deve essere concesso tempo sufficiente per poter prendere una decisione RUOLO DELLA CHIRURGIA E’ importante che il chirurgo assicuri che si abbiano tutti i dati necessari sull'intervento chirurgico per potere decidere la terapia adiuvante sistemica o la radioterapia successiva alla chirurgia. E’ altresì importante evitare l’eccesso di trattamento chirurgico nelle donne portatrici di lesioni a prognosi favorevole. Tutti i chirurghi coinvolti nel trattamento del carcinoma della mammella devono essere a conoscenza del fatto che sono disponibili differenti scelte di trattamento da adottare per ogni donna. Ogni donna, d’altronde, dove essere edotta dal chirurgo sulle diversi possibilità terapeutiche e sui risultati che con le diverse opzioni si ottengono in termini di estetica, sopravvivenza, ripresa locale e a distanza della malattia e, ove possibile, deve poter scegliere il tipo di trattamento chirurgico che ritiene più consono sulla base di fattori personali che possono variare da caso a caso. Qualsiasi intervento chirurgico deve essere preceduto da un accertamento citologico o 33 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA istologico (agoaspirato o agobiopsia) della lesione, poiché ci consente una programmazione chirurgica più appropriata. I risultati di studi clinici randomizzati hanno riportato tassi di sopravvivenza simili nelle donne trattate con chirurgia conservativa rispetto alle donne trattate con mastectomia. Tuttavia tutti questi studi avevano criteri di inclusione legati esclusivamente alle dimensioni del tumore (<2,5 cm). Al momento attuale a guidare la scelta è il rapporto fra dimensione della neoplasia e dimensione del seno tenendo sempre fisso il criterio che la rimozione del tumore debba ottenere margini liberi di resezione e un risultato esteticamente accettabile. Molto importante è la motivazione della donna a conservare il proprio seno. Il trattamento di scelta in epoca di diagnosi precoce dovrà essere prevalentemente conservativo nella maggior parte dei casi. Gli interventi conservativi dovranno essere il 70-80% di tutti gli interventi. La valutazione preoperatoria accurata della dimensione e l'estensione del tumore è essenziale per decidere l’indicazione al tipo di intervento. Metodi di routine per valutare l'estensione della malattia sono l'esame clinico, la mammografia e l’ecografia anche se in un numero significativo di casi, la reale portata della malattia è sottovalutata, in particolare con il carcinoma lobulare infiltrante. Un uso selettivo della risonanza magnetica può essere utile nella pianificazione del trattamento chirurgico soprattutto per le lesioni in situ, microcalcificazioni diffuse e neoplasie multicentriche anche in pazienti non BRCA1 o BRCA2 positive. La scelta dell’intervento chirurgico è un passaggio fondamentale del percorso terapeutico. La responsabilità di tale scelta è del chirurgo, in prima istanza, e del radioterapista, i quali dopo aver ascoltato il parere di tutti i componenti del gruppo multidisciplinare dovranno valutare tutti gli elementi per decidere indicazioni e controindicazioni al trattamento chirurgico e radiante. In particolare si sottolinea che la percentuale di re-interventi non dovrebbe eccedere il 10%. Nello specifico la percentuale di pazienti con carcinoma invasivo puro che riceve un solo intervento alla mammella per il tumore primario (esclusa la ricostruzione) dovrà essere come minimo dell’80% con un obiettivo del 90%. Nei pazienti con carcinoma in situ la percentuale potrà essere del 70% con obiettivo del 90%. La presenza del chirurgo plastico ricostruttore in sala operatoria, sia per interventi su patologia benigna che maligna, è auspicabile specialmente in quegli interventi che richiedano rimodellamenti complessi (interventi sui quadranti inferiori o interni) e obbligatoria in caso di posizionamento di protesi (mastectomia radicale con ricostruzione immediata). Dalla collaborazione delle due figure di chirurgo oncologo e ricostruttore nasce la scelta dell’incisione cutanea, la strategia del rimodellamento ghiandolare e i tempi operatori. Tali decisioni vanno programmate in fase preoperatoria e documentate con fotografie, disegni, ecc. 34 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA TIPOLOGIE DI INTERVENTI SULLA MAMMELLA Biopsia mammaria La biopsia deve consentire la caratterizzazione istopatologica e biologica della neoplasia; deve essere possibilmente escissionale. L’escissione bioptica deve avvenire attraverso un’incisione cutanea che deve tener conto della eventuale successiva incisione per l’intervento definitivo. La resezione mammaria limitata consiste nell’asportazione di una piccola porzione di tessuto mammario comprendente il tumore; nelle forme superficiali può essere associata l’asportazione di una porzione di cute soprastante la neoplasia per la verifica della possibile infiltrazione cutanea. Resezione mammaria ampia (tumorectomia allargata) Per resezione ampia, o tumorectomia allargata, si intende l’asportazione di una porzione di tessuto mammario comprendente il tumore e un margine non inferiore al centimetro di parenchima circostante macroscopicamente sano. La Quadrantectomia o resezione parziale della mammella è una tecnica chirurgica che prevede l’asportazione limitata della ghiandola per le pazienti affette da neoplasia che può produrre una perdita di sostanza che frequentemente rischia di deformare permanentemente la mammella rimasta. L’obiettivo della Quadrantectomia mammaria è di migliorare la qualità della vita delle donne evitando una mutilazione estetica del seno e riducendo così l’impatto psicologico negativo, senza aumentare il rischio di recidiva locale. L’approfondimento dell’incisione deve avere una direzione a tronco di piramide rovesciata con la base sulla fascia muscolare. L’asportazione del parenchima mammario deve comunque includere i dotti compresi fra il tumore e il capezzolo. 35 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Mastectomia radicale modificata Il termine definisce l’asportazione della ghiandola mammaria e di una losanga di cute soprastante comprendente areola e capezzolo (mastectomia semplice). Mastectomia Skin Nipple Sparing (NAC sparing mastectomy) Il termine inglese “Nipple sparing mastectomy (NAC)” indica una mastectomia con risparmio del complesso areolo-capezzolo, evitando la mutilazione della mastectomia radicale e riducendo notevolmente l'impatto psicologico negativo, senza inficiare la radicalità oncologica. Possono beneficiare di questo tipo di intervento pazienti affette da estese neoplasie infiltranti o non infiltranti, situate in sedi non prossime alla zona centrale della mammella. Questa tecnica è indicata in pazienti con mammelle di dimensioni medio-piccole con neoplasie di diametro fino a 2 cm per le quali non vi è indicazione a un trattamento chirurgico conservativo per la sproporzione del rapporto dimensione mammella/dimensione neoplasia. Sono inoltre candidate a questo tipo di intervento pazienti che, pur essendo suscettibili di terapia chirurgica conservativa, non posso essere sottoposte a radioterapia (pazienti con collagenopatie o sottoposte a pregresse radioterapie sulla parete toracica), pazienti che richiedano espressamente questo tipo di intervento per evitare il rischio di recidiva locale, pazienti ad alto rischio di sviluppare un tumore mammario (portatrici di mutazione dei geni BRCA 1/2 o con diagnosi precedente di lesioni pre-cancerose come l’iperplasia atipica) e pazienti con carcinoma lobulare in situ. La radioterapia, quando necessaria, può essere erogata intraoperatoriamente oppure nei giorni successivi all’intervento. È in corso uno studio che valuta l’impatto di questa tecnica chirurgica sulla qualità di vita delle pazienti e sulla ricaduta locale di malattia. Requisito importante per la conservazione del complesso areolacapezzolo è la negatività microscopica intraoperatoria per neoplasia del tessuto retro-areolare. 36 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Mastectomia totale con asportazione di entrambi i muscoli pettorali (intervento di Halsted). Il termine radicale non è più impiegato oggi in quanto il concetto di radicalità va considerato un obiettivo sia della chirurgia demolitiva che di quella conservativa. Questo intervento trova oggi raramente indicazioni se non per lesioni estese alla parete toracica. Chirurgia oncoplastica La chirurgia oncoplastica è una disciplina relativamente giovane nata per coniugare le necessità di una corretta chirurgia oncologica (ampi margini di resezione, valutazione dei linfonodi del cavo ascellare ecc.) con il rispetto della cosmesi finale, al fine di garantire la cenestesi fisica e psicologica della donna operata al seno. Tali procedure avvengono durante lo stesso intervento e la paziente operata per carcinoma mammario si avvantaggia di una cosmesi completamente ricostituita sin dal postoperatorio. La chirurgia oncoplastica è una disciplina ad alta specializzazione che coniuga i principi della chirurgia oncologica con le migliori tecniche di chirurgia plastica garantendo risultati ottimali in termini di controllo di malattia e cosmesi. Diversi principi di chirurgia generale e di tecniche di chirurgia oncoplastica, risultano utili per migliorare il risultato estetico della chirurgia conservativa del seno senza peraltro rinunciare a ottenere un ampio margine chirurgico di resezione mammaria. Queste tecniche di chirurgia oncoplastica fondamentali sono facilmente insegnate a, e utilizzate da chirurghi con esperienza in chirurgia del seno di routine. preoperatorio è il repere metallico. La guida per il centraggio della lesione verrà scelta in base alla metodica con cui è stata eseguita la biopsia diagnostica (mammografica se il prelievo è stato eseguito su guida mammografica, ecografica se il prelievo è stato eseguito su guida ecografica). È auspicabile che il chirurgo in sala operatoria possa disporre: delle radiografie complete della paziente (in duplice proiezione, compresa la laterale) prima del posizionamento del repere; delle radiografie della paziente dopo posizionamento del repere in duplice proiezione, compresa la laterale; del referto del radiologo senologo, relativo alla mammografia e al posizionamento del repere. Nel 90% dei casi la lesione non dovrà essere distante dalla punta del repere più di 1 cm. Il repere dovrà preferenzialmente essere posizionato il giorno prima o, meglio, il giorno stesso dell’intervento chirurgico. Trattamento chirurgico delle microcalcificazioni e delle lesioni non palpabili Vengono trattate chirurgicamente quelle microcalcificazioni che presentano caratteri radiologici dubbi o sospetti, preferibilmente dopo microbiopsia stereotassica probativa per carcinoma o iperplasia atipica. Previo posizio- La biopsia diagnostica e reperaggio della lesione La metodica migliore per il centraggio 37 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA namento di repere (metallico o polvere di carbone) si procede alla exeresi dell’area contenente il “cluster” di microcalcificazioni o l'opacità non palpabile segnalate dal repere. Asportata la zona di parenchima ghiandolare è necessaria la radiografia del pezzo chirurgico per la verifica dell’avvenuta asportazione delle microcalcificazioni o dell'opacità nodulare. L’exeresi può essere eseguita sia in anestesia locale che generale a seconda della preferenza dell’operatore e delle possibilità organizzative della struttura ove l’intervento chirurgico viene eseguito. Il pezzo operatorio deve essere orientato dal chirurgo con almeno tre reperi. Seguirà l’esame istologico definitivo del settore asportato, previa marcatura dei margini. L'esame istologico intraoperatorio non trova indicazione nelle pazienti con microcalcificazioni, né nelle pazienti con lesioni nodulari inferiori ai 5 mm, né nelle pazienti con lesione non palpabile neppure nel pezzo operatorio. Per il reperaggio di lesioni non palpabili, nei centri ove è possibile praticarlo, può essere presa in considerazione la Roll (raioguided occult lesion localization): questa tecnica innovativa ideata per la localizzazione delle lesioni non palpabili della mammella, prevede l’introduzione di una soluzione contenente macroaggregati di albumina umana coniugata con il TC99m all’interno di un piccolo nodulo non palpabile o all’interno di un'area di microcalcificazioni. Mediante una sonda per la chirurgia radioguidata (stessa sonda utilizzata per la localizzazione del linfonodo sentinella), le lesioni di natura tumorale possono essere asportate chirurgicamente in modo mirato conservando l’integrità della mammella. Per le opacità nodulari di diametro compreso fra 5 e 10 mm. Diventa derimente per la esecuzione dell'esame istologico intraoperatorio, la palpabilità intraoperatoria e/o sul pezzo chirurgico della lesione. Se l'esame istologico definitivo risulterà negativo per carcinoma, l’iter terapeutico può ritenersi concluso; altrimenti si procederà all’intervento chirurgico adeguato. Dissezione ascellare La dissezione ascellare eseguita in pazienti con neoplasia della mammella ha i seguenti scopi: - asportare malattia locale; - prevenire recidive ascellari; - ottenere una corretta stadiazione della neoplasia; - pianificare il trattamento adiuvante. Tradizionalmente il tipo di approccio chirurgico all’ascella può essere suddiviso in quattro interventi: - linfonodo sentinella: asportazione del primo linfonodo (o linfonodi) che riceve linfa direttamente dal tumore primitivo, ovvero di quel linfonodo che riceve direttamente linfa dal tumore. sampling ascellare (campionamento linfonodale) - dissezione di primo livello: asportazione dei linfonodi lateralmente al margine del muscolo piccolo pettorale - dissezione di primo e secondo livello - dissezione ascellare completa: asportazione di tutti i linfonodi ascellari corrispondenti ai 3 livelli di Berg, con o senza asportazione del muscolo piccolo pettorale. Tutte le pazienti con carcinoma invasivo debbono avere una stadiazione ascellare. Casi particolari (pazienti anziani particolarmente debilitate, piccole neoplasie tubulari o G1 o casi similari) dovranno essere discussi in fase di incontro multidisciplinare. La scelta di queste metodiche dipende da una parte dal tipo di informazioni richieste, dall’inquadramento diagnostico preoperatorio (TNM), dalla considerazione del rischio chirurgico e delle sequele potenziali. La presenza di metastasi ascellari è un fattore prognostico determinante in un carcinoma mammario operabile. Una dissezione 38 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA ascellare appropriata è molto importante per la prevenzione delle recidive linfonodali. Per recidiva linfonodale si intende una ripresa di malattia solo a livello ascellare e non include una recidiva sovraclaveare. L’uso di uno studio diagnostico appropriato mediante ecografia e ago aspirato con ago sottile può essere utile nel definire in fase preoperatoria le pazienti con coinvolgimento linfonodale. Se viene posta diagnosi di metastasi linfonodale ascellare mediante FNA occorre procedere a dissezione ascellare. È auspicabile che il chirurgo segnali il tipo di intervento eseguito in ascella e segnali al patologo i vari livelli anatomici. Non è chiaro quale debba essere il numero ideale di linfonodi da asportare in una dissezione ascellare, ma è universalmente accettato che un buon centro debba avere almeno 10 linfonodi in almeno il 90% degli interventi di dissezione ascellare, con obiettivo 98%. Se la dissezione è efficace i livelli di recidive ascellari debbono essere fra 3% e 5% a 5 anni. Comunque un buon centro di chirurgia senologica non deve avere un tasso di recidive ascellari superiore al 5% a 5 anni con un obiettivo ideale inferiore al 3%. Eccellente un livello di recidive ascellari del 5% a 10 anni. un’indicazione sufficiente. Le controindicazioni all’esecuzione del linfonodo sentinella sono le seguenti: tumori con T superiore a 5 cm (tumori con T fra 3 e 5 cm vanno valutati caso per caso, prendendo in esame ulteriori fattori clinici e patologici); pazienti con neoplasia avanzata o con carcinoma infiammatorio; linfonodi ascellari clinicamente sospetti (in caso di linfonodi palpabili ecograficamente patologici si può ricorrere all’esame citologico tramite ago aspirato eco guidato); Chemioterapia neoadiuvante; gravidanza (il radiotracciante è radioattivo e il colorante vitale oltrepassa la barriera placentare). Multicentricità e multifocalità, un tempo controindicazioni assolute, non vengono più considerate tali, dal momento che la metodica ha dato risultati di buona affidabilità. In tali casi si ricorre alla marcatura in sede periareolare. Maggiori dubbi vengono espressi in casi di pregressa chirurgia ascellare e di pregressa esecuzione di interventi di chirurgia plastica maggiore (es. mastoplastica riduttiva), anche se tali situazioni non rappresentano una controindicazione assoluta all’esecuzione di LS. Non rappresentano inoltre controindicazione quelle situazioni in cui una biopsia escissionale abbia già rimosso la neoplasia o dopo intervento di quadrantectomia con diagnosi istologica di carcinoma infiltrante. In questi casi l’inoculo del tracciante sarà eseguito per via subdermica a livello della cicatrice del pregresso intervento o in sede periareolare. Indicazioni all’esecuzione del linfonodo sentinella Carcinomi Infiltranti della mammella di diametro fino a 3 cm con linfonodi ascellari clinicamente negativi o non sospetti La biopsia del linfonodo sentinella deve essere sempre preceduta da un esame citologico da una microbiopsia sulla neoplasia positiva o fortemente indicativa per carcinoma (C5 o diagnosi istologica di carcinoma infiltrante, B5). Un esame citologico fortemente sospetto(C4) con diagnosi radiologica o ecografia suggestiva per carcinoma (R5, U5) può essere Le indicazioni all’esecuzione del LS nel Dcis: DCis di alto grado DCis di qualunque grado con diametro superiore a 3 cm Nella ricerca del linfonodo sentinella il gold 39 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA standard è rappresentato dalla metodica combinata (colorante vitale e radioisotopo). Non ci sono studi che permettono di affermare che una metodica singola sia superiore all’altra, anche se i dati complessivi sembrano conferire una maggiore affidabilità alla tecnica con radioisotopo. Si può affermare che la confidenza del chirurgo con l’una o con l’altra metodica sia un elemento essenziale nella scelta della stessa. In ogni caso il chirurgo esecutore deve avere per un numero di almeno 30 casi consecutivi il seguente standard minimo: identificazione del LS superiore al 90%. percentuale di falsi negativi inferiore al 10% (altre raccomandazioni indicano nel 4% il limite massimo). dati, è quello di non sottoporre la paziente a dissezione ascellare. La dissezione selettiva del linfonodo sentinella (LS) è da considerare uno standard terapeutico per le pazienti con carcinoma mammario stadio clinico I-II e linfonodi clinicamente negativi o con linfonodi