Nuovi fondamenti di linguistica Soluzioni degli esercizi Capitolo 6. Elementi di sintassi 6.1
La sintassi studia come le lingue combinano le parole per formare espressioni linguistiche di livello superiore. (→ Paragrafo 6.1) 6.2
Le espressioni sintattiche possono essere ambigue, e quindi avere più di una interpretazione, perché possono corrispondere a diverse strutture soggiacenti, ovvero a diversi tipi di relazioni tra i costituenti della frase stessa. Un classico esempio è la frase la vecchia porta la sbarra che può essere letta come [la vecchia] portaVERBO la sbarra oppure come [la vecchia porta] la sbarraVERBO. (→ Paragrafo 6.2) 6.3
L’aggettivo italiana si può riferire al solo nome linguistica (quindi avremo una società che si occupa di linguistica italiana), oppure all’intera espressione società di linguistica (e quindi avremo una società italiana che si occupa di linguistica). (→ Paragrafo 6.2) 6.4
È la procedura attraverso la quale analizziamo la struttura sintattica soggiacente di una frase: si procede scomponendo la frase in due costituenti per volta, fino ad arrivare ai costituenti ultimi (le parole). La struttura in costituenti immediati si può rappresentare attraverso uno schema “a scatola” (a), una struttura “ad albero” (b) o una notazione con parentesi (c). (→ Paragrafo 6.3) (a) Maria legge libri di avventura Maria legge libri di avventura Maria legge libri di avventura Maria legge libri di avventura Maria legge libri di avventura (b) 6.5
6.6
6.7
Maria legge libri di avventura (c) [Maria [legge [libri [di avventura]]]] No: tua e casa sono costituenti immediati, mentre nella è il costituente immediato di tua casa: [nella [tua [casa]]]. A rigore, nella è ulteriormente scomponibile nella preposizione in e nell’articolo la, pertanto più precisamente avremo [in [la [tua [casa]]]]. (→ Paragrafo 6.3) Partiamo da una sequenza di parole A e B. Nel caso della dipendenza unilaterale, avremo una delle due parole che dipende dall’altra: per esempio B dipende da A se possiamo sostituire [A+B] con il solo A (in Maria legge libri, libri dipende da legge, perché potremmo sostituire legge libri con il solo legge: Maria legge). Nel caso della dipendenza bilaterale non possiamo sostituire il tutto con uno solo dei due elementi perché questi si trovano in dipendenza reciproca (nella frase inglese Mary reads ‘Maria legge’ non possiamo eliminare né Mary né reads). (→ Paragrafo 6.4.2) Le parola divertente dipende unilateralmente da film: posso dire guardo un film divertente ma anche guardo un film. (→ Paragrafo 6.4.2) Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
6.8
i. Gianni = SN1 (endocentrico) tratta i suoi amici con la solita gentilezza = SV (endocentrico) i suoi amici = SN (endocentrico) con la solita gentilezza = SP (esocentrico) la solita gentilezza = SN (endocentrico) ii. Gianni = SN (endocentrico) parla con i suoi amici continuamente = SV con i suoi amici = SP (esocentrico) i suoi amici = SN (endocentrico) continuamente = SAvv (endocentrico) (→ Paragrafo 6.5) 6.9
Cfr. la soluzione 6.8: le teste dei sintagmi sono gli elementi sottolineati (→ Paragrafo 6.5) 6.10 No, alcuni sintagmi sono esocentrici, ad esempio i sintagmi preposizionali (con calma), poiché non possiamo sostituire l’intero con uno degli elementi che lo costituiscono (in una frase come parlate con calma, per esempio, non possiamo avere *parlare con o *parlare calma). (→ Paragrafo 6.5) 6.11 L’elemento Gianni nelle frasi in 6.8. (→ Paragrafo 6.5) 6.12 Tecnicamente no. Un caso in cui potremmo avere, ma solo in apparenza, il solo complemento è l’elisione in contesti di coordinazione (una ragazza bella, buona, dove buona è, come