Sintassi - unisalento – scienze della formazione

Oa l l atino all'italiano:
alcuni m uta menti sintattici
Per comprendere i rapporti genetici tra latino e italiano,
indispensa­
bile mettere a fuoco anche alcuni mutamenti sintattici. In questo capi­
tolo analizzeremo l'origine dell'abituale ordine delle parole nelle frasi
italiane - la sequenza soggetto-verbo-oggetto -,la presenza del sog­
getto pronominale e l'uso dei pronomi personali nell'italiano antico e
moderno, per poi esaminare le funzioni del «che» nelle proposizioni
completive.
l . L'ORDINE DELLE PAROLE NELlA FRASE.
DALlA SEQUENZA «SOV» lA SEQUENZA «SVO»
Come si è detto (cap. IV, § 3 l, l latino distingueva le funzioni logiche e i
significati delle parole in base al sistema dei casi, mentre l'italiano afida in
parte questa funzione distintiva alla posizione che le parole hanno all'inter­
no della frase: si può dire che l'ordne delle parole era relativamente libero
nella frase latina, mentre è sottoposto ad alcuni vincoli nella frase italiana.
L'ordine abituale di una frase italiana composta da un soggetto (5l, un
verbo (Vl e un complemento oggerto (Ol è rappresentato dalla sequenza
SVO (soggetto-verbo-oggettol:
Claudio saluta Marcello
160 APOO 5
. Nella maggior parte delle frasi italiane quest' ordine è obbligato, perché
è quello che, in assenza di un'intonazione particolare o di altri elementi di
riconoscimento, consente di distinguere l soggetto dal complemento ogget­
to. In una frase come la precedente, in cui l soggetto e il complemento og­
getto coincidono nella persona e nel numero, solo a posizione delle parole
consente di distinguerli, e di capire che a salutare è Claudio e non Marcello.
Nel latino classico, invece, la desinenza istingueva non solo l genere e
l numero, ma anche la funzione che una parola svolgeva nella frase. n paro­
le come Caudtus e Marce/us, per esempio, una -s fmale distingueva la fun­
zione del soggetto, mentre una -m fmale distingueva la funzione del comple­
mento oggetto. Sicché, in latino, dire
Claudius salutat Marcellum
Marcellum Claudius salutat
Marcellum salutat Claudius
Claudius Marcellum salutat
era, sul piano teorico, la stessa cosa. Di fatto, però, da una parte gli scrittori
privilegiarono la sequenza SOV «<Claudius Marcellum salutat»), dall'altra
nel latino tardo si afermò la sequenza SVO, poi continuatasi nell'italiano.
Così, mentre il latino classico di Cicerone è impreziosito da sequenze SOV
come «Egv (S) vero - inquit - et ista (O), quae dicis, vtdev (V) qualia sint et
Hvrteustum (O) magnum oratorem semper putavt (V»> ('lo veramente - dis­
se - intendo bene di che peso siano codeste cose che dici, e ho sempre consi­
derato Ortensio un grande oratore), nel latino tardo della Vulgata, vicino
alle cadenze del parlato, spesso il soggetto precede il verbo e questo, a sua
volta, precede i vari complementi, proprio come in italiano: «Homo quidn
descendebat ab Hierusalem in Hiericho et incidit in latrones, qui etiam de­
spoliaverunt eum et plagis inpositis abierunt, semivivo relicto» ('Un uomo
scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti, che lo spogliaro­
no e, fattegli delle ferite, se ne andarono, lasciatolo mezzo morto', Luca lO,
30).
Se è vero che l modello SVO ha rappresentato l'ordine naturale delle
parole nell'italiano fin dalle origini, è anche vero che molti autori di testi let­
terari, da Giovanni Boccaccio a Vittorio Alfieri, da Pietro Bembo ad Ales-
ALCUNI MUTAMENTI lNTAllCI 1 61
sandra Verri, applicarono spesso alla loro prosa la sequenza SOV, per imita­
re il modello latino: <<I tutori del fanciullo insieme con la madre di lui bene e
lealmente le sue cose guidarono» (G. Boccaccio); «Ed ella tutti rimprovera­
va» (A_ Verri).