clinicamente sospetti ma con successivo agoaspirato negativo. Deve essere effettuata da un team esperto. E’ necessario riportare sempre: numero dei linfonodi esaminati e numero dei linfonodi metastatici. E’ opportuno specificare anche le dimensioni delle metastasi (<2 mm, tra i 2 mm e i 2 cm, >2 cm). Vengono considerate micrometastasi quelle di grandezza compresa tra 0,2 mm e 2 mm. Se viene eseguita indagine reazione immunoistochimica con citocheratina si deve segnalare l’eventuale presenza di cellule tumorali isolate: singole o piccoli gruppi di cellule non più grandi di 0,2 mm In caso di metastasi è necessario segnalare sempre l’eventuale estensione al tessuto adiposo ascellare, e se i linfonodi sono adesi tra loro o ad altre strutture. Non è necessario distinguere i livelli linfonodali, a meno che non siano stati segnalati con reperi dal chirurgo o inviati separatamente. Lo scopo minimo assoluto dell’esame istologico del linfonodo sentinella è quello di identificare tutte le macrometastasi ed è ritenuta importante anche l'identificazione delle micrometastasi, data la loro associazione con un ulteriore coinvolgimento linfonodale. L’esame intraoperatorio del linfonodo sentinella consente prevalentemente una diagnosi di macrometastasi, sufficiente comunque in molti casi a evitare un secondo intervento metacrono per la dissezione ascellare. Essa può essere ottenuta con esame istologico o mediante citologia su imprinting. Si pone come numero massimo di linfonodi asportati accettabile per una procedura di LS il numero di 4 linfonodi. Al di sopra di tale numero si parlerà di sampling ascellare e il patologo tratterà di conseguenza i pezzi anatomici che gli giungeranno. Attualmente non vi sono dati in letteratura che permettano di avere un comportamento univoco in caso di minima positività del LS. Si raccomanda, nei casi particolarmente controversi in cui è possibile adottare schemi terapeutici alternativi a quelli descritti (es. radioterapia), di decidere caso per caso in fase di discussione multidisciplinare. Se il linfonodo sentinella è positivo (micrometastasi o macrometastasi) l’orientamento attuale è quello di sottoporre la paziente a dissezione ascellare. In caso di cellule tumorali isolate, l’orientamento attuale, in attesa di ulteriori Metastasi nel linfonodo sentinella: La dissezione ascellare rimane a oggi indicata nel caso di presenza di 1 o 2 linfonodi sentinella positivi all’istologia, a meno che non siano intervenute controindicazioni di carattere locale o sistemico oppure la paziente rifiuti la dissezione ascellare. Micrometastasi nel linfonodo sentinella: in presenza di micrometastasi nel linfonodo sentinella la successiva dissezione ascellare potrebbe essere 40 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA omessa. Biopsia del linfonodo sentinella nelle pazienti con carcinoma mammario invasivo candidate sottoposte a chemioterapia neoadiuvante : nelle pazienti con carcinoma invasivo e linfonodi ascellari clinicamente negativi candidate a chemioterapia neoadiuvante, la dissezione selettiva del linfonodo sentinella prima della chemioterapia neoadiuvante (o primaria) potrebbe essere presa in considerazione valutando ogni singolo caso e discutendo tale opzione con la paziente in quanto tale atteggiamento potrebbe evitare la dissezione ascellare al momento della chirurgia, se il linfonodo sentinella risultasse negativo. Nel caso in cui la biopsia del linfonodo sentinella non venga effettuata prima del trattamento neoadiuvante, l’effettuazione della biopsia del linfonodo sentinella dopo il completamento della chemioterapia neoadiuvante non è raccomandata oggi in considerazione del basso tasso di rilevazione e dell’elevato tasso di falsi negativi. comprendono l’approccio conservativo (tendenzialmente ampia resezione locale o quadrantectomia + radioterapia) e la mastectomia radicale modificata con eventuale ricostruzione immediata. La terapia medica adiuvante ha lo scopo di ridurre il rischio relativo di recidiva e di morte per carcinoma mammario e mira pertanto ad aumentare l’intervallo libero da malattia e la sopravvivenza globale delle pazienti. L’opportunità di offrire un trattamento medico adiuvante deve essere considerata nella maggior parte delle pazienti: la riduzione del rischio di recidiva e di morte, infatti, è presente sia nelle pazienti con linfonodi negativi che in quelle con linfonodi positivi, sebbene in queste ultime il beneficio assoluto sia maggiore. La terapia medica adiuvante deve essere di norma iniziata entro 4-5 settimane dal completamento delle procedure chirurgiche, anche se una recente analisi retrospettiva conclude che solo una latenza superiore a 12 settimane sembra avere effetti negativi sull’efficacia del trattamento. I fattori prognostici e predittivi considerati nella pratica routinaria per la definizione della terapia medica adiuvante sono lo stato dei linfonodi ascellari, lo stato recettoriale, le dimensioni del tumore primitivo, il grado istologico, l’età della paziente, l’invasione vascolare peritumorale e l’espressione/amplificazione di HER-2/neu. Mentre nella precedente edizione della Consensus Conference di St. Gallen tutte le pazienti con linfonodi ascellari positivi erano considerate ad alto rischio di ricaduta e le categorie di rischio basso e intermedio si applicavano solo alle pazienti con linfonodi ascellari negativi, nell’ultima versione le pazienti con l’interessamento di 1-3 linfonodi ascellari e HER2/neu non iperespresso né amplificato rientrano nel gruppo di rischio intermedio (mentre tutte le altre pazienti con linfonodi positivi sono considerate ad alto rischio di ricaduta). Tuttavia in alcuni casi selezionati e in particolare per talune forme di T2> 2-3 cm, La dissezione ascellare (con asportazione di almeno 10 linfonodi per la valutazione patologica accurata) è indicata: - in presenza di linfonodi ascellari clinicamente sospetti per metastasi; - nel caso di mancato reperimento del linfonodo sentinella; - nei tumori T4 e nel carcinoma infiammatorio Pur essendo la dissezione ascellare completa (III-III livello) considerata uno standard, l’estensione al III livello deve avvenire solo in caso di presenza di malattia macroscopica del II livello. RUOLO DELLE TERAPIE SISTEMICHE Per la maggior parte delle donne con carcinoma della mammella in fase iniziale, la terapia chirurgica rappresenta il trattamento di elezione allo scopo di ottenere un controllo locale della malattia e le attuali opzioni chirurgiche 41 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA forme localmente avanzate e forme avanzate la terapia primaria è quella medica (chemioterapia, terapia endocrina), talora integrata con radioterapia alle quali potrebbe seguire in un secondo momento l’intervento chirurgico con intervento radicale In alcuni casi molto selezionati (malattia oligometastatica con tumore primitivo in sede o con secondo primitivo metacrono o con recidiva locale) è possibile il successivo coinvolgimento del gruppo oncologico multidisciplinare per valutare l’opzione chirurgica locale. Alla luce di quanto detto distinguiamo pertanto varie fasi oncologiche terapeutiche. della chemioterapia. Terapia adiuvante e neoadiuvante La terapia sistemica adiuvante deve essere presa in considerazione dopo il trattamento chirurgico in relazione alla significativa riduzione del rischio di recidiva e di morte ottenuta con la polichemioterapia, con la terapia endocrina e con la terapia biologica (Trastuzumab). I fattori prognostici e predittivi nella pratica clinica standard per la definizione della terapia medica adiuvante sono: - fattori predittivi di risposta ai trattamenti (ER, indice proliferativo, HER-2). - lo stato dei linfonodi ascellari. - le dimensioni del tumore primitivo. - l’istotipo e il grado istologico. - l’età della paziente. - l’invasione vascolare peritumorale. Fase di terapia medica primaria Una volta presa visione del referto citologico o istologico dell’agoaspirato o della biopsia, del referto della diagnostica per immagini e dell’esame clinico viene definito il programma di un’eventuale terapia primaria in casi selezionati come forme di T2 > 2-3 cm, forme localmente avanzate e forme avanzate. Accanto a questa definizione (fattori prognostici e predittivi) i carcinomi mammari vengono classificati secondo profili di espressione genica in: - Luminal A - Luminal B - HER-2 - Triple negative Non essendo ancora possibile utilizzare i profili genici nella pratica clinica, anche la semplice valutazione con l’immunoistochimica dei recettori per gli estrogeni e per il progesterone, dello stato di HER-2 e del Ki67, sembra essere in grado di supplire parzialmente e in modo non completamente sovrapponibile alla classificazione dei tumori nelle varie forme genomiche. Fase di terapia medica post-chirurgica Entro 2-3 settimane dall’intervento chirurgico viene programmata un’eventuale terapia adiuvante e/o l’inserimento immediato nel programma di follow-up. La terapia medica adiuvante dovrebbe preferibilmente essere iniziata entro cinque settimane dal termine delle procedure chirurgiche. Le pazienti possono essere sottoposte a valutazione oncologica e radioterapica congiunta (quelle non sottoposte IORT) proprio in questa fase, al fine di consentire una corretta programmazione del trattamento. Il trattamento radioterapico in assenza di chemioterapia adiuvante inizierà entro 90 giorni dall’intervento chirurgico. Nel caso in cui le pazienti siano sottoposte a chemioterapia adiuvante, il trattamento radiante inizierà entro 30 giorni dal termine Terapia endocrina adiuvante: Tamoxifene e inibitori dell'Aromatasi La terapia ormonale è indicata per le pazienti con tumori endocrino responsivi e il Tamoxifene alla dose di 20 mg per cinque anni è il trattamento di prima scelta per le pazienti in premenopausa o perimenopausa con diagnosi di carcinoma mammario operato ER positivo e/o PgR 42 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA positivo indipendentemente dalle altre caratteristiche della neoplasia. Nelle pazienti candidate a ricevere anche chemioterapia, la terapia ormonale va iniziata solo al termine della chemioterapia. Nelle donne in terapia con Tamoxifene deve essere indagato con ecografia pelvica transvaginale ogni sanguinamento vaginale, in considerazione dell’aumentato rischio di patologia neoplastica endometriale. Attualmente gli inibitori dell’aromatasi, seppure in attesa di dati di follow-up a lungo termine, rappresentano uno standard terapeutico dell’ormonoterapia nelle donne in postmenopausa e non solo nei casi dove esistano controindicazioni assolute o relative all’impiego del Tamoxifene (storia di episodi tromboembolici e/o malattie cerebrovascolari e/o patologia endometriale). Sulla base dei risultati di studi clinici internazionali prospettici e randomizzati che hanno coinvolto molte migliaia di pazienti, oggi gli inibitori dell’aromatasi possono venire utilizzati o da soli per 5 anni (Anastrozolo 1 mg/die) o in sequenza dopo 2-3 anni di terapia con Tamoxifene e comunque per 5 anni complessivi (Anastrozolo 1 mg/die o Exemestane 25 mg/die) o dopo 5 anni di Tamoxifene nelle pazienti ad alto rischio di ricaduta e per altri 2-5 anni (Letrozolo 2,5 mg/die) . Anche il Letrozolo impiegato da solo per 5 anni si è dimostrato superiore al Tamoxifene , ma il suo impiego secondo questa modalità è ancora in fase di approvazione nel nostro paese. Nelle pazienti ultrasettantenni con recettori ormonali positivi, l’ormonoterapia con inibitori dell’aromatasi o Tamoxifene va considerata, sebbene in assenza di solidi dati sperimentali (carenti per questa fascia di età), l’opzione prioritaria anche se i linfonodi ascellari sono positivi, riservando la chemioterapia alle pazienti con recettori negativi e in condizioni generali adeguate. Nelle pazienti che hanno completato cinque anni di terapia con tamoxifene e che nel corso del trattamento siano passate a uno stato post-menopausale è possibile utilizzare per altri cinque anni (per un totale di 10 anni di terapia endocrina) gli inibitori dell’aromatasi (AI) in una strategia definita “extended therapy”. In questa fase è necessaria una valutazione completa dello stato menopausale con dosaggi ripetuti di FSH, LH, estradiolo e progesterone per accertarsi nel modo più accurato possibile dello stato di menopausa. In post-menopausa il Tamoxifene può essere somministrato per 2-3 anni seguito dagli inibitori dell’aromatasi di terza generazione per 3-2 anni (switch therapy) o può costituire una alternativa alla terapia endocrina con inibitori dell’aromatasi instaurata fin dall’inizio (strategia “upfront”) per le pazienti che rifiutano gli AI o per le quali né è controindicato l’uso. L’ablazione ovarica con LHRH analogo per almeno due anni è solitamente preferita alla castrazione chirurgica, che va considerata come una possibile alternativa. L’ottenimento dell’amenorrea è un fattore prognostico favorevole, e pertanto terapeutico, nel carcinoma mammario operato endocrino responsivo. La durata ottimale di LH-RH analogo (in aggiunta a tamoxifene) non è nota ma comunque variabile da un minimo di due anni a un massimo di cinque anni. Se si rende necessario l’utilizzo di inibitori dell’aromatasi in premenopausa è necessario somministrare LH-RH analogo per tutta la durata del trattamento con l’inibitore dell’aromatasi. E’ stato segnalato un possibile beneficio dell’ablazione ovarica nelle pazienti che rimangono in premenopausa dopo la chemioterapia: l’ablazione ovarica associata al tamoxifene dopo la chemioterapia è ancora oggi oggetto di studio e non va ancora considerata come procedura standard seppur può essere considerata in donne che non sono in amenorrea dopo chemioterapia, in rapporto a condizioni di elevato rischio di recidiva. E’ possibile valutare l’utilizzo di LH-RH analogo durante chemioterapia per la prevenzione dell' amenorrea indotta da chemioterapia nelle 43 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA pazienti più giovani e desiderose di maternità anche se allo stato attuale delle evidenze non esiste certezza alcuna che il trattamento profilattico con LH- RH analogo e il conseguente ripristino della funzione gonadica implichino necessariamente la possibilità di mantenere la fertilità. na per 4 cicli seguita da CMF 1-8 per 4 cicli; diverse combinazioni di ciclofosfamide e 5fluorouracile con epirubicina o adriamicina), si consiglia la combinazione FEC 75-100 (5fluorouracile 600 mg/m2, epirubicina 75-100 mg/m2 e ciclofosfamide 600 mg/m2 ogni 21 giorni per 6 cicli) oppure la terapia sequenziale con epirubicina 100-120 mg/m2 ogni 3 settimane per 4 cicli, seguita da CMF 1-8 (ciclofosfamide 600 mg/m2, metotrexate 40 mg/m2 e 5fluorouracile 600 mg/m2, somministrati per via endovenosa al 1° e all’8° giorno, ogni 28 giorni) per 4 cicli. Lo schema CMF 1-8 per 6 cicli, lo schema CMF classico (come il precedente, ma con la ciclofosfamide somministrata alla dose di 100 mg/mq/die per via orale dal 1° al 14° giorno) e lo schema AC (adriamicina 60 mg/m2 e ciclofosfamide 600 mg/m2 ogni 21 gg, per 4 cicli) sono considerati inferiori ai precedenti e il loro eventuale impiego va riservato a casi particolari (CMF: pazienti oltre i 70 anni con recettori ormonali negativi, pazienti con controindicazioni all’uso di antracicline, pazienti che rifiutano in modo assoluto un’alopecia completa; AC: pazienti in condizioni generali che controindicano l’uso di schemi più tossici a tre farmaci e più prolungati nel tempo). Nella scelta del regime di chemioterapia, va comunque ricordato che i vantaggi in termini assoluti di una chemioterapia a base di antraciclina rispetto al CMF sono proporzionali al rischio di ricaduta, per cui se questo è basso il reale vantaggio può essere minimo. L’impiego dei taxani in associazione o in sequenza con le antracicline è considerato una valida alternativa terapeutica nelle pazienti con linfonodi ascellari positivi, sulla base di almeno sei studi randomizzati (tre che hanno impiegato il paclitaxel e tre che anno impiegato il docetaxel). Cinque di questi studi hanno dimostrato un vantaggio a favore dei regimi contenenti taxani in termini di sopravvivenza libera da malattia, tre hanno dimostrato anche un vantaggio in termini di sopravvivenza globale. L’impiego di regimi di chemioterapia a elevata densità di dose o ad alte Chemioterapia post-operatoria Timing: la chemioterapia in generale dovrebbe essere iniziata entro sei settimane dall’intervento chirurgico anche se non c’è accordo unanime sul timing ottimale. Durata: 6-8 cicli di terapia sono considerati ottimali; quattro cicli sono da considerarsi subottimali. Tipo: - la polichemioterapia è superiore alla monochemioterapia; - regimi contenenti antracicline a tre farmaci (E/A seguito da CMF e CEF) sono superiori al CMF; - regimi contenenti antracicline al di fuori di E/A seguito da CMF e CEF (ovvero AC, CAF, FAC, FEC) non hanno mai dimostrato in studi di fase 3 randomizzati un vantaggio in sopravvivenza globale; - regimi contenenti antracicline e taxani sono superiori in sopravvivenza libera da malattia e sopravvivenza globale rispetto a regimi con antracicline; - il regime contenente taxani senza antracicline (TC per 4 cicli) è da considerarsi regime superiore in sopravvivenza globale e alternativo ad AC per 4 cicli in uno studio clinico randomizzato di fase 3. La chemioterapia adiuvante va iniziata possibilmente entro 4-5 settimane dal completamento del trattamento chirurgico e deve essere somministrata per almeno 4 mesi. La polichemioterapia contenente antracicline risulta superiore al solo CMF, tra i diversi schemi di polichemioterapia contenenti antracicline considerati equivalenti (adriamicina o epirubici- 44 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA dosi con supporto di cellule staminali autologhe non trova indicazione al di fuori di studi clinici. Lo schema CMF può essere riservato a pazienti con controindicazioni a uso di antracicline e/o a pazienti che rifiutano in modo assoluto un’ alopecia completa mentre va ricordata la scarsa tollerabilità di questo regime di trattamento per le pazienti anziane dove si verificano numerose sospensioni del trattamento per tossicità. Diversi studi randomizzati (almeno 20) hanno valutato il ruolo dei taxani somministrati in sequenza o in combinazione con le antracicline e confrontati con regimi contenenti antracicline nella terapia adiuvante delle pazienti prevalentemente con interessamento dei linfonodi ascellari. Un vantaggio significativo a favore dei taxani in sopravvivenza libera da malattia è stato evidenziato in almeno 12 studi mentre in tre studi si è avuto un vantaggio significativo in sopravvivenza globale. Una metanalisi di 13 studi randomizzati pubblicati o presentati ha confermato che l’aggiunta dei taxani a un regime contenente antracicline determina una riduzione del rischio di ripresa di malattia di circa il 17% e il rischio di morte di circa il 15% con una riduzione assoluta a cinque anni rispettivamente del 5% e del 3%. Questi