bella, complemento di ragazza, che però non viene ripetuto). (→ Paragrafo 6.5) 6.13 Sì: il verbo sintagmatico buttare via interrotto dall’avverbio subito. (→ Paragrafo 6.4.1) 6.14 i. [Ho preso [il burro]SN [dal frigorifero]SP]SV ii. [Ha bevuto [un gran sorso [di birra]SP]SN]SV iii. [[Non]SAvv accettare [caramelle]SN [dagli sconosciuti]SP]SV iv. [La lampada [che mi hai portato]FR]SN [non funziona]SV v. [Senza soldi]SP [[non]SAvv si combina [niente]SN]SV (→ Paragrafo 6.6) 6.15 La caratteristica principale del sintagma preposizionale è senz’altro l’esocentricità, ovvero il fatto di non avere una testa interna (cfr. 6.10). Inoltre, le preposizioni possono introdurre non solo elementi nominali, ma anche elementi verbali, andando a formare delle vere e proprie clausole dipendenti (cfr. Capitolo 7). 6.16 i. Maria ha comprato una casa bella > Maria ha comprato una casa bella, una bella macchina, un cane buffo [coordinazione] ii. Maria ha bevuto il caffè > Maria ha bevuto il caffè, che le ha preparato il barista, che hanno assunto da poco [frase relativa] (→ Paragrafo 6.6.1) 6.17 Gli specificatori sono elementi (come gli articoli o i dimostrativi) che si aggiungono a un nome per specificarlo: questo libro, il cane. (→ Paragrafo 6.) 6.18 Sì: le frasi relative sono clausole dipendenti che prendono come testa un nome, e formano con esso un sintagma nominale. La loro funzione è specificare informazione sul nome testa, prendiamo ad esempio la frase [il libro che ho comprato]SN è molto bello: qui il libro che ho comprato è un sintagma nominale formato dalla testa libro e dalla frase relativa che ho comprato. La frase relativa ricopre la stessa funzione che avrebbe un aggettivo nella stessa posizione (e.g. il libro nuovo è molto bello). (→ Paragrafo 6.6.3) 1 Abbreviazioni usate, qui e in seguito: FR=frase relativa; SAvv=sintagma avverbiale; SN=sintagma nominale; SP=sintagma preposizionale; SV=sintagma verbale. Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
6.19
6.20
6.21
6.22
6.23
Nelle lingue che fanno uso dell’accordo: marcando morfologicamente le relazioni tra i costituenti della frase, i costituenti stessi sono più liberi di comparire in diverse posizioni e in diversi ordini. (→ Paragrafo 6.7) Le adposizioni sono un tipo di connettore sintagmatico, ovvero un meccanismo per collegare gli elementi di un sintagma o di una frase. Possiamo avere preposizioni (italiano il gatto di Maria) e posposizioni (latino mecum ‘con me’). (→ Paragrafo 6.7) Le costruzioni assolute sono sintagmi che vengono giustapposti sintatticamente a una frase principale (senza alcuna marca esplicita di subordinazione) e che fungono da complementi di vario tipo. (→ Paragrafo 6.8.3) i. Cari ragazzi, domani si parte per le vacanze. ii. Finita la festa tornate subito a casa. iii. Il medico dice che, presa l’aspirina, la febbre dovrebbe calare. (→ Paragrafo 6.8.3) Italiano un bel libro [testa finale / a destra] un libro bello [testa iniziale / a sinistra] Inglese a nice book (lett. «un bel libro») [testa finale / a destra] Tedesco ein schönes Buch (lett. «un bel libro») [testa finale / a destra] Rumeno o carte buna (lett. «un libro buono») [testa iniziale / a sinistra] Ebraico moderno sefer ṭov (lett. «libro bello») [testa iniziale / a sinistra] (→ Paragrafo 6.9, 6.10) Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
Nuovi fondamenti di linguistica Soluzioni degli esercizi Capitolo 7. Tipi di enunciato 7.1