In poesia questa tendenza è stata ancora più forte che nella prosa, data
la necessità, per i poeta, di allontanarsi dai modi e dalle forme della comuni­
cazione quotidiana. Si prendano in considerazione questi esempi, tratti da
un testo poetico antico e uno moderno: «Le dvuue. t cavalter, l'arme, glt amv4
rt / le cvrteste, l'auaci tmprese io canto» (Ludovico Ariosto, Orlaudv Furtv­
sv, I 1-2); «Spesso tl male dt vtvere ho incontrato» (Eugenio Montale, Spessv
l male dt vtvere, l ) : in essi la sequenza SVO è alterata e il complemento og­
getto è posto all'inizio della frase, prima del soggetto e prima del verbo, D se il soggetto non è espresso - prima del verbo.
Occorre aggiungere che la sequenza SVO rappresenta l'ordine naturale
delle parole dell'italiano nelle sole frasi « non marcate» (cioè normali). Nelle
frasi «marcate» (in cui viene messo in rilievo un elemento diverso dal sogget­
to) l'ordine SVO viene alterato, e l'elemento messo in rilievo assume la posi­
zione iniziale, normalmente riservata al soggetto. Questa alterazione dell'or­
dine dei costituenti della frase si accompagna ad altri tratti specifici: per
esempio, a un'intonazione particolare, con l'accentuazione dell'elemento
messo in rilievo «<UNO, ti ha chiesto Carla, non un bicchiere»), oppure
a una sintassi particolare, col richiamo per mezzo di un pronome dell'ele­
mento messo in rilievo «<La guerra, la condannano tutti»).
2. L'ESPRESSIONE E A POSIZIONE DEL PRONOME SOGGETO
Riguardo a questo tratto morfosintattico, l'italiano ha avuto uno svilup.
po autonomo e originale rispetto al latino. La lingua antica è stata caratteriz­
zata dalla forte tendenza (che in alcuni casi è diventata obbligatorietà) a
esprimere il pronome personale soggetto e a collocarlo prima del verbo nella
frase enunciativa «<Messere, io ho ancora alcun peccato che io non v'ho det­
to», Boccaccio) e dopo il verbo nella frase interrogativa «<Sapete voi qual è
la più bella storia che sia nella Bibbia?», Sacchetti); la lingua contempora­
nea, invece, ha abbandonato quest'uso, e tende a omettere l soggetto pro-
ALCUNI MUTAMENI SINTATTIO
162 Alo 5
nomnale in ogni tipo di frase, sia enunciativa (<Oggi resto a casa,,) sia inter­
163
1. A LEGGE TOBLER-MUSSAFIA
rogativa «<Domani andate al cinema?»).
'uso appena descritto riguarda, come si è detto, l'italiano contempora­
neo. Nell'italiano antico, i criteri di distribuzione dell'enclisi e della proclisi
3.
L'ENCLISI DEL PRONOME ATONO
Un altro tratto sintattico che ha caratterizzato l'italiano antico ma non
caratterizza l'italiano moderno consiste nell' /:Dl0s0 d/l Ar.:.m/ p/rE.:<l/
dei pronomi atoni erano completamente diversi. Essi sono descritti dalla leg­
ge Tobler-Mussafia, così chiamata dal nome dei due studiosi (AdolfTobler e
Adolfo Mussaia) che per primi hanno scoperto e descritto il fenomeno del­
l'enclisi, l primo nel francese e il secondo nell'italiano dei secoli passati.
Nell'italiano antico (gr.ss. m.d.E dalle origini al primo Quattrocento)
<t.:..
Le seguenti forme di pronome personale: m0: t0: gl0, l.: le, l<: E0, E/: i, D/E
G,', G/, l0, l/, s0 se sono atone, cioè prive d'accento. Per esempio:
.
mi dce
ti vedo
gli regalo
se la prende
Come si può notare, i pronomi m0: t0, gli e la sequenza di pronomi E/ a
non hanno un loro accento, e si appoggiano, per la pronuncia, al verbo che
li segue (la vocaJe tonica del verbo, su cui si concentra la massima forza arti­
colatoria dell'intera sequenza, è in grassetto). Come si è già detto nel cap.