benefici sono indipendenti dallo stato dei recettori estrogenici, dall’entità dell’interessamento linfonodale, dal tipo di taxani, dall’età e dallo stato menopausale delle pazienti e dalla schedula di somministrazione seppur la migliore modalità sembra essere quella sequenziale a un precedente trattamento con antracicline se non altro per motivi di tolleranza e compliance al trattamento. Prospettive aperte rimangono quelle dell’utilizzo di una chemioterapia adiuvante contenente taxani senza antracicline (uno studio positivo randomizzato a favore dello schema TC verso AC per 4 cicli ciascuno), dell’utilizzo di taxani anche in pazienti con linfonodi ascellari negativi, e dell’ uso della chemioterapia adiuvante dose-dense che a oggi potrebbe essere riservato a pazienti con carcinoma mammario operato e recettori ormonali negativi o HER-2 amplificato anche se questa ultima opzione di trattamento a oggi è più correttamente di pertinenza di studi clinici. Immunoterapia con trastuzumab Il trastuzumab è un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato con specificità per il dominio extracellulare dell’ HER-2. Gli studi clinici randomizzati presentati per la prima volta all’ASCO 2005 hanno dimostrato l’efficacia dell’anticorpo monoclonale anti-Her-2 trastuzumab, impiegato dopo o assieme alla chemioterapia adiuvante. Il vantaggio in termini di riduzione del rischio di recidiva è evidente in tutti i sottogruppi di pazienti ed è indipendente quindi dallo stato recettoriale, dallo stato linfonodale e da altri fattori prognostici, ed è stato confermato anche da due studi clinici presentati successivamente. Sebbene la durata ottimale della terapia adiuvante con trastuzumab non sia ancora ben definita, il trattamento per un anno è attualmente approvato in Italia dopo chemioterapia secondo i criteri di eligibilità e la schedula prevista dal protocollo HERA (somministrazione ogni 3 settimane). L’indicazione all’impiego del trastuzumab nella terapia adiuvante delle pazienti Her-2 positive sottoposte a chemioterapia è riconosciuta anche nelle raccomandazioni del PRIER (Progetto Ricerca Innovazione Regione Emilia Romagna). In considerazione della cardiotossicità del farmaco e dello scarso follow-up degli studi citati, è necessario uno stretto monitoraggio della funzionalità cardiaca. Sei studi randomizzati hanno valutato l’utilizzo del trastuzumab somministrato in sequenza o in concomitanza alla chemioterapia adiuvante rispetto alla sola chemioterapia nelle pazienti con HER-2 positivo (IHC 3+ oppure FISH/CISH amplificato) dimostrando chiaramen-te in modo significativo un vantaggio in termini di riduzione del rischio in quasi tutti i 45 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA sottogruppi di pazienti, indipendentemente dallo stato recettoriale, da quello linfonodale e dagli altri fattori prognostici. Sebbene la durata ottimale della terapia adiuvante con trastuzumab non è stata ancora ben definita, il trattamento per un anno è attualmente approvato in Italia dopo chemioterapia secondo i propri criteri di inclusione. La migliore modalità di somministrazione di trastuzumab prevede la concomitanza con un regime di chemioterapia contenente taxano e successivamente in monoterapia per completare un anno complessivo di trattamento. In alternativa il trastuzumab può essere somministrato in monoterapia in sequenza a un regime di chemioterapia adiuvante consolidato di almeno quattro cicli; questa modalità seppur meno ottimale come efficacia rispetto alla precedente fa osservare tuttavia una cardiotossicità lieve e decisamente inferiore alla modalità concomitante. In ogni caso la paziente che riceve trastuzumab deve essere monitorizzata periodicamente per quanto riguarda la funzionalità cardiaca con ecocardiogramma oppure MUGA. La valutazione deve essere effettuata prima dell’inizio della chemioterapia, prima dell’inizio di trastuzumab, durante il trattamento (a 3, 6, 9 mesi) e successivamente al termine dello stesso. E' controindicata la somministrazione di trastuzumab in presenza di deficit di funzionalità cardiaca con una frazione di eiezione inferiore al 50% (FE<50%) e/o in pazienti con storia di cardiopatia ischemica. In considerazione del rischio di recidiva relativamente elevato secondario alla iperespressione o amplificazione del gene HER-2 si deve valutare l’utilizzo di trastuzumab anche nel caso di tumori inferiori a 1 cm anche se tutti gli studi clinici randomizzati includevano pazienti con tumori superiori a questa dimensione oppure con linfonodi ascellari positivi. Soprattutto in questo sottogruppo fattori come il grado di differenziazione e l’attività proliferativa potrebbero aiutare nella scelta terapeutica. Chemioterapia preoperatoria o neoadiuvante Gli stessi regimi di chemioterapia utilizzati in fase adiuvante, possono essere utilizzati (in media per 4-6 cicli) nella chemioterapia primaria in pazienti operabili che desiderano una chirurgia conservativa e che nelle condizioni attuali pre-trattamento sarebbero candidate a una mastectomia per la situazione localmente avanzata di malattia o per forme avanzate non candidabili a chirurgia radicale ab inizio (interessamento dei linfonodi sovraclaveari, laterocervicali e/o mastite carcinomatosa). Gli studi randomizzati che hanno confrontato la stessa chemioterapia impiegata in fase adiuvante e neoadiuvante in pazienti con neoplasie T1-T3 non hanno dimostrato alcuna differenza in termini di sopravvivenza libera da malattia e globale tra i due approcci, mentre la chemioterapia primaria consente di aumentare significativamente il numero di interventi conservativi. L’impiego dell’ anticorpo monoclonale in associazione con la chemioterapia in fase neoadiuvante e in pazienti HER-2 positive ha consentito di ottenere la più alta percentuale di remissioni complete patologiche (marker prognostico surrogato della sopravvivenza libera da malattia e della sopravvivenza globale) seppur il suo utilizzo concomitante a chemioterapia con antracicline è a oggi riservato all’ambito di studi clinici visto l’elevato rischio di cardiotossicità legato a questa tipologia di somministrazione. 46 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA 47 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA 48 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA RUOLO DELLA RADIOTERAPIA del Consensus Meeting EORTC-EUSOMA. I volumi bersaglio clinici (CTV) sono così definiti: CTV1: corpo mammario dopo chirurgia conservativa o parete toracica dopo mastectomia CTV2: letto chirurgico e cicatrice chirurgica CTV3: aree linfatiche La dose standard ai CTV 1 e 3 è di 45-50 Gray (Gy) in 25-28 frazioni mediante una seduta giornaliera di 1,8-2 Gy per 5 sedute settimanali per 4,5-5 settimane. Al di fuori di studi clinici controllati non è consentito superare la dose di 2,5 Gy per frazione, per l’elevato rischio di indurre significativi effetti collaterali. Inoltre la dose cumulativa settimanale non deve essere inferiore a 8 Gy, per il rischio di ridurre la possibilità di controllo locale della malattia con dosi inferiori. L’aggiunta di un boost (sovradosaggio) sul letto chirurgico (CTV2) di 10-16 Gy coi medesimi parametri di dose giornaliera e di frazionamento, riduce il rischio di ricaduta locale ed è indicato per T > 2 cm, margini chirurgici focalmente positivi, N+ > 3 ed età < 45 anni. E’ fortemente raccomandato l’impiego di fasci di fotoni di 4-6 MV per l’irradiazione dei CTV 1 e 3; è consentito l’impiego di fasci di Co per mammelle di dimensioni medie-piccole (diametro massimo 15-20 cm). Per l’irradiazione del CTV2 sono raccomandati fasci di elettroni di 8-12 MeV. Prima dell’intervento chirurgico dovrebbe essere valutata la possibilità di accedere ambulatoriamente e quotidianamente al Centro di Radioterapia, in relazione al performance status fisico, psichico e alla situazione logistica. L’età della paziente non costituisce di per sé una controindicazione. Nel valutare la paziente per un trattamento radioterapico occorre valutare se vi siano controindicazioni al trattamento. Ai fini di una corretta pianificazione del trattamento radiante in un contesto multidisciplinare, si ritiene necessaria la disponibilità di tutti i dati relativi alla patologia: Circa l’80% delle pazienti con tumore della mammella è suscettibile di un trattamento conservativo, la cui validità è stata sancita dalla Consensus Conference del 1990 e confermata da aggiornamenti di studi randomizzati di confronto tra mastectomia e chirurgia conservativa associata a RT. La RT postoperatoria, riducendo il rischio relativo di recidiva omolaterale di circa il 75% se confrontato con la sola chirurgia, deve essere considerata parte integrante del trattamento conservativo per le neoplasie in stadio iniziale e la sua omissione è ancora opzione da motivare e riservare a pazienti selezionate. La metanalisi dell’Early Breast Cancer Trialists Collaborative Group ha infatti dimostrato che, nell’ipotetica assenza di altre cause di morte, per ogni 4 recidive evitate, una morte per carcinoma della mammella può essere evitata nei 15 anni successivi al trattamento radiante. L’efficacia della RT postoperatoria è stata dimostrata anche in pazienti a elevato rischio di recidiva sottoposte a mastectomia, nelle quali il trattamento radiante determina una riduzione del rischio di ripresa loco-regionale, un aumento della sopravvivenza libera da malattia e della sopravvivenza globale rispetto a quelle non irradiate. E’ consigliabile che l’irradiazione del tessuto mammario venga effettuata entro 90 giorni dall’intervento chirurgico per le pazienti che non devono eseguire chemioterapia adiuvante. In queste ultime pazienti, l’irradiazione verrà iniziata entro 40 giorni dal termine della chemioterapia, poiché la concomitanza di radio- e chemioterapia può aumentare il rischio di effetti collaterali. La prescrizione della terapia radiante deve essere effettuata secondo i criteri e le raccomandazioni internazionali ICRU 50, secondo le linee-guida contenute nel rapporto ISTISAN 96/39 su “Assicurazione di Qualità in Radioterapia” e le raccomandazioni contenute nel rapporto finale 49 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Generali Specifiche: Assolute Relative • impossibilità ad accedere ambulatorialmente e quotidianamente al Centro di Radioterapia (performance status fisico, psichico e situazione • logistica.) gravidanza ormonoterapia adiuvante . La RT postoperatoria trova indicazione anche in alcuni sottogruppi di pazienti sottoposte a mastectomia , nelle quali riduce il rischio di ripresa loco-regionale, aumenta la sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale. • incapacità a mantenere la posizione di esecuzione del trattamento. • malattie del collageno (lupus, sclerodermia, dermatomiosite) in fase attiva Radioterapia dopo chirurgia conservativa L’irradiazione della mammella in toto rappresenta il trattamento standard dopo chirurgia conservativa. Nonostante l’assenza di studi randomizzati, si raccomanda l’irradiazione delle stazioni sovra-infraclaveari omolaterali in pazienti con 4 o più linfonodi ascellari positivi. Quando 1-3 linfonodi ascellari sono positivi, l’eventuale indicazione al trattamento radiante sulle stazioni linfonodali può essere valutata in base alla copresenza di due o più fattori di rischio (età della paziente, dimensioni, grading e stato recettoriale della neoplasia, numero di linfonodi positivi, rapporto linfonodi positivi/linfonodi escissi). clinici, stadio, strumentali, biologici, • malattie del collageno(lupus, anatomopatologici e chirurgici. La pianificazione sclerodermia, dermatomiosite) integrata e condivisa dei trattamenti adiuvanti in fase quiescente tra i diversi specialisti consente di ottimizzare macromastia il timing, evitare •potenziali aumenti della tossicità • pregressa degli e garantire l’effettuazione radioterapia del trattamento programmato. stessi volumi La RT non dovrebbe essere somministrata simultaneamente a trattamenti antiblastici che contengano derivati antraciclinici e/o taxani, in considerazione dell’aumentato rischio di effetti collaterali sui tessuti molli e cutanei, con possibile peggioramento del risultato estetico. In genere, dopo la chemioterapia adiuvante la RT dovrebbe, preferibilmente, iniziare entro un mese dal termine della stessa. E’ necessario conoscere e registrare il tipo di farmaci impiegati e il numero di cicli programmati e/o somministrati, nonché i dati relativi all’eventuale tossicità correlata alla chemioterapia. La RT postoperatoria riduce il rischio relativo di recidiva omolaterale di circa il 75% rispetto alla sola chirurgia, impatta sulla sopravvivenza globale e, pertanto, deve essere considerata parte integrante del trattamento conservativo. La sua omissione è opzione che può essere valutata in pazienti selezionate a basso rischio di ripresa di malattia (età ≥ 70 anni, malattia T1N0, recettori ormonali positivi, caratterizzazione biopatologica favorevole), sottoposte a Radioterapia dopo mastectomia totale L’irradiazione della parete toracica e delle stazioni di drenaggio linfonodale è indicata nei seguenti casi: a) Nei T3N+ e nei T4 qualsiasi N. Nei T3N0, in base ai fattori di rischio, il trattamento potrebbe essere somministrato sulla sola parete toracica o non essere effettuato. b) Tumore di qualsiasi dimensione con estensione alla parete toracica, al muscolo pettorale, alla cute, indipendentemente dallo stato linfonodale c) Tumore di dimensioni fino a 5 cm (T1-2) con metastasi ai linfonodi ascellari in numero uguale o superiore a 4. d) presenza di margini positivi, soprattutto in presenza di altri fattori di rischio, anche se i dati della letteratura non sono conclusivi. Nelle pazienti con malattia T1-2 e un numero di linfonodi positivi da 1 a 3, sono stati identificati fattori prognostici (età inferiore a 40-45 anni, dimensioni tumorali 3,5-4 cm, negatività 50 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA recettoriale, presenza di invasione linfovascolare, grading elevato, rapporto tra numero di linfonodi positivi e numero di linfonodi escissi (nodal ratio >20%-25%) in presenza dei quali, senza RT, il rischio di recidiva locoregionale può superare il 20%, con conseguente impatto negativo sulla sopravvivenza globale. Pertanto, pur in assenza di risultati di studi clinici randomizzati, si suggerisce di informare adeguatamente la paziente sull’indicazione a un trattamento radiante postoperatorio. poiché queste sono generalmente derivate da risultati di studi retrospettivi, e la maggior parte degli studi prospettici di PST non sono stati disegnati per valutare il ruolo della RT postoperatoria. In pazienti non candidate a un intervento di chirurgia conservativa per le dimensioni del tumore, il trattamento chemioterapico preoperatorio può essere proposto allo scopo di ridurre il volume neoplastico ed evitare una mastectomia. L’indicazione al trattamento radiante postoperatorio e i volumi di irradiazione dipendono dall’estensione iniziale di malattia e dal tipo di chirurgia (conservativa o mastectomia). Si ritiene quindi opportuna la valutazione clinicostrumentale dello stato dei linfonodi ascellari prima dell’inizio della PST, per evitare che eventuali risposte al trattamento neoadiuvante possano portare a scelte terapeutiche non adeguate allo stadio iniziale di malattia. • T3N+ e nei T4 qualsiasi N. T3N0 valutare in base ai fattori di rischio • Tumore esteso alla parete toracica e/o al muscolo pettorale e/o o alla cute, indipendentemente dallo stato linfonodale • Tumore di dimensioni fino a 5 cm (T1-2) e numero di linfonodi ascellari positivi 4 Malattia localmente avanzata inoperabile Comprende gli stadi IIIA (ad eccezione dei tumori T3N1), IIIB e IIIC. Si tratta di una situazione clinica ad alto rischio di ripresa di malattia sia a livello loco-regionale che a distanza. Negli ultimi anni la prognosi è migliorata in maniera significativa grazie all’efficacia della terapia multimodale, che è in grado di offrire una probabilità di controllo locale dell’80% o più. • Margini positivi Radioterapia dopo chemioterapia adiuvante Una trattazione specifica merita l’approccio radioterapico in pazienti sottoposte a terapia sistemica neoadiuvante (denominata “Primary” o “Preoperative Systemic Therapy”- PST), impiegata allo scopo di ridurre il volume neoplastico sino a ottenere idealmente una risposta patologica completa, trattare la malattia sistemica occulta, ridurre l’estensione locale della neoplasia al fine di consentire una chirurgia conservativa. Rappresenta il trattamento standard per il tumore mammario localmente avanzato, inoperabile all’esordio, mentre è un’opzione per la malattia operabile, volta anche a consentire l’esecuzione di una chirurgia conservativa. Malattia iniziale (IIA, IIB) o localmente avanzata operabile (T3N1) Vi sono delle difficoltà a dare indicazioni precise al trattamento radiante postoperatorio, Radioterapia nella Malattia iniziale (IIA, IIB) o localmente avanzata operabile (T3N1) In pazienti non candidate a un intervento di chirurgia conservativa per le dimensioni del tumore, il trattamento chemioterapico preoperatorio può essere proposto allo scopo di ridurre il volume neoplastico ed evitare una mastectomia. L’indicazione al trattamento radiante postoperatorio e i volumi di irradiazione dipendono dall’estensione iniziale di malattia e dal tipo di chirurgia (conservativa o mastectomia). Si ritiene quindi opportuna la valu51 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA tazione clinico-strumentale dello stato dei linfonodi ascellari prima dell’inizio della PST, per evitare che eventuali risposte al trattamento neoadiuvante possano portare a scelte terapeutiche non adeguate allo stadio iniziale di malattia. Pertanto, dopo chirurgia conservativa il trattamento radiante è sempre indicato con volumi che variano a seconda della positività linfonodale. Radioterapia nel carcinoma occulto Le opzioni terapeutiche possibili sono rappresentate essenzialmente dalla mastectomia, che si associa a un mancato riscontro del tumore primitivo nel 30% dei casi, o dall’irradiazione della mammella in toto. Radioterapia nella malattia bilaterale Qualora sussista indicazione alla RT su entrambe le mammelle/pareti toraciche dopo chirurgia per neoplasia mammaria bilaterale sincrona, si raccomanda di irradiare contemporaneamente entrambe le sedi, secondo le dosi e il frazionamento prescelti. La RT pregressa della mammella controlaterale in caso di tumore metacrono non costituisce controindicazione al trattamento, che tuttavia dovrebbe tener conto delle modalità tecniche e delle dosi somministrate in precedenza. Radioterapia nella Malattia localmente avanzata inoperabile Comprende gli stadi IIIA (ad eccezione dei tumori T3N1), IIIB e IIIC. Si tratta di una situazione clinica ad alto rischio di ripresa di malattia sia a livello loco-regionale che a distanza. Negli ultimi anni la prognosi è migliorata in maniera significativa grazie all’efficacia della terapia multimodale, che è in grado di offrire una probabilità di controllo locale dell’80% o più. Nei casi in cui il trattamento sistemico preoperatorio (che può prevedere anche l’impiego del trastuzumab nei tumori HER2 positivi) consente di ottenere l’operabilità, è sempre indicata la RT postoperatorio, estesa alla parete toracica (o mammella nei casi sottoposti a chirurgia conservativa) e ai drenaggi linfonodali. Radioterapia sui linfonodi Linfonodi ascellari: la RT sulle stazioni linfonodali ascellari non è indicata nelle pazienti sottoposte a dissezione, indipendentemente dal numero dei linfonodi coinvolti e/o dalla presenza di estensione extra-capsulare, a meno che non ci sia un fondato sospetto o la presenza accertata di malattia residua. In presenza di linfonodo/i sentinella positivo/i, se non è stato effettuato lo svuotamento ascellare si suggerisce di valutare, in base alla presenza di fattori di rischio, quali ad es. età, dimensioni del tumore, grading, invasione linfovascolare, stato recettoriale, se irradiare l’ascella. Radioterapia nel carcinoma infiammatorio L’approccio terapeutico prevede una PST seguita, se possibile, da mastectomia radicale modificata (sono controindicate sia la skin sparing mastectomy che approcci conservativi). La ricostruzione della mammella può essere proposta, anche se i dati di letteratura sono controversi relativamente al timing (immediata vs differita). La RT postoperatoria è sempre indicata. In pazienti che non rispondono al trattamento sistemico preoperatorio deve essere considerato un trattamento radiante seguito, in caso di risposta, da mastectomia. Linfonodi infra-sovraclaveari: è indicata l’irradiazione nelle pazienti con interessamento dei linfonodi stessi, nelle forme localmente avanzate (T3 con linfonodi positivi o N0 e T4 indipendentemente dallo stato linfonodale), nei T1-2 con quattro o più linfonodi ascellari positivi. Nei T1-2 il trattamento può essere considerato in presenza di 1-3 linfonodi metastatici. 