L’entità “frase” è stata definita, nella storia della linguistica, in termini sia semantici (sequenza di parole dotata di senso compiuto) sia formali (unione di un soggetto e un predicato, più eventuali complementi). La “clausola” è un’unità sintattica intermedia tra la frase e il sintagma, e concorre a formare le frasi. Per esempio l’enunciato abbiamo visto un film che ci è piaciuto molto nella sua interezza può essere considerato una “frase” composta da due clausole: abbiamo visto un film (principale) e che ci è piaciuto molto (dipendente, in questo caso relativa). (→ Paragrafo 7.1) 7.2
La funzione predicativa di questo enunciato è informare l’interlocutore che nel luogo dell’enunciazione c’è una temperatura bassa. La funzione pragmatica (o forza illocutiva) potrebbe essere una semplice constatazione, ma anche una richiesta di intervento rivolta all’interlocutore per invertire lo stato di cose (per esempio per chiudere una finestra, o alzare il riscaldamento). (→ Paragrafo 7.2) 7.3
Le clausole possono essere classificate in vario modo a seconda dei criteri scelti. Dal punto di vista della posizione gerarchica abbiamo da un lato clausole indipendenti, dall’altro clausole dipendenti (o subordinate), a loro volta classificabili in clausole relative, completive (o argomentali) e circostanziali. Dal punto di vista della modalità, possiamo distinguere clausole dichiarative (asserzioni) da un lato e “appelli” dall’altro: gli appelli possono essere domande (a loro volta classificabili in domande sì-­‐no e domande-­‐k) oppure dei comandi (imperativi o altro). Ogni clausola può poi avere polarità positiva o negativa, a seconda della assenza/presenza di una marca di negazione. Infine, le clausole possono presentare un ordine delle parole non marcato (neutro) o un ordine delle parole marcato (messa in rilievo). (→ Paragrafo 7.3) 7.4
i. Hai visto Gianni? ii. Gianni, non l’ho visto. iii. Non camminare così veloce! iv. Cosa hai visto ieri sera al cinema? (→ Paragrafo 7.3-­‐7.10) 7.5
In italiano le domande sì-­‐no possono avere la stessa forma delle frasi assertive, ma con diversa intonazione (Hanno mangiato bene. vs. Hanno mangiato bene?), mentre le domande-­‐k prevedono l’uso di un pronome interrogativo (Cosa hai mangiato?). Anche la lingua inglese ha domande sì-­‐no e domande-­‐k, che però si comportano diversamente dall’italiano in quanto prevedono l’inversione dell’ausiliare rispetto al verbo pieno lessicale: Did they eat well?, What did you eat?. (→ Paragrafo 7.7.1) 7.6
i. Maria ha detto che non sarebbe tornata per pranzo. [completiva] ii. Poiché non mi ascolti me ne vado. [circostanziale] iii. Che Luca fosse un furbo lo sapevamo già. [completiva (marcata)] iv. Luca ha comprato una macchina che consuma troppo. [relativa] v. Luca ha comprato la macchina che voleva. [relativa] vi. Partimmo sapendo che non saremmo più tornati. [circostaziale+completiva] (→ Paragrafo 7.6, 7.7.2, 7.8.1) 7.7
Verbo zerovalente: nevicare Domani nevicherà su tutta Italia. Verbo monovalente: camminare Oggi (io) ho camminato per almeno due ore. Verbo bivalente: guardare Stasera (noi) guardiamo un film in inglese Verbo trivalente: mettere Luca ha già messo la valigia in macchina (→ Paragrafo 7.4.1) Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
7.8
7.9
7.10
7.11
7.12
7.13
7.14
7.15
7.16
I due ordini più attestati sono SOV (e.g. giapponese) e SVO (e.g. inglese), a seguire VSO (e.g. gallese). (→ Paragrafo 7.4.3) Gran parte delle lingue europee (italiano, spagnolo, inglese, russo, ecc.) presentano un ordine non marcato SVO, così come anche il cinese mandarino. Il giapponese, il coreano e il basco hanno, invece, un ordine non marcato SOV (e così anche il latino). In tedesco e olandese l’ordine non marcato è SVO per le clausole principali (senza ausiliare) e SOV per le subordinate e per le clausole che contengono un ausiliare. La frase ‘i’ (Ha poi telefonato