IV, § 8, quando si appoggiano al verbo che li segue, questi pronomi si dico­
no proclitici, e il fenomeno prende il nome di pròclisi.
Nell'italiano contemporaneo, normalmente i pronomi atoni si appog­
giano al verbo e li segue. n quattro casi particolari, invece, si appoggiano
per la pronuncia al verbo che li precede, al quale vengono uniti nella grafia.
In questi casi, essi si dicono enclitici, e il fenomeno prende il nome di èncli­
si. 'enclisi del pronome atono si ha:
1) con un imperativo: Gianni, aiutami!
2) con un gerundio: Vedendo l<: mi sono emozionato.
3 ) con un partiCipio isolato: Parlatole, se ne andò.
4) con un infinito: Incontrarti è stato un piacere.
l'enclisi era obbligatoria:
<) dopo pausa, all'inizio di un periodo: «q.m<:d.ll. allora l'amiraglio
che cosa a quello l'avesse condotto» (G. Boccaccio);
o) dopo la congiunzione C: «il re si volse al duca di Durazzo C diEs/gl0»
(G. Villani);
D) dopo la congiunzione m< «né di ciò mi maraviglio nient.e, m< m<r<­
G0gl0.m0 forte» (G. Boccaccio);
i
all'inizio di una proposizione principale successiva a una ptoposizio­
ne subordinata: «Giugnendo all'uscio per uscir fuori, e cominciando a pen­
sare su la ricchezza che gli parea avere perduta, e volendosi mettere la mano
a grattare il capo, come spesso interviene a quelli che hanno malenconi!, tr.­
G.sE0 la cappellina n capo con la quale la notte avea dormito» (. Sacchetti).
Dell'enclisi di tipo (<): diversamente che da quella dei tipi (h) e (D) non si
conoscono eccezioni; nel tipo
()
l'enclisi si incontra, nei testi italiani anti·
chi, in circa metà degli esempi utili.
Se in questi casi l'enclisi era del tutto o in parte obbligatoria, in tutti gli
altri era libera: poteva aversi in qualunque contesto, a seconda del gusto e
della disposizione di chi parlava O scriveva. Anche quando, dopo l Quattro­
cento, l'enclisi obbligatoria decadde, l'enclisi libera sopravvisse a lungo nel­
la lingua letteraria in prosa s in versi: «ma il cavallo più s'irritava s più impe­
tuosamente l<:c0<G<s0,> (u. Foscolo); <<Io chiedo i baci tuoi, se l'ombra <G
G.lg/m0» (G. Carducci) .
Oggi, oltre che con l'imperativo, i l gerundio, il participio e l'infinito,
l'enclisi sopravvive, come relitto dell'uso antico, in formule cristallizzate
come d0D/E0E d0cas0: G.leG<s0 «<Come G.l/G<E0 dimostrare»), oppure n àmbiti
particolari, quali la lingua deUa piccola pubblicità «< Ve:d/r0 appartamento
164 CAPITOLO 5
ALCUNI MUTAMENTI SINTATlCI 165
centralissimo», «Diplomato in ragioneria .ccu CrC;;Cs0») e quella dello stile
telegraico ( I:v0t.la presentarsi questo ufficio»).
. UNZIONI DI «CH»: LE PROPOSIZIONI COMPLE
Nel latino volgare, il pronome indefinito QUID (> chC) ha esteso forte­
mente la sfera d'uso che aveva nel latino classico, e ha preso il posto di molte
altre parole, come per esempio la corigiunzione causale QUIA, la congiunzio­
ne causale-dichiarativa QUOD e la congiunzione comparativa QUAM.
Qui ci sofermeremo, in particolare, sul chC introduttore di una proposi­
zione c.mAlCt0vaE cioè una proposizione subordinata che fa da soggetto o da
complemento oggetto diretto alla principale.
In italiano le proposizioni completive sono formate dalla congiunzione
chC + l'indicativo o il congiuntivo nella forma esplicita e dalla preposizione
d0 v l'infinito nella forma implicita: «Qualche volta capita chC vC:ga a tr.var­
c0»E «Tralascio il fatto chC :.: EC0 vC:u .»E «Mi capita d0 ar CuCEt.»E ecc.