52 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Linfonodi della catena mammaria interna: l’indicazione al trattamento precauzionale rappresenta uno degli argomenti più controversi nella terapia del tumore della mammella. resezione. Infine, con il termine negativo sono stati indicati margini non chinati o a qualsiasi distanza minima dal margine di resezione oltre una distanza compresa tra 1 e 5 mm, in relazione alla definizione di margine “close”. Tali definizioni, non solo diverse, ma anche controverse nei vari lavori, non hanno tuttavia sempre avuto applicazione nella pratica clinica nei diversi centri. E’ auspicabile che lo stato finale dei margini sia sempre negativo. Poiché non sempre questo obiettivo può essere raggiunto, si ritiene che margini negativi debbano sempre essere ottenuti nei seguenti casi: - carcinoma lobulare infiltrante - presenza di estesa componente intraduttale - età ≤ 40 anni - dimensioni del T >2 cm - paziente non screening detected - grading nucleare G3 - indicazione a una chemioterapia adiuvante con lungo intervallo chirurgia-RT Non esistono al momento attuale dati certi che indichino le diverse opzioni terapeutiche e le dosi di RT in pazienti con margini positivi o indenni a distanza ≤ 1-2 mm. Si ritiene ragionevole suggerire le seguenti indicazioni: Margini di resezione dopo chirurgia conservativa Il margine di resezione chirurgica indica la distanza tra il tumore e il bordo del tessuto circostante che viene asportato in toto. La correlazione tra RT e insorgenza di recidiva locale in relazione allo stato dei margini dopo chirurgia conservativa rappresenta un argomento molto controverso. La non univoca definizione dello stato dei margini in letteratura è uno dei principali fattori all’origine della controversia. Infatti, sebbene il termine positivo indichi la presenza di cellule tumorali di carcinoma infiltrante o intraduttale sul margine di resezione chinato, in molti studi è stata anche riportata la valutazione quantitativa della malattia estesa ai margini, con definizione di margine estesamente o focalmente positivo. Nel margine “close” cellule neoplastiche di carcinoma infiltrante o intraduttale sono state descritte entro una distanza compresa, a seconda dei diversi studi, tra 1 e 5 mm dal margine di Margine ignoto Quando non è comunque possibile avere notizie sullo stato dei margini, il trattamento radiante dovrebbe corrispondere a quello suggerito in presenza di margini positivi Margine positivo Multiplo: Il rischio di recidiva è considerato elevato e deve sempre essere richiesta la riescissione. Se i margini rimangono positivi dopo una riescissione, dovrebbe essere considerata l’opportunità di una mastectomia. Unico: in funzione dell’estensione, possono essere presi in considerazione sia la riescissione sia la RT con dosaggio del boost aumentato, con dosi variabili, ma in genere fino a un massimo di 20 Gy (o dose equivalente, nei trattamenti ipofrazionati). Questo è il caso in cui la presenza di altri fattori di rischio noti per recidiva locale può avere un peso nella strategia terapeutica, che deve derivare da una decisione multidisciplinare Margine distanza neoplasia indenne variabile con dalla In relazione alla distanza minima dalla neoplasia e al quadro complessivo del tumore e della paziente, se il rischio di recidiva viene considerato assimilabile a quello del margine positivo, l’approccio radioterapico consiste generalmente nel somministrare una dose più elevata del boost. Al contrario, se la distanza del margine chirurgico dalla neoplasia viene ritenuta adeguata e, di per sé stessa, comportante un rischio accettabile di recidiva, non è richiesto l’adeguamento della dose del boost a una dose maggiore di 10Gy (o dose equivalente, nei trattamenti ipofrazionati). Nei casi di margini indenni, il giudizio sull’impatto della distanza dalla neoplasia sul rischio di recidiva locale deve essere espresso in ambito multidisciplinare e richiede la valutazione di tutti gli altri fattori di rischio noti. 53 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Brachiterapia e IORT La brachiterapia e la IORT sono modalità di trattamento utilizzate sia per il sovradosaggio selettivo del letto tumorale, sia come unico trattamento radioterapico (PBI). La IORT permette l’erogazione della dose durante l’intervento chirurgico subito dopo l’exeresi, direttamente sull’area anatomica che conteneva la neoplasia. A tal fine possono essere utilizzati fotoni a bassa energia o elettroni. Mancano dati certi, derivati da studi clinici controllati, sull’equivalenza tra boost erogato al termine della RT esterna e boost anticipato erogato con IORT. Esistono tuttavia evidenze cliniche di buoni risultati sia in termini di controllo locale che di cosmesi con una sostanziale equivalenza in termini di tossicità acuta e tardiva. La IORT, che ha dimostrato risultati comparabili alla radioterapia convenzionale, sembra essere un approccio interessante, specie nella paziente anziana, per la quale il rischio di ripresa di malattia al di fuori del quadrante è basso. Essa può essere utilizzata come sovradosaggio selettivo sul letto tumorale, ma anche come unico trattamento radioterapico in neoplasie iniziali di piccolo volume o in malattie non resecabili a scopo palliativo. Nelle sue premesse radiobiologiche dovrebbe permettere di migliorare l’efficacia dell’associazione tra chirurgia e RT. Si ritiene che l’effetto biologico di una dose singola elevata sia circa 2 o 3 volte maggiore rispetto a quello prodotto dalla stessa dose frazionata in modo convenzionale. Altri vantaggi della IORT sono rappresentati dalla precocità dell’irradiazione e dalla precisa visualizzazione e delimitazione del letto operatorio da parte del chirurgo e del radioterapista oncologo, il che permette di individuare perfettamente la zona a rischio di recidiva riducendo al minimo il problema del “ geographical miss”. Inoltre, la possibilità di proteggere i tessuti sani mobilizzandoli dalla traiettoria del fascio e l’utilizzo di elettroni con la somministrazione di una dose omogenea potrebbero migliorare il controllo locale della neoplasia a fronte di una tossicità a carico degli organi critici ridotta rispetto alla tecnica tradizionale di irradiazione a fasci esterni. Molti Autori riportano infatti una riduzione del rischio di iperpigmentazione e teleangectasie a cui possono andare incontro le donne trattate per via transcutanea e un guadagno in termini di tempo per la minore durata complessiva del trattamento con radioterapia a fasci esterni. IORT come trattamento esclusivo Il vantaggio principale dell’utilizzo della IORT come unica modalità di trattamento complementare dopo intervento chirurgico conservativo, oltre a quelli già elencati, consiste nel risolvere l’intero corso di RT adiuvante in un solo atto intraoperatorio, eliminando la fase di completamento successivo con i fasci esterni. In base a modelli biologici di equivalenza di dose e al modello lineare quadratico, anche con tutti i limiti relativi alla sua applicabilità nelle alte dosi, l’erogazione di una singola frazione di RT intraoperatoria di 21 Gy prescritta all’isodose del 90% corrisponderebbe alla somministrazione dell’intero corso di RT adiuvante convenzionale. Nel corso degli ultimi anni si è creata l’esigenza di sperimentare trattamenti terapeutici più conservativi per tumori mammari a basso rischio di recidiva loco-regionale e sistemica. L’irradiazione parziale (PBI), cioè l’irradiazione del letto operatorio con un margine di sicurezza intorno, si inserisce in questa filosofia, mirando a controllare la malattia tumorale a livello della sua sede iniziale e nei tessuti adiacenti, nelle sedi cioè a più elevato rischio di ricaduta. L’85% delle recidive locali, infatti, si verifica in corrispondenza del letto operatorio, mentre 54 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA il restante 15% dovrebbe essere considerato, proprio per il suo sviluppo in quadranti differenti, come secondo tumore omolaterale. Ciò validerebbe l’ipotesi che la radioterapia erogata al solo letto tumorale potrebbe essere sufficiente al controllo locale di malattia. Il sovradosaggio del letto operatorio deve essere effettuato con un fascio di elettroni di energia tale da contenere tutto lo spessore della mammella a quel livello entro l’isodose dell’85%. Il trattamento deve essere eseguito angolando opportunamente il “gantry” e il lettino di trattamento in modo da rendere la superficie cutanea, in corrispondenza della porta d’ingresso, perpendicolare all’asse del fascio. La dose deve essere prescritta alla massima profondità, cioè all’isodose dell’85%. Radioterapia esterna complementare Il volume bersaglio è costituito dall’intera mammella; la cute non fa parte del bersaglio. Gli organi critici sono rappresentati dal polmone omolaterale e dal cuore nelle localizzazioni di sinistra. La tecnica d’irradiazione sarà quella classica con due campi tangenziali contrapposti (laterale e mediale) isocentrici. Il trattamento verrà eseguito utilizzando fasci di fotoni da 6 o 10 MV forniti da un acceleratore lineare. La dose sarà di 50 Gy in 25 frazioni da 2.0 Gy in 5 settimane, sull’intero corpo mammario, con prescrizione della dose all’isocentro secondo le indicazioni ICRU 50. Il sovradosaggio sul letto tumorale sarà praticato mediante un campo diretto di elettroni di energia adeguata. L’allineamento della paziente deve essere eseguito con l’ausilio del laser. Lo studio dei campi di irradiazione dovrà essere effettuato mediante un simulatore convenzionale (o TC-simulatore con paziente in posizione di trattamento). Il volume di polmone omolaterale irradiato deve essere minimizzato mediante l’uso di emifasci o annullando l’effetto divergenza con disallineamento di 5° - 10° dell’asse centrale dei fasci. La quantità di polmone nel fascio non deve essere superiore a 2,5 cm misurati sul film di simulazione o sull’immagine portale. La distribuzione della dose deve essere calcolata mediante calcolo computerizzato almeno nel piano centrale e nel piano passante per il centro del letto tumorale. La differenza tra dose minima e dose massima, nel piano centrale, non deve essere superiore al 15%; a tale scopo è consigliabile l’uso di filtri a cuneo. IORT come boost anticipato La IORT può essere utilizzata come sovradosaggio anticipato alla RT esterna, in tutti i casi in cui è indicato un boost in quanto è ragionevole supporre che nell’area immediatamente adiacente all’exeresi chirurgica possa permanere un residuo microscopico di malattia che può accrescersi nell’intervallo di tempo che intercorre tra l’intervento e la RT complementare. Il ricorso a una dose di radiazioni erogata al tempo T0 dovrebbe quindi permettere di diminuire il potenziale di ricrescita dei foci neoplastici evitando che tale residuo raggiunga dimensioni non più controllabili dalla successiva RT esterna. La dose impiegata è 10 Gy, prescritta all’isodose 90%-100%. La RT esterna successiva viene erogata su tutta la mammella residua, con dose per frazione 2 Gy e dose totale di 50 Gy. Non ci sono indicazioni ben definite sull’intervallo di tempo che deve intercorrere tra boost anticipato e RT esterna. L’inizio del trattamento a fasci esterni, una volta avvenuta la riparazione della ferita chirurgica, varia in letteratura tra 2-4 settimane fino a 14 settimane dopo il boost intraoperatorio, in relazione anche al tipo di chemioterapia somministrata. 55 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA RUOLO DELLA RIABILITAZIONE Esse sono riassunte nelle Tabelle seguenti e sono classificate come organo-specifiche, cioè legate al carcinoma mammario (tabella I) e comuni a tutti i tipi di tumore (tabella II). Da quanto sopra detto, emerge la necessità di un protocollo per un trattamento riabilitativo multidisciplinare integrato. Nello stilare un programma di trattamento riabilitativo è fondamentale il concorso delle seguenti figure professionali: Da quanto emerge dal “Libro bianco sulla riabilitazione oncologica” edito nel 2008 dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, realizzato con il finanziamento del Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche Sociali, nel tumore della mammella la problematica riabilitativa organo-specifica più frequente è il linfedema (52%), seguita dall’algia (35,6%) e dalla limitazione articolare di spalla (24,8%), dai problemi di cicatrizzazione (12,2%), dagli esiti della chirurgia ricostruttiva (3,7%) e dalle linfangiti (10.9%). Meno frequente sono il riscontro di lesioni nervose a carico del nervo toracico lungo (4%), del nervo intercostobrachiale (3,5%) e del plesso brachiale (1,6%). Decisamente più rare sono complicanze quali le turbe posturali o i deficit respiratori. Le complicanze conseguenti al carcinoma mammario suscettibili di intervento riabilitativo possono essere legate all'intervento chirurgico, alla radioterapia, alla chemioterapia o alla progressione della malattia e possono comparire precocemente dal post-operatorio o tardivamente in tutte le fasi della malattia. Tabella I LE PRINCIPALI COMPLICANZE DI INTERESSE RIABILITATIVO NEL CARCINOMA MAMMARIO Problemi di cicatrizzazione Dolori alla spalla Limitazione articolare della spalla Alterazioni posturali Paralisi del plesso brachiale Paralisi del nervo intercostobrachiale Paralisi del n. toracico lungo Deficit respiratori Edema all'arto superiore Linfedema dell'arto superiore Complicanze infettive del linfedema Linfangiti/Linfosclerosi Fibrosi e retrazioni muscolari Complicanze della chirurgia ricostruttiva Il Chirurgo che ha effettuato l’intervento per dirci cosa è stato fatto, quali elementi anatomici sono stati interessati e quali le possibili complicanze. Lo Psico-oncologo che può suggerire le linee per un'efficace terapia di sostegno. Il Fisiatra che darà l’accesso al percorso riabilitativo attraverso una visita con conseguente programma riabilitativo. Il Fisioterapista che dopo la presa in carico riabilitativa inizierà il trattamento definendo gli obiettivi e realizzandoli attraverso le varie tecniche a sua disposizione. L'Oncologo medico Il Radioterapista Tabella II LE PRINCIPALI COMPLICANZE DI INTERESSE RIABILITATIVO COMUNI A TUTTI I TIPI DI TUMORE Fatica Sindrome ipocinetica Dolore Metastasi (ossee, cerebrali, ecc.) Sindromi paraneoplastiche Cachessia Edemi e linfedemi Dispnea Disfagia Complicanze da chemioterapia Complicanze da altri farmaci Complicanze da radioterapia Complicanze da patologie associate Problematiche psicologiche 56 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Rimuovere eventuali limitazioni di ordine Il trattamento riabilitativo degli esiti iatrogeni deve essere instaurato il più precocemente possibile. Una sistematica programmazione dei controlli anche fisiatrici post-operatori a breve, medio e lungo termine, e soprattutto una tempestiva segnalazione dell’insorgenza di nuovi sintomi locoregionali, consente di ottimizzare l’approccio terapeutico riabilitativo a tali complicanze, limitandone gli esiti potenzialmente invalidanti. La “presa in carico riabilitativa” della donna operata al seno va inserita in un intervento interdisciplinare e multiprofessionale che vede insieme vari specialisti e operatori. Essa andrebbe iniziata a partire dalla diagnosi o comunque dal post-operatorio e va mantenuta lungo tutto il percorso della malattia. Di fronte alla molteplicità degli esiti, precoci e tardivi, iatrogeni ed evolutivi, tutti gli attori devono porsi come clinici attenti, sia nei confronti della loro insorgenza, sia nella loro prevenzione e trattamento. funzionale pre-esistenti (presa in carico posttrattamento). Presa in carico per complicanze, problematiche emergenti (sia post chemio che radioterapiche, che chirurgiche), in particolare: 1. Combattere il più possibile il dolore; evitare posture antalgiche che potrebbero poi costituire un serio impedimento alla ripresa funzionale; evitare l’instaurarsi di aderenze cicatriziali sia della ferita cutanea che della capsula periprotesica; evitare rigidità articolari; evitare retrazioni post-chirurgiche o postradioterapiche; evitare l’insorgenza di linfedema; favorire il circolo emolinfatico di ritorno; conservare il senso muscolare ovvero il binomio contrazione-decontrazione; alleviare problematiche legate alla neurotossicità di alcuni chemioterapici utilizzati; identificare e trattare patologie emergenti (linfangite, rigidità, limitazioni funzionali, nevralgie iatrogene, ecc.); conservare schemi motori e posturali corretti; ridare fiducia alla paziente e stimolarla a collaborare per la positiva soluzione; Obiettivi del programma riabilitativo Il programma di trattamento riabilitativo va concordato con lo specialista che ha in carico la paziente e in particolare con il chirurgo che ha effettuato l’intervento. Possiamo distinguere essenzialmente tre fasi in cui il fisioterapista interviene: come preparazione all’intervento chirurgico. come conclusione dell’intervento stesso. mantenimento dei miglioramenti acquisiti. Un corretto trattamento