Luca?) ha un ordine marcato rispetto alla neutra ‘ii’ (Luca ha poi telefonato?). Anche la frase ‘iv’ potrebbe sembrare marcata per via dell’ordine soggetto-­‐verbo (vs. Ecco che Luca è arrivato), tuttavia spesso verbi del tipo arrivare in italiano presentano, in frasi non marcate, il soggetto in posizione post-­‐verbale (cfr. Capitolo 13). (→ Paragrafo 7.4.4, 13.5.2) La frase in ebraico moderno è nominale (non c’è verbo), mentre quella giapponese è verbale (c’è il verbo: warau ‘ride’). (→ Paragrafo 7.5) i. Complemento oggetto diretto. ii. Soggetto. iii. Complemento oggetto indiretto. (→ Paragrafo 7.7.2) Il complementatore è l’elemento che connette le frasi completive alla frase principale, per esempio che in credo che verrà oppure di in dice di essere innocente. (→ Paragrafo 7.8.2) Le clausole circostanziali sono ipocodificate (o codificate in forma debole) quando il tipo di informazione che portano non è chiaramente espresso dal connettivo usato per collegarla alla frase principale. In una frase come quando lei arriva, lui se ne va, l’elemento quando ci dice che la frase circostanziale è di tipo temporale. La stessa semantica si potrebbe ottenere utilizzando l’enunciato lei parla, lui se ne va, tuttavia in quest’ultimo caso la funzione temporale non è codificata esplicitamente, ma inferita. (→ Paragrafo 7.9.1) La clausola-­‐replica è un concetto che trova la sua giustificazione nella natura dialogica della conversazione, in cui difficilmente si avranno sequenze di frasi indipendenti (e quindi analizzabili separatamente), ma piuttosto uno scambio continuo tra parlanti. In uno scambio come il seguente, avremo quindi una “apertura” (A) e una “clausola-­‐
replica” (B): A: Ho appena parlato con Luigi… B: … che ti ha detto tutto, giusto? Esistono tre tipi di clausole-­‐replica: le clausole-­‐sequenza, le clausole con anaforico, e le clausole troncate. (→ Paragrafo 7.10.1) L’intonazione è parte integrante di ogni enunciato. In alcuni casi (come in italiano) è proprio l’intonazione che discrimina i tipi diversi di enunciato (asserzione vs. interrogazione) o la loro diversa forza pragmatica. (→ Paragrafo 7.11) Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
Nuovi fondamenti di linguistica Soluzioni degli esercizi Capitolo 8. Fondamenti di grammatica 8.1
Alcuni modelli teorici (antichi e moderni) parlano di grammatica universale come di un insieme di regole e principi comuni a qualsiasi lingua storico-­‐naturale; è dunque possibile, secondo questa prospettiva, descrivere attraverso le stesse categorie tutte le lingue del mondo, nonostante la loro diversità. Altri approcci sostengono invece che non sia possibile parlare di grammatica universale in questo senso, ma solo di grammatiche particolari, perché la variazione interlinguistica è troppo grande. Il manuale che state leggendo propone una visione a metà strada: se da un lato è vero che non è possibile descrivere tutte le lingue del mondo con gli stessi principi perché questo non terrebbe sufficientemente conto della diversità linguistica, è d’altro canto vero che possiamo parlare di grammatica universale in quanto prodotto della specie umana. In altre parole, la caratteristica in comune a tutte le grammatiche del mondo è il fatto di essere usate dagli esseri umani. In questo senso, possiamo dire che le lingue del mondo possono sì variare tra loro, ma entro certi limiti che sono fissati dal fatto di avere lo stesso tipo di utente. (→ Paragrafo 8.2) 8.2
Un paradigma è un insieme di forme, che fanno capo a un lessema, tra cui il parlante deve scegliere nel momento in cui intende usare quel lessema in un contesto reale. (→ Paragrafo 8.2) 8.3