Rientrano nella categoria dele completive le proposizioni oggettive (<So chC
Marc. sta ;C:C» / <<Penso d0 EtarC ;C:C») e soggettive (<È opportuno chC
Marc. st0a ;C:C» / <<Mi sembra d0 starC ;C:?»)o
In latino e proposizioni completive si presentavano in tre forme diverse:
a) Cu.d v l'indicativo: «Praetereo Cu.d non vC:0Et0» 'Tralascio il fatto
che non sei venuto';
;) ut v il congiuntivo: «Accidit ut id fac0am» 'Mi capita di far questo';
c) soggetto in accusativo e predicato verbale all'infinito. In particolare,
avevano questa costruzione le proposizioni oggettive: «Scio Marcum bene
agCr?» 'So che Marco sta bene' e soggettive: «Oportet Marcum bene agCr»
'È opportuno che Marco stia bene'.
I limiti fra le proposizioni introdotte da Cu.d: quelle introdotte da ut e
quelle costruite con l'accusativo e l'infinito non erano netti. lcuni verbi
(per esempio m0r.r 'mi meraviglio') potevano reggere sia il costrutto con
Cu.d sia il costrutto con l'accusativo e l'infinito:
Mi'meraviglio che tu dica questo = <
M0r.r Cu.d tu 0d d0ciE
M0r.r tC 0d d0cCrC
Nela lingua di tutti i gioni, la costruzione con Cu.d prevalse sulle altre.
Questo processo avvenne precocemente, tant'è che è documentato già in
Plauto: «Equidem scio iam, fius Cu.d amet meus istanc meretricem» ('Evi­
dentemente so già chC mio figlio ama questa meretrice', in luogo del latino
classico 'Scio iam ilium meum amare istam meretricem').
La parola Cu.d (adoperata, in questi tipi di frasi, come congiuzione) era,
.
di fatto, la forma del pronome relativo neutro: significava chCE proprio come
il pronome relauvo.
Nella costruzione della frase completiva dell'italiano, il succedaneo di
Cu.d (che è c.: attestato nei dialetti meridionali antichi) è stato sostituito dal
succedaneo del pronome interrogativo e indefmito neutro QUID, che è chC.
Nel passaggio all'italiano questa parola ha esteso fortemente l'àmbito delle
sue funzioni, fino a diventare una sorta di elemento «tuttofare».
VAL pù LA PRATICA DELLA GRAMMATICA
IfC:.mC:0 E0:tatt0c0 :Cla i:gua d0 u:a :.vClla
el «qCcamCr.:» d0 . B.ccacc0.
Quali sono le caratteristiche sintattiche dell'italiano antico? Proviamo a
individuarle rileggendo alcuni punti della novella di Chichibìo:
[1] Currado Gianigliazzi, sÌ come ciascuna di voi e udito e veduto
puote avere, sempre della nostra città è stato notabile cittadino, liberale e
magnifico, e vita cavalleresca tenendo continuamente in cani e in uccelli
s'è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. [2] l quale
con un suo falcone avendo un ì presso a Peretola una gru ammazzata,
tcovandola grassa e giovane. quella mandò a un suo buon cuoco, il quale
era chiamato Chichibio e era viniziano; e sl gli mandò dicendo che a cena
l'arrostisse e govemasse1a bene. Chichibio, h quale come nuovo bergolo
era cosÌ pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollecitudine a cuo­
cer la cominciò, [3] La quale essendo già presso che cotta e grandissimo
odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la quale Bu­
netta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cu-
166 CAPIlO 5
cina, e sentendo l'odor della gru e veggendola pregò caramente Chichibio
cbe ne le desse una coscia.
[4É
Chichibio le rispose cantando e disse: «Voi non l'avrì da mi, dOnna
Brunetta, voi non l'avrì da D>.
;O)
Di che donna Brunetta essendo turbata, gli disse: « n fé di Dio, se
tu non la mi dai, u non avrai mai da me cosa che ti piaccia », e n brieve le
parole furcn mohe; alla fine Chichibio, per non crucciar la sua donna,
spiccata l'una delle cosce alla gru, giele diede.