riabilitativo può ridurre le complicanze e contribuire a migliorare la qualità della vita. Ogni singolo programma riabilitativo con conseguenti obiettivi sarà mirato sulla persona e dovrà tener conto delle problematiche individuali. Fase preoperatoria Far prendere coscienza alla paziente di cosa dovrà fare dopo l’intervento. Rimuovere eventuali limitazioni di ordine funzionale Armonizzare e rendere efficace la funzione respiratoria. Un problema particolare: IL LINFEDEMA Trattasi del “gonfiore” alla mano, avambraccio e braccio che può comparire al lato dell’intervento chirurgico (linfedema secondario). Il linfedema si verifica a causa di un blocco o interruzione al flusso della linfa come conseguenza dell’intervento chirurgico, di cicatrici e/o infezioni. Negli ultimi anni l'incidenza del linfedema dopo Fase post-operatoria In questa fase il ventaglio di obiettivi che si propone il trattamento riabilitativo è ben più vasto: 57 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA un intervento al seno si è ridotta notevolmente, grazie anche alle tecniche chirurgiche sempre più conservative e meno invasive. In base al tempo e alle modalità di intervento il linfedema si può classificare: Linfedema transitorio: quello presente in fase post-operatoria legato all’insufficienza momentanea (linfocele da drenare o siringare) del drenaggio linfatico dopo ablazione dei linfonodi ascellari. Di solito regredisce nel giro di 4-6 settimane, ma va comunque trattato. Linfedema acuto infiammatorio: si può avere a qualsiasi distanza di tempo in modo acuto dopo l’intervento. La causa può essere un’infezione per penetrazione di germi attraverso la cute e va subito trattato con antibioticoterapia per evitare l’evoluzione (erisipela). Linfedema cronico: si instaura in modo subdolo e progressivo, la causa è la formazione di tessuto cicatriziale che impedisce la rigenerazione e ricanalizzazione linfatica. Tutto ciò crea stasi linfatica accumulo di proteine e formazione di tessuto fibroso. Linfedema evolutivo: conseguenza dell'evoluzione locoregionale della malattia. A differenza dei precedenti questo dà dolore diffuso. Possiamo avere: Edema modesto se l’aumento della circonferenza rispetto al controlaterale è inferiore a 2 cm. Edema moderato se tale aumento si colloca tra 2-6 cm. Edema severo se l’aumento è superiore a 6 cm. Il trattamento avviene in due fasi: Una fase attiva il cui principale obiettivo è quello della massima riduzione dell’edema della zona interessata. Una fase successiva di mantenimento attraverso il controllo dell’edema. Il trattamento si basa su 4 interventi fondamentali: 1. Cura della cute e trattamento delle infezioni; 2. Drenaggio linfatico manuale o compressione pneumatica intermittente (CPI); 3. Bendaggio compressivo; 4. Esercizio fisico. La cura della cute La cura della cute è essenziale per la prevenzione delle infezioni. La cute di un arto edematoso è molto più delicata del normale e richiede particolari attenzioni. Spesso si presenta lucida, sottile, cicatrizza con difficoltà per cui rappresenta una facile porta di ingresso per germi. E’ consigliabile tenerla quotidianamente idratata con crema alla lanolina e seguire le istruzioni per la prevenzione. Drenaggio linfatico E’ un particolare tipo di fisioterapia (tecnica manuale) con cui si cerca di far defluire la linfa nei capillari linfatici rimasti integri verso le vie di scarico principali. Consiste in pressione molto leggere delle mani, assolutamente indolori che non provocano arrossamento. Noi usiamo la tecnica tedesca secondo Vodder. Questa tecnica particolare viene usata anche a scopo preventivo per facilitare l’apertura di nuove vie linfatiche (anastomosi). La CPI invece, viene effettuata attraverso un manicotto gonfiabile collegato a un compressore. La compressione avviene in modo ritmico dalla mano alla spalla. Viene usata nel caso di edemi importanti e ostinati. Bendaggio compressivo I tessuti di un arto edematoso possono essere paragonati a una spugna eccessivamente bagnata per cui, dopo il linfodrenaggio è utile l’applicazione di un bendaggio compressivo che ha la funzione di evitare l’eccessivo imbibimento dei tessuti e di mantenere i risultati ottenuti. Il manicotto Quando viene raggiunta la massima riduzione dell’edema si può prescrivere un manicotto a compressione graduata, meglio se su misura. Il 58 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA manicotto deve essere indossato regolarmente al mattino e deve essere sostituito quando si deforma. Gli esercizi fisici Sono una componente fondamentale del programma riabilitativo. Hanno la funzione di stimolare il flusso linfatico, di migliorare la mobilità della spalla, di restituire elasticità ai tessuti (specie alla cicatrice) e di recuperare e mantenere la forza e la tonicità muscolare. Gli esercizi devono essere considerati come “igiene di vita” per il recupero totale ed evitare complicanze future. Lo stile di vita Si raccomanda: quotidiana attività fisica: camminare, pedalare, nuotare, ecc.; evitare il sovrappeso; dieta iposodica e ridotta assunzione di grassi; buona forma generale, la quale si rifletterà direttamente sulla buona salute generale e quella del braccio. I TRATTAMENTI L’obiettivo di questa fase è garantire il trattamento più adeguato della malattia mantenendo brevi tempi di attesa tra la diagnosi definitiva e l’intervento primario, al fine di salvaguardare il più possibile lo stato di salute e la qualità della vita delle pazienti oltre a ridurre lo stato di ansia delle stesse. L'obiettivo specifico della terapia post-chirurgica è ridurre il tasso di recidiva e aumentare la sopravvivenza delle pazienti. Terapia chirurgica Per la maggior parte delle donne con carcinoma della mammella in fase iniziale, la terapia chirurgica rappresenta il trattamento d’elezione allo scopo di ottenere un controllo locale della malattia. Le attuali opzioni chirurgiche comprendono l’approccio conservativo (principalmente ampia resezione locale o quadrantectomia + radioterapia) e la mastectomia radicale modificata con eventuale ricostruzione immediata (vedi Terapia chirurgica e Diagnosi istologica e caratterizzazione biologica). Il trattamento chirurgico dovrebbe avere luogo entro 21-30 giorni dal momento della prescrizione chirurgica (salvo i casi in cui ne sia stata pianificata la posticipazione). Terapia medica primaria Nei casi previsti dai protocolli di terapia, alcune forme di T2 > 2-3 cm, forme localmente avanzate e forme avanzate, la terapia primaria è quella medica (chemioterapia e/od ormonoterapia), talora integrata con la terapia radiante (vedi Terapia medica). Il tempo di attesa per l’inizio della terapia medica primaria non deve superare i 7 giorni dalla diagnosi confermata. 59 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA TRATTAMENTO DELLA MALATTIA INIZIALE NELLE PAZIENTI CON CARCINOMA DUTTALE IN SITU Non ad alto grado (G I-II) ▪ Lesioni di estensione < 15 mm con margini liberi superiori a 10 mm, senza necrosi: Ampia resezione mammaria. ▪ Lesione di estensione < 15 mm con margini liberi superiore a 10 mm, con necrosi: Ampia resezione mammaria. ▪ Lesione di estensione compresa fra 16 e 40 mm con margini liberi superiore a 10 mm, senza necrosi: Ampia resezione mammaria. ▪ Lesione di estensione compresa fra 16 e 40 mm con margini liberi superiore a 10 mm, con necrosi: Ampia resezione mammaria e radioterapia. ▪ Lesione di estensione compresa fra 16 e 40 mm con margini liberi compresi fra 1 e 10 mm o < 1 mm con o senza necrosi: Ampia resezione mammaria e radioterapia. ▪ Lesione di estensione superiore a 40 mm con margini liberi compresi fra 1 e 10 mm o >10 mm con o senza necrosi: Ampia resezione e radioterapia. Tuttavia, è da sottolineare che in tali casi difficilmente si ottiene un buon risultato estetico con chirurgia conservativa per cui è preferibile optare per un intervento demolitivo (mastectomia totale senza dissezione ascellare con eventuale ricostruzione immediata o skin sparing mastectomy con ricostruzione immediata). ▪ Lesioni di estensione superiore a 40 mm con margini interessati o liberi < 1 mm senza necrosi: Riescissione con margini liberi e radioterapia o mastectomia totale con eventuale ricostruzione o skin sparing mastectomy e ricostruzione. E' da sottolineare che in tali casi difficilmente si ottiene un buon risultato estetico con chirurgia conservativa per cui è preferibile optare per un intervento demolitivo (mastectomia totale senza dissezione ascellare con eventuale ricostruzione immediata o skin sparing mastectomy con ricostruzione immediata). ▪ Lesioni di estensione superiore a 40 mm, con margini interessati o liberi < 1 mm, con necrosi: Mastectomia totale con eventuale ricostruzione o skin sparing mastectomy e ricostruzione. In tutti i casi sia ad alto grado che non ad alto grado deve essere considerato come fattore prognostico l’età della paziente. Il Van Nuys Prognostic Index viene pertanto modificato anche in funzione di questo parametro. 60 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Ad alto grado (GIII) Lesione di estensione inferiore a 40 mm con margini liberi > 10 mm o compresi fra 1 e 9 mm: Ampia resezione mammaria e radioterapia. • Lesione di estensione superiore a 40 mm con margini liberi superiore a 10 mm: Ampia resezione e radioterapia. E' da sottolineare che in tali casi difficilmente si ottiene un buon risultato estetico con chirurgia conservativa per cui è preferibile optare per un intervento demolitivo (mastectomia totale senza dissezione ascellare con eventuale ricostruzione immediata o skin sparing mastectomy con ricostruzione immediata) • Lesione di estensione compresa fra 15 e 40 mm con margini liberi inferiori a 1 mm o con margini interessati: Mastectomia totale con eventuale ricostruzione immediata o mastectomia "skin sparing" con ricostruzione immediata. In casi selezionati di 1,5-2 cm può essere presa in considerazione un’ampia exeresi seguita da radioterapia. • Lesione di estensione superiore ai 40 mm con margini liberi < 10 mm: Mastectomia totale con eventuale ricostruzione immediata o mastectomia "skin sparing" con ricostruzione immediata. Nel carcinoma duttale in situ deve essere eseguita la chirurgia conservativa seguita da radioterapia oppure la mastectomia semplice. Parametro Classificazione Van Nuys 1 punto Non alto grado Necrosi - 2 punti Non alto grado Necrosi + 3 punti Alto grado Necrosi +/- Stato Margini ≥ 10 mm 1 – 9 mm < 1 mm T(mm) ≤ 15 16 – 40 >41 Score finale: Gruppo 1 Gruppo 2 Gruppo 3 3 – 4 punti 5 – 7 punti 8 – 9 punti Solo chirurgia conservativa Chirurgia conservativa + RT Mastectomia +/- ricostruzione Rimane fermo il concetto già espresso nel paragrafo della scelta del trattamento chirurgico. L’intervento chirurgico deve prevedere l’asportazione della neoplasia con margini di resezione liberi ottenendo un risultato cosmetico accettabile, concetto che riguarda sia il carcinoma infiltrante che il carcinoma in situ. La classificazione di Van Nuys ci fornisce ulteriori informazioni per decidere la scelta del trattamento chirurgico, da applicare caso per caso. Certo è che i criteri che suggeriscono l’esecuzione di una mastectomia rispetto a una quadrantectomia sono essenzialmente le grandi dimensioni della neoplasia, l’alto grado, una mammella di piccole dimensioni. Grande parte nella scelta ha la determinazione della donna di mantenere il seno. Un aspetto molto impor-tante è anche la considerazione che oltre il 50% di tali recidive intra-mammarie risultano infil-tranti e non più "in situ" con chiari risvolti negativi sulla prognosi. In tutti i casi di carcinoma duttale in situ, sia ad 61 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA alto grado che non ad alto grado, indipendentemente dall'estensione, non trova indicazione la dissezione ascellare. In pazienti con diagnosi di DCIS e documentata espressione dei recettori estrogenici, dopo chirurgia conservativa più radioterapia, la terapia antiestrogenica con Tamoxifene, alla dose di 20 mg al giorno, può essere somministrata per una durata di 5 anni. Storicamente la terapia standard del carcinoma duttale in situ (DCIS) è stata la mastectomia semplice in grado di guarire il 98% delle lesioni. Con l’affermarsi dei trattamenti chirurgici conservativi per le pazienti con neoplasie invasive, l’escissione ampia con margini indenni seguita da RT è diventato progressivamente l’intervento più comune per il DCIS, in assenza di controindicazioni al suo uso. Dal punto vista chirurgico il carcinoma duttale in situ deve essere trattato con chirurgia conservativa seguita da radioterapia oppure con mastectomia semplice. La presenza di margini di resezione negativi dopo chirurgia conservativa è associata a un minore rischio di ricaduta locale rispetto ai margini positivi, ’close’ o sconosciuti, ma la definizione di margine negativo è controversa. In caso di margini positivi la raccomandazione è quella di considerare l’allargamento chirurgico prima della radioterapia, anche se lo stato dei margini e la loro ampiezza sono solo uno dei fattori da considerarsi nella scelta di re-intervenire o meno (oltre all’età, l’entità della malattia a ridosso del margine, il numero di margini positivi). Nelle forme estese di DCIS possono essere talvolta identificati a posteriori con l’esame istologico focolai di microinvasione e/o infiltrazione. La biopsia del linfonodo sentinella può trovare indicazione in presenza di “cluster” multipli di microcalcificazioni, in caso di lesioni estese tali da necessitare un trattamento chirurgico radicale o nelle pazienti in cui il trattamento chirurgico può compromettere la successiva procedura di biopsia del linfonodo sentinella (mastectomia). L’incidenza di recidive locali in situ o non infiltranti tende a raggiungere un plateau dopo 10 anni dal trattamento, mentre per quelle infiltranti l’incidenza rimane stabile nel tempo, sottolineando la necessità di un follow-up adeguato (almeno 10 anni) per valutare correttamente gli effetti del trattamento. I risultati dello studio EORTC suggeriscono che, a lungo termine, mentre l’effetto protettivo sulle recidive in situ permane durante tutta la durata del follow-up, quello sulle recidive infiltranti si osserva principalmente durante i primi 5 anni di follow-up. Per la malattia di Paget senza nodulo è prevista la quadrantectomia centrale o la mastectomia totale (in caso di mammella di piccole dimensioni). E’ necessaria la RT complementare in caso di intervento chirurgico conservativo. 62 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Carcinoma lobulare in situ (LCIS): Riscontro istologico occasionale: • Atteggiamento astensionistico con controlli periodici; • In caso di multicentricità e fattori di rischio positivi può essere presa in considerazione una mastectomia totale con eventuale ricostruzione o una mastectomia "skin sparing" con ricostruzione immediata (anche bilaterale). Il carcinoma lobulare in situ (LCIS) è una lesione non-invasiva per la quale esiste ancora incertezza riguardo alla potenzialità di evoluzione verso forme invasive. Nelle donne con riscontro di LCIS è stato riportato un aumento del rischio di insorgenza di carcinoma mammario infiltrante rispetto alla popolazione generale. Successivamente alla diagnosi di LCIS, le opzioni terapeutiche possibili sono: 1. Sorveglianza; 2. Chemioprevenzione; 3. Mastectomia profilattica bilaterale. significativa per carcinoma mammario. Chemioprevenzione: Premesso che l’utilizzo di farmaci a scopo di chemioprevenzione del carcinoma mammario non è contemplato dal Prontuario Nazionale Italiano e che l’eventuale impiego nella pratica clinica deve rispondere alle normative che disciplinano l’uso “off label” dei farmaci, sono stati pubblicati i risultati di studi randomizzati che hanno valutato l’utilizzo in chemioprevenzione del Tamoxifene, del Raloxifene e dell’Exemestane. Mastectomia profilattica bilaterale: in considerazione dei pochi dati presenti in letteratura, tale scelta va ampiamente discussa con la donna e deve essere individualizzata. Variante pleomorfa di LCIS Nell’ambito del LCIS è stata identificata una variante istologica, denominata LCIS pleomorfo (PLCIS) con comportamento biologico più aggressivo. Il PLCIS è costituito da cellule con marcato pleomorfismo, nuclei grandi ed eccentrici. Spesso vi è il riscontro di necrosi centrale e calcificazioni. Rispetto al classico LCIS, la variante pleomorfa sembrerebbe avere una potenzialità di evoluzione verso il carcinoma infiltrante simile a quella del DCIS. Sorveglianza: consiste in un esame clinico ogni 612 mesi e mammografia annuale. Può essere utile l’impiego della risonanza magnetica mammaria nelle pazienti giovani o con parenchima mammario denso o con storia familiare 63 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA CARCINOMA MICROINVASIVO (T1 MIC) L’American Joint Committee on Cancer and the International Union for Cancer Control (AJCCUICC) definiscono il carcinoma mammario microinvasivo (pT1mic) in presenza di una componente infiltrante di dimensioni microscopiche ≤1 mm. Il carcinoma microinvasivo spesso si associa al carcinoma duttale in situ (DCIS) ed è caratterizzato da piccoli foci di cellule tumorali che superano la membrana basale e infiltrano lo stroma. Morfologicamente, il carcinoma microinvasivo si associa spesso a focolai di DCIS ad alto grado con frequente riscontro di necrosi di tipo comedonico. La prognosi è usualmente molto buona con una sopravvivenza a 5 anni del 97-100%. infiltrazione stromale sotto forma di “cluster” di cellule tumorali. La ricerca del linfonodo sentinella in presenza di carcinoma mammario microinvasivo è raccomandata. Trattamento sistemico adiuvante Non ci sono dati riguardo all’impiego di trattamenti sistemici adiuvanti in presenza di carcinoma microinvasivo. Radioterapia Le indicazioni al trattamento radiante del carcinoma microinvasivo dopo chirurgia conservativa non differiscono da quelle del carcinoma invasivo e del DCIS ed è sempre necessaria la RT somministrata secondo modalità convenzionale o ipofrazionata. Non vi è, invece, indicazione alla RT complementare dopo intervento chirurgico demolitivo. Trattamento In considerazione della bassa numerosità delle casistiche di carcinoma microinvasivo, non si dispone di studi clinici che indirizzino le decisioni terapeutiche. Chirurgia A livello mammario gli interventi possibili sono la mastectomia semplice oppure la chirurgia conservativa con radioterapia complementare. Il rischio di recidiva dopo chirurgia conservativa e radioterapia è influenzato da: - positività dei margini chirurgici di resezione; - dimensioni della componente di DCIS; - presenza di caratteristiche istologiche sfavorevoli (es. alto grading, comedonecrosi). La mastectomia è indicata in presenza di componente intraduttale estesa, caratteristiche istologiche sfavorevoli e laddove non sia possibile ottenere dei margini di resezione indenni da infiltrazione neoplastica con chirurgia conservativa. Solo in casi selezionati può essere presa in