La grammatica è obbligatoria nella misura in cui il parlante deve obbligatoriamente selezionare tra un insieme limitato di opzioni obbligatorie (il paradigma, cfr. 8.2) una volta che ha scelto i lessemi da inserire nell’enunciato. Per esempio, una volta scelti tra tutti i nomi / verbi possibili i lessemi PANINO e MANGIARE, il parlante dovrà decidere quale forma di tali lessemi usare nella frase che sta per enunciare (panino, panini?; mangio, mangiai, mangeranno, è stato mangiato, ecc.). I lessemi PANINO e MANGIARE non possono essere utilizzati nell’enunciazione senza prima aver preso questa decisione, che è pertanto obbligatoria. (→ Paragrafo 8.4) 8.4
La morfologia è trasversale al lessico e alla grammatica, in due sensi. In primo luogo, esistono sia morfemi lessicali (e.g. le radici ragazz-­‐, felic-­‐ in italiano vs. i corrispondenti morfemi liberi boy, happy in inglese) sia morfemi grammaticali (il suffisso flessivo -­‐s del plurale in inglese, e.g. cat – cats ‘gatto/i’). Si noti, proprio a partire da questi esempi, come il genere possa essere reso in alcuni casi grammaticalmente, cioè attraverso l’uso di un suffisso flessivo dedicato (ragazzo vs. ragazza) e in altri casi lessicalmente (inglese boy vs. girl). In secondo luogo, la morfologia crea sia le forme flesse di un dato lessema (CAT: cat, cats), sia nuovi lessemi attraverso l’aggiunta di affissi derivazionali (e.g ragazzo > ragazz+ino, ragazz+ata). (→ Paragrafo 8.5.1) 8.5
Sì. (→ Paragrafo 8.5.1) 8.6
Mica ha subito un processo di grammaticalizzazione, che ha trasformato questo elemento da parola libera (con il significato di ‘mollica’) a marca grammaticale. Si tratta di un pattern di grammaticalizzazione noto e piuttosto diffuso, che porta elementi lessicali che denotano una quantità minima di qualcosa a diventare marche di negazione (cfr. l’esempio del pas francese, pag. 155). (→ Paragrafo 8.5.2) 8.7
I deittici sono elementi che compaiono verosimilmente in tutte le lingue e che sono portatori di una referenza variabile a seconda del contesto d’uso. I deittici possono appartenere a diverse parti del discorso, per esempio: pronomi personali (il pronome tu indica un referente diverso ogni volta che viene usato nel discorso), pronomi dimostrativi (questo, quello), avverbi (qui, adesso). (→ Paragrafo 8.7.2) Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
8.8
8.9
Le lingue si servono di diversi tipi di quantificatori (ovvero strategie per esprimere la quantità): i quantificatori più ovvi sono sicuramente i numerali (uno, sette, cento), ma anche gli indefiniti (alcuni, molti, pochi, tutti), che esprimono la quantità in modo più approssimato rispetto ai numerali (con l’eccezione di nessuno, che equivale a zero). Un altro marcatore di quantità nelle lingue è la categoria grammaticale del numero, realizzata morfologicamente, per la quale si rimanda al Capitolo 9. (→ Paragrafo 8.7.5) Gli elementi (cata/ana)forici sono segnalati in grassetto, la natura cataforica/anaforica è segnalata tra parentesi quadre a fine frase. (→ Paragrafo 8.8) i. Te l’avevo detto, che andava a finire così. [catafora] ii. Hai notizie di Luca? Non lo sento da una vita. [anafora] iii. Ci vogliamo andare, al cinema, oppure no? [catafora] iv. Vorrei leggere l’ultimo romanzo di Murasaki. Ne ho sentito parlare molto bene. [anafora] Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
Nuovi fondamenti di linguistica Soluzioni degli esercizi Capitolo 9. Categorie grammaticali 9.1
No, è un possibile valore (un’opzione) della categoria grammaticale di “genere”. (→ Paragrafo 9.1, 9.2) 9.2