[6] «Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere messa la
gru senza coscia, e Currado, maravigliandosene, fece chiamare Chichibio
e domandollo che fosse divenuta l'altra coscia della gru. l quale l vini�
zian bugiardo subitamente rispose: «Signor mio, le gru non hanno se non
ALCUNI MUTAMTI SINTATnO 167
in «e vita cavalleresca tenendo continuamente [...] le sue opere mag­
giori al presente lasciando stare» entrambi i gerndi (t/:/:d. e l<EDa:d.
Et<·
r/) sono preceduti, e non seguiti, dai rispettivi complementi oggetti (vit< N<­
v<ller/ED< e l/ Eu/ .p/r/ m<gg0.rz).
T, p pronome personale soggetto è espresso molto di frequente (§ 2):
«In fé di Dio, se i non la mi dai, i non avrai mai da me cosa che ti piaccia»
[5]; «Poi che tu di' di farmelo veder ne' vivi, cosa che io mai più non vidi né
udi' dir che fosse, e io 3 voglio veder domattina e sarò contento; ma Q i
giuro n sul corpo di Cristo che, se altramenti sarà, che Q ti farò conciare in
maniera, che tu con tuo danno ti ricorderai, sempre che tu i viverai, del
nome mio» [9), ecc.
una coscia e una gamba».
[7] Currado allora turbato disse: «Come iiavol non hanno che una
coscia e una gamba? Non vici'io mai più gru che questa?».
;8)
Chichibio seguitò: «Egi è, messer, com'io vi dico; e quando vi
piaccia, io l vi farò veder ne' vivi».
[9]
Currado per amore de' forestieri che seco avea non volle dietro alle
parole andare, ma disse: <<Poi che tu i' di farmdo veder ne' vivi, cosa che
. io mai più non vidi né udi' dir che fosse, e io l vogio veder domanina e
sarò contento; ma io i giuro in sul corpo di Cristo che, se altramenti sarà,
che io ti farò conciare in maniera, che tu con tuo danncorderai, sem·
pre che tu ci viverai, del nome mio».
a.
l ricorso all'ordine SOV per imitazione del modelo latino (§ 1): « l
� (S) con un suo falcone avendo un i presso a Peretola una gru ammaz­
zata, trovandola grassa e giovane, guela (O) Q (V) a un suo buon cuo­
co» [2] si aggiungono molte altre forme di alterazione dell'ordine nonnale
delle parole. Vlgano, a titolo d'esempio, quelle che s'incontrano in ( 1 ) :
_
in <<s[ come ciascuna d i voi e udito e veduto puote avere» l'ordine dei
costituenti frasali è particolare: anziché avere «puote avere udito e veduto»
(verbo servile + infinito del verbo ausiliare v participi passati) abbiamo
«udito e veduto puote avere» (participi passati v verbo servile v infinito del
verbo ausiliare);
_
in «sempre della nostra città è stato notabile cittadino» il complemen­
to di specificazione d/ll< :.str< Dittà precede, anziché seguire, il termine da
cui dipende (D0tt<d0:.);
c.
L'enclisi del pronome atono ricorre nei casi previsti dalla legge To­
bler-Mussafia (§ 2): / g.v/r:<Es/a [2]; / d.m<:d.ll. [6]; p<rt0 (1).
. A proposito di pronomi atoni, converrà ricordare in chiusura che in
italiano antico le combinazioni di pronomi atoni presentavano, in alcuni
casi, un ordine diverso da quello che hanno nell'italiano modeno. Per
esempio:
- in [51 leggiamo <<se tu non a m0 dai» (a K complemento oggetto; m0 K
complemento di termine), che in italiano contemporaneo sarebbe «se tu
non m/ a dai» (m/ K complemento di termine; l< K complemento oggetto);
- in [7) leggiamo «io 0l v0 farò» (0l complemento oggetto; m0 K com­
plemento di termine), che in italiano contemporaneo sarebbe «io v/ l. farò»
=
(v/
=
complemento di termine; l. K complemento oggetto).
l