Navi Fenice e Puniche

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Navi Fenice e Puniche
Andrea Moia
__________________________________________________________________Storia Navale_____
Le Navi Fenice e Puniche – di Marco Bonino
Come ormai saprete, a me piace moltissimo girovagare in internet e cercare notizie
storiche sul mondo Navale. Oggi voglio riportarvi letteralmente un articolo di Marco
Bonino in cui espone la storia delle navi Puniche e Fenice, attraverso ricostruzione di
documenti e fatti avvenuti nella storia. E' molto interessante ed è anche questo un
pezzo di cultura che potrà interessare chiunque voglia conoscere l'evoluzione delle
imbarcazioni, dalla più primitiva alla più moderna.
Dal Blog : http://pierluigimontalbano.blogspot.com
Immagine: affresco ad Akrotiri.
Link: http://users.libero.it/haris/Mykonos_Santorini/Thira/pix/Akrotiri/source/fresquenavires2b.htm
Sono stati rinvenuti alcuni relitti, che permettono di inquadrare alcuni aspetti tecnici
delle imbarcazioni mediterranee orientali e puniche. Gli scafi arcaici, fin dal Bronzo,
erano costruiti a partire dal guscio di fasciame, che era realizzato mediante tavole
sagomate e piegate, cucite con legature. Solo dopo avere ottenuto la forma del
guscio, si inserivano le strutture interne per garantire la forma e la consistenza dello
scafo.
A partire dal XIV a.C. le legature fatte di funicelle cominciarono ad essere sostituite da
linguette di legno fermate da cavicchi: un miglioramento del sistema di fissaggio, che
non cambiava la concezione del guscio portante, ma ne migliorava la robustezza. Nel
passaggio dalle legature ai fermi, che diverranno comuni nel periodo classico e
romano, sta uno degli argomenti maggiormente dibattuti e studiati dall’archeologia
navale.
Abbiamo citazioni da parte di Omero, che nell’Iliade ricorda le cuciture (II, 139) e
nell’Odissea le biette (V, 240): siamo attorno al IX a.C.; la documentazione
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archeologica conferma che il cambiamento della tecnica fu un processo lento, che si
protrasse fino a tutto il V a.C. con soluzioni miste (da Mazarron in Spagna, del VII a.C.,
ai relitti del V a.C. di Gela, Marsiglia, Magam el Michael in Israele). In questo processo
probabilmente i Punici ebbero una parte, come ci dice Catone il Censore
(L’agricoltura, XVIII, 9), quando chiama poenicanum coagmentum (assemblaggio
punico) la giunzione con il sistema delle biette fermate da cavicchi, o tenoni e mortase.
Si deve supporre che le costruzioni navali fenicie avessero seguito questo percorso,
ma non abbiamo la possibilità di attribuire una nazionalità precisa ai relitti. La
scarsezza delle nostre conoscenze non ci permette perciò di confermare la teoria
secondo cui le navi fenicie fossero superiori alle altre (egizie in particolare) perché
avevano la chiglia piuttosto che il fondo piatto. Il relitto di Ulu Burun mostra la
presenza di chiglia nel XIV a.C. ma nulla possiamo dire sulla sua nazionalità: poteva
essere cipriota, dell’Asia Minore, cretese, egea, siriana o fenicia: il carico di pani di
rame e di vasellame non dà indicazioni sul luogo di costruzione.