La parola italiana bar ha la categoria di numero, ma è “coperta” perché i suoi valori non si realizzano foneticamente (bar può essere sia singolare che plurale). Lo stesso si può dire della parola inglese book in relazione alla categoria di genere: rimane praticamente sempre coperta, finché non dobbiamo scegliere una proforma per book: il pronome corrispondente in questo caso sarà it ‘esso’, e non he ‘lui’ o she ‘lei’. (→ Paragrafo 9.2) 9.3
La prima e la seconda persona identificano i due elementi indispensabili per l’atto comunicativo, ovvero il parlante (mittente) e il suo interlocutore (destinatario), mentre la terza persona indica un’entità non presente, e non necessariamente umana. Per questo motivo si pensa che prima e seconda persona siano universali, mentre la terza no. In effetti, spesso i pronomi di terza persona derivano da altre parti del discorso (e.g. i dimostrativi, come in latino). Spesso, inoltre, la terza persona (ma anche la seconda) varia per genere, contrariamente alla prima persona, che è spesso invariabile (e.g. russo ja ‘io’ vs. on ‘lui’ – ona ‘lei’). (→ Paragrafo 9.3.1) 9.4
Il plurale inclusivo si riferisce all’insieme di parlante e ricevente (Marco dice a Luca Andiamo al cinema? intendendo come soggetto sia sé stesso che Luca), mentre il plurale esclusivo si riferisce all’insieme di parlante e terze persone (Marco dice a Luca Noi stasera andiamo al cinema intendendo come soggetto sé stesso e altre persone, ma escludendo Luca). (→ Paragrafo 9.3.2) 9.5
Italiano: Quando uno arriva a pensare una cosa del genere, vuol dire che non c’è più niente da fare. (→ Paragrafo 9.3.3) 9.6
Nel primo esempio, la persona generica è ottenuta tramite una strategia dedicata, il cosiddetto “si impersonale”, mentre nel secondo caso tramite un uso generico della prima persona plurale. (→ Paragrafo 9.3.3) 9.7
Il possesso inalienabile si riferisce a legami che sono dati e non possono essere sciolti (ad esempio un legame di parentela, o con una parte del corpo), mentre il possesso alienabile si riferisce a legami non definitivi. In italiano, il possesso inalienabile può essere reso con una costruzione (detta “a possessore esterno”) che sfrutta un pronome personale (Mi fa male la pancia) anziché l’aggettivo possessivo (??La mia pancia fa male). (→ Paragrafo 9.3.5) 9.8
Si tratta di tre usi di con che esprimono significati grammaticali diversi: il primo con è comitativo (complemento di compagnia), il secondo è concessivo, il terzo è causativo. 9.9
Se compariamo gli esempi del francese con quelli dell’italiano (in 9.8), notiamo che il francese preferisce usare due preposizioni diverse per il valore comitativo da un lato (avec) e quello causativo dall’altro (par). 9.10 La classe di parole che più tipicamente è associata alla categoria di genere è quella nominale. Oltre ai nomi, il genere appare, per esempio, anche in articoli, aggettivi, pronomi, verbi. (→ Paragrafo 9.4) 9.11 No, non coincidono sempre. Per esempio il nome italiano la guardia è grammaticalmente femminile ma il genere naturale può essere maschile o femminile. In olandese, qualsiasi diminutivo formato con il suffisso –(t)je assume genere neutro (stoel ‘sedia’ – stoeltje ‘sediola’), indipendentemente dal genere naturale o dal genere grammaticale della parola di partenza. (→ Paragrafo 9.4) Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
9.12
9.13
9.14
9.15
9.16
9.17
9.18
9.19
9.20
9.21
9.22
9.23
9.24