considerazione una mastectomia “nipple sparing” seguita o meno da radioterapia. A livello dei linfonodi ascellari le percentuali di metastasi in presenza di carcinoma microinvasivo variano dallo 0 al 20% fra le varie casistiche. La probabilità di metastatizzazione al cavo ascellare sembrerebbe essere maggiore in presenza di CARCINOMA INFILTRANTE OPERABILE Circa l’80% delle pazienti con neoplasia mammaria infiltrante è suscettibile di un trattamento conservativo che, in studi randomizzati, è risultato equivalente alla mastectomia. Nelle pazienti con carcinoma invasivo in stadio I-II (e in casi selezionati più avanzati: cT3N0-N1) il trattamento loco regionale standard deve essere rappresentato dalla mastectomia con dissezione ascellare o dalla chirurgia conservativa con dissezione ascellare associata alla radioterapia della mammella (whole breast irradiation). Nelle pazienti con carcinoma invasivo in stadio clinico I-II e linfonodi clinicamente negativi o con linfonodi clinicamente sospetti ma con successivo agoaspirato negativo deve essere eseguita la dissezione selettiva del linfonodo sentinella. Nelle pazienti con carcinoma mammario invasivo ≤cT2 e cN0 con micrometastasi nel linfonodo sentinella, la dissezione ascellare potrebbe essere omessa. Nelle pazienti con carcinoma mammario invasivo candidate a chemioterapia neoadiuvante, la 64 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA biopsia del linfonodo sentinella dovrebbe essere eseguita prima dell’inizio della terapia medica. La mastectomia “skin sparing”, che presenta vantaggi estetici rispetto ad altre chirurgie non conservative, può essere presa in considerazione in casi selezionati. Sebbene non esistano studi randomizzati, i risultati di studi retrospettivi non hanno evidenziato un aumento delle recidive locali rispetto a procedure chirurgiche conservative. Per la mastectomia “nipple-sparing” non sono attualmente disponibili i risultati degli studi randomizzati attualmente in corso. Chirurgia mammaria Non esistono differenze in termini di sopravvivenza tra la mastectomia con dissezione ascellare e la chirurgia conservativa con dissezione ascellare associata alla radioterapia della mammella (whole breast irradiation) anche a un follow-up relativamente lungo. La scelta del tipo di intervento a livello mammario (chirurgia radicale vs conservativa) dipende dalla localizzazione e dal rapporto tumore/dimensioni della mammella, dalle caratteristiche mammografiche della lesione, dalla preferenza della paziente e dalla presenza o meno di controindicazioni alla RT. Le controindicazioni generali all’approccio conservativo includono: l'impossibilità di accedere a un centro di radioterapia per problemi logistici, condizioni fisiche o psichiche della paziente compromesse, la presenza di microcalcificazioni diffuse sospette o maligne e i tumori multicentrici. CARCINOMA INFILTRANTE LOCALMENTE AVANZATO O NON OPERABILE I tumori localmente avanzati inoperabili o per i quali la chirurgia non rappresenti il trattamento di prima scelta sono rappresentati dallo stadio IIIB (T4a per interessamento della parete toracica, T4b per interessamento della cute, T4c per concomitante interessamento di parete toracica e cute), dallo stadio IIIC (N3 con qualsiasi T) e dal carcinoma infiammatorio o mastite carcinomatosa (T4d). 65 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA CARCINOMA INFIAMMATORIO Prima di qualsiasi terapia sistemica primaria è raccomandata una biopsia percutanea del carcinoma primitivo per la determinazione dell'istotipo, del grado istologico, dello stato recettoriale (ER e PgR), dell'attività proliferativa (Ki67/MIB-1) e dello stato di HER-2. In presenza di linfonodi superficiali palpabili e clinicamente sospetti (ascellari e/o sovraclaveari) è opportuno effettuare un’agobiopsia o un agoaspirato a scopo diagnostico. Inoltre, per le pazienti con linfonodi ascellari clinicamente negativi, può essere presa in considerazione la biopsia del linfonodo sentinella al fine di guidare le successive decisioni sul trattamento (dissezione ascellare di I e II livello in caso di linfonodo sentinella positivo). Rappresenta un’entità clinico-patologica caratterizzata da un diffuso indurimento infiammatorio della cute della mammella con bordo erisipeloide, di solito senza una massa palpabile. Il reperto clinico caratterizzante è conseguente al blocco dei linfatici del derma da parte di emboli neoplastici. Si tratta di una forma relativamente rara (1%-6% dei tumori mammari negli Stati Uniti), la cui incidenza è in aumento e la cui prognosi è peggiore rispetto alle forme localmente avanzate. La neoplasia è frequentemente recettori negativa e HER2positiva. Sebbene sia richiesta una biopsia per dimostrare la presenza del tumore nel parenchima mammario e nei linfatici del derma e per ottenere una caratterizzazione biopatologica, la diagnosi si basa sui dati clinici. Sono controindicate sia la skin sparing mastectomy che approcci conservativi. I criteri minimi per definire il carcinoma mammario infiammatorio includono i seguenti: esordio rapido a livello mammario di eritema, edema e/o cute a buccia d’arancia, e/o calore con o senza il riscontro di una massa palpabile; segni clinici di durata inferiore a 6 mesi; eritema esteso ad almeno un terzo della superficie mammaria; conferma istologica di carcinoma infiltrante. Nella gestione del carcinoma localmente avanzato e del carcinoma infiammatorio è da preferirsi un approccio integrato multidisciplinare di terapia sistemica primaria seguita da chirurgia e radioterapia, ove fattibile. Nelle pazienti con carcinoma mammario localmente avanzato non operabile (stadio IIIB, IIIC e carcinoma infiammatorio) deve essere eseguita una terapia sistemica primaria in accordo con una valutazione multidisciplinare. Nelle pazienti con carcinoma mammario operabile (stadio I, II, IIIA) ma candidate a mastectomia, deve essere presa inconsiderazione la possibilità di effettuare una terapia sistemica primaria. Se la paziente è giudicata operabile (stadio I, II, IIIA) ma candidata a mastectomia, la terapia sistemica primaria incrementa le possibilità di chirurgia conservativa, potendo quindi convertire l’intervento di mastectomia in chirurgia conservativa (quadrantectomia, escissione). La possibilità di effettuare un intervento conservativo nei casi candidati alla mastectomia è intorno al 20-30%. Il posizionamento di un repere nella sede del tumore durante il trattamento neoadiuvante per le pazienti candidate a chirurgia conservativa è associato con un miglior controllo locale e dovrebbe essere parte integrante dell’iter diagnostico-terapeutico di queste pazienti. Tale approccio non deve essere preso in considerazione per le pazienti con carcinoma infiammatorio che non sono mai candidate a un intervento conservativo. TUMORI LOCALMENTE AVANZATI NON OPERABILI (IIIB, IIIC E CARCINOMA INFIAMMATORIO) In questi casi la paziente è giudicata non suscettibile di intervento chirurgico quale primo trattamento in quanto non operabile in modo radicale (per le dimensioni e/o per la presenza di N2/N3 clinico) e pertanto il trattamento 66 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA primario ha la finalità di permettere la successiva chirurgia, che, nel caso della mastite carcinomatosa, sarà sempre la mastectomia associata a dissezione ascellare omolaterale. Una chirurgia di tipo conservativo può essere presa in considerazione per le pazienti che ottengono una ottima risposta dopo il trattamento primario ma non è comunque raccomandabile nelle pazienti con mastite carcinomatosa. mammaria deve essere indagata con metodiche immunoistochimiche, mentre la ricerca del tumore primitivo deve essere effettuata anche con metodiche avanzate di imaging (MRI mammaria bilaterale in aggiunta a esame clinico, mammografico, ecografico). Nel trattamento del carcinoma occulto la linfoadenectomia ascellare riveste un ruolo essenziale, mentre il trattamento della mammella omolaterale rimane tuttora controverso e non codificato. Nonostante alcune linee guida europee sconsiglino il trattamento della mammella nei casi con MRI mammaria negativa, la sola osservazione non sembra indicata poiché una successiva manifestazione di carcinoma mammario è stata documentata nel 40% dei casi. La prognosi nei casi di carcinoma mammario occulto sembrerebbe essere migliore di quella osservata nei casi con il medesimo interessamento linfonodale e lesione primitiva evidente (stadi II-III). In molti studi l’unico determinante prognostico risulta essere il numero di linfonodi positivi con risultati peggiori se 4 o più sono interessati. In pazienti nelle quali gli esami di diagnostica strumentale non abbiano permesso di documentare la presenza del tumore primitivo, si suggerisce, a seconda dello stadio di malattia: Risposta patologica completa Nell’ambito del trattamento sistemico primario l’ottenimento di una risposta patologica completa (pCR) è per lo più associata a una prognosi migliore. In letteratura, tuttavia, sono riportate diverse definizioni di pCR: ypT0 ypN0: assenza di residuo invasivo e non invasivo su mammella e/o linfonodi. ypT0/is ypN0: assenza di residuo invasivo su mammella e/o linfonodi; residuo non invasivo ammesso. ypT0/is ypN0/+: assenza di residuo invasivo su mammella; residuo non invasivo e coinvolgimento linfonodale ammessi. ypT≤mic ypN0/+: assenza di residuo macroscopico invasivo su mammella; residuo invasivo focale, residuo non invasivo e coinvolgimento linfonodale ammessi. Trattamento adiuvante dopo chemioterapia primaria o neoadiuvante e successiva chirurgia. La scelta sul trattamento radioterapico, ormonale e immunoterapico con trastuzumab, successivi alla chirurgia dopo chemioterapia neoadiuvante è dipendente dal trattamento che è stato effettuato nella fase preoperatoria. CARCINOMA OCCULTO Trattasi di una presentazione rara (<1% di tutti i tumori mammari) e consiste nella presenza di metastasi linfonodali ascellari accertate istologicamente in assenza di una lesione mammaria riconosciuta. La presunta origine T0N1 Trattamento dell’N: dissezione ascellare Trattamento del T: mastectomia o RT whole breast. Si suggerisce la dose di 50 Gy con frazionamento convenzionale o dose equivalente con schemi ipofrazionati. T0N2-3 Terapia sistemica neoadiuvante seguita da chirurgia. SARCOMI MAMMARI Mastectomia totale o quadrantectomia o resezione mammaria con ampi margini di 67 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA resezione. Non dissezione ascellare. è indicazione di MALATTIA DI PAGET Malattia di Paget non associata a neoplasia: quadrantectomia centrale o mastectomia semplice ed eventuale ricostruzione immediata. Malattia di Paget associata a neoplasia: mastectomia semplice ed eventuale ricostruzione immediata. Se la neoplasia associata è retroareolare, è indicata una quadrantectomia centrale. Il trattamento dell’ascella in questi casi è legato alla tipologia del tumore associato alla malattia di Paget. TRATTAMENTO DELLA RECIDIVA LOCOREGIONALE E DELLO STADIO IV RECIDIVA LOCOREGIONALE Circa il 10%-35% delle donne trattate per carcinoma mammario vanno incontro a una recidiva locoregionale. Circa l’80% di queste recidive compaiono nei primi due anni dopo la terapia. Le recidive locoregionali possono essere accompagnate o meno da recidive a distanza. La recidiva locale può verificarsi dopo una mastectomia (noduli cutanei tumorali a livello della parete toracica in vicinanza o direttamente sulla cicatrice o nell’area dei lembi cutanei) oppure dopo chirurgia conservativa (sviluppo di tumore nella mammella omolaterale già trattata). Nel caso di recidiva locale dopo chirurgia conservativa, è possibile classificare la posizione della ripresa in relazione alla sede del tumore primario in: 1) recidiva vera (entro l’area del tumore primitivo o del boost di radioterapia); 2) recidiva marginale (vicino ai margini del volume del boost di radioterapia); 3) in altra sede rispetto alle due precedenti. La recidiva regionale consiste invece nella ripresa tumorale a livello dei linfonodi regionali (ascellari, sopraclaveari, mammari interni). Come comportarsi? 68 Un trattamento locoregionale con intento curativo va sempre preso in considerazione nelle pazienti non metastatiche. Le pazienti con recidiva locale inizialmente sottoposte a mastectomia dovrebbero essere sottoposte a escissione chirurgica della lesione con l’obiettivo di ottenere margini di resezione indenni. Dopo asportazione della recidiva locale in una paziente precedentemente mastectomizzata ma non irradiata, la RT adiuvante sulla parete è raccomandata. Il trattamento con RT adiuvante o esclusivo delle stazioni linfonodali non ha invece indicazioni univoche e va individualizzato. Le pazienti con recidiva locale dopo una iniziale chirurgia conservativa dovrebbero essere sottoposte a mastectomia con stadiazione ascellare nel caso in cui non sia stata effettuata in precedenza una dissezione del cavo ascellare di I/II livello. Esistono dati limitati a supporto della ripetizione del linfonodo sentinella in pazienti con recidiva locale trattate inizialmente con chirurgia conservativa e asportazione del linfonodo sentinella. In situazioni selezionate è comunque possibile considerare una seconda chirurgia conservativa, in particolare se la paziente non aveva ricevuto radioterapia sul volume mammario. Dopo una seconda chirurgia conservativa, in pazienti in precedenza già irradiate può essere presa in considerazione la possibilità di effettuare una re-irradiazione della parete o una irradiazione parziale della mammella con radioterapia a fasci esterni o brachiterapia, previa conoscenza dei dettagli del precedente trattamento radiante (modalità operative, volumi, dosi totali al target, dosi agli organi critici e frazionamento) e delle tossicità acuta e tardiva, manifestatesi dopo il primo trattamento. In caso di recidiva locoregionale, la determinazione delle caratteristiche biologi- PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA che del tumore (recettori ormonali, HER-2, Ki67) dovrebbe essere sempre ripetuta, vista la possibilità di una loro variazione. Il trattamento sistemico deve tenere in considerazione le caratteristiche biologiche della recidiva (recettori ormonali, HER-2, Ki67) ed essere adeguato di conseguenza: nelle pazienti con recettori ormonali positivi, è raccomandato l’uso dell’ormonoterapia successiva al trattamento locale e nelle pazienti HER2-positive dovrebbe essere considerato un nuovo trattamento con agenti anti-HER-2 in associazione a chemioterapia o terapia ormonale. Allo stato attuale non esiste un consenso sull’opportunità o meno di eseguire una chemioterapia in caso di recidiva locoregionale viene raccomandato l’inserimento di queste pazienti all’interno di studi controllati; se non vi è la possibilità di partecipare a uno studio di questo tipo sembra comunque ragionevole considerare un trattamento sistemico. all’esordio, gli inibitori dell’aromatasi devono essere somministrati come prima linea ormonale. Nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico ER positivo e/o PgR positivo in postmenopausa, pretrattate in adiuvante con Tamoxifene, il Fulvestrant ad alte dosi può essere considerato un’opzione alternativa agli inibitori delle aromatasi come prima linea ormonale. Nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico ER positivo e/o PgR positivo in postmenopausa, pretrattate in adiuvante o in fase metastatica con inibitore delle aromatasi non steroideo, deve essere preso in considerazione un trattamento con Everolimus ed Exemestane. Nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico HER-2 positivo in prima linea non pretrattato in fase adiuvante con Trastuzumab oppure metastatico ab initio, deve essere utilizzato Trastuzumab in associazione a monochemioterapia (Paclitaxel, Docetaxel o Vinorelbina). Nelle pazienti con carcinoma mammario HER2 positivo in prima linea metastatica pretrattato in fase adiuvante con Trastuzumab, dovrebbe essere somministrato Trastuzumab in associazione a chemioterapia (Taxano, Vinorelbina e Capecitabina). Nelle pazienti in postmenopausa con carcinoma mammario metastatico HER-2 positivo e coesprimente i recettori ormonali, non eleggibili per chemioterapia ma eleggibili per un trattamento endocrino, deve essere somministrata l’associazione di una terapia antiHER-2 (Trastuzumab od Olapatinib) con un inibitore dell’aromatasi. Le pazienti con carcinoma mammario metastatico HER-2 positivo in progressione di malattia dopo prima linea con un regime di chemioterapia e Trastuzumab, potrebbero essere trattate con Capecitabina associata a Trastuzumab. STADIO IV Questo stadio è di pertinenza dell'oncologo medico con le seguenti opzioni terapeutiche: Nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico ER positivo e/o PgR positivo in premenopausa, candidate a terapia ormonale con Tamoxifene, quest’ultimo deve essere somministrato in associazione con LHRHanalogo. Nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico ER positivo e/o PgR positivo in premenopausa, già trattate in adiuvante o in prima linea metastatica con Tamoxifene associato o meno a LHRH-analogo, può essere somministrata l’associazione di un inibitore dell’aromatasi e LHRH-analogo. Nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico ER positivo e/o PgR positivo in postmenopausa, non pretrattate con ormonoterapia adiuvante o con stadio IV 69 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA CARCINOMA MAMMARIO DONNA ANZIANA NELLA Per quanto riguarda la sopravvivenza, va inoltre tenuto presente che la maggior parte delle pazienti con carcinoma mammario operabile d’età >70 anni muore per cause non cancrocorrelate, ma correlate alla comorbidità coesistente. Per la paziente in buono stato di salute, la valutazione geriatrica aggiunge poco alla valutazione del paziente con diagnosi di tumore, ma è importante nella paziente vulnerabile, nella quale può porre indicazioni a interventi volti al mantenimento dello stato funzionale e a migliorare la qualità di vita. Per paziente anziana si intende la donna affetta da carcinoma mammario con età uguale o superiore a 70 anni. Per una donna con tumore della mammella, la probabilità di essere affetta da altra patologia aumenta con l’aumentare dell’età. L'età è il fattore che maggiormente influenza la scelta del trattamento e la tossicità trattamentocorrelata. Altri fattori da considerare nella valutazione della paziente anziana sono: lo stato funzionale, lo stato cognitivo, il supporto sociale, lo stato psicologico, lo stato nutrizionale e la polifarmacoterapia. La Valutazione Geriatrica Multidimensionale può predire accuratamente la morbidità e la mortalità per la patologia neoplastica ed è quindi di fondamentale importanza al fine di evidenziare problematiche misconosciute, di valutare lo stato funzionale e di poter fare una stima della sopravvivenza dell’anziana con tumore della mammella. Le comorbidità e lo stato funzionale influenzano significativamente la scelta del trattamento e la prognosi. Molti dati mostrano che il tumore della mammella nella donna anziana ha un profilo prognostico più favorevole. Il rischio di recidiva locale dopo intervento conservativo diminuisce con l’età, al contrario della frequenza di metastasi non viscerali, la quale è direttamente proporzionale all'età della paziente. Inoltre, l’età avanzata alla diagnosi è associata a fattori biologici più favorevoli, come una maggiore ormonosensibilità, un'espressione ridotta di HER-2, un basso grado istologico e un basso indice di proliferazione. Per quanto riguarda la scelta del trattamento, la comorbidità e lo stato funzionale della paziente possono influenzare sia la scelta del trattamento locoregionale (ad esempio chirurgia vs ormonoterapia primaria; indicazione alla radioterapia dopo chirurgia conservativa) sia la scelta della terapia sistemica adiuvante o della fase metastatica. Trattamento chirurgico Il trattamento chirurgico (conservativo o demolitivo) rimane lo standard terapeutico e terapie alternative dovrebbero essere riservate a quelle pazienti con comorbidità importante, a quelle che provano timore o rifiutano l'atto chirurgico. L’età avanzata di per sé non é, infatti, un fattore di rischio per il trattamento chirurgico. La comorbidità è il principale fattore che influenza la morbilità e la mortalità chirurgica. Riguardo alla linfoadenectomia ascellare nelle donne anziane, viene consigliata la dissezione selettiva del linfonodo sentinella. La dissezione completa del cavo ascellare deve essere eseguita solo nelle pazienti con linfonodo sentinella positivo e che non presentano controindicazioni all’anestesia generale. Poiché la sopravvivenza libera da malattia e la qualità di vita sono i principali “end points” del trattamento del tumore della mammella nella paziente anziana, un trattamento endocrino primario può comunque trovare indicazione nelle donne con tumori ER positivi che abbiano scadenti condizioni generali o che rifiutino la chirurgia. Radioterapia La radioterapia dopo intervento conservativo rimane parte integrante del trattamento anche per la donna anziana. 