Le
prime
immagini
abbastanza
leggibili
di
navi
della
zona
siropalestinese (e
quindi anche
fenicia)
provengono
dall’Egitto del
Nuovo Regno
e
sono
affreschi
tebani della
metà del XV a.C. Sono immagini generiche, ma il loro autore ha voluto annotare alcuni
dettagli non egiziani, come i dritti verticali, la coffa sull’albero, una balaustra che pare
a graticcio, ma gli altri elementi non si distinguono molto da quelli delle navi egizie:
forse non era facile neppure allora distinguere i tipi diversi di navi. Sempre nel Nuovo
Regno, le navi dei bassorilievi della tomba della regina Hatscepsut, che narrano le
spedizioni nel Punt (Corno d’Africa), e che appaiono “tipicamente” egizie, erano
chiamate navi di Biblo. Più tardi il rilievo di Medinet Habu, del tempio funerario di
Ramesse III (circa 1180 a.C.), mostra le navi dei Popoli del Mare, che erano diverse da
quelle egizie ed a più riprese sono state attribuite a vari popoli mediterranei, tra cui
Shardana e Filistei; è proponibile una loro collocazione mediterranea grazie
all’analogia con modelli e raffigurazioni micenee, cipriote e sarde.
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In seguito abbiamo le serie di modelli in terracotta ciprioti e fenici, databili dall’ VIII al
V a.C. che illustrano forme diverse di barche e navi a vela ed a remi; tali modelli
probabilmente erano offerte votive alle divinità e in alcuni casi confermano le forme
rotonde e simmetriche, con i dritti alti e a volte rientranti, che si sono viste negli
affreschi egizi. Dall’VIII a.C. provengono le raffigurazioni più note: i bassorilievi del
palazzo di Sennacherib a Ninive e di Sargon a Korsabad, ove compaiono navi a due file
di remi, con e senza sperone e navi mercantili ad estremità simmetriche, con e senza
remi e con la prua ornata da una scultura a forma di testa di cavallo. Ma questi
bassorilievi sono stati eseguiti generalmente non per descrivere le navi, ma per
ricordare un fatto storico, inoltre in essi mancano la prospettiva e le proporzioni tra le
parti e questo rende difficile proporre ipotesi di ricostruzione tecnicamente coerenti.
Alcuni dei modelli votivi di
terracotta
provenienti
dall’area
mediterranea
orientale, da Cipro all’Egitto
e databili dal VII al V a.C., ci
danno alcune indicazioni per
questo periodo, per noi
ancora incerto, di passaggio
dalla bireme alla trireme
(Erodoto, II, 159). Sono fasi
simili a quelle percorse dalla
marineria greca, ma con
risultati
diversi,
come
confermato
dalle
fonti
letterarie e dalle più recenti
monete di Arado e di Sidone
(V-IV a.C.). Durante le guerre
persiane le navi fenicie a
remi erano pontate e più massicce di quelle greche (Erodoto, VII, 184; Plutarco,
Temistocle, XIV, 2) e questo ha fatto supporre, tra le altre ipotesi, che in esse fossero
impiegati più rematori per ciascun remo: su questo principio si ebbe lo sviluppo delle
altre poliremi: le tetreri (quadriremi) e le penteri (quinqueremi), nel IV a.C. Si arriva
alle soglie delle guerre puniche attraverso continui aggiornamenti delle navi a remi,
dai pentekonteri alle poliremi, che hanno interessato sia il campo cartaginese, sia
quello romano, sullo sfondo del grande sviluppo delle navi a remi di ambito ellenistico;
i bassorilievi, i graffiti e le monete ci danno alcuni suggerimenti su questi passaggi in
modo più realistico dei secoli precedenti, mentre gli scritti degli storici, pur essendo
abbastanza dettagliati (Diodoro, Polibio e Livio), danno informazioni tecniche che
vorremmo più precise.