Valori della categoria di genere sono: femminile, maschile, neutro; animato, inanimato. Più complessi sono i sistemi linguistici che prevedono l’uso di classificatori, ovvero elementi che indicano la natura del nome a cui si riferiscono. I nomi in questo caso possono essere suddivisi in classi più numerose e articolate. (→ Paragrafo 9.4) Come anche per il genere, la classe di parole che più tipicamente è associata alla categoria di numero è quella nominale (si veda la classica opposizione tra femminile e maschile). Oltre ai nomi, il numero appare, per esempio, anche in articoli, aggettivi, pronomi, verbi. Naturalmente, la categoria di numero è anche legata a tutti quegli elementi che specificano la quantità, quindi quantificatori e numerali di vario genere. (→ Paragrafo 9.5) Valori della categoria di numero sono: singolare, plurale, duale, triale, paucale. (→ Paragrafo 9.5) No, non vanno sempre di pari passo: un nome grammaticalmente singolare può denotare una pluralità di referenti (e.g. il gatto è un felino, dove con il gatto stiamo in realtà indicando tutti gli animali appartenenti alla classe ‘gatto’); anche un nome plurale può in realtà riferirsi a un referente singolo (il nome forbici per esempio è plurale, ma si riferisce a un oggetto solo). (→ Paragrafo 9.5) I nomi propri come Parigi sono definiti in quanto univoci. Anche il sintagma il cane di mia cugina è definito in quanto individua un referente ben preciso. (→ Paragrafo 9.6) Il caso ha la funzione primaria di segnalare (morfologicamente) la funzione grammaticale (e.g. soggetto, oggetto, ecc.) dei nomi nell’enunciato. (→ Paragrafo 9.7) Sì, ma limitatamente al sistema pronominale. In entrambi i casi si tratta di un residuo di un sistema di caso che, in fasi precedenti della lingua, operava più diffusamente. (→ Paragrafo 9.7) Il russo presenta un sistema di caso nominativo-­‐accusativo (perché il soggetto è sempre marcato con lo stesso caso – il nominativo – indipendentemente dal tipo di verbo che abbiamo), mentre il groenlandese presenta un sistema di caso ergativo-­‐
assolutivo, perché la marca di caso del soggetto varia a seconda del verbo: se il verbo è transitivo, il soggetto comparirà al caso ergativo; se il verbo è intransitivo, il soggetto comparirà al caso assolutivo (lo stesso caso con cui si marca l’oggetto diretto dei verbi transitivi). (→ Paragrafo 9.7.2) Il parlante in questo caso sta raccontando un episodio di cui è protagonista Maria, usa un tempo presente che però non segnala contemporaneità tra punto dell’enunciazione e punto dell’evento, piuttosto il punto dell’evento è precedente rispetto al punto dell’enunciazione (si tratta quindi di un “presente storico”). (→ Paragrafo 9.8.1) L’aspetto è una categoria grammaticale, tipicamente associata al verbo, che indica il tipo di azione espressa dal verbo: un verbo, infatti, può denotare un processo, l’inizio di un processo, un cambiamento di stato repentino, un’azione conclusa o meno, un’azione che si ripete, e così via. La categoria dell’aspetto è strettamente correlata con le categorie del tempo e del modo/modalità. (→ Paragrafo 9.9) Verbo iterativo: riscrivere (Ha dovuto riscrivere l’articolo più volte), ridacchiare (Luca ridacchiò per tutta la lezione). Verbo puntuale: trovare (Ho trovato la mia anima gemella), scoppiare (La bomba scoppiò all’improvviso). Verbo risultativo: imparare (Ho imparato un nuovo vocabolo), uccidere (Stanotte ho ucciso tre zanzare). (→ Paragrafo 9.9) Si tratta di una marca di evidenzialità usata dal parlante per chiarire che il contenuto proposizionale della clausola che segue deriva da una conoscenza indiretta dei fatti. La marca hanno detto che non è grammaticalizzata, perché non è una marca morfologica, ma sintattica (e lessicale). (→ Paragrafo 9.10) La “modalità” codifica l’atteggiamento del parlante nei confronti degli eventi di cui sta parlando (e.g. asserzioni vs. non-­‐asserzioni). La modalità si concretizza in una varietà Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.