70 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA includono malattie testicolari, condizioni benigne della mammella, l’età, la familiarità e la sindrome di Klinefelter. Le mutazioni di BRCA2 predispongono allo sviluppo di un carcinoma mammario nell’uomo e sono implicate nel 4-14% di tutti i casi. Una review recentemente pubblicata indica che l’81% dei tumori maschili sono ER positivi, il 74%, sono PgR positivi e nel 30% dei casi sovraesprimono l’HER-2. I fattori prognostici sono sovrapponibili a quelli della donna e la sopravvivenza è simile a quella delle donne a parità di età e stadio. Dopo l'intervento chirurgico, le indicazioni alla radioterapia non differiscono da quelle poste per il carcinoma della mammella femminile. La scelta della terapia adiuvante segue le stesse linee guida del tumore mammario femminile: il Tamoxifene è la terapia ormonale adiuvante standard. Nella malattia metastatica la terapia di elezione è l’ormonoterapia; la chemioterapia dovrebbe essere riservata ai pazienti non più responsivi alla ormonoterapia. Terapia sistemica adiuvante La paziente anziana si giova di un trattamento sistemico adiuvante e la decisione di quale o quali terapie utilizzare nella singola paziente richiede, come sempre, una attenta valutazione di: - fattori prognostici, che definiscono l’entità del rischio di ripresa; - fattori predittivi di risposta ai trattamenti (ER, indice proliferativo, HER-2); - benefici attesi dal trattamento in termini di percentuale di beneficio assoluto ed effetti collaterali attesi; - preferenze della paziente; - aspettativa di vita e grado di comorbidità. Ormonoterapia La donna anziana con tumore della mammella ormono-responsivo, beneficia del trattamento ormonale adiuvante (Tamoxifene o antiaromatasici). La scelta del trattamento ormonale dovrebbe essere basata sulla presenza o meno di fattori di rischio individuali che possano rendere la paziente più o meno suscettibile alle diverse tossicità. CARCINOMA MAMMARIO IN GRAVIDANZA Chemioterapia adiuvante La chemioterapia adiuvante viene raccomandata nelle pazienti ad alto rischio di ripresa (pN+ e/o ER negativi) e la scelta del regime terapeutico deve tener conto sia dell’attesa di vita della paziente che di un’accurata valutazione geriatrica multidimensionale. Restano ancora da definire gli schemi chemioterapici più appropriati. Il carcinoma mammario rappresenta il tipo di tumore più frequentemente diagnosticato durante la gravidanza (PABC, pregnancy associated breast cancer). Circa 1 gravidanza ogni 3000 si complica con la diagnosi di un carcinoma mammario. Vari studi hanno mostrato che non esiste differenza di prognosi tra le pazienti con PABC e le donne con carcinoma mammario insorto non in gravidanza se la dimensione della neoplasia, lo stato linfonodale e gli altri marcatori prognostici sono sovrapponibili. Al contrario il carcinoma mammario diagnosticato durante l’allattamento sembra determinare un aumento del rischio di morte per carcinoma. Il carcinoma mammario durante la gravidanza è spesso diagnosticato a uno stadio più avanzato a causa del ritardo diagnostico. Istologicamente, le neoplasie mammarie insorte in gravidanza sono più spesso indifferenziate, non esprimono i CARCINOMA MAMMARIO BILATERALE Sia per i t u m o r i sincroni che per q u e l l i metacroni il trattamento va programmato considerando i due tumori separatamente e tenendo conto del risultato estetico. CARCINOMA MAMMARIO MASCHILE Il carcinoma della mammella maschile rappresenta circa lo 0,5-1% di tutti i tumori della mammella. I fattori di rischio principali 71 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA recettori ormonali e nel 30% dei casi sono HER2 positive. In caso di tumefazione sospetta durante la gravidanza, il primo passo consiste nella visita specialistica e in un’ecografia la quale rappresenta l’esame di prima scelta in questo setting di pazienti. E’ possibile eseguire la mammografia nelle donne in stato di gravidanza utilizzando un’appropriata schermatura dell’addome così da ridurre al minimo l’esposizione fetale alle radiazioni ionizzanti. Per la diagnosi istopatologica, la biopsia rappresenta la tecnica più appropriata in queste pazienti a causa delle diffuse alterazioni cellulari di tipo iperproliferativo legate alla gravidanza che possono portare a un aumentato tasso di falsi positivi con il prelievo citologico. L’uso della risonanza magnetica nucleare (MRI) per diagnosticare il carcinoma mammario in gravidanza non è stato studiato adeguatamente ed è ancora oggetto di opinioni controverse. In genere gli esami di stadiazione sono limitati alla radiografia del torace, eseguita con schermatura dell’addome, e all’ecografia addomino-pelvica. La scintigrafia ossea e la TAC devono essere evitati durante la gravidanza, soprattutto nel primo trimestre perché le radiazioni possono causare malformazioni congenite. La MRI senza mezzo di contrasto può essere eseguita nel caso di forte sospetto di metastasi epatiche, ossee e/o cerebrali. Il protocollo di trattamento del carcinoma mammario nelle donne in gravidanza dovrebbe essere il più simile possibile a quello offerto alle donne non in stato di gravidanza; esso dovrebbe essere individualizzato, tenendo in considerazione la biologia del tumore, lo stadio di malattia, l’età gestazionale e le preferenze della paziente. Non esiste nessuna evidenza clinica che l’interruzione di gravidanza migliori la prognosi. L’opportunità di interrompere la gravidanza va discussa con la paziente e dovrebbe essere consigliata quando il trattamento pianificato rischia di danneggiare il feto oppure quando la prosecuzione della gravidanza impone un ritardo nell’inizio dei trattamenti antitumorali il che potrebbe danneggiare la madre. Questa situazione si verifica soprattutto quando il cancro viene diagnosticato durante il primo trimestre. La chirurgia mammaria rappresenta il trattamento primario del PABC operabile e può essere eseguita durante tutto il periodo della gravidanza senza che l’anestesia provochi conseguenze negative per il feto. Il rischio di aborto durante il primo trimestre (1-2%) o di induzione di parto prematuro (rischio relativo 1.5-2.0) nel 2°-3° trimestre, derivano da studi osservazionali. La gravidanza non cambia le indicazioni al tipo di chirurgia, radicale o conservativa. Alcune evidenze suggeriscono che se il rapporto volume tumore/ghiandola mammaria è favorevole si potrebbe optare per una chirurgia conservativa alla fine del 2° e nel 3° trimestre associata a radioterapia dopo il parto senza impatto significativo sul tasso di recidive e sulla sopravvivenza rispetto a donne trattate con chirurgia radicale. Durante il 1° trimestre la chirurgia conservativa può determinare un ritardo eccessivo nell’inizio del trattamento radioterapico post-operatorio e quindi può essere preferibile una chirurgia radicale. La dissezione completa dei linfonodi ascellari rimane a oggi il trattamento standard, mentre la ricerca del linfonodo sentinella deve considerarsi sperimentale ed è controindicata prima della 30a settimana. Il trattamento radioterapico deve essere praticato solo al termine della gestazione poiché la gravidanza è una controindicazione assoluta alla radioterapia. Le indicazioni alla somministrazione della chemioterapia durante la gravidanza non dovrebbero differire da quelle seguite nelle donne non in gravidanza. Tuttavia, l’utilizzo della chemioterapia durante il primo trimestre aumenta il rischio di aborto spontaneo, morte del feto e malformazioni gravi nel 10%-20% dei casi. A causa di tali rischi per il feto, se si decide di continuare la gravidanza, l’inizio della chemioterapia deve essere ritardato a dopo il 72 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA completamento della 14a-16a settimana di gestazione. Nel secondo e terzo trimestre la somministrazione dei protocolli chemioterapici non sembra associarsi ad anomalie fetali, anche se sono stati segnalati casi di ritardo di crescita intrauterino, morti intrauterine e neonatali, prematurità e aplasia midollare. In questo scenario i dati che derivano da follow-up a breve termine di bambini esposti in epoca prenatale a trattamento chemioterapico per il tumore della mammella, considerando anche l’incidenza di malformazioni congenite, sono comunque rassicuranti. Vari schemi di chemioterapia sono stati utilizzati per il trattamento del carcinoma mammario in gravidanza: tali schemi dovrebbero, quanto più possibile, essere simili a quelli usati nelle donne non in stato di gravidanza; inoltre, durante la gravidanza, i dosaggi non dovrebbero differire da quelli usati al di fuori di tale periodo. Nel pianificare la tempistica del parto nelle pazienti con carcinoma mammario in gravidanza, più fattori devono essere tenuti in considerazione, mentre il monitoraggio fetale dovrebbe essere eseguito almeno ogni 3-4 settimane con l’ultrasonografia dell’arteria ombelicale. Il parto pretermine dovrebbe essere praticato solo se indicato per motivazioni ostetriche; per minimizzare il rischio di neutropenia materna e fetale e le conseguenti infezioni, il parto dovrebbe essere evitato durante il nadir materno, solitamente 2-3 settimane dopo il trattamento chemioterapico trisettimanale. La chemioterapia non dovrebbe essere a a somministrata dopo la 34 -35 settimana di gestazione perché il parto spontaneo può verificarsi prima che il midollo osseo si sia ripreso. Il ritardo nell’induzione del parto di tre settimane dopo la chemioterapia permette inoltre l’escrezione fetale dei farmaci attraverso la placenta. Per la salute del feto, bisognerebbe fare uno sforzo massimo per ritardare il parto alla 35a-37a settimana di gestazione. Infatti, le complicanze neonatali sono solitamente conseguenti al parto pretermine e includono difficoltà nell’alimentazione ed emorragie subaracnoidee. Con il parto vaginale è meno probabile il rinvio nell’inizio della chemioterapia in quanto esso è associato a una minore morbilità rispetto al parto cesareo. Benché le metastasi placentari da carcinoma mammario siano rare, la placenta dovrebbe essere sottoposta a esame istopatologico. L’allattamento durante la chemioterapia e la terapia ormonale q controindicato, dato che la maggior parte dei farmaci usati possono essere escreti nel latte materno. CARCINOMA MAMMARIO E MUTAZIONI NEI GENI BRCA1 E BRCA2 Per quanto riguarda i tumori della mammella e/o dell'ovaio, sono noti due geni coinvolti nella predisposizione ereditaria di tali neoplasie: il gene BRCA1 posto sul cromosoma 17 e il gene BRCA2 posto sul cromosoma 13. Le mutazioni a carico di questi geni conferiscono un aumentato rischio di sviluppare un tumore della mammella e/o un tumore dell’ovaio. Mutazioni genetiche a carico del gene BRCA2, inoltre, conferiscono un aumentato rischio di tumore della mammella maschile. La possibilità di identificare i portatori di tali mutazioni genetiche o comunque, in generale, di valutare attentamente il profilo di rischio dei soggetti che presentano familiarità per questo tipo di neoplasie, ha avuto importanti ripercussioni sul piano clinico assistenziale negli ultimi anni e ha posto le basi per lo sviluppo della Consulenza genetica oncologica. Le attuali linee guida sull’utilizzo dei test genetici in oncologia statunitensi (www.cancer.gov), australiane (www.nhmrc.gov.au/guidelines) e italiane (www.iss.it), infatti, prevedono che questi siano effettuati solo ed esclusivamente all’interno di un più ampio percorso di consulenza, nel quale l’individuo o i membri di una stessa famiglia possano comprendere pienamente il significato di ciò che gli viene proposto, le 73 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA determinanti ereditarie, le opzioni di gestione della situazione, in modo di scegliere il percorso più appropriato. La consulenza genetica viene definita come un "processo di comunicazione che concerne i problemi umani legati all’occorrenza, al rischio di ricorrenza, di una patologia genetica in una famiglia". Secondo tale definizione, gli obiettivi della consulenza genetica sono: 1) aiutare l’individuo o la famiglia a comprendere le informazioni mediche che includono la diagnosi, il probabile decorso della malattia e le forme di assistenza disponibili; 2) valutare il modo in cui l’ereditarietà contribuisce al verificarsi della malattia e il rischio di ricorrenza esistente per taluni familiari; 3) analizzare tutte le opzioni esistenti nell’affrontare il rischio di malattia; 4) aiutare a compiere le scelte più adeguate, tenendo conto sia del rischio sia delle necessità dei familiari; 5) realizzare il miglior adattamento possibile alla malattia del familiare affetto e/o al rischio di ricorrenza della malattia stessa. Il processo di consulenza deve quindi favorire e promuovere una scelta informata autonoma e consapevole rispetto sia al test genetico (quando indicato) sia alle scelte di sorveglianza e/o prevenzione (sorveglianza intensificata, farmacoprevenzione e chirurgia profilattica). In linea generale la presenza di una predisposizione ereditaria al tumore della mammella e/o ovaio va sospettata tutte le volte in cui si riscontrino le seguenti caratteristiche: Incidenza notevolmente più elevata rispetto all’attesa di neoplasie mammarie e/o ovariche. Presenza di neoplasie mammarie bilaterali. Precoce età di insorgenza del cancro. Occorrenza di tumori della mammella maschile. Associazioni tra neoplasie della mammella e/o ovaio. Si ritiene opportuno inviare alla consulenza genetica oncologica la donna che presenti almeno uno dei seguenti criteri: Storia personale o familiare* di: Mutazione nota in un gene predisponente (BRCA1, BRCA2, P53, PTEN, ecc.). Carcinoma mammario maschile. Donna con carcinoma mammario e carcinoma ovarico. Donna <36 anni con carcinoma mammario. Donna <50 anni con carcinoma mammario bilaterale. Donna <50 anni con carcinoma mammario e almeno 1 parente di primo grado con: carcinoma mammario <50 anni, carcinoma ovarico a qualsiasi età, carcinoma mammario bilaterale o carcinoma mammario maschile. Donna >50 anni con carcinoma mammario e storia familiare di carcinoma mammario o ovarico in 2 o più parenti di primo grado* tra loro (di cui uno di primo grado con la paziente*). Donna con carcinoma ovarico e almeno un parente di primo grado* con: carcinoma mammario <50 anni, carcinoma ovarico a qualsiasi età, carcinoma mammario bilaterale o carcinoma mammario maschile. *Presenza di un familiare (genitore, fratello/sorella, figlio/a) con le caratteristiche di malattia specificate. Per il lato paterno della famiglia, considerare anche altri familiari (nonna, zie). 