Le grandi linee di questa evoluzione, tra il V e il III a.C. possono essere riassunte con
l’introduzione della pentere e della tetrere da parte dei Siracusani di Dioniso I, presto
imitati dai Cartaginesi, i quali svilupparono ulteriormente queste imbarcazioni, tanto
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che la tetrere fu poi considerata una loro peculiarità. All’inizio della prima guerra
punica la flotta cartaginese era composta da triremi, quadriremi e quinqueremi,
mentre quella romana solo da triremi. Roma dovette sopperire all’inferiorità dovuta
alla mancanza di quinqueremi, e Polibio racconta che i Romani presero a modello una
quinquereme catturata ai Cartaginesi. Il racconto lascia molti dubbi, perché al primo
scontro tra le due flotte la quinquereme romana era più lenta di quella cartaginese e
quindi non poteva essere una sua copia. Certo i Romani non dovevano essere così
sprovveduti da sbagliarsi: avevano quindi privilegiato l’esigenza tattica di imbarcare
un numero maggiore di armati. Per una decina d’anni (dal 260 al 249 a.C.) non vi
furono cambiamenti sostanziali: dopo la battaglia di Trapani e l’assedio di Lilibeo, le
prestazioni della quadrireme di Annibale Rodio suggerivano ai Romani il cambiamento
delle quinqueremi per ottenerne migliori qualità nautiche: con la nuova versione
vinsero la battaglia finale, alle Egadi nel 241 a.C. e tali quinqueremi furono da allora
raffigurate sulle monete romane.
Quale sia stato il cambiamento è oggetto di ipotesi: probabilmente si passò da due a
tre file di remi, per ottenere scafi più stretti e l’appartenenza della quadrireme di
Annibale Rodio alla tradizione rodia-ellenistica pare confermarlo. Le navi mercantili
non hanno avuto la stessa fortuna letteraria e figurativa, per cui è più difficile
delinearne sia le fasi evolutive che la loro natura. Sono stati ricordati, tra i tipi navali
mercantili di origine e tradizione fenicia, i gauloi e gli hippoi: il primo termine fu forse
generico per qualsiasi nave mercantile di origine fenicia (Erodoto, III, 136, 1; VI, 17;
VIII, 97, 1), le cui sole caratteristiche distintive potevano essere la capacità e la
rotondità dello scafo. Il secondo termine in origine definiva navi che avevano una testa
di cavallo scolpita a prua e, in alcuni casi, a poppa e per questo è stato attribuito
giustamente ai tipi scolpiti nel palazzo di Sargon a Korsabad; le fonti letterarie sono
più tarde e si riferiscono a tipi presenti nel Mediterraneo occidentale, forse una
tradizione punica rimasta nelle vicinanze di Cadice (Strabone, II, 3. 4; Plinio, Storia
naturale VII, 57).
Ma come fossero state esattamente queste navi non è dato di sapere con precisione:
nel V-IV a.C. nel Mediterraneo le navi mercantili subivano il passaggio definitivo dalla
tecnica arcaica a quella classica, con un aumento delle dimensioni, documentato, ad
esempio, dall’affresco della Tomba della Nave di Tarquinia e da alcune delle
raffigurazione del tophet di Cartagine. L’unico elemento certo relativo alle tecniche
costruttive puniche è dato dai segni alfabetici dipinti dai costruttori sullo scafo della
nave di Marsala: sono segni di riferimento per allineare e montare correttamente le
strutture sul guscio portante. La nave, ora esposta al Museo del Baglio Anselmi di
Marsala, è stata interpretata come nave a remi, ma non ci sono prove in merito: è
molto probabilmente legata ad uno degli eventi bellici delle prima guerra punica,
dall’assedio di Lilibeo, alla battaglia di Trapani, a quella delle Egadi, ma la forma e la
profondità della carena sono più adatte ad una nave a vela che ad una nave a remi e
non sono stati rinvenuti elementi del sistema di voga.
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Certo la leggerezza delle strutture può suggerire un sistema misto, ma con i
documenti a disposizione questo non può essere stabilito. La cosiddetta nave sorella,
di cui è ricostruito il dritto di prua al Museo del Baglio Anselmi, poteva essere una nave
a remi, certamente diversa dalla precedente e con un tagliamare a prua ma lo stato
del relitto non ci permette di ricostruirne il tipo.
Spero di avervi regalato una serena lettura storica di vostro interesse
Un Abbraccione a tutti!
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