9.25
9.26
9.27
9.28
9.29
9.30
di forme; le forme verbali associate alle diverse modalità vengono definite “modi” verbali, ovvero paradigmi flessivi (e.g. modo indicativo, modo imperativo, modo ottativo, ecc.). (→ Paragrafo 9.11) Tra le modalità non-­‐assertive troviamo: il comando, veicolato tipicamente tramite il modo imperativo (Chiudi la porta!); la domanda, che viene formulata tipicamente con frasi interrogative (Quando arrivi?); l’augurio, per il quale si usano tipicamente forme che marcano la possibilità o la potenzialità di un’azione (Che tu sia felice!). (→ Paragrafo 9.11) Spesso si ha uno scambio di funzioni tra tempo e modo. In alcuni casi, per esempio, il modo futuro può marcare non tanto la collocazione di un evento in un momento posteriore rispetto a quello dell’enunciazione (uso temporale del futuro), ma piuttosto la modalità “possibilità”: un enunciato come In tasca avrò al massimo dieci euro, per esempio, indica incertezza del parlante rispetto all’informazione data, e non che il parlante di troverà in un momento successivo con al massimo dieci euro in tasca. (→ Paragrafo 9.11.2) Tra i mezzi lessicali più usati per marcare la modalità troviamo sicuramente gli avverbi: si pensi ad esempio a parole come forse (che marca incertezza nei confronti dell’evento) o magari (che ha molti usi, tra cui quello ottativo: magari fosse così). Un’altra strategia è costituita dai verbi modali (potere, dovere, ecc.). (→ Paragrafo 9.11) La diatesi passiva è una costruzione che serve principalmente a codificare una particolare struttura di azione nella quale un'entità che subisce un cambiamento di stato di qualche tipo viene portata in primo piano, mentre l'agente o la causa che ha prodotto tale cambiamento (se presente) viene messo in secondo piano o addirittura occultato. (→ Paragrafo 9.12) Nell'esempio 'i' abbiamo un classico esempio di frase passiva in cui l'entità che subisce il cambiamento viene realizzata come soggetto (il problema), mentre l'agente viene messo in secondo piano e realizzato come complemento (dai tecnici). Nell'esempio 'ii' abbiamo una struttura simile, ma in questo caso l'agente viene addirittura omesso perché, evidentemente, irrilevante ai fini comunicativi (rispetto alla frase 'i' dove invece è presente). L'esempio 'iii', infine, riporta una struttura che non prevede la realizzazione dell'agente (non possiamo infatti avere *Il problema si è risolto dai tecnici), pertanto in questo caso, probabilmente, l'agente è ignoto o inesistente (il problema potrebbe essersi risolto da solo senza interventi esterni). (→ Paragrafo 9.12) Il medio è un tipo di diatesi che struttura l'azione in modo tale da enfatizzare il ruolo dell'attore rispetto all'oggetto. In alcune lingue, questa diatesi ha marche specifiche: un esempio è costituito dai verbi in -­‐mai nel greco antico. In italiano, invece, per veicolare significati simili si sfrutta la marca del riflessivo (e.g. mi faccio una passeggiata anziché faccio una passeggiata). (→ Paragrafo 9.12) Raffaele Simone, Nuovi fondamenti di linguistica
Copyright © 2013 McGraw-Hill Education Italy S.r.l.