74 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Nella consulenza genetica oncologica vengono selezionati pazienti che rispondono a specifiche caratteristiche di storia familiare per neoplasie e che sono quindi candidabili per un test genetico, il quale deve essere effettuato prima di tutto su di un componente della famiglia che abbia già sviluppato la malattia (caso indice). Dal test genetico è possibile ottenere: un risultato informativo (la mutazione predisponente è stata identificata), oppure un risultato non informativo (la mutazione predisponente non è stata identificata ma non si può escluderne la presenza). Il test genetico è perciò realmente negativo solamente quando una mutazione precedentemente identificata in un individuo della famiglia non viene identificata nel soggetto in analisi. Solo se il risultato è informativo, il test genetico può essere esteso agli altri membri della famiglia >18 anni di età che desiderino effettuarlo. Non è indicata l’esecuzione del test nei minorenni, poiché l’aumento del rischio di tumori riguarda solo l’età adulta. essere prese in considerazione misure non chirurgiche e chirurgiche di prevenzione del rischio. Le misure non chirurgiche di prevenzione del rischio in donne con mutazione BRCA1/2 sono: Programma di sorveglianza clinicostrumentale La strategia di screening consigliata in donne portatrici di mutazione BRCA non sottoposte a chirurgia profilattica è la seguente: Autopalpazione mensile del seno a partire dall'età di 18 anni; Esame clinico del seno da due a quattro volte l'anno a partire dall'età di 25 anni; Ecografia mammaria semestrale a partire dai 18 anni; Mammografia annuale e risonanza magnetica mammaria di screening a partire dai 25 anni e in ogni caso 10 anni prima dell’età d’insorgenza del carcinoma mammario a esordio più precoce nella famiglia (e comunque non prima dei 18 anni); Due volte l'anno screening per carcinoma ovarico con ecografia transvaginale e CA125 a partire dai 35 anni e comunque 5-10 anni prima dell’età di insorgenza del carcinoma mammario a esordio più precoce nella famiglia. La risonanza magnetica come strategia di sorveglianza in donne ad alto rischio, come quelle portatrici di mutazione BRCA, ha mostrato una sensibilità maggiore rispetto alla mammografia aumentando il numero di pazienti diagnosticate con malattia in fase iniziale. L'impatto dell’esecuzione della MRI mammaria sulla mortalità per carcinoma mammario nella strategia di sorveglianza è ancora da dimostrare. GESTIONE DEL RISCHIO AUMENTATO IN DONNE CON MUTAZIONE BRCA1 E BRCA2 Poiché le acquisizioni scientifiche relative alla suscettibilità ereditaria alle neoplasie mammarie sono molto recenti, attualmente, non sono ancora disponibili evidenze conclusive sulla corretta gestione delle portatrici di mutazione patogenetica nei geni BRCA1 e/o BRCA2. L'unico approccio che si è dimostrato efficace nel ridurre significativamente il rischio di sviluppare la malattia è quello della chirurgia profilattica. Si calcola infatti che la mastectomia bilaterale profilattica, cioè, l’asportazione di ambedue ghiandole mammarie, sia in grado di ridurre del 90-95% il rischio di sviluppare una neoplasia mammaria. In generale, nella gestione delle donne con mutazione nei geni BRCA1 e/o BRCA2 possono Salpingo-ovariectomia profilattica Sebbene in una donna portatrice di mutazione BRCA il rischio di sviluppare un carcinoma ovarico sia inferiore rispetto a quello di 75 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA sviluppare un carcinoma mammario, la mancanza di metodi affidabili di diagnosi precoce e la prognosi infausta del carcinoma ovarico diagnosticato in fase avanzata portano a considerare l’intervento di annessiectomia bilaterale profilattica. L’efficacia di questa pratica nel ridurre il rischio di carcinoma ovarico in pazienti portatrici di mutazione BRCA è stata dimostrata in diversi studi. Una metanalisi di 10 studi condotti in pazienti BRCA mutate ha mostrato una riduzione del rischio di carcinoma ovarico di circa l’80% dopo annessiectomia bilaterale. Analogamente in un ampio studio prospettico condotto su 1.079 donne BRCAmutate, l’annessiectomia bilaterale, a un followup mediano di tre anni, ha portato a una riduzione del rischio dell’85% di sviluppare tumori ginecologici (carcinomi ovarici, delle tube di Faloppio e peritoneali) rispetto al gruppo di controllo. L’ovariectomia associata alla salpingectomia è motivata dall’aumentato rischio in queste donne di sviluppare neoplasie tubariche. L’intervento di annessiectomia bilaterale in donne BRCA-mutate è inoltre correlato anche con una riduzione del rischio di carcinoma mammario del 50% circa in relazione alla diminuita esposizione ormonale che segue la rimozione chirurgica delle ovaie. La maggiore riduzione del rischio di carcinoma mammario è stata osservata in donne con mutazione BRCA1 sottoposte all’intervento di annessiectomia a un’età ≤40 anni. Oltre alla riduzione del rischio di carcinoma ovarico e mammario, in uno studio l’annessiectomia ha mostrato un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza globale e della sopravvivenza cancro-specifica. L’annessiectomia profilattica dovrebbe essere presentata come opzione di riduzione del rischio a tutte le donne portatrici di mutazioni BRCA1 e BRCA2 a partire dall’età di 35-40 anni e comunque dopo aver completato il desiderio di prole. L’asportazione chirurgica dovrebbe comprendere le ovaie e le tube sino al loro impianto nell’utero. Successivamente, in considerazione del rischio residuo (basso) di sviluppare un tumore primitivo del peritoneo (legato alla possibile presenza di isole di tessuto ovarico peritoneale che potrebbero evolvere in carcinoma), il dosaggio del CA125 dovrebbe continuare a essere effettuato dopo l’intervento. Mastectomia bilaterale profilattica L'unico approccio che si è dimostrato efficace nel ridurre significativamente il rischio di sviluppare il carcinoma mammario è quello della chirurgia profilattica. Si calcola infatti, in studi sia retrospettivi che prospettici, che la mastectomia bilaterale profilattica, cioè l’asportazione delle ghiandole mammarie, sia in grado di ridurre del 90-95% il rischio di sviluppare una neoplasia mammaria. Il tipo di mastectomia profilattica può variare dalla mastectomia totale alla mastectomia “nipple sparing” che forniscono risultati cosmetici superiori e, sebbene i dati al riguardo siano limitati, non sembrano essere associate a un aumentato rischio di recidiva locale. Le diverse opzioni chirurgiche dovrebbero essere discusse con la paziente unitamente ai rischi e benefici di una ricostruzione immediata. A oggi non ci sono prove sufficienti per raccomandare l’esecuzione di routine della biopsia del linfonodo sentinella nelle pazienti sottoposte a una mastectomia profilattica. TRATTAMENTO DELLE PAZIENTI CON MUTAZIONE BRCA1/2 E DIAGNOSI DI CARCINOMA MAMMARIO Sebbene la maggior parte di carcinomi mammari sia di forma sporadica, il 5%-7% è legato a fattori ereditari, due terzi dei quali determinati dalla mutazione dei geni BRCA1-2. Chirurgia Ancora dibattuta è l’opzione chirurgica da riservare a pazienti con mutazione BRCA1/2 e diagnosi di carcinoma mammario: chirurgia conservativa e radioterapia vs chirurgia radicale. Le preoccupazioni iniziali circa il potenziale effetto dannoso della radioterapia in pazienti 76 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA BRCA-mutate non hanno trovato fondamento e numerosi studi supportano la chirurgia conservativa come opzione ragionevole per il trattamento del tumore primitivo in quanto il rischio di recidiva ipsilaterale a 10 anni è stato stimato intorno al 10%-15%, simile a quello osservato in pazienti non portatrici di mutazione. Studi con periodi di follow-up più lunghi dimostrano un rischio di sviluppare un secondo evento mammario ipsilaterale a 15 anni intorno al 24%, ma nella maggior parte dei casi si tratta di un secondo tumore primitivo (e non di recidiva). Sebbene con risultati diversi attraverso i vari studi, la radioterapia, la chemioterapia, l’ovariectomia e il tamoxifene si associano a una diminuzione del rischio di eventi omolaterali, così come avviene nel carcinoma della mammella sporadico. Il rischio di carcinoma mammario controlaterale non sembra variare per donne sottoposte a chirurgia conservativa rispetto a mastectomia unilaterale. Infine, nessuna differenza nella sopravvivenza globale a 15 anni è stata osservata tra pazienti BRCA1/BRCA2 mutate che scelgono di sottoporsi a mastectomia rispetto a chirurgia conservativa. A causa del rischio aumentato di sviluppare un secondo tumore primitivo che può arrivare fino al 60% in giovani donne con mutazione BRCA1, molte pazienti portatrici di mutazione scelgono di sottoporsi a una mastectomia bilaterale al momento della diagnosi di carcinoma mammario. Il rischio di sviluppare un carcinoma mammario controlaterale nelle pazienti affette da carcinoma mammario portatrici di mutazione BRCA1/2 è superiore rispetto a quello delle donne con carcinoma mammario sporadico, e risulta essere pari a circa il 40%. Tale rischio è più elevato anche in donne BRCA- mutate sottoposte ad annessiectomia e dipende dall'età al momento della diagnosi iniziale. Per tali motivi e soprattutto per le donne < 40 anni con diagnosi di carcinoma mammario, la mastectomia profilattica controlaterale può rappresentare un'opzione efficacie nel ridurre il rischio di insorgenza di una seconda neoplasia e alcuni dati suggeriscono che possa migliorare sopravvivenza libera da malattia e globale. la GESTIONE DEL FOLLOW-UP Il follow-up è il programma di sorveglianza a cui sono sottoposte le pazienti con l’obiettivo di individuare e trattare eventuali recidive locali o al seno controlaterale. Al momento non vi sono evidenze scientifiche che una diagnosi tempestiva di metastasi a distanza possa incidere sulla sopravvivenza. Il programma di follow-up deve prevedere un’estensione per almeno 5 anni, anche alla ricerca tempestiva di metastasi a distanza qualora il rischio di recidiva sia valutato medio-alto, cioè superiore al 30%. • Al termine del trattamento primario e secondario le pazienti devono essere informate della necessità di controlli periodici. • I programmi di follow-up di routine sono basati essenzialmente su visite cliniche periodiche e sulla esecuzione di una mammografia annuale. L’obiettivo principale della sorveglianza dopo il trattamento primario del carcinoma mammario è il riconoscimento precoce di recidive di malattia potenzialmente suscettibili di trattamento con intento radicale. Inoltre, durante le visite di controllo, assume particolare importanza il monitoraggio, la gestione degli effetti collaterali della terapia e la sorveglianza per il rischio aumentato di secondi tumori. Allo stato attuale non esiste alcuna evidenza che supporti la prescrizione routinaria degli esami sottoindicati nel follow -up del carcinoma mammario: Esame emocromocitometrico e profilo biochimico. Radiografia del torace, scintigrafia ossea, ecografia epatica. Marcatori tumorali. Tali conclusioni sono state riportate dalle linee guida dell’ASCO e si basano sui risultati di studi randomizzati che, tuttavia, risalgono ad anni in cui le opzioni diagnostico-terapeutiche e le informazioni sulla biologia tumorale erano più limitate. Un’accurata visita medica con una 77 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA dettagliata raccolta anamnestica, associata alla mammografia annuale, rimangono i cardini di quello che attualmente viene considerato un follow-up ottimale. La prima mammografia di controllo viene consigliata non prima di 6 mesi dal completamento del trattamento radioterapico sul parenchima mammario residuo e, quindi, circa 9-12 mesi dopo l’intervento chirurgico. Successivamente, è raccomandato ripeterla annualmente. L’utilizzo routinario della risonanza magnetica mammaria è consigliato nelle donne portatrici di mutazione a livello dei geni BRCA1/2, per le quali è notevolmente aumentato il rischio di sviluppare un secondo carcinoma sia ipsilaterale che controlaterale. Un approfondimento ginecologico per le pazienti non isterectomizzate che stiano ricevendo un trattamento adiuvante con Tamoxifene va effettuato su indicazione clinica. Le donne che in corso di trattamento presentino una metrorragia di qualsiasi entità, in particolare se in postmenopausa, devono sottoporsi tempestivamente a una visita ginecologica ed ecografia ginecologica. Nelle pazienti sottoposte a trattamento ormonale quinquennale con inibitori delle aromatasi (AIs), soprattutto se di età inferiore ai 60 anni, dovrebbero essere indagati i livelli basali di FSH, LH e 17-beta-estradiolo. Altre metanalisi dimostrano che né la radiografia né la TC del torace trovano un ruolo tra le procedure diagnostiche da raccomandare nel follow-up così come né la scintigrafia ossea né l’analisi routinaria dei livelli sierici di Fosfatasi Alcalina sono raccomandate routinariamente nel follow-up. Lo stesso dicasi per l'ecografia epatica e la TC dell’addome solitamente raccomandate di routine in fase di follow-up. Il dosaggio di CEA, CA 15-3 o CA 27.29 non è raccomandato per la sorveglianza di routine dei pazienti con carcinoma mammario dopo terapia primaria. Le linee guida ASCO suggeriscono che se una paziente con tumore mammario in fase precoce desidera proseguire la sorveglianza esclusivamente presso il proprio Medico di Medicina Generale, la presa in carico può avvenire circa un anno dopo la diagnosi. In questi casi, sia la paziente che il MMG devono essere informati in merito al più appropriato programma di follow-up. 78 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA ALGORITMI 79 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA 80 PERCORSI CLINICO-ASSISTENZIALI DELLA PAZIENTE CON TUMORE DELLA MAMMELLA Bibliografia consultata Stracci F, Gruppo do lavoro del RTUP. Il quadro epidemiologico per la programmazione della prevenzione oncologica regionale in Umbria. CancerStat Umbria 2010;1:1-41. I Tumori in Italia – Epidemiol Prev 2009;33(1-2) suppl. I Tumori in Italia – Epidemiol Prev 2009;33(4-5) suppl. 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Ismail J & Manfred K. Management of Breast Diseases. 1st Ed. Springer 2010. Urban C & Rietjens M. Oncoplastic and Reconstructive Breast Surgery. Breast Cancer. 2 nd Ed.Springer 2008. Ringraziamento Si ringraziano le dott.sse Silvia Leite e Chiara Lupi, del Registro Tumori Umbro di Popolazione, per il loro contributo alla revisione editoriale del testo. 82 CANCERSTAT UMBRIA, ANNO VI NO.1 CancerStat Umbria ISSN 2039-814X Anno V, 2014 Numero 6 Numero 1 Editoriale. Slide show: Amianto e Salute. Terni 25 marzo 2014. Slide show: Gli screening oncologici in Umbria tra passato e futuro. Lo screening che cambia: “il Pap.test si veste di Molecolare”. Carcinoma del colon retto: Screening regionale. supplemento 1 Modulo di Legislazione e Organizzazione sanitaria. Numero 7 Numero 2 Numero 9 Slide show: Incontro italo-francese sul carcinoma Slide show: Tumori e angiogenesi: dal laboratorio alla mammario: problematiche attuali. Perugua, I e II sessione. 22-23 Novembre 2013 supplemento 2 Quanta salute produce l’assistenza ospedaliera in Umbria? clinica. Perugia, 23 maggio 2014. Slide show: Il cancro gastrico localmente avanzato. Perugia, I e II sessione. 4 aprile 2014. Slide show: Numero 8 Il cancro gastrico localmente avanzato. Perugia, III e IV sessione. 4 aprile 2014. Numero 10 Slide show: Il trattamento del carcinoma prostatico. Standard terapeutici e aspetti controversi. Perugia, 20 giugno 2014. Numero 3 Numero 11-12 Epidemiologia del cancro della mammella. Slide show: La radioterapia nel carcinoma del canale anale: indicazioni e criteri guida di trattamento. Epidemiologia. Perugia, 18 Settembre 2014. Slide show: La prevenzione del tumore del colon retto. Umbria e Spagna a confronto. Epidemiologia del carcinoma del colon-retto in Italia. Perugia, 1 ottobre 2014. Slide show: L’integrazione dei dati per le analisi e le decisioni di policy nel territorio. Il punto di vista di utilizzatori e stakeholder. Il nostro GIS. Giornata italiana della statistica. Terni, 21 ottobre 2014. Slide show: Incontro italo-francese sul carcinoma mammario: problematiche attuali. Perugia, III e IV sessione. 22-23 Novembre 2013 Numero 4 Slide show: Incontro italo-francese sul carcinoma mammario: problematiche attuali. Perugia, V sessione. 22-23 Novembre 2013 Numero 5 Metodi per lo studio della deprivazione e le sue relazioni con l’incidenza del cancro in un’area locale Methods to study the deprivation and its relationships with cancer incidence in a local area Deprivazione e incidenza di cancro in un’area exindustriale a forte invecchiamento Deprivation and cancer incidence in a deindustrialised and highly ageing area. Andamento della mortalità per cause in Umbria. 1994-2012 L’incidenza del cancro in Umbria. 2008-2010 Mortalità nell’azienda USL Umbria2 nei periodi 2003-2005, 2006-2008 e 2009-2011 83 CANCERSTAT UMBRIA, ANNO VI NO.1 CancerStat Umbria CancerStat Umbria ISSN 2039-814X Anno IV, 2013 ISSN 2039-814X Anno III, 2012 Numero 1 Editoriale: tre anni di CancerStat Umbria. La sopravvivenza per cancro in Umbria. 19942008. Rapporto sull’adesione allo screening mammografico nella AUSL2 dell’Umbria. Periodo 20002011. supplemento 1 Slide show: PSA: to screen or not to screen. Parte A. Città di Castello 24 novembre 2012. Numero 1 I tumori della vescica. Numero 2 Incidenza del cancro in Umbria. 2007-2009. supplemento 2 Slide show: PSA: to screen or not to screen. Parte B. Città di Castello 24 novembre 2012. Numero 5 Ambiente e salute. Qualità dell’aria e prevenzione. Convegno – Perugia 25 febbraio 2012. Numero 2 Trend di mortalità per cause in Umbria. 1994-2010. Numero 3-4 I tumori delle alte vie aereo-digestive. supplemento 1 VIDEO. Tavola rotonda: La sanità pubblica in Umbria. Opinioni e prospettive. Numero 6 Slide show: Numero 3 Screening mammografico. Gestire la complessità per guadagnare in salute. Perugia 8-9 marzo 2012. La georeferenziazione nella registrazione dei tumori: approccio metodologico e prospettive di studio. XVI Riunione scientifica annuale AIRTUM. Como 29-31 marzo 2012. supplemento 2 VIDEO. Tavola rotonda: Medicina predittiva e sanità pubblica. Slide show: Seminari della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva 11/01/2013). (10/12/2012 e 10- Numero 4-5 Attività oncologica della Clinica Dermatologica del Policlinico Universitario di Terni. I dati 2008-2011 del Sistema di sorveglianza PASSI sugli screening in Umbria. La prevenzione ambientale e gli esposti. Numero 7 I tumori dell’ovaio. Numero 6 In cancro dell’endometrio. Numero 8-9 La geografia del cancro in Umbria: incidenza 19782008 Numero 7-8 Slide show: Numero 10-11 I tumori multipli in Umbria. 1994-2008. PSA e screening per il carcinoma prostatico: le criticità viste dall’anatomopatologo. EAU guidelines. Prostate cancer 2013. Numero 12 La Rete Regionale Oncologica dell’Umbria. Slide show: Comunicazioni del RTUP al 45° Congresso Nazionale SItI, S. Margherita di Pula, 3-6 ottobre 2012. Il potenziale di salute del comune. Numero 9 Il cancro del retto Numero 10 Slide show: Il ruolo dell’igienista nel Servizio Sanitario Nazionale. Epidemiologia del cancro del colon-retto. Numero 11 Approccio diagnostico terapeutico al paziente con carcinoma del retto. Numero 12 Valutazione dell’assistenza sanitaria. Principi, metodi e applicazioni relative al SSR umbro. 84 CANCERSTAT UMBRIA, ANNO VI NO.1 CancerStat Umbria ISSN 2039-814X CancerStat Umbria Anno II, 2011 Anno I, 2010 Numero 0 Numero 1 Mortalità per cause nelle ASL dell’Umbria. 2005- Le statistiche del cancro e della mortalità in Umbria. 2009. Numero1 Ultime pubblicazioni dei collaboratori del Numero 2 Anni di vita potenziale persi (YPLL) in Umbria. RTUP. 1995-1999 e 2005-2009. Technology assessment della metodica di prelievo e di preparazione della citologia in Numero 3-4 fase liquida (LBC – Liquid Based Citology) Il cancro della prostata. …… Numero 5 Numero 2 Ciò che bisogna sapere per decidere se sottoporsi L’incidenza del cancro in Umbria, 2006-2008. allo screening per il cancro della prostata. Partecipazione al IV round dello screening Numero 3 Il Registro Rumori Infantili Umbrocitologico della AUSL 2 dell’Umbria. Marchigiano. Numero 6 La ricerca dei tumori professionali Il cancro del rene. nell’ambito del progetto OCCAM. Numero 7 Slide show: Fumo o salute. I sessione. Numero 4 Il quadro epidemiologico per la programmazione della prevenzione oncologica regionale in Umbria. Numero 8 I tumori della tiroide. Numero 5 Slide show: Incontro con il Gruppo multidisciplinare regionale per le neoplasie tiroidee in Umbria. Perugia 28/29 ottobre 2010. Numero 9 Slide show: Fumo o salute. II e III sessione. Numero 10 Slide show: GISCoR. I sessione. Numero 6 Slide show: Incontro con il Gruppo multidisciplinare regionale per le neoplasie tiroidee in Umbria. Perugia 28/29 ottobre 2010. Convegno: Nuove acquisizioni nella gestione clinica del carcinoma della tiroide di origine follicolare: cosa dicono le linee guida? Numero 11 Slide show: GISCoR. II sessione. Numero 12 Il cancro del pene e del testicolo. Numero 7 Slide show: Neoformazioni della cute e del cavo orale. Melanoma. Terni 13.11.2010 85 CANCERSTAT UMBRIA, ANNO VI NO.1 86